La realtà spesso e volentieri supera la fantasia. Dopo anni di studi, ormai è certo che esistono rapporti stretti, tra mafia, politica, servizi segreti, Massoneria, alta finanza e terrorismo internazionale.
Nel 1979 Assim Akkaia racconta al dirigente della Squadra Mobile di Milano Enzo Portaccio che la città di Trento costituisce il punto di congiunzione tra la mafia turca e quella siciliana. Gli alberghi Karinali e Romagna di questa città erano appartenenti al trentino di origine altoatesina Karl Koefler che era collegato a Milano con i grandi trafficanti di armi e con la mafia che, tramite Angelo Marai e Leonardo Crimi.
Gli alberghi che appartenevano a Koefler fungevano come centro di smistamento di morfina base e di eroina pura destinata alle raffinerie siciliane e quindi al mercato italiano e statunitense. Le indagini, che iniziarono nel 1980, condussero alla scoperta di 200 kg di tali sostanze nelle zone di Trento, Bolzano e Verona importate da un’organizzazione che in due anni aveva portato in Italia almeno 4.000 kg di sostanze stupefacenti.
Questa massiccia importazione di sostanze stupefacenti, bisogna vederla dentro la dinamica che vide negli anni ’70, passare la direzione della commercializzazione delle sostanze stupefacenti nelle mani di Cosa Nostra siciliana. La Sicilia divenne in quegli anni il maggiore laboratorio di produzione delle sostanze stupefacenti.
LA TRASFORMAZIONE DI COSA NOSTRA NEGLI ANNI OTTANTA
Cosa Nostra siciliana conquistò in questo periodo una posizione di semi monopolio mondiale nel traffico degli stupefacenti. La conquista di tale posizione fu dovuta a una serie di condizioni. Una di queste è che essendo il cosiddetto blocco “socialista” fuori dal mercato illegale del crimine (pur essendo per via del forte debito integrato nel mercato mondiale), le mafie occidentali non dovevano fare i conti nel mercato criminale con competitori globali quali le mafie euroasiatiche: all’epoca la mafia russa era pressoché inesistente, e la mafia cinese, allora era incubata nelle comunità etniche d’origine come le Triadi in Cina e a Hon Kong.
Tra le mafie occidentali, quella siciliana introduce la risorsa strategica e vincente dell’alleanza con la mafia americana, nel cui ambito le famiglie di origine siciliana avevano occupato posizioni di predominanza. Dopo lo smantellamento dell’asse turco-marsigliese nel campo del traffico internazionale degli stupefacenti a seguito della Task Force voluta dal presidente degli Stati Uniti Richard Nixon e diretta da Henry Kissinger, sarà appunto Cosa Nostra siciliana a conquistare in questo campo posizioni di semi monopolio.
Alla fine degli anni ’70 le famiglie siciliane mediante accordi con i fornitori turchi e asiatici monopolizzano l’acquisto di morfina base prodotta nei Paesi orientali. La morfina viene trasformata in eroina nei laboratori impiantati in Sicilia con un grado di purezza elevatissimo che la rende particolarmente appetibile. L’eroina prodotta viene trasferita negli Stati Uniti dove la stessa organizzazione siculo-americana provvede a distribuirla a volte cedendola ad altre organizzazioni criminali, a volte smerciandola direttamente al minuto.
Il monopolio si estende anche al mercato europeo, con l’eccezione di alcuni settori settentrionali che vengono lasciati alla mafia turca.
I miliardi così guadagnati vengono riciclati grazie all’intervento delle famiglie create appositamente nei Paesi del Sud America, del Canada, dell’Inghilterra, della Svizzera.
Così Cosa Nostra si mondializza. Unendo i punti corrispondenti ai territori di produzione base (Oriente) a quelli di trasformazione del prodotto base (Sicilia) a quelli di smercio del prodotto finale (Nord America ed Europa) a quella del riciclaggio del capitale lucrato (Svizzera, Inghilterra, Florida, Aruba, Antille Olandesi, Canada, Venezuela, Brasile, Liechtenstein ecc.), si estendono i confini planetari del mondo della criminalità mafiosa siciliana dalla fine degli anni ’70 sino fine degli anni ’80.
Le quantità prodotte e commercializzate sono di livello industriale. La morfina base acquistata a 13.000 dollari al kilogrammo viene rivenduta negli Stati Uniti a 110.000 dollari kilogrammi.
Operando un calcolo globale sulla base della capacità produttività dei laboratori della morfina in eroina individuati nella prima metà degli anni ’80 (in media circa 200 Kg al mese per ogni laboratorio), di altri indici obiettivi (quali per esempio le quantità di anidride ascetica – ben 4.229 Kg nei soli primi sei mesi del 1982) delle dichiarazioni dei collaboratori, si perviene alla stima di un fatturato globale decennale di svariate migliaia di miliardi di dollari.
Così Cosa Nostra entra nel club del capitalismo finanziario mondiale: sono gli anni Sindona, di Calvi, di Gelli, dello scandalo IOR.
L’ingresso nel capitalismo finanziario internazionale comporta anche l’ingresso ufficiale di Cosa Nostra in alcuni circoli esclusivi del potere occulto nazionale e internazionale: in quegli anni alcuni capi della mafia siciliana entrano per esempio nella massoneria intessendo una ragnatela di rapporti, anche con esponenti dei servizi segreti nazionali e internazionali, entrando così nei sancta sanctorum del potere reale.
Il culmine di questa parabola è raggiunto, quando Cosa Nostra dopo aver conquistato posizioni di quasi monopolio nel settore dell’eroina in Italia, nel Nord America e in Europa, divenendo fornitrice e grossista per altre organizzazioni come la Camorra e la ’ndrangheta, tenta di conquistare il monopolio nel settore della commercializzazione della cocaina in Europa e in Italia.
Nell’ottobre del 1987 nell’isola di Aruba Cosa Nostra siciliana e il cartello colombiano di Medellin stipulano, infatti, un accordo commerciale di portata dirompente. L’accordo prevede lo scambio di eroina europea, monopolizzata da Cosa Nostra, con la cocaina prodotta in Colombia.
Lo sviluppo del capitalismo commerciale di Cosa Nostra interagisce con il colpo di Stato con il quale i corleonesi conquistano il vertice dell’organizzazione inaugurando una stagione senza precedenti nella storia della mafia.
Fino allora Cosa Nostra si articolava come una federazione di famiglie mafiose ciascuna delle quali aveva il proprio territorio e sceglieva i propri quadri di commando: il capofamiglia, i capidecina. In alcune famiglie, come quella di Santa Maria del Gesù, i capi erano eletti.
Quest’articolazione determinava una frammentazione del potere tra le varie famiglie che si rifletteva anche sul piano dei rapporti di forza globali tra la struttura militare (dove la base di massa era di provenienza dalle masse popolari) e quei settori del sistema mafioso che facevano parte della classe dirigente: politici, imprenditori, finanzieri, professionisti, amministratori pubblici.
I colletti bianchi si rapportavano non con l’intera organizzazione ma, di volta in volta con i componenti di questa o quella famiglia. Dietro il colletto bianco si proiettava l’ombra lunga dell’establishment di cui faceva parte per il suo stato sociale, dietro il mafioso militare l’ombra corta della singola famiglia di cui era membro.
Inoltre, il colletto bianco particolarmente addentro a una singola famiglia aveva protezione di quella famiglia al pari di uno dei suoi membri. Se il componente di un’altra famiglia gli avesse fatto uno sgarbo o avesse provato a intimidirlo, avrebbe creato un incidente diplomatico suscettibile di un conflitto e sarebbe stato possibile di deferimento alla Commissione per violazione delle regole. Esisteva dunque un sistema di pesi e contrappesi, un bilanciamento tra le varie signorie territoriali delle famiglie mafiose che impediva una concentrazione del potere in unico vertice.
Il colpo di Stato dei Corleonesi mediante lo sterminio di tutti i loro antagonisti interni, che fu definita la “seconda guerra di mafia” che scoppiò nel 1978 e finì circa nel 1983, provocò oltre 1060 omicidi.
Esso determinò una rivoluzione nel gruppo dirigente della struttura militare di Cosa Nostra e dei suoi rapporti con la classe dirigente politica ed economica, ivi compresa quella sua componente (la borghesia mafiosa) che faceva parte del sistema mafioso.
Riina e i suoi, infatti, pur lasciando formalmente inalterato il sistema di regole precedente, trasformano la struttura federale di Cosa Nostra in una dittatura, in una piramide controllata da un unico gruppo di comando che dal vertice dispone di tutte le risorse militari e relazionali con le varie famiglie in maniera ferrea e può decidere senza doversi più misurare con gli equilibri interni dei vari capimandamento o con poteri di veto di capi dissidenti.
In tal modo i corleonesi vengono ad avere un’enorme concentrazione di potere in termini di risorse finanziarie e militari che squilibra il rapporto con i mondi superiori i cui esponenti i cui esponenti si trovano a confrontarsi non più con singole famiglie mafiose dal potere limitato e controbilanciato da quello di altre famiglie, ma con un enorme monolite, una macchina da guerra nelle mani di Riina e dei suoi. La cultura della mediazione affinata negli anni è soppiantata da una rozza cultura della prevaricazione.
Quest’ascesa dei corleonesi è stata favorita da aiuti esterni da Cosa Nostra, da servizi segreti o da qualcuno in grado di influenzarli. Questa presa di potere ha avuto senza dubbio delle ripercussioni nelle diverse logge massoniche che in quegli anni erano sorte in Sicilia e collegavano mafiosi e imprenditori.
Un’ipotesi da tenere in considerazione è che ci sia un collegamento tra l’ascesa dei corleonesi, lo sterminio dei loro rivali e la bancarotta di Sindona.
Michele Sindona si era specializzato nell’esportazione di capitali e nel funzionamento dei paradisi fiscali, la sua spregiudicatezza nelle operazioni di Borsa gli permise di accumulare rapidamente una considerevole fortuna economica. Nel 1957 la famiglia della mafia americana dei Gambino gli affidò la gestione dei profitti dei loro traffici di droga. Nel giro di un anno, Sindona comprò la sua prima banca, la Banca privata finanziaria. Sindona fu in contatto con il cardinal Montini, arcivescovo di Milano che poi divenne papa con il nome di Paolo VI. Nel 1969 Michele Sindona inizio i suoi rapporti con lo IOR la banca vaticana: enormi capitali furono spostati dalle banche di Sindona, attraverso il Vaticano, vero le banche svizzere. Sindona divenne il terminale finanziario anche delle famiglie mafiose palermitane. La sua ascesa sembrò non incontrare ostacoli fino al 1971 quando fallì la sua operazione sulla finanziaria Bastoggi, che incontrò l’opposizione di Enrico Cuccia, il fondatore di Mediobanca.
Nel 1972 Sindona conquistò il controllo della Franklin National Bank di Long Island, una delle prime venti banche statunitensi. Nel 1974 fu salutato come il “salvatore della lira” da Giulio Andreotti, ma nell’aprile dello stesso anno un rapido calo del mercato azionario provocò il crollo di Sindona. I profitti della Franklin National Bank persero il 98% rispetto a quelli all’anno precedente, Sindona fu così costretto a uscire dalla maggior parte delle banche che controllava. L’8 ottobre la banca di Sindona venne dichiarata insolvente per frode e cattiva gestione.
Sindona riciclava i proventi del traffico di droga del gruppo Bontade-Badalamenti-Inzerillo-Gambino, famiglie che erano determinate a recuperare il loro denaro e per questo motivo aiutarono il finanziere per settanta giorni nel suo finto rapimento in Sicilia dal 2 ottobre al 16 ottobre 1979.
Sindona è stato uno dei finanziatori del golpe Borghese, dall’inchiesta di Salvini risulta che una delle centrali dei finanziamenti USA al fascismo italiano era la Continental Illinois Bank di Cicero, Illinois che concentrava enormi capitali provenienti in massima parte dall’industria bellica statunitense. La Continental (come anche la Gulf and Western, che amministrava il capitale della mafia americana) forniva la copertura finanziaria alla Banca privata finanziaria, della quale si serve Sindona per la gigantesca operazione di trasferimento di medie industrie italiane sotto il controllo del capitale americano, che era iniziato nel 1968.
Perciò una delle ipotesi sull’ascesa dei corleonesi è che sia stata favorita da chi avesse interesse allo sterminio dei creditori di Sindona, in altre parole dello sterminio della vecchia guardia mafiosa che aveva investito negli affari di Sindona.
Se si guarda la sequenza degli avvenimenti, questa tesi appare plausibile.
Nel 1970 si ha il tentato golpe Borghese, nel 1971 e 1972 ci furono i primi rapimenti per opera dei corleonesi, nel 1974 inizia il crollo di Sindona, nel 1975 viene arrestato a New York Sindona (ma fu subito scarcerato), nel 1977 iniziano a circolare notizie di un elenco di 500 persone che tramite lui avevano esportato capitali fuori dall’Italia, nel 1978 inizia la mattanza della vecchia guardia mafiosa, nel 1979 viene ucciso Ambrosoli il liquidatore della Banca privata finanziaria, ai primi dell’agosto 1979 inizia il falso rapimento di Sindona che termina il 16 ottobre quando viene ricoverato in Ospedale. In concomitanza con le uccisioni dei mafiosi delle vecchie famiglie mafiose, iniziò lo sterminio degli investigatori che si stavano occupando dei flussi finanziari di Cosa Nostra. Infatti, furono uccisi tutti quelli che stavano indagando sugli investimenti di Cosa Nostra. Furono omicidi commessi dai corleonesi ma che non riguardavano i loro traffici, bensì quelli dei loro predecessori.
