LA DISTRUZIONE DEL DIRITTO DEL LAVORO IN ITALIA

•ottobre 26, 2020 • Lascia un commento

  L’origine dell’attacco alle condizioni materiali di esistenza delle masse popolari da parte della Borghesia Imperialista che ha portato nel nostro paese la distruzione del diritto del lavoro è la crisi del sistema capitalista iniziata all’incirca alla metà degli anni Settanta. La caratteristica di questa crisi si possono riassumere nel fatto che la crisi è generale (cioè nasce come crisi economica e poi si trasforma in crisi politica e culturale), di lunga durata e coinvolge tutto il mondo, cioè riguarda, sia pure con tempi e intensità diversa, tutti i paesi del mondo.

   È di dominio pubblico che i paesi semicoloniali e dipendenti vengono ricolonizzati, che i governi raddoppiano e triplicano i prezzi dei beni essenziali,  che milioni di persone sono cacciate dai loro paesi e costrette all’emigrazione.

   In Italia nel periodo che va dall’inizio degli anni Novanta (dove – non certamente a caso – ha operato in funzione di guerra ortodossa la Falange Armata) fino ad oggi, è stato anche (e non sarà certo un caso) quello della demolizione del diritto del lavoro e delle conquiste che i lavoratori italiani le avevano ottenute dal secondo dopoguerra dopo dure lotte.

   C’è stato anche il cambiamento del significato delle parole in uso. Fino all’altro ieri per riforme s’intendeva miglioramento (certamente graduale) delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori, da un certo periodo in poi ha solamente significato un continuo e costante peggioramento. Se poi ci si opponeva a tali “riforme” ci si tirava dietro l’accusa di essere “conservatori” che si oppongono al “progresso”.

   Quest’attività di “riforma” e di abolizione del diritto del lavoro è stata portata avanti con l’apporto dei partiti di sinistra (compresi quelle definiti “radicali” come Rifondazione) e dai sindacati confederali.

   Ci sono state due modalità diverse per portare avanti questo tipo di attacco ai diritti dei lavoratori:

  • Da parte dei governi di Centro-Sinistra la “riforma” del diritto del lavoro deve avvenire di concerto con i sindacati confederali in modo da farla accettare ai lavoratori senza alcuna protesta.
  • L’orientamento dei governi di Centro-Destra, invece, prevedeva più l’immediato e diretto intervento del potere legislativo.

   In effetti, queste cosiddette “riforme” sono avvenute in prevalenza mediante accordi sindacali che, una volta consolidati ed evitato la protesta dei lavoratori, alla fine sono state consolidate.

   Agli accordi sindacali, è stato attribuito un vero e attribuito un vero e proprio ruolo normativo.

   Un esempio. In maniera di contratti a termine, la legge n. 56 del 1987 riconosceva ai sindacati la possibilità di derogare in peggio il divieto di apposizione del termine. Con tali accordi, il termine si poteva apporre liberamente ed anche all’attività ordinaria. In pratica, con gli accordi sindacali si legalizzava la violazione della legge. Una volta consolidatigli accordi ed evitato la protesta dei lavoratori, nel 2001 è stata emanata la nuova normativa sulla liberalizzazione del contratto a termine.

   Per il resto, basta confrontare la successione dei contratti collettivi per comprendere facilmente come i sindacati sottoscrittori hanno gradualmente introdotto la flessibilità e compresso, se non abolito, i diritti dei lavoratori.

   Il ruolo di CGIL-CISL-UIL è stato quello di far passare la “riforma” in peggio dei diritti dei lavoratori in silenzio e senza sorprese.

   A garanzia di tale ruolo, l’ordinamento e la giurisprudenza hanno riconosciuto a tali sindacati l’esclusivo riconoscimento di rappresentatività per legalizzare la loro preminenza rispetto a sindacati molto più conflittuali di loro.

SULLA FLESSIBILITA’

   La flessibilità la si fa ma non si dice. In 1.127 accordi sindacali sottoscritti tra il 1990 e il 1995 la parola compare solo su 137 documenti mentre esiste nei fatti molto di più di quanto compariva nei testi che venivano poi modificati. Flessibilità soprattutto negli orari. Ciò costituisce una linea guida che poi scatterà anche in tema di salario.

   Gli accordi gradino prevedono salari inferiori ai minimi previsti dai contratti.

   Un accordo gradino è stato stipulato nell’estate del 1996 per i tessili e costituisce una clausola aggiuntiva inserita nel C.C.N.L. del 1995. Con l’affermazione che “Gli accordi gradino salvano posti di lavoro e fanno aumentare al sindacato la presenza nei posti di lavoro” (Antonio Megale della CGIL Tessili). In sostanza sindacati e imprenditori tessili sono concordi nel ritenere che la clausola dei tessili dimostra l’approccio alle deroghe salariali risulti più efficace se affidato alle singole categorie e non imposto con intese centralizzate troppo condizionate da querelle politiche. Quello dei tessili è stato uno dei settori apripista nell’emersione del sommerso: nel 1996 aveva 30.00 addetti; 2.000 aziende; 10.000 addetti già emersi; 70 aziende emerse nel leccese, 20 a Martina Franca.[1]

   Altri accordi “brillanti” sottoscritti nel 1996: la CISL sigla un accordo territoriale a Brindisi in base al quale le nuove aziende possono pagare salari inferiori ai minimi contrattuali. La Barilla sottoscrive delle intese con i sindacati in base alle quali il personale è retribuito con un gradino inferiore a Melfi e Foggia. Il Contratto Collettivo nazionale del Legno prevede per i nuovi assunti stipendi inferiori del 20%. Mentre il Contratto Collettivo nazionale Lapidei e manufatti hanno allungato il periodo di avviamento da due a cinque anni.[2]

I   n base all’art. 36 della Costituzione, ogni lavoratore deve percepire una retribuzione in misura comunque sufficiente per garantire una vita libera e dignitosa per sé e alla sua famiglia. Tale misura è stata individuata nei minimi sindacali stabiliti dalle singole contrattazioni collettive nazionali.

   Il primo intervento per ridurre la retribuzione dei lavoratori è stato quello di non aumentare più i suddetti minimi, ormai fermi da oltre venti anni. Ciò è avvenuto con la complicità dei sindacati confederali e dei governi di Centro-Sinistra (con dentro la sinistra cosiddetta “radicale”).

   Le altre azioni sono state le più svariate.

   Con gli accordi gradino, come si diceva prima, è stato previsto un salario d’ingresso inferiore per i primi anni di lavoro. Questo tipo di azione, essendo anticostituzionale per violazione del diritto di uguaglianza, era prevista solo per qualche anno e in via transitoria invece dura dal 1990 perché è sempre stata prorogata.

   Con la leggi sui Lavoratori Socialmente Utili (LSU) di cui il decreto legislativo 468/98, lo Stato e gli enti pubblici possono assumere personale precario senza tutele e con garanzie ridottissime per la realizzazione di opere o fornitura servizi, con contratti temporanei e a scadenza. L’art. 8 esclude espressamente che tale personale possa essere considerato come lavoratori subordinati.

   Con i Contratti d’Area e i Patti Territoriali si sono introdotte forme di assunzione e retribuzione precaria. Nonostante tali azioni consistano in strumenti di finanziamento statale delle attività produttive, con il beneplacito di CGIL-CISL-UIL sono state introdotte politiche per la riduzione dei salari e per nuove forme di lavoro meno garantito e meno tutelato. I Contratti d’Area sono previsti dall’accordo per il lavoro del 24.09.1996 (Governo Prodi) per le aree industriali in crisi e ad alto tasso di disoccupazione, mentre i Patti Territoriali sono stati introdotti con le leggi nn. 104/95 e 662/96 per tutto il territorio. In realtà questi strumenti che riducono le tutele dei lavoratori sono stati applicati anche in zone non in difficoltà, come Pavia, Trieste, Crema. Un posto di lavoro creato con tali strumenti costa allo Stato 300.000€, quindi per gli imprenditori è quasi a costo zero. Ciò ha prodotto nuova occupazione precaria e con reddito insufficiente ed è stata un’operazione di sostituzione dei lavoratori a costo intero con quelli a costo ridotto.

   Con l’uso indiscriminato dei Contratti di Formazione si è provveduto all’assunzione finanziata di lavoratori per un massimo di due anni con il ricatto per essere confermato il rapporto a tempo indeterminato.

   Ora l’istituto è stato sostituito con le varie forme di apprendistato della durata di quattro anni ed applicabile liberamente anche a lavoratori qualificati (ingegneri, tecnici ecc.). Come apprendisti, i lavoratori svolgono un lavoro qualificato ma sono retribuiti secondo livelli d’inquadramento inferiori.

Per quanto riguarda, la flessibilità occupazionale che abolisce la garanzia di stabilità con il Decreto Legislativo 368/2001 e la Legge 133/2008 è stata introdotta la libertà dei Contratti a termine con i quali si ottiene lo stesso risultato della totale libertà di licenziamento in favore dei padroni: stipulando ripetuti contratti a termine o brevissimo termine mensile o settimanale il lavoratore deve sottostare ai ricatti datoriali, per non ottenere il rinnovo e rimanere disoccupato e senza reddito.

   Con la legge 428/90 è possibile licenziare i lavoratori in caso di cessione di azienda per assumere altri a condizioni più svantaggiose.

   Nei casi in cui non interessa la cessione di azienda, la flessibilità è attuata mediante la pratica dello “svecchiamento” che consiste nel porre in cassa integrazione i lavoratori garantiti per indurli alle dimissioni stante il ridotto ammontare dell’assegno rispetto allo stipendio ed i limiti imposti al cassintegrato. I lavoratori con maggiore anzianità sono posti in mobilità lunga per la pensione anticipata. In entrambi i casi, cassa integrazione e mobilità con prepensionamento, i costi sono a carico dello Stato e il datore si libera di quei lavoratori garantiti per assumere nuovo personale a condizioni peggiori.

   Con l’operazione “svecchiamento” il datore di lavoro ottiene anche un altro obiettivo: liberarsi del personale “anziano” anche se efficiente per assumere personale giovane, “fresco” di studi, proprio come avviene con un computer funzionante ma sostituito con un altro di ultima generazione.

La legge Biagi del 2003 ha introdotto ulteriori forme di flessibilità, tra cui: contratti a progetto, a chiamata, lavoro intermittente, a somministrazione, ripartito, accessorio, il distacco, il trasferimento, appalto di manodopera, cessione di ramo d’azienda.

   Tutte queste tipologie comportano una retribuzione inferiore, un’insicurezza del posto di lavoro, la mancanza di copertura delle ulteriori forme di retribuzione, come quella collaterale e differita (tredicesima, quattordicesima, ferie, TFR), ed assicurativa (malattie, maternità, previdenza, indennità di disoccupazione).

   Fino alla serie di leggi che il Governo Renzi, ha varato che sono raggruppate col nome di Jobs Acts che sono un sistema di ricatto permanente a favore dei padroni e contro i lavoratori e le lavoratrici.

   Infatti, questo ricatto procede su due gambe: quella dei contratti a termine a casuali (per cui il padrone può assumere a termine quando vuole e per il tempo che vuole) e quella dei contratti a tutele crescenti (per cui il padrone può assumerne a tempo indeterminato, ma licenziare quando e come vuole pagando una miseria di indennità)

   Tutti questi interventi sindacali e legislativi hanno avuto come conseguenza che in Italia la forza lavoro è tonalmente svalorizzata. Con il ricatto della disoccupazione di massa e con il lavoro nero (che nella sostanza con questi interventi sopra descritti è stato legalizzato), il padronato ha abbassato anno dopo anno i salari.

   I bassi e bassissimi salari cono la carta che i padroni italiani e i loro governi giocano sul tavolo della competitività contro gli altri capitalisti europei e mondiali.

   Per questo motivo anche in città come Milano c’è gente che lavoro per 3-4-3 euro l’ora!

   Per questo motivo un fronte unitario di lotta e di massa dovrebbe battersi che ci sia una paga oraria che non sia inferiore a 9€ l’ora (niente di estremistico è la media della paga base oraria europea) e un salario minimo garantito per i disoccupati che non sia inferiore almeno a 1.250€ mensili.

   In sostanza bisogna combattere il sottosalario, contro la condizione sempre più schiavistica imposta dal padronato e dalle leggi dello Stato, contro l’attacco alla dignità dei lavoratori e delle lavoratrici.

INCIDENTI E INFORTUNI SUL LAVORO

   Secondo dati ufficiali (molto inferiori alla realtà) i morti ufficiali sul lavoro sarebbero oltre 1.000 all’anno. In questa cifra sono compresi solo i lavoratori che muoiono in seguito ad un incidente violento entro i primi cinque giorni.