L’11 luglio 1979 fu ucciso Ambrosoli, il 21 luglio 1979 l’investigatore della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano. Ambrosoli e Giuliano si erano in precedenza incontrati a Milano, perché l’investigatore indagando su flussi finanziari dei traffici di Cosa Nostra avesse intravisto il ruolo di Sindona in questi traffici.
Delle indagini di Giuliano si sarebbe dovuto occupare Cesare Terranova appena tornato di magistratura dopo alcuni anni da deputato indipendente eletto nelle liste del PCI. Il 25 settembre 1979 fu ucciso insieme al maresciallo Lenin Mancuso.
Le indagini di Boris Giuliano furono riprese dal procuratore Costa. Il 6 agosto 1980 Costa fu ucciso a Palermo.
Le sue indagini furono studiate da Pio la Torre deputato del PCI. Il 30 aprile 1982 Pio la Torre fu ucciso a Palermo.
Il prefetto Dalla Chiesa fu inviato a Palermo e annunciò che non avrebbe risparmiato nessuno nelle sue indagini. Il 3 settembre 1982 Dalla Chiesa fu ucciso a Palermo.
Il magistrato Rocco Chinnici iniziò a raccogliere il materiale che diede poi il via al maxiprocesso e il 29 luglio 1983 fu ucciso.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino svolsero il ruolo dell’accusa in quel processo e nel 1992 furono uccisi entrambi.
Dunque, se dietro la discesa dei corleonesi ci fosse il tentativo da parte di un soggetto esterno a Cosa Nostra di eliminare le tracce di un investimento dei capitali mafiosi e nello stesso tempo l’eliminazione degli stessi mafiosi creditori di questo investimento.
Ma in cosa poteva consistere questi investimenti? Tanto da fare una macelleria per eliminare qualsiasi traccia.
Proviamo fare delle ipotesi.
Uno dei capitoli più controversi nella battaglia di Wojtyla contro il blocco “socialista” è quello dei finanziamenti segreti fatti arrivare a Solidarnosc.
Nel biennio 1980-1981 tramite il Banco Ambrosiano presieduto da Roberto Calvi, il Vaticano comincia a versare capitali enormi al sindacato di Walesa. Tutto questo è avvenuto nel più assoluto segreto.
Insieme con Roberto Calvi, deus ex macchina dell’intera operazione è Marcinkus, l’anima nera dello IOR, la banca del Vaticano. Con Roberto Calvi, Marcinkus imbastisce una rete di società fantasma nei paradisi fiscali di mezzo mondo, dove arrivano fiumi di soldi. Forte della benedizione vaticana, Calvi allaccia relazioni con Sindona, e il giro della P2. Quando nel 1981 viene condannato per reati valutari, e finisce in carcere a Lodi (dove tenterà il suicidio) il banchiere ha un problema che gli fa togliere il sonno: deve restituire decine di milioni di dollari al mafioso Pipo Calò e alla banda della Magliana. Lo IOR negli anni ’70 e ’80 diventa uno strumento del riciclaggio di denaro mafioso. Questi soldi sono utilizzati per contrastare il blocco “socialista” nell’Est europeo e impedire ogni avanzata delle forze avverse al Vaticano (e agli USA) nell’America Latina.
Se si analizza il ruolo del Banco Ambrosiano, ha avuto sul piano internazionale, con una serie di proprie banche aperte in tutti paesi vediamo che il Banco ha finanziato tutti i regimi di destra e autoritari in America Latina.
Il banco ha finanziato l’acquisto di armi, molto spesso di industrie italiane, per l’Argentina, per il Nicaragua e tutti i Paesi governati da regimi di destra. In Cile è stato costituito una finanziaria insieme a Pinochet. “In Nicaragua, quando Somoza entrò in crisi, il Banco di Managua, che faceva capo al Banco Ambrosiano, dirottò centinaia di milioni di dollari per sostenere il dittatore.” (“Intervista a Radio popolare sulla vicenda Calvi-Banco ambrosiano.”)
In sostanza il Banco Ambrosiano è stato uno strumento dell’intervento politico del Vaticano in accordo con l’imperialismo USA.
Il retroterra del buco dell’Ambrosiano sta appunto nel finanziamento di questi regimi. Ottocento milioni di dollari, su un buco di milleduecento, furono dirottati all’estero sulle finanziarie sudamericane del Banco Ambrosiano.
Bisogna tenere conto che il “caso Calvi” avviene proprio in cui in Italia si chiude la fase del compromesso storico e si apre quella della riconversione politica, che punta non più al coinvolgimento del PCI ma al suo isolamento. Siamo nel 1980-81, dove si apre una nuova fase del capitalismo italiano attraverso il rilancio della finanza, della borsa, dell’autofinanziamento e di un abnorme attività di speculazione finanziaria da parte dei grandi gruppi.
Proprio in questo periodo, Calvi era riuscito a mettere assieme circa il 25% delle società quotate in borsa, le più ricche, quelle che fanno gola. Ad esempio, le compagnie di assicurazioni: attraverso l’alleanza con Pesenti e Bonomi, Calvi contava sulle Toro e sulla Ras. Era riuscito a mettere assieme la più grande banca privata italiana con la fusione tra il Banco Ambrosiano, la Banca Cattolica del Veneto e il Credito Varesino; a mettere le mani sull’informazione. Aveva capito, che il gioco in borsa si conduce attraverso messaggi da lanciare ai risparmiatori sui giornali e attraverso l’orientamento del risparmio fatto dalle banche e delle compagnie di assicurazione, che raccolgono grandi liquidità e poi le giocano in borsa. Proprio quando il capitalismo italiano tende a lanciarsi in questo senso, Calvi diventa un personaggio ingombrante, un personaggio che gioca pesante. E chi subentra a Calvi? Agnelli, che acquista la Toro, Rizzoli e il Corriere della Sera tornano nelle sue mani, che nel frattempo acquista pure la quota di maggioranza del Banco Ambrosiano.
Vediamo adesso le conseguenze che l’ascesa dei corleonesi ha comportato nel settore dell’economia.
La novità è che nel settore degli appalti pubblici, i capi dell’organizzazione decidono di non limitarsi più a taglieggiare a valle le imprese aggiudicatrici ma di entrare direttamente nella cabina di comando nella quale fino allora i vertici politici e imprenditoriali regionali e nazionali avevano monopolizzato la manipolazione dei grandi appalti.
Cosa Nostra pretende e ottiene di sedere con i propri uomini al tavolo delle trattative di vertice; partecipa alle operazioni di pianificazioni e a volte arriva a imporre a politici e imprenditori le proprie condizioni con la minaccia di morte o lo strumento del ricatto.
In questo nuovo sistema, i politici continuano a svolgere il ruolo di sempre occupandosi dei finanziamenti, mentre Cosa Nostra pianifica una turnazione nell’aggiudicare le gare di appalto che garantisce a quasi tutti gli imprenditori che contano l’aggiudicazione a rotazione degli appalti pubblici. Questo sistema consente di azzerare la concorrenza tra imprenditori nelle gare d’appalto e di predeterminare l’aggiudicazione tramite offerte concordate con ribassi minimi. Il maggior guadagno conseguito risparmiando sul ribasso d’asta è destinato a finanziare la percentuale di tangente destinato ai politici pari al 2%, quella di Cosa Nostra, pari a un altro 2% e quella riservata agli organi di controllo, pari allo 0,50%.
Questo meccanismo coinvolgeva per ogni gara manipolata circa 50 persone in media tra politici, imprenditori, mafiosi, professionisti, pubblici amministratori, funzionari, soggetti inseriti negli enti di controllo. Se si moltiplica questo dato numerico per centinaia e migliaia di gare d’appalto, si ha la proiezione macrosistemica del fenomeno.
Questo modello oltre che in Sicilia prese piede anche in Campania e in Calabria.
Un altro indice di mutamento del mutamento dei rapporti di forza tra mafia militare e i vertici politici emerge dalla decisione di Cosa Nostra, in occasione delle elezioni politiche nazionali del 1987, di dare una “lezione” alla DC, da sempre il partito di riferimento dell’organizzazione e della cui politica i vertici mafiosi erano insoddisfatti.
I corleonesi ordinarono di dirottare il consenso elettorale pilotato dall’organizzazione verso il PSI e il Partito Radicale che in quel periodo si erano fatti portatori di una linea politica fortemente critica nei confronti della magistratura, sfociata nella campagna per la promozione di un referendum sulla responsabilità civile dei magistrati.
Nei quartieri popolari di Palermo la DC registra un vistoso calo consensi che si riversano sul PSI e sui radicali. Il partito del garofano a Palermo passa dal 9,8% al 16,4%. I radicali, che sino allora in città quasi non esistevano, raccolgono il 2,3% dei voti.
MISSILI A COMISO E LA MILITARIZZAZIONE DELLA SICILIA
All’inizio degli anni ’80 in Sicilia si assisté allo sviluppo di tre gravi fenomeni, oltre al terrorismo mafioso, ci furono l’installazione dei missili nucleari e la militarizzazione a tappeto.
La Sicilia ha sempre avuto una centralità strategica, per il suo essere collocata al centro del bacino del Mediteranno, sia dal punto di vista militare che in quello commerciale.
Durante la Seconda guerra mondiale imperialista in previsione dello sbarco in Sicilia il servizio segreto militare degli Stati Uniti reclutò diversi esponenti della mafia italo-americana ai quali fu affidato il compito di informare i servizi sulla situazione siciliana e di preparare il terreno e il personale politico per amministrare l’isola una volta conquistata.
Il boss Lucky Luciano – alias Salvatore Lucania – che era che era detenuto nel penitenziario statunitense di Dannemora, fu contattato da ufficiali del NIS il servizio segreto dell’US Navy. In cambio della sua collaborazione Lucky Luciano chiese che a guerra finita gli fosse concessa la libertà sulla parola. I patti furono rispettati, egli (che aveva una condanna a trent’anni di reclusione) fu liberato nel 1946.
Torniamo negli anni ’80, in questo periodo il Mediterraneo non era più un mare americano ma un mare in tempesta. Oltre al conflitto tra palestinesi e israeliani, alle guerre arabo-israeliane (1948-49, 1956, 1967 e 1973) c’è la guerra civile in Libano e il relativo intervento bellico israeliano.
Per completare il quadro della situazione nell’area bisogna ricordare i travagli interni nella Jugoslavia (in particolare nel Kosovo), il colpo di Stato in Turchia nel 1980, l’assassinio di Sadat nel 1981, in Tunisia dove nel gennaio 1984 ci furono i tumulti per il pane, in Marocco ci fu l’assassinio del generale Dlimi a seguito di un complotto antimonarchico sventato nel 1983, in Spagna c’era la guerriglia dei baschi da parte dei GRAPO e in Corsica ci fu un susseguirsi di attentati.
A questo crogiolo di tensioni e di conflitti le grandi potenze hanno reagito passando da una strategia basata sulla proliferazione di basi e punti di appoggio a una nuova strategia basata sulla limitazione delle basi permanenti a pochi paesi considerati sicuri e sul continuo potenziamento della presenza delle flotte navali e dell’arsenale nucleare di cui erano dotate.
Questa risposta delle grandi potenze deve essere inquadrata nella controffensiva da parte dell’imperialismo USA che ci fu negli anni ’80.
Le misure più importanti applicate furono orientate in tre direzioni.
- Continuare la guerra fredda con il riarmo ideologico del progetto borghese: passare dalla lotta difensiva interna caratterizzata dalla creazione dello Stato “sociale”, alla lotta offensiva interna: postmodernismo, nuovo individualismo utilizzando la penetrazione dei nuovi mezzi di comunicazione di massa (cinema, musica, televisione, ecc.).
- Superamento dello Stato sociale.
- Riprendere il controllo dell’orientamento delle politiche dei paesi dipendenti e controllati. Per questo sono applicate le misure più diverse: i colpi di Stato (America Latina, Africa), l’attacco contro il sistema delle Nazioni Unite, concentrando il potere nel Consiglio di Sicurezza e provocando la crisi finanziaria degli organismi vincolati al Nuovo Economiche internazionale (NOE), come l’UNCTAD o l’UNESCO; vince il dogma della stabilità politico economica globale, divenuto elemento prioritario della politica di controllo, di dominio imposto nel mondo anche attraverso organismi politico-economici internazionali (WTO, BM, BEI, OCSE, WTO ecc.).
Si sviluppa in tutti i paesi imperialisti, il keynesismo militare. Negli Stati Uniti la corsa agli armamenti fa parte del sistema di accumulazione capitalista, in altre parole esso assorbe gran parte delle spese pubbliche, anche se chi ne beneficia, non sono imprese pubbliche, essa è servita indirettamente al funzionamento del sistema capitalistico dal punto di vista dell’accumulazione, poiché, attraverso la via militare, si è riusciti a trasformare l’impegno militare in produzione di beni e servizi per la distribuzione universale. Gli investimenti militari sono stati finanziati con il bilancio pubblico e il Pentagono era l’unità economica pianificata più grande del mondo. Gli USA sono consapevoli che senza egemonia militare non potrebbero imporre al mondo il finanziamento dei loro deficit, che gli consente di mantenere in maniera del tutto artificiale, senza alcun stabile e strutturale retroterra in alcun sistema macroeconomico.