   Sono quindi escluse, tutte le morti successive ai cinque giorni e quelle causate da malattie contratte sul lavoro.

   Perciò questo numero aumenterebbe a diverse migliaia di morti all’anno. Una vera propria guerra che la Borghesia sta effettuando contro i proletari.

   Qual è la causa degli incidenti sul lavoro e quali potrebbero essere le soluzioni?   Una delle cause è la mancata predisposizione di mezzi e sistemi infortunistici ritenuti dalle aziende troppo costosi oppure elementi che frenano la produttività. Il motivo fondamentale di quest’atteggiamento delle aziende risiede nella legge economica del sistema capitalistico della competitività: la riduzione dei costi di produzione.

   Non applicare mezzi e sistemi anti infortunistici significa risparmiare soldi, quindi aumentare i profitti.

   Un’altra causa è l’aumento dei ritmi di lavorazione. La produzione aumenta con l’aumento della velocità di lavorazione.

   È un dato economico che un prodotto è tanto più competitivo quanto viene fabbricato nel minor tempo possibile. La velocità della lavorazione, però, non permette di rispettare le regole di sicurezza. Non permette di effettuare un lavoro con attenzione e precisione. Ciò crea motivo di incidenti ed infortuni.

   Un esempio è quanto sì e registrato nei supermercati della grande distribuzione, dove i commessi dovevano correre su pattini a rotelle per rifornire gli scafali.[3]

   Inoltre, aumentare i ritmi di lavoro e ridurre e abolire le pause (si potrebbe definire il “modello Marchionne” fatto di diminuzione pause, cassa integrazione e straordinari)[4] ed i riposi, tutto ciò significa maggiore produzione ma anche maggiore rischio di incidenti per stanchezza e mancanza di lucidità.

   Egli ultimi anni è aumentato anche il numero dei lavoratori minorenni, finanche bambini. In Italia si stima che nel 2013 erano 260.000 i minori sotto i 16 anni coinvolti, più di 1 su 20.[5]

I minorenni sono i più esposti agli incidenti e alla contrazione di malattie professionali vista la loro debole condizione fisica e la mancanza di esperienza e preparazione professionale. E chi fa lavorare i bambini viola, la legge sul diritto del lavoro, figuriamoci quelle sulla sicurezza.

I governi italiani – nel 1997 quello di Centro-Sinistra (appoggiato da un grande “comunista” come Bertinotti) e nel 2003 quello di Centro-Destra hanno abolito il limite dell’orario giornaliero fissato nel 1924 in otto ore. In base alla legge n. 66/03, un lavoratore può essere obbligato anche 16 ore al giorno senza alcun aumento di retribuzione. Quello che non ha fatto il fascismo storico al governo (ma all’epoca c’era un Movimento Comunista Internazionale degno tal nome con dirigenti come Lenin non intellettuali da salotto arrivati ai posti dirigenti grazie ai revisionisti come Ingrao), lo ha fatto il tecno-fascismo attuale con la complicità di tutti i partiti politici di centro, destra e della sinistra borghese (e dei sindacati che praticano la collaborazione di classe).

   Il limite della giornata di 8 ore è stata una grande conquista dei lavoratori sugellata con gli eccidi proletari del 1° maggio.

   La richiesta di limitare la giornata lavorativa al massimo di otto ore era motivata che più ore di lavoro provocavano maggiore stanchezza psico fisica. A causa della stanchezza avvenivano maggiori incidenti.

   La stessa legge n. 66/30 che ha abolito le otto ore, prevede che possono beneficiare di una pausa di 15 minuti per il riposo solo coloro che svolgono un lavoro ripetitivo e solo dopo le prime sei ore di lavoro. Pausa che non costituisce un diritto del lavoratore ma una concessione del datore di lavoro. Se il lavoratore decide di utilizzare la pausa dopo sei ore di lavoro contro la volontà del datore di lavoro, è passibile di sanzione disciplinare per insubordinazione che può essere punita con il licenziamento.

   È chiaro che il lavoratore evita di riposarsi per non perdere il posto di lavoro.

   Ma è anche chiaro che la stanchezza e la perdita di lucidità provocano incidenti la cui colpa viene posta sempre a carico del lavoratore, ritenuto disattento.

   Questi sono gli effetti della legislazione italiana.

   Pertanto, non si può parlare di soluzione della problematica degli infortuni se non si aboliscono queste leggi, se non si abolisce la legge n. 66/03, se non si affronta la questione dei ritmi di lavoro.

   Le imprese, per risparmiare sui costi, non predispongono adeguati mezzi, né attrezzature antiinfortunistiche. Sempre per risparmiare sui costi, gli imprenditori assumono personale non specializzato e senza esperienza in modo da pagarli di meno. La mancanza di conoscenze e d’informazioni è una causa degli incidenti.

   Le imprese che ricorrono maggiormente a questi espedienti sono quelle pressate dal contenimento dei costi rispetto agli introiti stabiliti da un appalto.

   Il prezzo con cui un’impresa concorre per l’aggiudicazione di un appalto è frutto di un calcolo complessivo dei costi di esecuzione. Quanto più riduce i costi, maggiore è la possibilità di aggiudicarsi la gara di appalto.

   I costi che in genere sin riducono sono proprio quelli destinati alla sicurezza poiché ritenuti non produttivi. La conseguenza è l’esposizione agli incidenti.

   Esposizione che aumenta vertiginosamente con i subappalti. In questi casi la riduzione del costo dei costi è ancora maggiore perché il subappaltante ottiene per il medesimo lavoro un prezzo di prezzo di appalto minore. Il subappaltante per ricavare degli introiti deve risparmiare sui lavoratori e sulla loro sicurezza.

   Appare chiaro che un terreno di lotta sta nell’abolire tutte le leggi e le norme che permettono il subappalto e disporne il divieto totale.

   Il subappalto è stato sempre una causa degli incidenti sul lavoro, inoltre, ha fatto riemergere la figura del caporale che era stata vietata dalla Legge 1369/60.

   Ebbene, prima della Legge Treu (approvato da quel grande “rivoluzionario” che era Bertinotti), poi con la Legge Biagi si è abolita la Legge 1369/60 e liberalizzato gli appalti e i subappalti di manodopera e legalizzato in sostanza il caporalato con il lavoro interinale e a somministrazione.