La strategia reaganiana rivolta al Mediterraneo si articolava in tre direzioni principali:
- Gli accordi di cooperazione con Israele. Il 30.11.1981 gli Stati Uniti e Israele sottoscrivono un accordo di cooperazione strategica allo scopo di “scoraggiare qualsiasi minaccia proveniente dall’Urss nella regione”. Le clausole specificamente militari dell’accordo sono sempre rimaste segrete.
- La costituzione della Rapid deployment force (Rdf). La Rdf rappresenta il compimento di un progetto lanciato da Carter fin dal 1977. Nella metà degli anni ’80 era composta di 230.000 uomini e dal 1983 il suo quartier generale era costituito c/o il Centcom (Comando centrale americano) in Florida. La Rdf ha l’obiettivo di proiettare la forza militare americana nel più breve tempo possibile a più di 10.000 Km di distanza.
- Ruolo dell’Italia. L’Italia in questo contesto è destinata a svolgere un ruolo da protagonista grazie alla sua posizione geostrategica. Un esempio: è di questo periodo lo spostamento del comando delle forze navali americane in Europa da Londra a Napoli, dove si è andato a unire al comando NATO del sud Europa. Il ministro della “difesa” italiano dell’epoca il “socialista” Ligorio mette in discussione il “vecchio modello di difesa”, basato essenzialmente sulla “soglia di Gorizia”. La nuova “minaccia” viene dal Sud.
Il primo episodio di tale impostazione della politica italiana è stato l’impegno italiano a garantire la “neutralità” di Malta. L’accordo del 15 settembre 1980 contiene l’impegno dell’Italia di intervenire anche militarmente in caso di “violazione della sovranità di Malta”. Quest’accordo nasceva dalla richiesta di Malta di essere sostenuta nella vertenza in atto con la Libia sul diritto di ricerca d’idrocarburi nella zona di mare di Medina. L’accordo è viziato da un’assurdità esplicita: come può un paese come l’Italia che è integrato in un’alleanza militare (la NATO) a impegnarsi a garantire la neutralità di un paese?
Il 1982 vede l’inaugurarsi l’era delle spedizioni italiane in Medio Oriente. La prima è collegata all’attuazione degli impegni di Camp David tra USA, Israele ed Egitto. Il governo italiano decide di contribuire con tre dragamine e un contingente militare alla Forza multinazionale da inviare nel Sinai e autorizza che il quartier generale sia insediato a Roma. Non passano tre mesi e l’invasione israeliana del Libano – scattata nel 1982 – fornisce l’occasione per ripetere in grande l’invio di forze militari NATO nella regione, al di fuori della cornice dell’ONU e con il pretesto del mantenimento della stabilità dell’area. Francia, Gran Bretagna, USA e Italia inviano dei contingenti di truppe che si impegnano a impedire l’ingresso delle truppe israeliane a Beirut. Ma proprio sotto gli occhi ci fu l’orrenda strage di Sabra e Chatila da parte degli israeliani. Con il passare dei mesi, il carattere della Forza Multinazionale appare in maniera evidente che il suo reale scopo non è certo quello di garantire la pace, ma di essere lo strumento d’intervento militare della NATO al di fuori dei confini dell’Alleanza Atlantica per sostenere il governo di destra di Beirut e combattere le opposizioni mussulmane e le forze della resistenza palestinese.
In pieno agosto 1984 il governo egiziano si rivolge a Francia, Gran Bretagna, USA e Italia per lo sminamento di alcuni tratti del Mar Rosso.
Nell’agosto del 1981 ci fu la notizia che a Comiso avrebbero dovuto essere installati 112 micidiali missili Cruise. Per quale ragione fu scelta la Sicilia e in particolare Comiso? La risposta sta nella carta geografica. Prendendo come ipotetico bersaglio dei Cruise quella parte dell’Unione Sovietica sulla quale sono piazzate le rampe dei SS-20, Comiso appare una delle zone di lancio più lontane. Se però il bersaglio si trovasse sull’Africa settentrionale e nel Mediterraneo, la Sicilia sarebbe la zona di lancio ideale. Perciò la scelta della Sicilia è una chiara espressione della volontà di allagare la volontà verso il sud il raggio di azione della NATO.
In Sicilia si è andato concentrando un dispositivo militare impressionante. Ci sono missili atomici, aerei americani e italiani che possono essere armati con bombe nucleari, gli aerei radar più avanzati del mondo e i caccia più moderni di cui disponga l’aereonautica italiana; poi 20.000 ettari furono destinati a un enorme poligono di tiro. Dalle installazioni maggiori (Comiso, Sigonella, Trapani, i Nebroidi) alle decine di base secondarie; non c’è deposito, installazione radar, pista di aeroporto che non sia interessati dal processo di “ampliamento” e “ammodernamento”.
Contro l’installazione dei missili a Comiso si sviluppò in Sicilia, in Italia e in tutta l’Europa occidentale, un forte movimento di lotta. Ci furono parecchie iniziative che avevano l’obiettivo di bloccare o almeno di ostacolare i lavori all’interno della pace. A Comiso si tenne la riunione internazionale contro i Cruise (Imac). Questo movimento in Sicilia s’impegnò non solo contro l’installazione dei missili a Comiso, ma anche contro i nuovi annunciati casi di militarizzazione: da Centuripe ai Nebrodi. Il progetto colossale poligono dei Nebrodi, che alcuni considerano il paravento di un’area di dispersione privilegiata dei Cruise di Comiso, dà l’occasione per realizzare un’unità di azione tra i militanti del movimento contro l’installazione dei missili e le popolazioni locali.
Allora c’è un possibile nesso tra aumento del terrorismo mafioso e installazione dei missili e militarizzazione dell’isola?
Torniamo a Sindona quale fu il vero scopo della sua fuga in Sicilia? Il bancarottiere e i suoi complici mafiosi e massoni hanno dato tante spiegazioni, molto frammentarie e poco convincenti. Si ha ragione a credere che Sindona e il suo clan venissero in Sicilia a compiere, in cambio di non si sa quali vantaggi personali, una missione politico- criminale: comprare l’appoggio e il sostegno armato dei più potenti gruppi di Cosa Nostra a un progetto reazionario, destabilizzante (per poi stabilizzare in senso conservatore) da attuare in Sicilia. Sindona doveva garantire con il “prestigio” che la sua persona aveva in questi ambienti quest’alleanza. Mandanti e ispiratori sarebbero stati settori del Partito Repubblicano, esponenti del pentagono e della CIA.
Guarda caso al processo di New York Sindona ha esibito lettere di esponenti del Pentagono presentandole come le credenziali, l’avallo preventivo dato da autorevoli ambienti statunitensi a progetto di Colpo di Stato in Sicilia. Ovviamente i giudici americani, come in altre occasioni del genere, non hanno voluto approfondire questa pista, che rischiava di portare molto ma molto in alto.
A quanto si diceva sopra del ruolo di finanziatore di progetti politici ed economici di Sindona, si può aggiungere quello che diceva il rapporto che fu presentato al Congresso degli Stati Uniti dal deputato Pike” “Sindona fu un elemento chiave nella distribuzione di milioni di dollari della Cia a partiti italiani di centro e di destra; parte di questi soldi servirono a finanziare il fallito colpo di Stato fascista del dicembre 1970”.
Dopo la visita di Sindona la violenza mafiosa a Palermo fece un salto di qualità, assumendo connotazioni inedite, tanto che per definirle fu coniato il termine di “terrorismo mafioso”. A Palermo si registrò un’agghiacciante sequenza di assassini: le vittime, furono, fatto assolutamente nuovo, personalità politiche, magistrati funzionari di polizia; i grandi delitti di Palermo decapitarono in breve tempo tutti i vertici politici e istituzionali.
BANCHE ARMATE DELLA NUGAN BANK ALLA BCCI
Il 5 luglio 1991 scattò in Europa il più grosso blitz contro un istituto di credito, la Banca di credito e commercio internazionale (Bcci).
Lo scandalo era iniziato negli Stati Uniti nel 1989, quando la filiale di Miami era stata indagata per aver riciclato denaro proveniente dal traffico di droga. Un tribunale di Tampa (Florida) aveva condannato sette dirigenti dell’istituto per traffico di stupefacenti e aveva indicato nella Bcci la banca personale di Manuel Noriega.
In seguito, dopo vari tentativi di tenere il caso sotto controllo, cominciarono a emergere implicazioni di servizi segreti (in particolare della CIA), traffici di armi e di componenti per bombe atomiche per conto del Pakistan, Iraq e Argentina.
La banca era nata con l’uomo d’affari pachistano Agha Assan Abedi, protetto dall’allora dittatore Zia. Tra i fondatori vi furono cinque principi sauditi, quattro sceicchi, la Bank of America, l’Unione delle Banche Svizzere (Ubs) e il finanziere saudita Gaith Pharaon che usò la banca per alcune delle più spregiudicate avventure finanziarie in tutto il mondo, tentando in Italia anche la scalata della Montedison.
Sin dalle prime dell’inchiesta sulla Bcci, condotta in vari paesi, dagli Stati Uniti a Hon Kong, da Londra a Zurigo, si appurò che l’istituto era implicato nei più loschi traffici di armi, droga e terrorismo, in convivenze con Noriega, con il trafficante di droga di Hong Kong Lauw Kin-Men (correntista con 25 milioni di dollari).
La Bcci aveva seguito una linea di sviluppo caratterizzata di mettere a disposizione ai propri clienti servizi “molto speciali”.
Questa strutturazione era evidenziata dalla presenza di un alto numero di ex funzionari dei servizi segreti e di terroristi, collocati all’interno dell’organigramma della banca in posizioni gestionali, e spesso in stretto collegamento con operatori dei servizi segreti dei paesi imperialisti e in particolare quelli statunitensi.
L’organizzazione e la struttura della Bcci presentavano profonde analogie con quella di un altro istituto di credito privato, la Nugan Hand Bank di Sidney, che aveva cessato di operare nel 1980.
L’origine della Nugan Hand Bank ha origine dalle attività dei servizi segreti USA contro la Cuba castrista.
Nel tardo 1959, l’allora vicepresidente degli Stati Uniti Nixon, con la diretta partecipazione e cooperazione del Direttore della CIA Allen Dulles, si assunse la direzione e il reclutamento di cubani di destra espatriati a Miami e fece istituire due basi segrete di addestramento militare, una a sud di Miami, e l’altra in Guatemala. L’addestramento era compiuto da agenti della CIA, l’obiettivo di quest’operazione era di infiltrare segretamente questi cubani a Cuba, dove avrebbero dovuto animare centri di guerriglia contro il governo rivoluzionario cubano. Tali forze avrebbero dovuto attuare attacchi terroristi alle infrastrutture economiche di Cuba, rendendo difficile la gestione dell’economia.
Per l’avvio di questo programma Nixon prese contatto segretamente nei primi mesi del 1960 Robert Maheu, capo del personale e direttore de facto del miliardario impero finanziario di Howard Hughes, per partecipare a un incontro segreto che si tenne nel 1960 in Florida con due uomini che rappresentavano il mafioso dell’Avana don Santo Trafficante. Questi possedeva all’Avana un favoloso Casinò, un Hotel e un’organizzazione di sfruttamento della prostituzione, ma nel 1959 aveva seguito la sorte di Battista, che era un socio di affari.
In quest’incontro si convenne che l’Operazione 40 (quella con i cubani di destra, che tra l’altro non era stata autorizzata del Congresso) sarebbe stata integrata da una sub operazione “privata” all’interno della prima, che sarebbe stata direttamente diretta da Santo Trafficante. Compito di quest’unità era di assassinare Fidel Castro, suo fratello Raul Castro, e altri cinque leaders cubani. I membri di quest’operazione erano addestrati in Messico, il gruppo era composto da mafiosi legati a Santo Trafficante e da cubani legati a Battista. Il nome che si diede a questo gruppo era Shooter Team.
Quando Kennedy divenne presidente, fu ragguagliato dell’Operazione 40, ma non risulta che fu informato dell’esistenza del Shooter Team. Tra il gennaio e l’aprile del1961, la strategia d’infiltrazione con azioni di guerriglia dell’Operazione 40 fu trasformata in un piano di invasione militare di Cuba. L’invasione, condotta da uomini dell’Operazione 40, fallì disastrosamente nell’aprile del 1961.
Nel 1961 Robert Kennedy riaggregò i resti dispersi dell’Operazione 40 e riprese l’iniziale strategia d’infiltrazione capillare e dei raids di guerriglia all’interno di Cuba. L’Operazione 40 fu ribattezzata Operazione Mongoose. Questa guerra segreta fu condotta dall’amministrazione Kennedy dal giugno 1961 al novembre 1963. Supervisione di quest’operazione era Theodore Shackley, il suo vice era Thomas Clines. Quest’operazione funzionava in società con Santo Trafficante e aveva la sua base in alcuni edifici del campus universitario dell’Università di Miami.
Nel 1963, diversi partecipanti a questa operazione furono arrestati per spaccio di droga. Questo ricorso a criminali legati a Battista e a Trafficante cominciò a porre “problemi di controllo”. Ma nonostante questo il programma continuò.
Nel 1965 l’Operazione Mongoose fu chiusa, Shackley e Clines furono trasferiti nel Laos, come responsabili delle operazioni della CIA in questo paese.
Shackley e Clines fornirono segretamente aiuti aerei a Van Pao capo della popolazione locale Hmong, che era impegnato a controllare una parte del commercio di oppio del Laos. Durante il 1965, i concorrenti di Van Pao nel traffico di oppio furono assassinati. Nello stesso tempo fu portato avanti un addestramento degli Hmong, che dovevano essere usati nelle azioni di “guerra non convenzionale”. Quest’attività includeva anche l’assassinio politico. Queste operazioni iniziarono nel 1966, erano segretamente finanziate da Van Pao.