   I lavoratori assunti con contratti flessibili e precari, come il lavoro a termine, part time, a progetto, a chiamata ecc. sono maggiormente esposti agli infortuni. La loro condizione di riscattabilità li obbliga a non protestare e ad accettare lavorazioni pericolose o, comunque faticose, compresi i ritmi elevati e senza sicurezza.

   Pertanto, non è vero che le istituzioni vogliono eliminare le stragi sul lavoro. I partiti e i governi sono stati promotori (o comunque non si sono contrapposti) di leggi che facilitano e aumentano gli incidenti sul lavoro.

   Quindi, finché esisterà questo sistema economico che si basa sullo sfruttamento delle persone, il problema degli infortuni non sarà mai risolto ed i lavoratori saranno destinati a rischiare la vita.

   Ma, intanto è importante ed obbligatorio combattere affinché siano abolite tutte quelle leggi che facilitano gli incidenti e gli infortuni. Quindi occorre immediatamente ottenere l’abolizione della legge n. 666/03 e ristabilire l’orario massimo di lavoro a otto ore per cinque giorni a settimana (e ovviamente se si hanno i rapporti di forza sufficienti lottare per ulteriori riduzioni di orario senza perdita di salario); l’abolizione delle leggi che permettono il subappalto e stabilire il divieto dell’appalto di manodopera e del caporalato; l’abolizione totale della legge Treu e della legge Biagi; l’abolizione della Jobs Act e di ogni forma di precarietà e flessibilità del lavoro.

   Il prezzo che i lavoratori stanno pagando non è solo una retribuzione inferiore o il licenziamento, ma la loro sopravvivenza fisica.

LA DELOCALIZZAZIONE DELLE IMPRESE

   Gli imprenditori italiani hanno deciso di confermare la loro politica aziendale che prevede il licenziamento degli operai, la chiusura delle fabbriche in Italia ed il loro trasferimento nel Tricontinente o nei paesi dell’ex “campo socialista” (pensiamo che al 31 dicembre 2014 risultavano in Romania ben 18.433 imprese italiane).[6]

   Questa politica di licenziamento e trasferimento delle fabbriche è a completamento di quanto gli industriali hanno già fatto negli anni ’90 e che ha comportato il licenziamento di migliaia di lavoratori.

   Tutto questo è avvenuto ed avviene nonostante l’aumento delle commesse e la concessione di enormi benefici e finanziamenti pubblici in favore degli industriali per garantire l’occupazione.

   Le imprese italiane, infatti, hanno beneficiato di enormi aiuti finanziari e agevolazioni per creare e mantenere l’occupazione in Italia. La concessione di finanziamenti, immobili, stabili, infrastrutture, macchinari, sgravi fiscali, è stata la costante di questi aiuti.

   Quasi sempre gli industriali occupavano un numero di dipendenti inferiore a quello per cui beneficiavano degli aiuti.

   Spesso gli industriali, cambiando solo il nome dell’impresa e mantenendo le medesime strutture, macchinari e dipendenti, beneficiavano di ulteriori finanziamenti come se fosse una nuova azienda che dava occupazione.

   In maniera ricorrente, gli industriali assumevano i lavoratori con contratti precari per risparmiare sul costo della manodopera. Molte volte si è scoperto il pagamento con la doppia busta paga: una fittizia secondo i minimi salariali quale documentazione per ottenere i benefici pubblici e un’altra reale, riportante un importo inferiore che era corrisposto al lavoratore.

   A partire dal 1993, gli industriali italiani hanno cominciato a trasferire la produzione all’estero (coincidente l’aperta e dichiarata restaurazione capitalista nei paesi dell’Est), iniziando dall’Albania (storico terreno di caccia dell’imperialismo italiano), grazie ad accordi e concessioni effettuati dal governo italiano.

   In conformità a questi il governo italiano finanziava la chiusura degli stabilimenti in Italia, finanziava l’apertura all’estero. Lo Stato italiano, sempre in conformità a questi accordi, non richiede agli industriali nemmeno le tasse e i dazi di ritorno dei prodotti dall’estero. L’operazione è chiamata TPP (Traffico di perfezionamento Passivo).

   Con successivi accordi governativi, gli industriali hanno aperto stabilimenti, nell’Est Europa, in America Latina, in Africa e in Asia.

   Il principale, se non unico, motivo del trasferimento è costituito dallo scorso costo della manodopera. In Albania un operaio è pagato sulla media tre euro il giorno, mentre in Bulgaria (sempre sulla media) con soli 70 centesimi

   Non c’è mai stata nessuna riduzione delle commesse. La crescita delle imprese e la produzione. È aumentata la percentuale di vendita del prodotto, e i mercati, con relativo aumento di fatturato, di capitale e di profitto (ma di posti di lavoro in Italia).

   Anzi. Le aziende del settore interessato che nel 1990 avevano in tutto 700.000 operai in Italia, fino al 1998 hanno portato all’estero la lavorazione, operando 330.000 licenziamenti.

   Gli industriali non solo non hanno portato il lavoro fuori dall’Italia, ma non hanno fatto rientrare nel paese i profitti ottenuti. Questi profitti prendono la via dei paradisi fiscali, dei fondi pensione, dei fondi di investimento in altri paesi.

   La delocalizzazione ha coinciso largamente con l’esplosione della “fuga dei capitali all’estero”. Dei profitti ottenuti, solo nel 1998 sono stati esportati all’estero 80 mila miliardi di lire, pari a 41 miliardi di euro.

   Nei primi anni della delocalizzazione, gli industriali avevano mantenuto in Italia il 40-50% della produzione solo per limitare il rischio che si poteva determinare dalla realizzazione produttiva in paesi istituzionalmente ed economicamente non ancora sicuri (cosiddetto rischio Paese).

   Tale margine d’insicurezza è stato ridotto e quasi eliminato mediante l’intervento e la presenza militare italiana. Le forze speciali dell’esercito, dietro la scusa delle missioni di pace, garantiscono all’estero gli affari degli industriali italiani. Non è un caso che i militari italiani sono presenti in almeno 36 paesi e si parla addirittura, di sottoporli al comando del Ministero degli Esteri quale strumento di politica di espansione internazionale. La Marina Militare Italiana garantisce la scorta del trasporto merci.[7]

   Ora gli industriali che si apprestano a traferire quasi tutta la produzione lasciando in Italia solo il ciclo a più alto valore aggiunto (design, marketing ecc.).

   Oltre al trasferimento delle produzioni di beni si stanno delocalizzando anche le attività di servizi (per esempio i call center).

   Nonostante ciò, nonostante gli industriali abbiano da anni dichiarato a più riprese che chiuderanno gli stabilimenti, lo Stato continua ad elargire finanziamenti in loro favore anche per ammodernamento e ristrutturazione degli impianti affinché mantengano l’occupazione di operai, che invece, quasi sempre vengono messi in cassa integrazione e in mobilità.

   I finanziamenti sono elargiti anche a quegli industriali che sono stati più volte inquisiti per truffa ai danni dello Stato.

  Gli effetti di questa delocalizzazione, che in alcuni casi è definita “impetuosa”, sono facilmente leggibili. Nel “mitico” Nordest i laboratori contoterzisti che lavorano in subappalto sono stati sostituiti da aziende situate nell’Est Europa. Mentre nel più modesto Sudest, nel Salento in particolare, solo nel comparto calzaturiero si sono registrati dagli anni ’90 si calcola secondo dati prudenti sci siano stati almeno 13.000 licenziamenti.

  La chiusura delle fabbriche in Italia, il licenziamento dei lavoratori e il trasferimento all’estero è avvenuto ed il trasferimento con la complicità dei partiti e dei sindacati che non hanno perso il tempo a firmare accordi per la cassa integrazione e la mobilità.

  I sindacati non solo non hanno accennato ad una minima protesta, mentre venivano portati via i macchinari alla luce del sole, ma hanno fatto di tutto per convincere gli operai a subire le politiche aziendali poiché “esistono le supreme leggi del mercato”.

   Nessuna istituzione ha chiesto agli industriali la restituzione dei finanziamenti ottenuti con la scusa di creare e mantenere occupazione in Italia.

   La delocalizzazione è avvenuta e avviene in base ad accordi ed a norme emanate dallo Stato italiano che permette i licenziamenti in Italia ed invoglia il trasferimento all’estero.

   I padroni rimangono impuniti e continuano a speculare. Per loro la disoccupazione è un affare.

   Il trasferimento all’estero, come si diceva prima, avviene per sfruttare i bassissimi costi della manodopera. È evidente che non si può proporre a nessuno in Italia (almeno fino a oggi) di guadagnare asolo un euro il giorno. Altrettanto è chiaro che (almeno fino ad oggi ed è sempre bene ripeterlo) che un salario del genere difficilmente si può proporre nemmeno in Francia e in Germania. Il trasferimento avviene verso quei paesi ricattati dalla miseria, dalla fame e dalle guerre scatenate degli stessi paesi imperialisti occidentali.

   Pagare un operaio, un euro al giorno significa mantenerlo alla fame, nella disperazione più totale.

   Ecco perché queste popolazioni emigrano nei paesi imperialisti come l’Italia, essi scappano dalla fame generata dagli industriali occidentali (tra i quali molti italiani e padani). Gli stessi che licenziano nei loro paesi di origine (tra i quali l’Italia) creando così disoccupazione e marginalità (la criminalità diffusa è solo un prodotto di questi fenomeni sociali creati dai padroni).

   Gli immigrati sono vittime del medesimo disegno speculativo dei padroni.

  La questione dei licenziamenti e delle delocalizzazioni è collegata, quindi, a quella dell’immigrazione.

   La delocalizzazione, tra l’altro, è utilizzata per scardinare i diritti dei lavoratori.

  In pratica, si “invitano” i lavoratori ad accettare un lavoro flessibile, una drastica riduzione dei loro diritti e garanzie, dietro la minaccia di chiudere l’azienda trasferirla all’estero dove i lavoratori costano meno.

 Il messaggio che gli industriali danno ai lavoratori è chiaro: se accettate condizioni simili a quello che vivono i lavoratori del Tricontinente o quelli dell’Est europeo, la fabbrica non chiude e l’occupazione è salva.

  Partiti e sindacati non contrastano questa politica dando per scontato la “normalità” delle condizioni di lavoro dei lavoratori dei paesi esteri in cui si delocalizza.

   Con la guerra si afferma, demistificando e mentendo, di esportare quello che dicono di essere la “democrazia” (e i regimi che sorgono da queste aggressioni nella realtà sono solo dei satelliti e dei burattini degli imperialisti), con la delocalizzazione si vuole importare l’abolizione dei diritti dei lavoratori, si vuole scatenare la concorrenza e lo scontro tra lavoratori, tra italiani e immigrati.

   Questa tendenza deve essere invertita. Bisogna estendere a tutti i lavoratori, i diritti. L’internazionalismo non è solo un ideale, ma soprattutto una necessità concreta degli operai, il capitale agisce globalmente e globalmente deve agire la classe, un punto di partenza è stabilire dei collegamenti con i lavoratori degli altri paesi dove le aziende italiane sono andate a investire, per aprire lotte comuni dove si devono omologare (non al ribasso ovviamente) sia la parte salariale che quella normativa.

IL DIRITTO DEL LAVORO

   In quasi in tutto il mondo si fa risalire la nascita del diritto al periodo dell’impero romano. Già duemila anni fa, infatti, erano state descritte ed elaborate le varie branche del diritto, per esempio quello del matrimonio, dell’eredità, dei contratti, della proprietà ecc. L’unica branca che nel diritto romano non esisteva era quello del diritto del lavoro. Ai lavoratori non era riconosciuto nessun diritto.

   Il diritto del lavoro nel diritto romano non esisteva se non come proprietà dello schiavo. In sostanza, il lavoratore, era paragonato a un attrezzo, a una macchina di lavoro, che il padrone poteva disporre a suo piacimento. Lo poteva usare, spostare, abbandonare e vendere come voleva.

   Anche dopo l’impero romano, la condizione di schiavitù è continuata senza che ai lavoratori fosse riconosciuto alcun diritto da tutte le legislazioni del mondo.

   Solo nel XVIII secolo si sono si sono registrati i primi sporadici interventi per frenare alcune situazioni schiavistiche, mentre le prime elaborazioni di diritto del lavoro sono nate tra il 1800 e il 1865.

   Tale periodo noto come rivoluzione industriale, vede la borghesia affermarsi definitivamente come classe egemone dal punto di vista politico, subentrando a quella feudale.

   Durante la rivoluzione industriale le condizioni di lavoro degli operai di fabbrica furono molto pesanti, anche l’assoluta mancanza di ogni tutela dei loro diritto e per il divieto imposto dai governi di associarsi per ottenere miglioramenti salariali e normativi.