Nel 1964 fu costituito in Saigon, un gruppo per operazioni speciali. Questo gruppo era un’operazione militare multiuso, nota come “Special Operations Group” del Comando di Assistenza del Vietnam. Questo gruppo, tra gli altri compiti, controllava le attività segrete di assassini politici dell’unità segreta degli Hmong; comunque, il gruppo operava di fatto sotto la supervisione di Shackley e di Clines. Dal 1966 al 1968, il comando dello Special Operations Group fu del generale John K. Singlaub.
Dal 1965 al 1975, lo Special Operations Group, mediante l’unità segreta degli Hmong, finanziata dai profitti del traffico di oppio di Van Pao, assassinò segretamente oltre 100.000 sindaci di villaggio non combattenti, contabili, impiegati e altri funzionari nel Laos, in Cambogia e in Thailandia.
Nel 1968 ci fu un incontro a Saigon tra Santo Trafficante e Van Pao, dove si accordarono per l’esportazione di eroina negli Stati Uniti. Santo Trafficante divenne il primo importatore e distributore di eroina del Sud Est asiatico in America. I profitti di Van Pao, di conseguenza aumentarono ed egli erogò il suo contributo finanziario al progetto di assassinio politico e di guerra non convenzionale del gruppo segreto degli Hmong.
Nel 1972 Shackley e Clines, furono trasferiti negli Stati Uniti, dove divennero responsabili delle operazioni CIA nell’emisfero occidentale. Questa divisione della CIA diresse le operazioni in America Latina.
Con questo ruolo, diressero le operazioni in Cile contro il presidente Allende che fu deposto e assassinato nel settembre 1973.
Poco prima del rovesciamento del governo cileno, il duetto divenne responsabile delle operazioni in Asia orientale della CIA.
In questo ruolo, dal 1974 al 1975 diressero nel Vietnam il progetto Phoenix che attuò la missione segreta di assassinio di membri del mondo economico e politico vietnamita, con lo scopo di paralizzare questa nazione dopo il totale ritiro degli amerikani dal Vietnam. Il progetto Phoenix, in tutto il corso, eseguì in Vietnam l’assassinio di circa 60.000 sindaci di villaggio, tesorieri, insegnanti ed altri funzionari amministrativi.
Anche ilprogetto Phoenix fu finanziato dalle ingenti somme di denaro provenienti dai traffici di oppio di Van Pao.
Il denaro proveniente da questi traffici era amministrato da Shackley e Clines tramite un ufficiale di Marina USA di stanza nell’ufficio delle Operazioni Navali di Saigon, Richard Armitage.
Il denaro eccedente a quello che viene speso in Vietnam venne segretamente portato in Australia, dove fu depositato in un conto bancario personale e segreto presso la Nugan Hand Bank di Sidney. Questa banca ben presto fu sotto il controllo del gruppo degli agenti CIA che facevano capo a Shackley e Clines.
In quello stesso periodo tra il 1973 e il 1975, Shackley e Clines fecero che sì che migliaia di tonnellate di armi di armi, munizioni ed esplosivi USA fossero segretamente trasportati in segreto in Thailandia.
Dopo l’evacuazione degli americani dal Vietnam Shackley e Clines furono inviati in Iran.
In Iran Armitage (l’amministratore dei fondi di Van Pao destinati alle operazioni segrete), tra il maggio e l’agosto 1975, creò una base finanziaria segreta per depositare i fondi provenienti dai traffici di droga di Van Pao nel Sud Est asiatico. Scopo di questa base era il finanziamento di operazioni nere (non autorizzate ufficialmente dalla CIA) all’interno dell’Iran. Tali operazioni dovevano ricercare, individuare ad assassinare gli oppositori dello Scià.
La Nugan Hand Bank, negli anni ’70, operò a livello internazionale come polmone finanziario del traffico di eroina e armi, agendo non solo nel Sud-Est asiatico, ma anche in altre aree, dalla Libia di Gheddafi al Nicaragua di Somoza. Sin tanto che, nel 1980 dopo la scoperta delle sue connessioni con i traffici di droga e armi, fallì: uno dei suoi fondatori, Frank Nugan, morì “sucida”.
Quando il Congresso degli Stati Uniti approvò il Boland Amendment nel tardo 1983 con il quale ordinò alla CIA e alla Casa Bianca di interrompere ogni aiuto ai Contras che stavano svolgendo una guerra contro il governo sandinista. Fu riattivato il Secret Team (ovvero il gruppo d’intervento per operazioni sporche di Shackley e Clines) per compiere forniture militari ai Contras. Ma non ci fu solo questo, quando il governo USA decise tra il 1985 e il 1986, di effettuare una vendita segreta all’Iran, essi usarono sempre il Secret Team per condurre questa operazione.
Il Secret Team acquistava le attrezzature militari del Pentagono a prezzi di fabbrica e le rivendeva all’Iran a prezzi di mercato. I profitti in eccedenza ricavati dalla vendita furono riversati tramite la Lake Resource, Inc., Compagnie de Services Fiduciaires, nel conto, in Grand Cayman, a nome della CSF Investments, dove il Secret Team teneva in deposito i fondi che adoperava per finanziare la guerra dei Contras contro il Nicaragua sandinista.
A questo bisogna aggiungere il traffico di cocaina colombiana fornita dai cartelli di Escobar e Ochoa, verso gli Stati Uniti, dove i profitti servivano a finanziare i Contras.
Torniamo adesso a parlare della Bcci. Nel gito di un anno della sua fondazione nel 1971, aprì sei uffici, a Londra, a Lussemburgo, a Beirut e negli Emirati arabi del Golfo. Si trovò in breve ad avere 146 filiali in 32 paesi, di cui 45 filiali nel Regno Unito dove divenne la più potente banca straniera.
L’istituto si divise in due società diverse, una con sede a Lussemburgo, l’altra nelle isole Cayman.
La Bcci riusciva a conquistare nuovi clienti muovendosi nella tradizione dell’antica città di Lahore.
Gli uomini della Bcci si procuravano nelle antiche città d’oriente bellissime donne giovani per i loro clienti.
I clienti della Bcci avevano tutti una grande passione per l’esotismo.
Nell’imponente hacienda del padrino colombiano della droga, Pablo Escobar, appena fuori Medellin, c’era uno zoo esotico che accoglieva tra l’altro cacatua del valore di 14.000 dollari ciascuno e un canguro ammaestrato capace di giocare a calcio.
In Pakistan Abedi era visto come un grande benefattore: forniva posti di lavoro, borse di studio, cure mediche ai poveri e (importante in un paese mussulmano) consentiva ai mussulmani privi di mezzi di compiere il loro pellegrinaggio alla Mecca.
Abedi riuscì a far entrare l’istituto negli Stati Uniti grazie a figure chiave a Washington, come Clark Clifford (ex segretario alla “Difesa” e figura di spicco del Partito Democratico), che fece poi da avvocato, e Bert Lance, responsabile del Bilancio con Jimmy Carter.
La Bcci acquistò quattro banche negli USA, la più grande delle quali, la Financial General (FG), era anche la più importante di Washington e deteneva i conti personali delle persone più importanti della capitale: in seguito prese il nome di First American.
Tra i prestanome della banca, vi erano numerosi suoi azionisti, come il saudita Gaith Pharaon e Kamal Adham, capo dei servizi segreti militari dell’Arabia Saudita. Il primo provvedeva agli agganci nel mondo degli affari; il secondo curava i rapporti con Washington.
Nel 1976, la Bcci aprì a Ginevra la Banque de Commerce et de Placements (Bcp), che avrebbe svolto un ruolo essenziale in operazioni sui cambi collegate a transazioni petrolifere.
Nel 1977 il generale Zia rovesciò Bhutto e assunse il potere in Pakistan. Il suo regime permise agli associati della Bcci di acquistare il grosso dei pozzi pachistani di petrolio. Il 4 ottobre 1978 veniva costituita una società, la Italfinanze, che mise insieme intorno a interessi petroliferi operatori pachistani e italiani.
A partire del 1979 ci furono una serie di avvenimenti che propiziò un più stretto legame tra i servizi segreti americani e i governi del Medio Oriente.
Il primo fu il rovesciamento nel 1979 dello Scià Reza Pahalavi, che era un fedele alleato di Washington nella regione. Il secondo fu l’invasione da parte dell’U.R.S.S. dell’Afghanistan e il terzo lo scoppio della guerra fra Iraq e Iran.
La Bcci con i suoi stretti legami con Washington e Riyadh ovviamente fu coinvolta profondamente in queste vicende. Il Pakistan cercò aiuti finanziari nei paesi arabi per far fronte alla minaccia dell’U.R.S.S. Il generale Zia volò immediatamente in Arabia per battere cassa e si recò in seguito negli Stati Uniti. Insieme con il governo pachistano, la CIA s’impegnò in una campagna di sostegno ai ribelli afghani e fu in quest’operazione che la Bcci emerse ancora una volta, e sempre più chiaramente, come uno strumento di collegamento dei servizi.
La Bcci aveva agito in diverse operazioni segrete per conto dei sauditi: i suoi denari avevano raggiunto l’UNITA angolano e Noriega a Panama. In seguito, fu utilizzata dal National Security Council, per la compravendita di armi nel progetto Iran-Contras e la stessa CIA usufruiva regolarmente dei conti della Bcci di Monte Carlo. Grazie all’impegno della banca, i sauditi erano riusciti a impossessarsi dei missili cinesi Silkworm e l’istituto fungeva addirittura da intermediario negli acquisti di armi delle agenzie di spionaggio israeliane e occidentali.
Con il coinvolgimento della Bcci, si creò all’interno della banca un istituto bancario occulto. La sua sede era Karachi, città della quale la rete svolgeva il ruolo di operatore finanziario per tutte le esigenze della CIA. Con i suoi 15.000 dipendenti agiva con le stesse modalità della Mafia, ed era un’organizzazione profondamente integrata: finanziava e promuoveva la compravendita occulta di armi fra diversi paesi, eseguiva spedizioni con una flotta di sua proprietà, le assicurava con una sua agenzia e forniva la manodopera per garantire la sicurezza lungo il percorso. I funzionari della Bcci in Pakistan sapevano chi corrompere, quando e come farlo. Alla metà degli anni ’80 questa rete nera controllava il porto di Karachi e gestiva tutte le operazioni doganali delle spedizioni della CIA dirette in Afghanistan, comprese le indispensabili tangenti per l’ISI (il servizio segreto pakistano). Era suo compito anche assicurarsi che le armi e le altre attrezzature militari fossero scaricate prima possibili.
Con il procedere del conflitto i costi continuavano a lievitare lungo la pipeline che alimentava i mujaheddin, il denaro non bastava mai, e per questa ragione l’ISI e la CIA cominciarono a cercare altre fonti di finanziamento. Una che si dimostrò accessibile fu il contrabbando di droga. L’Afghanistan era un importante produttore di oppio, ma riforniva solo i piccoli mercati delle regioni circostanti; l’ISI si assunse dunque il compito di aumentare la produzione, di lavorare l’oppio e di contrabbandare l’eroina sui mercati occidentali. Ai mujaheddin che avanzavano e conquistavano nuove regioni, fu detto di imporre una tassa sull’oppio per finanziare la guerra. Per pagarla i contadini piantavano più papaveri, e i narcotrafficanti iraniani, che si erano trasferiti in Afghanistan dopo la presa del potere da parte degli islamici, concedevano a loro degli anticipi sul valore del raccolto, mettendo inoltre a disposizione le competenze necessarie per raffinare l’oppio in eroina. In meno di due anni la produzione di papavero conobbe una crescita considerevole, e in breve alla tradizionale economia agricola se ne sostituì una fondata sulla droga. Con l’aiuto dell’ISI, i mujaheddin aprirono centinaia di raffinerie per la produzione di eroina. Nello stesso periodo la zona di confine tra Pakistan e Afghanistan divenne il maggiore centro mondiale di produzione dell’eroina, che finì nelle strade americane, soddisfacendo il 60% della domanda di narcotici degli Stati Uniti. Si è calcolato che i profitti oscillassero fra i cento e i duecento miliardi di dollari all’anno.
La strada preferita dai contrabbandieri passava dal Pakistan: l’ISI utilizzava l’esercito pakistano per trasportare la droga, mentre la Bcci forniva l’appoggio finanziario e logistico a tutta l’operazione. Gran parte dell’eroina era venduta e consumata nel Nord America. Nel 1991 la produzione annua nell’area tribale controllata dai mujaheddin aveva raggiunto la sorprendente cifra di 70 tonnellate di eroina di primissima qualità, con un aumento del 35% rispetto all’anno precedente.
I principali finanziatori di questa jihad antirussa furono gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita. Lo scopo principale da parte degli americani era quello di infliggere un colpo mortale all’Unione Sovietica. Già nel 1983, i russi si erano resi conto dell’errore commesso e stavano meditando di ritirarsi, e nel 1985, quando Gorbaciov salì al potere, il Politburo del PCUS era favorevole a uscire dal conflitto nel giro di un anno. L’amministrazione americana, invece, intensificò lo scontro, la CIA propose addirittura che l’ISI portasse la guerra oltre i confini dell’Afghanistan, fin nelle regioni dell’Asia centrale. In pratica, nel 1986 fu l’incremento degli aiuti americani che impedì ai russi di abbandonare l’Afghanistan.
Nel frattempo, però, l’ufficio del Servizio doganale USA di Tampa (Florida) iniziò l’operazione C-Chase, un’investigazione segreta tesa a identificare i riciclatori del denaro derivante dalla droga: un agente doganale aprì il conto presso la filiale della Bcci di Tampa. Poco dopo tramite alcuni funzionari della banca, iniziò un’operazione di riciclaggio di denaro proveniente dai traffici di droga.
Fu l’inizio della fine per la Bcci: un trafficante confessò agli inquirenti che lui e Noriega utilizzavano la Bcci per i propri traffici.
Il 4 febbraio 1988 una giuria federale accusò Noriega di traffico di stupefacenti, di riciclaggio di denaro, di aver fornito assistenza ai maggiori trafficanti di droga, di aver versato milioni di dollari di tangenti. Durante il periodo dell’incriminazione, la Bcci aiutò Noriega a nascondere 23 milioni di dollari in conti bancari europei.
La Bcci, quell’epoca, aveva 417 uffici in 73 paesi e 1.300.000 clienti, con un attivo totale di 20,6 miliardi di dollari. Era diventata la settima banca privata del mondo.
Nell’agosto 1989, l’FBI fece un’incursione nella filiale di Atlanta della BNL italiana e “scoprì” che aveva prestato bilioni di dollari all’IRAQ. In seguito, si “scoprirono” i rapporti che erano intercorsi tra la BNL e la Bcci.
Il 20 dicembre 1989 le truppe americane invasero Panama. Il 3 gennaio 1990 Noriega si arrese. Venne chiamato in giudizio il giorno dopo alla Corte federale di Miami. Il 5 febbraio successivo un giudice federale di Tampa accolse la dichiarazione di colpevolezza della Bcci e applicò una sanzione di circa 14 milioni di dollari.
Nell’ottobre 1990, Abedi e Naqvi furono obbligati a dimettersi dalla banca. Il Dipartimento della “Giustizia” americano annunciò la messa in stato di accusa del precedente manager della filiale di Atalanta che fu accusato di frode in connessione con i prestiti della BNL all’Iraq.
Il 5 luglio 1991, la Commissione d’inchiesta formata da Stati Uniti, Gran Bretagna, Lussemburgo, isole Cayman, Spagna, Svizzera, e Francia sospese l’attività della Bcci. Nelle settimane successive seguirono nuove rivelazioni con notizie precise sui legami con i servizi segreti e sui collegamenti con il terrorismo.
Negli anni 1991-92, il liquidatore della Bcci dichiarò la banca responsabile dei reati contestati dagli USA e convenne di confiscare tutti gli utili USA della banca, per un valore stimato in 550 milioni.
Per comprendere l’incredibile sviluppo internazionale della banca è necessario tenere conto del fatto che, fin dalla metà degli anni ’70, grazie alla sovrabbondanza di petrolio si era sviluppata una produzione sfrenata nei paesi arabi produttori. Si creò così una triangolazione: le metropoli imperialiste cercano di trarre profitto dal riciclaggio dei petroldollari con la vendita di qualsiasi prodotto verso i paesi dipendenti, mentre i leader di questi paesi cercano di mantenere fondi nazionali/personali nei paesi imperialisti. Di conseguenza, la stessa necessità di assicurare un flusso di liquidi vero le metropoli imperialiste determinarono un’accelerazione dei finanziamenti.
I governi dei paesi imperialisti, soprattutto quello di Washington incoraggiò le banche ad aiutare questo processo finanziario attraverso un pompaggio di denaro verso i paesi dipendenti, sotto forma di prestiti aggiuntivi che servivano ad assicurare una liquidità valutaria.
In sostanza le banche dei paesi imperialisti avevano la funzione di salvare i fondi che gli stessi leader dei paesi dipendenti avevano sottratto ai loro paesi, per poi riprestarli nuovamente. In questa situazione, l’economia dei paesi dipendenti cominciò a mostrare il collasso. Con la crisi che cominciava a mostrare i suoi primi effetti, le banche dei paesi imperialisti soprattutto quelle degli Stati Uniti presero le distanze.
Come si vede l’imperiamo non rende nemmeno i borghesi delle diverse nazioni uguali fra loro, ma confina quelli dei paesi periferici a una condizione di paria, cui è concesso pure di arricchirsi, o di mandarsi i propri figli in prestigiosi college internazionali, ma a condizione di aprire completamente le porte ai voleri e alle esigenze del grande capitale internazionale, a svendere completamente il proprio paese. In caso contrario sono destinati a subirne la distruzione, la rimozione mani militare dei loro governi.
RUOLO DEI POTERI OCCULTI IN ITALIA E NEGLI ALTRI PAESI IMPERIALISTI
Come abbiamo visto i poteri occulti sono una realtà ingombrante e insidiosa. Solo per limitarsi all’Italia le inchieste della magistratura e del Parlamento si sono occupate delle attività illecite dei servizi segreti, delle trame terroristiche, della Loggia P2 e della mafia. Manca una visione d’insieme del fenomeno, dovuto in parte dalla ripugnanza di molti studiosi a occuparsi di un argomento sfuggente e altamente inquinato.
Questa ripugnanza non è del tutto negativa, giustamente si vede la storia, quella con la S maiuscola, è fatta dai grandi movimenti con le varie ispirazioni ideali, religiosi e politici, si studia la loro natura di classe e non certo l’opera di una minoranza di cospiratori. La teoria della cospirazione ha origine nel pensiero controrivoluzionario dei tempi della Rivoluzione francese. Dalla presunta congiura di pochi philophes illuministi, alla trama massonica sottesa a tutti i grandi avvenimenti storici, sino all’invenzione della cospirazione ebraica per il dominio del mondo, divulgata dai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, e fatta propria dal nazismo e dal fascismo.
Detto questo, non si può negare il ruolo che molti di questi che sono chiamati poteri occulti svolgono nelle società imperialiste. Prendere coscienza di questa realtà non significa modificare la propria concezione marxista della società e della storia, ma semplicemente tenere conto dei fatti, anche quelli più scomodi.
È necessario innanzi tutto delimitare il campo della ricerca e definire i soggetti. Secondo Bobbio, la democrazia “è idealmente il governo del potere visibile, sotto il controllo della pubblica opinione”.
Di conseguenza, secondo Bobbio (e del pensiero liberale borghese) il problema dei poteri occulti non si pone neppure, o si pone in termini radicalmente diversi, poiché solamente negli stati assoluti di ancién regime e nelle dittature, tutta l’attività di governo appartiene agli arcani imperi ed è coperta dal più geloso segreto.
In realtà, tutta l’esperienza storica del Movimento Comunista testimonia la giustezza della tesi di Lenin, che la repubblica democratica è il miglior involucro politico possibile per il capitalismo, che gli apparati militari e burocratici si mantengono e si rafforzano a prescindere dei regimi politici, se il proletariato non riesce a spezzare la macchina dello Stato: “Questo potere esecutivo, con la sua enorme organizzazione burocratica e militare, col suo meccanismo statale complicato e artificiale, con un altro esercito di impiegati di mezzo milione accanto a un altro esercito di mezzo milione di soldati, questo spaventoso corpo parassitario che avvolge come un involucro il corpo della società francese e ne ostruisce tutti i pori, si costituì nel periodo della monarchia assoluta, al cadere del sistema feudale la cui caduta aiutò a rendere più rapida”.
La prima Rivoluzione francese sviluppò la centralizzazione “e in pari tempo dovette sviluppare l’ampiezza, gli attributi e gli strumenti del potere governativo. Napoleone portò alla perfezione questo meccanismo dello Stato”.
“La repubblica parlamentare, infine, si vide costretta a rafforzare, nella sua lotta contro la rivoluzione, assieme alle misure di repressione, gli strumenti e la centralizzazione del potere dello Stato. Tutti i rivolgimenti politici non fecero che perfezionare questa macchina, invece di spezzarla”
“I partiti che successivamente lottarono per il potere considerano il possesso di questo enorme edificio dello Stato come il bottino principale del vincitore”.
Lo Stato borghese, anche quello formalmente più democratico riposa sulla separazione e sull’estraneità del potere delle masse. Nella società capitalista, la democrazia è sempre limitata dal ristretto quadro dello sfruttamento capitalistico. La maggioranza della popolazione è esclusa dalla partecipazione alla vita politico-sociale. Tutti i meccanismi dello Stato borghese creano delle limitazioni che esclude le masse popolari dalla politica. Tutto ciò significa che se la socializzazione dei mezzi di produzione deve significare che la società emancipandosi dal dominio del capitale, diviene padrona di sé e pone le forze produttive sotto il proprio controllo cosciente e condotto secondo un piano, la forma politica nella quale può compiersi quest’emancipazione economica del lavoro, non potrà che essere incentrata sull’iniziativa e l’autogoverno dei proletari.
Torniamo a tentare di definire i poteri occulti. Nonostante la visione liberale che afferma che la democrazia sia idealmente il governo del potere visibile, nella realtà l’esercizio concreto del potere comporta un’area opaca, ci sono momenti e funzioni coperti dal riserbo: segreti di ufficio, segreti militari. In una certa misura questa condizione vale anche per i partiti e le associazioni. Questo non significa che tutte le realtà politico e associative siano “poteri occulti” altrimenti questa definizione perderebbe ogni significato reale.
I poteri occulti sono definiti da tre requisiti principali:
- Il segreto, che copre tutto o in parte i membri, le azioni e talvolta gli stessi fini e addirittura l’esistenza dell’organizzazione.
- Il perseguimento autonomo di fini propri di potere, diversi o contrari al potere ufficiale.
- Il carattere chiaramente illegale dell’attività, e della stessa organizzazione occulta.
Seguendo questi ragionamenti si può individuare i principali poteri occulti operanti in Italia:
- I servizi segreti nazionali, poiché assumono il carattere di corpi separati, sottratti a ogni controllo politico reale e i servizi segreti stranieri che hanno agito sul territorio italiano con metodi illegali e spesso anche senza l’autorizzazione del governo italiano.
- Le logge massoniche segrete, come la P2.
- La grande criminalità organizzata come la Mafia.
- Le organizzazioni terroristiche che hanno attuato la strategia della tensione (Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale ecc.).
Due aspetti è necessario rilevare subito:
- La dimensione internazionale nella quale operano e sono organicamente inseriti.
- Il complesso dei rapporti che li lega, pur conservando ciascuno la propria autonomia.
In termini più generali si potrebbe osservare che i poteri occulti rappresentano in una certa misura il rovescio difficilmente eliminabile del regime democratico borghese. Quanto più le masse tentano di controllare la gestione del potere, tanto più aumenta la tentazione dei gruppi di potere di operare per vie traverse e coperte, per conseguire i propri fini, eludendo la volontà della maggioranza. Non è un caso che nell’analisi della Trilaterale sulla situazione della democrazia nei paesi imperialisti riteneva che ha partire dagli anni ’60 c’era stata un’offensiva egualitaria e democratica, dove lo Stato aveva ampliato le sue funzioni ma diminuito le sue capacità di scelta. Tutto ciò era dovuto al sovraccarico di domande economiche, politiche e sociali che lo Stato non poteva rispondere. Da qui l’obiettivo diventava il recupero della governabilità.
Se si aggiunge in un paese come l’Italia, dove ci sono e hanno il sopravento, gli interessi particolari delle varie corporazioni (pensiamo a realtà come notai e avvocati, dove il mestiere si tramanda da padre e figlio) e il sistema politico è travagliato da una crisi morale e politica profonda, questi poteri occulti trovano terreno fertile.
In Italia si costituì nel secondo dopoguerra un autentico Sistema Criminale che occupò il paese
L’esistenza di un Sistema Criminale potrebbe apparire il frutto di persone malate di complottismo, ma un pentito di mafia caduto nel dimenticatoio Vincenzo Calcara, pur dandone un altro nominativo, ne rilevò l’esistenza. Nel suo memoriale rivela che denunciò a Borsellino dell’evidenza delle cinque entità che occupano e influenzano la vita politica ed economica italiana: “L’unica persona che io ricordi all’esistenza di queste cinque Entità è stato Buscetta. Al di fuori di lui, nessun altro pentito ha voluto parlarne. In realtà, queste Entità possono essere pensate anch’esse come idee, forti e apparentemente indistruttibili. Per fare un esempio, è chiaro che l’idea di un palazzo è più importante del palazzo stesso: il palazzo può crollare, ma la sua idea non ne rimane scalfita. Quando si parla di Cosa Nostra e delle altre Entità ad essa collegate, bisogna tenere ben presente questo fatto: quello che conta è la qualità di queste idee.
Quella nobile grande idea di cui parlavo può essere allora definita come un’Idea Madre che racchiude al suo interno tutte le cinque Idee rappresentate dalla cinque Entità. Eccole:
- Cosa Nostra.
- ‘Ndrangheta.
- Pezzi deviati delle istituzioni.
- Pezzi deviati della Massoneria.
- Pezzi deviati del Vaticano (un 10% direi)”.
I poteri occulti non sono un residuo di un passato feudale, essi sono un fenomeno nuovo, specifico dell’età contemporanea che si sviluppa soprattutto con l’evoluzione delle forme di conflitto che si sono manifestate a partire dagli anni ‘50/’60 del XX secolo. Accanto alla guerra convenzionale, combattuta dagli eserciti regolari, si è, infatti, generalizzato il ricorso a forme di conflitto a bassa intensità militare (come il terrorismo) ma con grande efficacia politica, che sono in grado di evitare o limitare il rischio di una guerra aperta tra le potenze.