   La giornata lavorativa era di quattordici ore e spesso fu portata a sedici. La disciplina in fabbrica era ferrea: le macchine dovevano lavorare a un ritmo continuo e veloce e non c’era spazio per riposarsi, né per le pause. Allontanarsi dal proprio posto di lavoro o parlare con un compagno di lavoro venivano considerale mancanze gravi e costavano pesanti sanzioni fino al licenziamento.

   Era l’essere umano a doversi adattare alla macchina e non il contrario. Al lavoratore si chiedeva di svolgere un ruolo meccanico e non attivo o intelligente.

   I salari erano bassissimi perché i disoccupati erano così tanti che un operaio se scontento poteva essere sostituito in qualsiasi momento.

   Particolarmente grave fu la condizione dei bambini e delle donne che, essendo pagati meno, erano utilizzati in gran numero. Costavano meno perché ricevevano un salario più basso e rendevano allo stesso modo. Nelle fabbriche della Scozia nel 1816 su 10.000 operai, 6.850 erano donne e bambini.

In nessun paese esistevano leggi per tutelare i bambini, nemmeno quelli più piccoli.

   Dopo le prime lotte operaie, molte delle quali duramente represse,[8]   lo Stato inglese approvò la prima legge nel 1819 che prevedeva il limite di età di assunzione dei bambini dai dieci anni in poi e il limite dell’orario giornaliero stabilito in dieci ore. Non c’era, però, alcuna autorità che prevedeva il controllo. Quindi la legge minorile non è stata mai applicata.

  Dal 1800 era enormemente aumentata l’esasperazione dei lavoratori causata non solo dallo sfruttamento ma anche dalle ripercussioni lavorative consistenti in moltissime morti sul lavoro (storia vecchia nel capitalismo come si vede), malattie professionali, infortuni, miseria, sopraffazioni sulla persona, insomma, gli operai erano (e lo sono tuttora se non si difendono e mettono in discussione questo Modo di Produzione) carne da macello.

   Tutto questo era la dimostrazione pratica che gli interessi delle due classi, borghese e proletaria sono inconciliabili. La borghesia ritiene che qualunque sia la sorte dell’operaio, non è compito del padrone migliorarla.

   Dalla loro esperienza pratica, gli operai hanno imparato che per migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro devono contare essenzialmente sulle loro forze. Impresa difficile perché i padroni hanno dalla loro parte anche i governi i quali rappresentano le classi più elevate che si schierano con i padroni e non con gli operai.

   I governi hanno sempre vietato l’associazione dei lavoratori e impedito le varie forme di lotta, in primis lo sciopero. In Germania, addirittura, nel 1845 ogni interruzione del lavoro era severamente punita anche con la pena di morte.

  La libertà di sciopero e di associazione alla classe operaia non è stata certamente regalata.

   In una società divisa in classi, una classe subalterna, che quindi non detiene il potere, riesce con la lotta a strappare alla classe dominante una concreta libertà, anche se parziale, e sempre in costante pericolo che le sia nuovamente tolta. Questo significa che quando si parla di conquista di concrete libertà in regime borghese, queste non possono che essere libertà che la classe soggetta strappa alla classe dominante, anche se parzialmente e anche se possono essere rimesse in discussione.

   Vediamo alcuni esempi. La libertà di riunione e di associazione fu nel periodo della Rivoluzione Francese e precisamente il 14 giugno 1791 con la legge Le Chapelier, abolita per gli operai, in quanto proibiva a loro il diritto di riunione e di associazione, e comminava ai proletari che non osservavano il divieto multe e perdita a tempo determinato dei diritti civili.

   Ugualmente in Inghilterra, in periodo di affermazione della dittatura della classe borghese a cavallo tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo è un susseguirsi di leggi che vietano ogni diritto di riunione e associazione per ogni tipo di lavoratori. Lo stesso avverrà in Italia e in altri paesi di più tarda industrializzazione a metà del XIX secolo, dove ogni diritto di coalizione e di resistenza operaia sarà proibita.

   Sia in Inghilterra che in Francia e successivamente negli altri paesi, occorreranno decenni di lotte durissime, migliaia e migliaia di morti, centinaia di migliaia di feriti e carcerati, insurrezioni e rivolte, scioperi di milioni di uomini e donne, per strappare ai governi borghesi di questi paesi la libertà di sciopero, di associazione, di coalizione e di resistenza per i lavoratori. In Francia occorreranno le rivoluzioni del 1830 e del 1848 in Inghilterra le lotte del 1825, 1832 e 1859 e la dura cruenta lotta del movimento cartista.

   Un’altra battaglia è stata quella di eleggere o essere eletti dei proletari nel parlamento borghese, la richiesta del suffragio universale (dei maschi adulti) era il primo punto della Carta del 28 febbraio 1837 che segna il momento più alto e di massa del movimento operaio inglese. Gli altri punti erano: parlamenti annuali, voto a scrutinio segreto, stipendio ai membri del parlamento, abolizione dei requisiti di censo per i candidati al parlamento, distretti uguali.

   Si noti che il cartismo, specie in quel periodo non fu emanazione di ceti piccolo-medio borghesi, ma espressione di tutto il mondo proletario mobilitato a livello di massa. Occorreranno cinquant’anni di lotte per ottenere in Inghilterra il suffragio universale, che sarà concesso solo nel 1918. Lo stesso avverrà nei decessi successivi nelle altre nazioni europee dove, il proletariato chiederà il potere per sé non per le altre classi.

   Vediamo ancora la libertà di stampa, in pratica la libertà di scrivere e diffondere le proprie idee.

   Nell’Inghilterra dell’Ottocento dove vigevano grosse tasse di bollo su ogni copia di giornale (quotidiano o settimanale) venduto. Il prezzo di vendita diveniva così altissimo, tanto che per i proletari era concretamente irraggiungibile l’acquisto di un giornale. Occorsero campagne operaie durate decenni e la sfida lanciata da giornali operai, venduti al prezzo di pochi centesimi e illegalmente senza bollo, per far abolire la legge. Il primo a lanciare la campagna fu il The poor man’s guardian che, su iniziativa del suo direttore Cobbet, fu venduto al prezzo di un penny come protesta “contro la tassa sul sapere”. Altri giornali operai seguirono, in una lotta che durò alcuni lustri, per arrivare al 1836 quando la tassa sui giornali fu ridotta, e infine nel 1855 quando fu abolita.

   Il limite di tutte queste libertà che sono state conquistate da parte del proletariato con lotte durissime (durate decenni se non addirittura due secoli) sono avvenute nell’ambito e nel quadro dello Stato borghese, permanendo la dittatura della classe borghese. E quindi in ultima analisi sono state utilizzate dallo Stato borghese per mantenere il proprio dominio. Ciò conferma la correttezza dell’analisi marxista e leninista sullo Stato, secondo cui lo Stato della classe opprime, non può essere utilizzato dalla classe oppressa, ma deve essere demolito dalle fondamenta.

   Poiché questo non è avvenuto negli ultimi due secoli, tutte le conquiste operaie, per quanto ottenute attraverso lotte asprissime e prolungate, sono state utilizzate e fatte proprie dalla classe dominante. Se da una parte la conquista di queste liberà, ha allargato le possibilità del proletariato, ma dall’altro sono state utilizzate e “catturate” dalla borghesia che le ha mistificate come proprie libertà. La libertà operaia di associarsi e di costituire leghe e sindacati sono stati utilizzati dalla borghesia per istituzionalizzare il sindacato come ulteriore struttura di sostegno alla dittatura della classe borghese. La libertà di eleggere e di essere eletti è stata usata dalla borghesia per strappare alla loro classe di provenienza gli eletti operai e farne dei borghesi. La libertà di stampa, per l’enorme differenza economica di chi finanzia i giornali (monopoli) è utilizzata dalla borghesia per creare un’opinione contraria agli interessi proletari, e si può continuare con infiniti esempi.

   Su tutte queste libertà incombe il continuo ricatto da parte della borghesia di essere abolite tutte in una notte (attraverso uno stato fascista per esempio) ove le strutture democratiche-parlamentari non dovessero più essere funzionali per il domino capitalista.

   Tutto questo per dire che il diritto del lavoro non è stato un’elargizione da parte dello Stato borghese, ma è un prodotto delle lotte operaie (soprattutto se sono rivolte al cambiamento radicale del sistema).

   Ecco perché nel linguaggio giuridico il diritto del lavoro è definito come “elemento che resiste e che restringe lo sviluppo economico”.

   Pertanto, il diritto del lavoro non è mai riconosciuto come una delle tante branche giuridiche ma come la forza dei lavoratori di rivendicare la tutela dei loro interessi. È evidente che la sua esistenza dipende dall’espressione di tale forza. Quando i lavoratori smettono di lottare in maniera radicale al di fuori delle compatibilità del sistema, il diritto del lavoro sarà sempre limitato fino ad essere abolito.


[1] Il Sole 24 0re, 28 agosto 1996.

[2] Il Sole 24 0re, 29 agosto 1996, pag. 13.

[3] http://archiviostorico.corriere.it/2002/settembre/13/manager_commessi_negozio_muoveranno

[4] http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/21/pause-ridotte-cassa-integrazione-straordinari-pilastri-%E2%80%9Cmodello-pomigliano%E2%80%9D/172169/

[5] http://www.savethechildren.it/IT/Tool/Press/All/IT/Tool/Press/Single?id_press=592&year=2013

[6] http://www.icebucarestnews.ro/userfiles/file/LA%20PRESENZA%20ITALIANA%20IN%20ROMANIA%202014.pdf

[7] Ci ricordiamo i due marò questi “eroi” uccisori di pescatori indifesi, dove erano? Su una nave mercantile. E nessuno si è chiesto cosa ci stavano a fare? Se c’è una normativa che li consente? Ebbene sì, in base al DECRETO-LEGGE 12 luglio 2011, n. 107 Proroga (delle missioni internazionali delle forze armate e di polizia e disposizioni per l’attuazione delle Risoluzioni 1970 (2011) e 1973 (2011) adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nonché degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione). Misure urgenti antipirateria. (11G0148) (GU n.160 del 12-7-201) ha permesso la convenzione tra gli armatori e il Ministero della “Difesa” (ma forse si intende difesa degli armatori e degli industriali in genere).

   Ci si chiederà se è possibile che un corpo di élite della marina non abbia nulla di più importante a cui pensare che fare la guardia giurata dei privati?    Esso è possibile poiché è un nuovo modo per fare cassa, poiché gli armatori sono pagati dal ministero. Dopo dismissioni e svendite del patrimonio, tasse e tagli a spese sociali, istruzione e ricerca, ecco a voi affitto di militari scelti. Un’ulteriore dimostrazione che l’austerità non ha come conseguenza solo il peggioramento delle condizioni sociali ma arricchimento di chi è già ricco.

   Del resto, ci siamo abituati all’impiego dell’esercito per cose che non gli competono istituzionalmente, per spot elettorali, tipo la “sicurezza” o l’emergenza neve; situazioni nate per dare solennità e importanza ad alcuni temi.

[8] L’episodio più grave di repressione si ebbe a St Peter’s Fields, vicino a Manchester, nel 1819, quando fu usata la cavalleria per disperdere un raduno di 50 000 persone che chiedevano una riforma parlamentare, provocando undici morti e 500 feriti. Questa strage fu approvata da tutta la classe politica inglese: e poiché anche il duca di Wellington, il vincitore della battaglia di Waterloo, espresse pubblicamente il suo sostegno nei confronti degli ufficiali che avevano ordinato la carica dei dimostranti, l’episodio venne sarcasticamente ribattezzato massacro di Peterloo.

LA PANDEMIA DEL DEBITO

•ottobre 25, 2020 • Lascia un commento

   In questi mesi la maggior parte della popolazione  (giustamente) si è concentrata sul Covid 19. Dal mio modesto punto di vista ritengo che bisognerebbe concentrarsi anche su un altro tipo di pandemia: quella dei debiti pubblici e privati che si stanno propagando nel mondo.