In una fase la condizione di belligeranza endemica tra le potenze, causa il logoramento delle regole tradizionali della guerra e dei rapporti fra gli Stati. È questo il terreno privilegiato in cui si dispiega l’azione occulta dei servizi segreti, assunti a ruolo di protagonisti.
In questo contesto, l’Italia zona d’importanza strategica decisiva nell’area mediterranea, ma anche con gli equilibri politici molto precari, si potrebbe definire il “ventre molle” della NATO, è particolarmente esposta a questo tipo di interventi, diventando uno dei principali campi di battaglia. Una guerra combattuta dai diversi servizi segreti, coinvolgendo altri poteri occulti, come la mafia. Precisiamo, qui non si tratta di immaginare una specie di cospirazione universale, o un’unica centrale che manovra come pezzi su una scacchiera tutti i poteri occulti. Ciascuno di questi pezzi ha una sua autonomia, persegue i propri fini, o almeno si sforza di farlo.
Nei servizi segreti si possono distinguere tre funzioni fondamentali, alle quali corrispondono in genere tre diverse sezioni di lavoro:
- Analisi delle notizie e studio delle situazioni.
- Raccolta e controllo delle informazioni per mezzo delle reti di spionaggio e controspionaggio.
- Operazioni clandestine volte a interferire nella politica di altre nazioni (o anche del proprio paese).
Le forme di quest’attività clandestina (Cover Action secondo la classificazione della CIA), sono molto differenziate, e possono andare dal semplice finanziamento di partiti politici, giornali e gruppi editoriali, alla manipolazione delle notizie, alla corruzione e ricatto di personalità politiche, sino alle cosiddette operazioni speciali. Queste costituiscono il tipo più brutale e diretto di interevento, come l’assassinio politico, l’organizzazione o l’uso strumentale di gruppi terroristi, l’impiego di formazioni paramilitari.
È appunto sul terreno dell’azione clandestina e in particolare nelle operazioni speciali, che si determina la connessione tra servizi segreti, associazioni criminali e organizzazioni terroristiche. Di norma nessun servizio di una grande potenza imperialista, si lascerebbe coinvolgere direttamente con i propri agenti in questo genere di attività sporche, col rischio di farsi cogliere con le mani nel sacco. Nel caso che l’operazione sporca sia scoperta è infatti essenziale che il governo responsabile possa opporre una smentita plausibile ad ogni accusa o sospetto coinvolgimento in un’azione illegale.
Ovviamente ci sono delle eccezioni, come nel caso di Abu Omar, l’egiziano che venne rapito a Milano il 17 febbraio 2003 in pieno giorno. Ma questo fatto nasce, come ha rivelato Luigi Malabarba (che quando era senatore fu membro del Copaco l’organismo di “controllo” parlamentare sui servizi segreti), dal fatto che la CIA e il suo Capocentro a Milano, Robert Seldom Lady alla questura di Milano erano di casa, e avevano fornito computer e strumentazione alla Digos nell’attività di collaborazione contro il cosiddetto “terrorismo islamista”. Questa circostanza è confermata dalla CIA e dallo stesso giudice Dambruoso. Questa commistione fra servizi segreti americani e procuratori è affermata dal marocchino Daki. Daki, assolto due volte dal tribunale di Milano e in seguito espulso dall’Italia dal ministro Pisanu nel dicembre 2005, ha sostenuto che in quel periodo fu interrogato nell’ufficio di Dambruoso da americani che si dicevano del FBI, ma lui era convinto che fossero della CIA. Un interrogatorio illegale, dove gli interroganti erano incappucciati.
Per le operazioni clandestine i servizi segreti, di norma ricorrono a persone e organizzazioni disposte ad agire, a volte inconsapevolmente, per conto di terzi. Secondo l’ex agente della CIA Victor Marchetti, la CIA impiega di preferenza agenti a contratto e mercenari. Ma per operazioni più impegnative e di ampio respiro gli strumenti preferiti sono la criminalità organizzata e i gruppi terroristi. Le agenzie delle grandi potenze imperialiste possono giovarsi di un’altra risorsa: l’impiego come proprio braccio secolare, dei servizi segreti dei paesi subalterni, i quali spesso e volentieri non agiscono direttamente.
L’Italia è uno dei casi più emblematici di subappalto di lavori sporchi da parte dei servizi segreti della potenza dominante. Il direttore dei servizi segreti militari, da cui dipendeva la pianificazione Stay Behind (ovvero Gladio), da punto di vista istituzionale rispondeva al Presidente del Consiglio, oltre che al Ministro della “Difesa”, ma dal punto di vista effettivo, in quanto capo di Stay Behind era legato a una catena di comando esterna in ambito NATO che rispondeva ai capi dei vari servizi segreti americani. Egli aveva addirittura il potere di decidere se comunicare o meno l’esistenza della pianificazione al Presidente del Consiglio ed era colui che concedeva, di fronte agli alleati il nulla osta sicurezza allo stesso Presidente del Consiglio. Così il direttore del servizio segreto militare, che formalmente dipendeva dal Presidente del Consiglio, aveva il potere di bloccarne la nomina.
Quando il SIFAR, in attuazione del piano Demagnetize, che aveva lo scopo di ridurre l’influenza “comunista” in Italia e in Francia con qualsiasi mezzo, per organizzare una rete paramilitare in grado di compiere le “azioni diversive” previste, ricorse a gruppi fascisti. Dall’altra parte della barricata i servizi bulgari e cecoslovacchi operavano in Italia e negli altri paesi dell’area mediterranea per conto del KGB. A quanto risulta i servizi bulgari utilizzarono elementi della mafia turca.
A volte può essere sufficiente indirizzare verso l’obiettivo prescelto alcuni delinquenti, senza che si rendano conto dei reali fini politici della loro azione. È questo il caso del sequestro di Guido De Martino (5 aprile 1977) da parte di malavitosi napoletani; una scelta incomprensibile per un rapimento a scopo di estorsione, considerate le condizioni economiche della famiglia, che non era certamente multimiliardaria. Il rapimento guarda caso fu eseguito poco prima del congresso di Torino del PSI. La P2 e il SISMI tramite Carboni e Pazienza tenevano legami diretti con la camorra e le bande di Turatello, Bergamelli. De Martino, interrogato dalla commissione P2, ha più volte fatto capire che il rilascio di suo figlio ha avuto come contropartita la sua rinuncia a tornare ad assumere il ruolo dirigente nel PSI. Egli ha affermato infatti: “il rapimento di mio figlio ha avuto lo stesso significato politico dell’assassinio dell’onorevole Moro”. Il significato di questa frase sta nel fatto che da allora De Martino, pur rimanendo deputato, ha rinunciato a rappresentare l’alternativa nel PSI a Bettino Craxi.
Ma in genere le operazioni speciali richiedono rapporti più complessi e impegnativi con la criminalità e con le organizzazioni terroriste. In molti casi il metodo consiste nel reclutare o strumentalizzare singoli elementi, da impegnare nelle operazioni più sporche e rischiose, dopo averli sottoposti a lavaggi del cervello, condizionamenti del comportamento, che li trasformano assolutamente indecifrabili. Un esempio qui in Italia è dato dal cosiddetto “anarchico” Gianfranco Bertoli,
Carlo Digilio, il primo e vero pentito dello stragismo italiano davanti al Giudice di Milano Antonio Lombardia che seguiva il procedimento inerente, la strage. Digilio dichiara: “Neami gli stava spiegando, con una specie di vero e proprio lavaggio del cervello, cosa avrebbe dovuto dire alla Polizia in caso di arresto e gli faceva ripetere le risposte che avrebbe dovuto dare e cioè che era un anarchico individualista e che si era procurato da solo, in Israele, la bomba per l’attentato.
Capii subito da Soffiati e Neami che Bertoli era un debole e mi dissero infatti che gli piaceva bere e lo avevano convinto anche con la promessa di un po’ di soldi.
Mi dissero che era che era già da parecchi giorni e che lo facevano bere e mangiare a sazietà.
Anch’io rimasi qualche giorno a dormire in Via Stella, su un vecchio divano, e in quei giorni, non in Via Stella, ma a Colgnola, vidi anche Minetto, il quale era al corrente di cosa si stava preparando e aveva personalmente procurato i soldi per Bertoli tramite gli americani.
Non si trattava comunque di una grande somma, ma di pochi milioni e infatti si capiva subito, con un’occhiata, che Bertoli poteva essere comprato per pochi soldi.
Neami dormiva con Bertoli, nella stanza da letto, per controllare i suoi eventuali colpi di testa, mentre io dormivo su un divano nel salotto e il divano era posto Neami dormiva con Bertoli, nella stanza da letto, per controllare vicino all’ingresso.
Ricordo che Bertoli fumava beveva era scostante non legò con Neami gli stava spiegando, con una specie di vero e proprio lavaggio del cervello, cosa avrebbe dovuto dire alla Polizia in caso di arresto e gli faceva ripetere le risposte che avrebbe dovuto dare e cioè che era un anarchico individualista e che si era procurato da solo, in Israele, la bomba per l’attentato.
Capii subito da Soffiati e Neami che Bertoli era un debole e mi dissero infatti che gli piaceva bere e lo avevano convinto anche con la promessa di un po’ di soldi.
Mi dissero che era che era già da parecchi giorni e che lo facevano bere e mangiare a sazietà.
Anch’io rimasi qualche giorno a dormire in Via Stella, su un vecchio divano, e in quei giorni, non in Via Stella, ma a Colgnola, vidi anche Minetto, il quale era al corrente di cosa si stava preparando e aveva personalmente procurato i soldi per Bertoli tramite gli americani.
Non si trattava comunque di una grande somma, ma di pochi milioni e infatti si capiva subito, con un’occhiata, che Bertoli poteva essere comprato per pochi soldi.
Neami dormiva con Bertoli, nella stanza da letto, per controllare me faceva discorsi strani, diceva che comunque fosse andata egli sarebbe diventato un grand’uomo”.
Non so se ci si rende conto di quello che stava dicendo Digilio, egli parla della programmazione di un individuo per diventare un assassino e confessare un delitto.
Negli USA, gli avvocati di Shirhan Sirhan, l’uomo che uccise R. Kennedy nel 1968, chiese che fosse rilasciato dalla prigione, sostenendo che era stato vittima del controllo mentale. Essi sostengono che nel processo contro il loro cliente che fu fatto nel 1969, furono ignoratele prove che vi fossero due tiratori presenti durante l’assassinio di R. Kennedy. La squadra legale di Shirhan sostiene che “Anche se la programmazione/controllo mentale tramite ipnosi non è affatto nuova, il pubblico è ignorante riguardo il lato oscuro di questa pratica” perciò “La persona media non è a conoscenza che l’ipnosi può e viene usata per indurre una condotta anti sociale negli esseri umani”. La CNN spiega che ho dettagli che gli avvocati diShirhan avevano di recente scoperto le registrazioni audio che dimostra che furono sparati ben 13 colpi al momento dell’attentato a R. Kennedy: “Gli avvocati sostengono inoltre che Sirhan venne ipno-programmato per fungere da diversivo al vero assassino, il fatto che sia arabo avrebbe poi facilitato anche la propensione di colpevolezza. Sirhan, 67 anni, è un palestinese cristiano nato a Gerusalemme che nel 1950 assieme alla famiglia emigrò negli States.
Sirhan ‘fu un partecipante involontario dei crimini commessi in quanto venne sottoposto a sofisticate programmazioni ipnotiche e tecniche per impiantare memorie che lo resero incapace di controllare coscientemente i suoi pensieri e azioni al momento in cui i crimini vennero commessi”.
Daniel Brown esperto di ipno-programmazione all’Harvard Medical School ha recentemente lavorato con Shirhan, dicendo di averlo aiutato con successo a ricordare l’assassinio. Brown afferma che Shirhan nel 1969, a causa del controllo mentale, pensava di trovarsi in un poligono di tiro.
La Massoneria per la sua struttura settaria e per il carattere iniziatico costituisce il potere occulto per eccellenza, poiché presente in profondità nelle istituzioni e nella classe dirigente, e avendo solidi e ramificati rapporti istituzionali. Lo spiritualismo esoterico e l’ideologia elitaria e cospirativa, largamente circostanti al suo interno, insieme con la pratica segreta e iniziatica, formano un ambiente culturale omogeneo a quello del radicalismo di destra: uno sfondo nel quale massoneria e organizzazioni neonaziste e neofasciste s’incontrano spontaneamente, e che è il territorio naturale dei signori del potere occulto.
E bene ricordare che la Massoneria ha conosciuto e attraversato esperienze complesse e contraddittorie. In contrasto, ma spesso in sincretismo con l’ispirazione illuminista, liberale, filantropica che la pubblicistica apologetica e quella ostile, per opposti motivi, hanno privilegiato, vive in essa un’anima aristocratica e reazionaria divenuta predominante. Da questa ebbe origine già nel Settecento la potente massoneria di rito scozzese, che faceva propria l’eredità di una certa tradizione torbida dell’esoterismo rinascimentale. Fondamento teorico del rito scozzese è, infatti, il mito di una dottrina occulta sovrumana, venuta dalla notte dei tempi, riscoperta dai templari nelle rovine del tempio di Gerusalemme, e tramandata segretamente da ordini cavallereschi e confraternite segrete (Templari e i Rosa-Croce). La massoneria scozzese involta in questa nebbia esoterica, divenne ricettacolo di tendenze irrazionalistiche e misticheggianti, di riti misterici e pratiche occultiste. D’altra parte, il moltiplicarsi degli alti gradi, secondo una complicata gerarchia articolata in numerosi gradi compartimentali, accentuava il carattere iniziatico della massoneria scozzese, trasformatasi in un temibile centro occulto, dominato da gruppi conservatori e reazionari e aperto agli intrighi di avventurieri e impostori di ogni risma.
E in questa tradizione culturale e politica affonda le radici, l’anima esoterica, occultista e conservatrice che resta tuttora una componente essenziale del mondo massonico, e ne ispira alcuni dei gruppi di potere più esclusivi, segreti e potenti. Ed è impressionante costatare che questo guazzabuglio di dottrine esoteriche e miti aristocratici e cavallereschi, che appartengono alla tradizione massonica, costituisce il fondamento ideologico del filone estremo del radicalismo di destra: quello delle SS tedesche, del neonazismo europeo, di Julius Evola e dei suoi seguaci italiani di Ordine Nuovo, da Pino Rauti e Freda, da Paolo Signorelli a Mario Tuti.
Questo è il contesto culturale e politico sotteso ai collegamenti politici e operativi tra un certo settore di Massoneria che si può benissimo definire nera (in particolare la Loggia P2) e le trame terroristiche e golpiste di destra. Non sorprende quindi di scoprire alcuni esponenti neofascisti tra i massoni. Dalla fine degli anni ’60 entrarono nella Massoneria, molti spiritualisti evoliani ed estremisti neri, tra i quali spiccano i nomi di Sandro Saccucci e di Loris Facchinetti, leader di Europa e Civiltà. Ed è significativo che esponenti dell’eversione nera affiliati alla Massoneria e giunti a controllare la casa editrice Atanor, specializzata in libri massonici ed esoterici, siano implicati nell’inchiesta della magistratura romana sul covo-arsenale di Via Prenestina e sulla società pubblicitaria Adp, copertura di una centrale di supporto di organizzazioni terroristiche nere come i NAR (ma anche a…Prima Linea).
Né può essere una coincidenza che in tutte le trame golpiste (dal tentativo di colpo di Stato del 1970 organizzato da Junio Valerio Borghese, quello progettato per l’agosto 1974, alla Rosa dei Venti) si ritrovino in ruoli chiave diversi affiliati alla Massoneria. Nel caso del golpe Borghese, non solo il suo braccio destro, Remo Orlandini, ma anche il generale Duilio Fanali, Salvatore Drago e Sandro Saccucci sono Massoni, ma è pure documentata l’adesione di una loggia del ceppo di Piazza del Gesù, si pure ritirata all’ultimo momento con una lettera del suo rappresentante Gavino Matta, che tuttavia parteciperà personalmente all’impresa abortita.
In questo contesto la Loggia P2 di Licio Gelli si configura con i suoi autentici caratteri di una sovrastruttura parallela e segreta di comando all’interno del mondo massonico, con fini di potere e di condizionamento politico, collegata con i servizi segreti e con altri gruppi di potere. Indubbiamente, una deviazione rispetto alla tradizione illuminista, liberale della Massoneria ufficiale, ma anche per converso interprete dell’anima reazionaria e oscurantista di essa. Non è un caso che un amico e apologeta di Licio Gelli, Pier Carpi (tra l’altro iscritto anche lui nella Loggia P2 dove era 3° grado), autore di un pamphlet in sua difesa, sia un cultore dell’esoterismo e un grande ammiratore di Réné Guenon (il pendant francese di Evola) autore di un libro sulle profezie di Giovanni XXIII, ove si dice che Angelo Roncalli avrebbe dettato per misteriosa ispirazione, congiunto in mistica catena con i fratelli della società segreta dei Rosa-Croce, alla quale sarebbe stato iniziato quando era nunzio in Turchia. Un libro pubblicato dalle Edizioni Mediteranee, specializzate in esoterismo, occultismo e opere di Julius Evola.
La logica dell’intreccio e collaborazione tra i diversi poteri occulti è assai complessa, contorta ed esoterica, e fondata in sostanza sul principio della reciproca utilità. La grande criminalità riceve dai servizi protezione e impunità, specie ai suoi più alti livelli colludenti con settori della classe politica e delle istituzioni, mentre il terrorismo rappresenta quanto meno un efficace diversivo, che impegna su un altro fronte le energie dello Stato. I servizi segreti trovano nella criminalità comune e nel terrorismo gli esecutori, spesso in parte inconsapevoli, delle operazioni clandestine, ma anche, partecipando a traffici illeciti come quello degli stupefacenti.
Di esempi ce ne sono tanti, passando da Haiti, ove “i combattenti della libertà” erano finanziati attraverso il riciclaggio del narcotraffico, in Guatemala, in cui i vertici militari erano finanziati dai traffici di droga nel sud della Florida, e per la Jugoslavia, ove la Germania e poi gli USA diedero il loro contributo a organizzare.
Finanziandolo con il narcotraffico, un movimento di guerriglia con il fine di destabilizzare la Jugoslavia.
Il ruolo centrale dei servizi segreti statunitensi nell’organizzazione del narcotraffico non è una deviazione istituzionale. Il ruolo degli enti statunitensi come la DEA era di impedire l’afflusso di droghe differenti da quelle approvate dalla CIA. La cosiddetta “lotta alla droga” promossa dagli USA è stata in realtà una copertura di politiche volte alla protezione e alla funzionalizzazione del narcotraffico alla politica dell’imperialismo statunitense nei paesi oppressi e nelle metropoli imperialiste.
Questo problema non riguarda ovviamente solamente gli USA. Fu la Francia a prima a utilizzare i proventi del traffico di oppio per finanziare le operazioni coperte contro i popoli dell’Asia. Sino al 1954, il Laos e il resto dell’Indocina erano una colonia francese. E l’oppio aveva anche un compito di pacificazione all’interno della vita coloniale. Sulla base della distribuzione dell’oppio, lo Stato francese annichiliva la popolazione vietnamita già stremata dalla mancanza di cibo e dal lavoro nelle piantagioni e nelle miniere.
L’alleanza tra servizi segreti e organizzazioni criminali nasce dal fatto che sono alleati naturali. Essi, infatti, usano le stesse armi clandestine ed hanno lo stesso tipo d’immoralità. Un’operazione illegale come un assassinio, un colpo di stato chi le fa? Mica quelli che vanno in ufficio tutti i giorni, né quelli che vanno a scuola. Al limite li utilizza per qualche rissa. No, si utilizzano quelli che lo fanno come mestiere, e non hanno scrupoli.
In ciascun paese, che non sia in preda a una guerra civile aperta e dichiarata, il campo dei poteri occulti e saldamenti tenuto da una realtà che si potrebbe definire un “governo invisibile”, vale dall’insieme dei servizi segreti e delle altre funzioni di potere, che dietro le quinte e collegati a essi, operano dall’interno delle istituzioni, in autonomia e talvolta in contrasto con esse.
BORGHESIA MAFIOSA, CRIMINE TERANSAZIONALE E CAPITALISMO
Quando si parla di poteri occulti, soprattutto in un paese come l’Italia, non si può non parlare della Mafia e del suo ruolo non solo a livello criminale ma anche politico ed economico.
Il termine di borghesia mafiosa è stato usato da tutta una serie di studiosi (il più famoso è senza dubbio Arlacchi) che erano preoccupati di un’eccessiva dilatazione dell’idea di mafia se non di una criminalizzazione della società siciliana, allarmati anche della riproposizione di schemi ideologici che erano considerati obsoleti.
Essa fu contestata da altri studiosi (Pezzino e Centorrino) secondo cui se il concetto di aggregato mafioso si allarga a intere classi sociali, non resta che sperare in un cambiamento generale della società. Se invece ci si limita di considerare la mafia come Cosa Nostra, cioè una struttura armata, ci si limita individuare il polo più debole del patto fra Mafia e istituzioni e poteri economici che hanno consentito alla prima di affermarsi.
La prima analisi imperniata sul concetto di borghesia mafiosa ha dei precedenti remoti. Il precedente storico è dato dalle riflessioni di Leopoldo Franchetti (1847-1917), un economista e senatore del regno che nel 1876 realizza insieme a Sonnino una celebre inchiesta sulle condizioni politiche e amministrative della Sicilia. Il volume che viene pubblicato al ritorno impone per la prima volta alla coscienza politica nazionale, l’esistenza della mafia che i viaggiatori hanno verificato dominare i rapporti sociali nelle campagne dell’isola, con un apporto al dibattito sulla Questione meridionale. Egli parlava di “facinorosi della classe media” che praticavano “l’industria della violenza” e sosteneva che tutti i capi della mafia erano “persone di condizione agiata” e che il capomafia, rispetto ai “facinorosi della classe infima” esecutori dei delitti, svolgeva “la parte del capitalista, dell’impresario e del direttore”.
Negli anni ’70 Mario Mineo del Circolo Lenin di Palermo (che aderì nello stesso anno al Manifesto e in seguito fu uno dei fondatori della rivista Praxis) parlava di borghesia capitalistico-mafiosa come strato dominante della società siciliana, diffusa in tutta l’isola, Sicilia orientale compresa, e proponeva con 12 anni di anticipo sulla legge antimafia l’esproprio della proprietà mafiosa. Questa tesi si scontrò con la disattenzione completa del Manifesto nazionale; non solo, ma suscitò le critiche dei militanti siciliani dello stesso gruppo, che consideravano la mafia, un residuo arcaico già emarginato se non seppellito dallo sviluppo capitalistico e per la Sicilia orientale parlavano di una borghesia imprenditoriale che niente aveva a che fare con la mafia (dopo si sarebbe visto di che pasta erano fatta i Cavalieri di Catania). Critiche radicali vennero da parte di Achille Occhetto, che era all’epoca segretario regionale del PCI, fortemente impegnato ad avviare il “patto autonomistico”, versione siciliana del compromesso storico, con i cosiddetti “ceti produttivi”, secondo cui il gruppo di Mineo vedeva dappertutto Mafia.
Emanuele Maccaluso, storico dirigente del PCI siciliano (e della destra migliorista del PCI) riteneva che il concetto di borghesia mafiosa fosse “estremista” e rischiava di identificare la lotta contro la mafia con quella alla borghesia (e perciò dargli un senso anticapitalista cosa che ovviamente Maccaluso e il PCI certamente non voleva), mistificando il concetto affermando che questa cultura antiborghese metteva insieme la sinistra radicale antimafiosa e la DC che esercitava il potere usando la mafia. E aggiunge “La borghesia siciliana nel dopoguerra tentò, usando l’autonomia regionale e i poteri dello statuto, l’emancipazione, ma venne schiacciata, negli anni del boom capitalistico, dalla grande industria del Nord, dalla” nuova classe” democristiana e dal radicalismo di sinistra”. L’operazione di Maccaluso di mettere assieme sinistra radicale antimafiosa e DC collusa con la mafia, entrambi corresponsabili di aver sconfitto la borghesia siciliana non vuol dire altro che rinverdire l’atteggiamento dei dirigenti del PCI che criminalizzavano ogni tentativo di opposizione alla linea dominante.
Andando nei giorni nostri, oltre ad Arlacchi l’espressione di borghesia mafiosa è stata rilanciata da qualche magistrato (in particolare da Pietro Grasso e da Roberto Scarpinato), che nel corso delle indagini ha rilevato la presenza di soggetti del mondo imprenditoriale e professionale legato ai mafiosi e ne ha tratta l’idea che c’è una borghesia che si può definire mafiosa, per la conseguenza dei legami e la condivisione d’interessi.
Bisogna denotare due fenomeni che sono strettamente connessi alla borghesia mafiosa:
- Il ruolo della violenza privata e dell’illegalità nei processi di accumulazione e di formazione dei rapporti di dominio e di subalternità.
- Il sistema relazionale entro cui si muovono i gruppi criminali e senza di essi non potrebbero agire o comunque avere il ruolo che ha avuto e continuano avere.
Quando si dice che la violenza e l’illegalità hanno avuto un ruolo decisivo nei processi di accumulazione e nei rapporti sociali bisogna fare riferimento a fasi storiche ben determinate: il passaggio da feudalesimo al capitalismo, l’affermazione del Modo di Produzione Capitalistico, la cosiddetta globalizzazione.
Nello studio del processo di transizione dal feudalesimo al capitalismo bisogna vedere la Sicilia come una delle regioni tipiche che si è sviluppato il fenomeno mafioso come una periferia anomala dove si sono visti fenomeni paramafiosi: l’impunità di delinquenti garantiti perché legati a soggetti di potere; reati con funzione accumulativa (come le estorsioni e l’abigeato) che implicano un dominio territoriale. Nella fase di affermazione del capitalismo la violenza mafiosa ha un ruolo fondamentale nel controllo della forza lavoro, con la repressione sanguinosa del movimento contadino, con le stragi (Portella delle Ginestre) e i delitti politico-mafiosi.
Nell’attuale fase economica, il crimine organizzato non è un intruso che ha un ruolo marginale ma un protagonista dei processi economici in atto, che utilizza le occasioni offerte da processi di emarginazione dei quattro quinti della popolazione mondiale e dai processi di finanziarizzazione.
Questo cosa significa? Che tutte le attività illegali, come il traffico di droghe e quelle legali (imprese, appalti ecc.) attribuiti a capi mafia come Riina e Provenzano, che sono quasi analfabeti, non sarebbero possibili, neppure a livello di ideazione senza la collaborazione di altri soggetti del mondo delle professioni, dell’imprenditoria e delle istituzioni.
Nel contesto politico italiano attuale caratterizzato dall’inserimento della cosiddetta mafia sommersa che ha rinunciato (apparentemente) ai delitti eclatanti, il modello di accumulazione, è caratterizzato dalla riduzione o dall’abolizione dei controlli. Di fronte a questo scenario ogni tipo di approccio formalistico – legalitario delle attività contro la mafia, è condannato a essere ininfluente. Se tutti si risolvesse nel rispetto delle leggi, a prescindere del loro contenuto, anche le leggi razziali di Hitler e di Mussolini dal punto di vista formale procedurale sono leggi a tutti gli effetti e anche le leggi ad personam di Berlusconi lo sono. Mentre sarebbero da escludere forme di lotta come l’occupazione delle terre attuate del movimento contadino.
Vediamo adesso di accennare un inizio di un’analisi sul rapporto che esiste tra il crimine transazionale e capitalismo.
La criminalità organizzata opera a livello mondiale, ma questo non significa che esiste una sola organizzazione che si sia imposta su tutto il pianeta.
In un documento della Conferenza ministeriale mondiale delle Nazioni Unite che si svolse a Napoli nel novembre 1994, si dava una definizione sulla criminalità organizzata transazionale. Secondo questa definizione la criminalità organizzata è il risultato dell’associarsi di più persone allo scopo di intraprendere un’attività criminale su una base più o meno durevole. In genere esse si dedicano alla criminalità d’impresa, cioè alla fornitura di beni e servizi illeciti, o di beni leciti acquisti con mezzi illeciti, come il furto o la truffa. In sostanza l’attività della criminalità organizzata rappresenterebbe un’estensione del mercato lecito nei terreni normalmente proibiti.
Le attività dei gruppi criminali per fornire beni e servizi illeciti richiedono un livello notevole di cooperazione e di organizzazione. Come ogni attività economica, quella criminale richiede competenze imprenditoriali una considerevole specializzazione e una capacità di coordinazione, con in più il ricorso alla violenza e alla corruzione per facilitare lo svolgimento delle attività.
Quanto alle dimensioni delle organizzazioni criminali il documento registrava le diverse posizioni degli esperti: c’è chi concepiva la criminalità organizzata come un insieme di grandi organizzazioni gerarchiche, strutturate come le imprese tradizionali, e chi invece parla di strutture deboli, flessibili ed elastiche, configurando la criminalità come una rete di scambi sociali all’interno della collettività che come una struttura formale rigida.
Il documento delle Nazioni Unite passando a considerare le organizzazioni criminali internazionali, usa il termine transazionale. Con questo termine si vuole indicare in genere il movimento di informazioni, di denaro, di beni, di persone attraverso le frontiere nazionali quando almeno uno degli attori non è governativo.
Le organizzazioni criminali sono sempre implicate sempre di più in attività oltrefrontiera. La mondializzazione del commercio e della domanda dei consumatori di prodotti voluttuari fa sì che le organizzazioni criminali passino da un’attività nazionale a operazioni transazionali. Non tutte le organizzazioni criminali operano a questo livello, ma ci sono relazioni molto complesse tra il quadro locale e mondiale e la dimensione internazionale della criminalità ha assunto un’importanza senza precedenti. Le frontiere nazionali non hanno mai arrestato totalmente la fornitura di beni e servizi che non sono considerati leciti. Qui non si tratta del contrabbando che era effettuato per evitare di pagare le tasse e sfuggire alla dogana per i prodotti leciti, il traffico transazionale riguarda prodotti come gli stupefacenti, le armi, i rifiuti industriali, le persone umane e mira a occupare altri mercati e aggirare la repressione da parte degli Stati.
Le organizzazioni criminali s’installano in regioni, dove corrono rischi minori e forniscono beni e servizi illeciti, dove i profitti sono più alti. Esse immettono i capitali ricavati dalle loro attività nel sistema finanziario mondiale, attraverso i paradisi fiscali e i centri bancari. Le organizzazioni criminali internazionali sono diventate soggetti di primo piano dell’attività economica mondiale e agenzie chiave delle industrie come la produzione e il traffico di droghe, diffuso a livello mondiale e i cui proventi superano il prodotto nazionale lordo di molti Stati.
Le organizzazioni criminali internazionali hanno numerosi punti in comune con le multinazionali. In un certo modo si possono considerare come lo specchio delle multinazionali. Come queste hanno per obiettivo principale il profitto e cercano di aumentare al massimo la loro libertà di azione e ridurre al minimo i controlli.
Quanto alle spiegazioni dell’escalation del crimine internazionale, il documento delle Nazioni Unite comincia con il dire che esso riflette la società contemporanea che è soggetta a continue e profonde trasformazioni. Ci si richiama all’interdipendenza crescente tra le nazioni alla facilità degli scambi e delle comunicazioni, la permeabilità delle frontiere, la mondializzazione delle reti finanziarie. La fine della cosiddetta guerra fredda ha facilitato l’introduzione nell’ex U.R.S.S. e negli altri paesi dell’Est, di un capitalismo senza regole. In questi paesi, la confusione, il declino delle strutture istituzionali e dell’autorità, il risorgere di conflitti etnici ha offerto nuove possibilità alle attività criminali che spesso servono a finanziarie il commercio di armi. La crescita dell’emigrazione favorisce l’espansione delle attività criminali.
L’estensione del sistema finanziario mondiale consente alle organizzazioni criminali di trasferire i proventi delle loro attività rapidamente, facilmente e con una relativa impunità. Il riciclaggio dei capitali è solo uno degli aspetti di un problema più ampio: il sistema si evolve secondo le regole del Modo di Produzione Capitalistico e si evolve così rapidamente che le regole appena emanate sono già superate.
La visione delle Nazioni Unite, che accoglie il visone imprenditoriale del crimine organizzato è riduttiva.
La mafia siciliana, che costituisce ancora oggi l’esempio più famoso e noto di criminalità organizzata, è qualcosa di più complesso: l’aspetto economico è certamente rilevante e primario, ma esso s’inserisce in un insieme più vasto, ricco d’implicazioni politico-istituzionali, culturali ecc.
La mafia non è solo un’impresa economica ma è anche un soggetto politico-istituzionale, essendo una sua caratteristica, la signoria sul territorio; il fenomeno mafioso è la simbiosi tra crimine, accumulazione, potere, codice-culturale e consenso. Esso forma un blocco sociale interclassista, rinsaldato da modelli comportamentali, la cui funzione dominante è svolta dalla borghesia mafiosa, formata da soggetti illegali (capimafia) e legali (politici, imprenditori, professionisti ecc.).
L’estensione del modello mafioso a livello mondiale non significa che Cosa Nostra è una Spectre alla conquisa del pianeta. Significa che Cosa Nostra e le altre organizzazioni criminali storiche come le triadi cinesi e la yakusa giapponese, si sono sempre di più proiettate sul piano internazionali, senza abbandonare le loro radici, che si sono formati nuovi gruppi criminali, come i cartelli colombiani, la mafia russa e quella nigeriana, e che tutti questi gruppi presentano le linee fondamentali della mafia siciliana, cioè l’interazione crimine ricchezza-potere, assieme ad aspetti culturali specifici legati alla loro storia e al territorio in cui si sono formati.
È bene precisare che fenomeni di tipo mafioso non si sono formate ovunque il Modo di Produzione Capitalistico si è affermato. La mafia siciliana nei suoi prodromi e nei suoi primi sviluppi è assimilabile alle forme di accumulazione primitiva ma non tutte le forme di accumulazione originaria hanno prodotto mafie.
Il motivo che in alcuni Stati non sono state prodotte mafie è che c’era il monopolio della violenza da parte dello Stato a garantire l’accumulazione del capitale. In Sicilia l’oligopolio della violenza, fondato sul condominio di autorità centrale e signori locali, ha avuto una parte fondamentale nell’evoluzione in mafia di quelli che prima definivo fenomeni paramafiosi, identificabili nelle forme di delinquenza garantita, cioè di criminalità impunita e nei crimini con finalità economica: estorsioni, abigeati.
Schematicamente si può dire che nei processi di transizione dal feudalesimo al capitalismo nascono organizzazioni di tipo mafioso in aree circoscritte (mafia in Sicilia occidentale, triadi in Cina, la yakusa in Giappone); che il capitalismo maturo ha sviluppato tali fenomeni in presenza di determinate condizioni (immigrazione, mercati neri originati dal proibizionismo), mentre nell’attuale fase si acuiscono le contraddizioni economiche con la presenza di fattori che comportano l’estensione dell’accumulazione illegale e il proliferare di gruppi di tipo mafioso
Gli aspetti più criminogeni dell’attuale fase del capitalismo stanno nell’aggravarsi degli squilibri territoriali e dei divari sociali, risultato della congiunzione di politiche neoliberiste e degli aggiustamenti strutturali; la liberalizzazione della circolazione dei capitali e l’ulteriore finanziarizzazione e opacizzazione del sistema finanziario.
La liberalizzazione della circolazione del capitale e la creazione di grandi mercati regionali (Unione Europea, NAFTA in Nord America, APEC per l’area del pacifico) favorisce la simbiosi tra capitale legale e quello illegale e l’impiego delle tecnologie elettroniche rendono sempre più difficile distinguere la natura dei capitali in trasferimento.
Le misure antiriciclaggio, già adottate ameno formalmente o in programma, sono delle misure tampone inadeguate a fronteggiare la portata di tali fenomeni. Più esse rimangono sulla carta, o per la scarsa collaborazione delle banche e delle istituzioni finanziarie o per la natura delle convenzioni internazionali, che anche quando sono state firmate e ratificate stentano a trovare applicazione.
Mentre l’economia capitalista valica tranquillamente le frontiere e impone tranquillamente il suo ruolo di marcia, il diritto penale internazionale su questi temi, anche limitato al quadro comunitario, trova ancora continui intoppi. E ciò si spiega con il fatto che le politiche di liberalizzazione della circolazione del capitale e di creazione dei grandi mercati regionali corrispondono agli interessi dei grandi gruppi finanziari-industriali, nel caso europeo in primo luogo di quelli tedeschi.
Quando si parla di riciclaggio, l’attenzione va soprattutto ai cosiddetti paradisi fiscali, ma essi non sono isole sperse negli oceani, se non dal punto di vista geografico, ma stazioni di servizio del capitale. Non è un caso che molti di essi proliferano nelle vicinanze dell’Europa e degli Stati Uniti. Un esempio: il 30% delle 500 più importanti compagnie britanniche hanno società controllate nelle isole britanniche del Canale.
I 500 miliardi di dollari annui cui ammonterebbe il giro d’affari del crimine, secondo le stime più caute, mentre altre stime danno cifre più elevate, sono il frutto di un’accumulazione che si espande sia nelle aree periferiche che in quelle centrali, che cavalca tutte le occasioni e le convenienze offerte tanto dell’aggravarsi del sottosviluppo che dalle contraddizioni sistemiche dello sviluppo capitalistico nell’attuale fase della sua mondializzazione. Lo sviluppo del crimine internazionale non rispecchia tanto il caos della giungla quanto il capitale nel suo complesso.
Certamente la crescita dell’accumulazione illegale e il proliferare di gruppi criminali di tipo mafioso costituiscono una risposta alla crisi nelle zone dove le politiche che impongo le agenzie internazionali (Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale) e le dinamiche del capitalismo mondializzato smantellano gli apparati produttivi esistenti e impongono l’azzeramento delle attività economiche statali e dello Stato sociale. Ciò avviene in interi continenti come l’America Latina e l’Africa, in buona parte dell’Asia come pure nei Sud presenti all’interno delle metropoli imperialiste.
Mentre nelle aree di crisi l’attività illegale è l’unica forma di accumulazione in buona salute e offre redditi di sussistenza a chi non ne ha altri, il grosso dei capitali illegali fluisce nelle roccaforti del capitalismo e nel circuito finanziario internazionale mondiale per le maggiori convenienze offerte dall’investimento in attività legali e dagli sbocchi economici speculativi. Tali fenomeni sono una risposta alla crisi dell’accumulazione capitalistica nel suo complesso e l’incremento di capitale mafioso, assieme a quella del capitale speculativo, è insieme manifestazione di tale crisi e forma del capitalismo realmente esistente. In sostanza, l’economia illegale non è solo la stampella di un’accumulazione legale in crisi ma opera un’interazione tra legale e illegale dovuta alla fisiologia della crisi capitalistica, così come si manifesta in questa fase. Il mercato mondiale è una realtà pluridimensionale, ed economia legale, quella sommersa e quella illegale più che corpi estranei appaiono come scomparti in relazione funzionale tra di loro. Si può tranquillamente dire che il Modo di Produzione Capitalistico nell’attuale fase della sua mondializzazione, attiva tutte le forme di accumulazione e l’accumulazione illegale presenta insieme i caratteri dell’accumulazione originaria (o di via criminale al capitalismo) nei luoghi periferici e per i soggetti sociali “ultimi arrivati” e di accumulazione deregolata (via criminale del capitalismo) che sfrutta tutta le convenienze offerte dal capitale per le contraddizioni sistemiche che esso presenta.
Per questo motivo una lotta alla mafia che non sia anticapitalistica e affidata solamente agli apparati dello Stato borghese è inconsistente. Per lo stesso motivo chi si crede dentro una prospettiva rivoluzionaria anticapitalista e non mette dentro la lotta alla mafia, non va da nessuna parte.
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