   Gli effetti del debito sono descritti dal compianto Gianfranco Bellini[1] e uscito postumo nel 2013, nel libro intitolato La bolla del dollaro – Ovvero i giorni che sconvolgeranno il mondo, edito da Odradek. Nella Bolla del dollaro si trovano riferimenti teorici, storici ed analitici che possono essere utili ad analizzare la situazione attuale. Nel frastuono di parole che i media, con ore di trasmissioni televisive sempre fuorvianti, di valanghe di notizie molte volte inattendibili  che servono ad anestetizzare la pubblica opinione, poco spazio si è dato al summit che si è tenuto il 27 – 29 agosto 2020  a Jackson Hole, in Wyoming, che è stato uno degli appuntamenti economici più attesi e importanti dell’anno, utilizzato dai banchieri centrali per mandare messaggi di politica monetaria.[2] Il tema di discussione era senza dubbio molto impegnativo: Navigare nel prossimo decennio: implicazioni per la politica monetaria. Star dell’evento è stato Jerome Powell presidente della Federal Reserve (Fed) e custode della valuta più indebitata, ma si badi bene non inflazionata, dell’intero globo terrestre,  se consideriamo che un debito di 26.712 miliardi di dollari non può più essere contenuto nei ristretti confini del pianeta Terra. Powell ha dichiarato che la Fed non si opporrà ideologicamente ad un livello di inflazione intorno al 2%, se questo sarà da stimolo alla crescita dell’occupazione. Non un accenno sul vertiginoso aumento del debito americano, di oltre 3.000 miliardi di dollari realizzatosi da marzo ad oggi, oppure per il suo improbabile contenimento, pensando alle tensioni inflazionistiche previste in percentuale assai contenute se rapportate alla massa monetaria espressa in dollari. Bisogna intendersi cosa intende dire Powell quando parla di tolleranza al 2%. Magari il capo della Fed sta mandando un messaggio alle classi dirigenti americane che si apprestano a scegliere il prossimo presidente attraverso la pantomima delle elezioni.  Powell ad esempio potrebbe sottendere che arrivare a un cambio di 1 dollaro per 0,70£ nei prossimi mesi non sarebbe tollerabile (oggi al cambio 1 dollaro per il 0,84£).  Bisognerebbe tenere d’occhio i rapporti di cambio tra le monete da novembre in avanti. Inoltre, bisognerebbe prestare attenzione al titolo del convegno Navigare nel prossimo decennio, assieme a un ulteriore riflessione: i banchieri centrali si stanno dando un orizzonte temporale definito e neppure troppo ampio. Nelle segrete stanze, e non in convegni pubblici, essi sanno che qualcosa dovrà succedere per forza nei prossimi anni.  

   Nel mondo occidentale il debito pubblico dilaga: il debito delle   corporation cresce, il debito delle aziende aumenta, il debito privato s’ingrandisce. Il Covid-19 sta accelerando questi processi, la cui velocità aumenta costantemente senza sapere effettivamente dove si vada a finire, nell’incerta certezza che per pura magia (magari per eredità culturale di Harry Potter o meglio ancora di Mago Merlino) non si andrà a sbattere contro nessun ostacolo. Ma sarà davvero così?

   Nella Bolla del Debito capitale reale e capitale fittizio vengono correttamente presentati in completa antitesi. Per quanto riguarda il capitale reale non si può che fare riferimento alla fondamentale opera di Marx DasKapital  (in italiano Il Capitale). Per quanto riguarda il capitale fittizio. Bellini fa notare che l’approfondimento teorico è ancora lacunoso e soggetto a critiche  e allo stato attuale una definizione di capitale fittizio, di potrebbe dire che c’è in esso il superamento del classico della formula classica di Marx  D-M-D’ (denaro-merce-più denaro).[3] Nella sostanza “Il Capitale Fittizio è quella parte di capitale che non può essere  simultaneamente convertita in valori d’uso esistenti. È un’invenzione che è assolutamente necessaria per la crescita del capitale reale, costituisce il simbolo di fiducia nel futuro. Si tratta di una finzione necessaria ma costosa e prima o poi crolla a terra”. Lavoriamo su questa definizione dove troviamo essenziali per comprendere perché il fittizio è il debito ed il debito è il capitale fittizio. Analizziamola la prima parte della definizione: “Il Capitale Fittizio è quella parte di capitale che non può essere simultaneamente convertita in valori d’uso esistenti…”. Nel  Capitale di Marx è la merce che contiene valori d’uso e valore di scambio, la continua trasformazione di denaro in merce e di merce in denaro genera il capitale reale. Il capitale fittizio è invece avulso da questo meccanismo, la sua generazione non dipende da fattori produttivi e commerciali, è una sorta di auto generazione perpetrata da enti che sono in grado di creare e moltiplicare denaro (banche centrali ed istituti privati). Essi hanno storicamente avuto freni inibitori in quest’azione speculativa dove alla fine sono progressivamente indeboliti. Freni inibitori importanti fino allo scoppio della prima guerra mondiale: lo sterling era il derivato (capitale fittizio) della sterlina,[4] il quale era convertibile in oro secondo i sacri dettami del Gold Standard. Una delle ragioni a fondamento della prima guerra mondiale fu lo squilibrio fra gli Sterling Bills circolanti e l’insufficiente riserva d’oro della Banca d’Inghilterra per garantirli. Un successivo indebolimento avvenne nel primo dopoguerra, allorché il dollaro di fatto affiancò la sterlina quale moneta di riferimento del commercio mondiale e quindi gli inglesi e gli americani poterono creare capitale fittizio tramite i rispettivi bills (cambiali, titoli di credito commerciali ecc.) fortemente utilizzati per le transazioni internazionali, ma a loro volta soggetti alla speculazione finanziaria. Un ulteriore ridimensionamento vi fu a seguito degli accordi di Bretton Woods del 1944, ed al passaggio al Gold Exchange Standard. Le monete europee rappresentanti di paesi accumunati dalla distruzione fisica ed economica dovute alla seconda guerra mondiale (senza particolari distinzioni tra vincitori e vinti), persero la possibilità di convertirsi in oro, delegando al solo dollaro questa possibilità. La sterlina abdicò definitivamente al proprio ruolo di moneta di riferimento a favore del biglietto verde USA.  Negli Cinquanta e Sessanta, le necessità vere o presunte di far fronte alla cosiddetta guerra fredda contro il “blocco socialista” a guida revisionista e la Repubblica Popolare Cinese, sia dalle due guerre calde determinate dalle guerre di liberazione rivoluzionaria della Corea e del Vietnam, indussero ben presto le autorità monetarie a premere sull’acceleratore dell’indebitamento e della conseguente creazione di capitale fittizio fino a giungere al primo default del debito americano dell’agosto 1971, allorché il presidente Richard Nixon decretò la sospensione della convertibilità del dollaro in oro (35 dollari per un oncia Troy[5]). Dal Gold Exchange Standard si passò al Dollar Standard, attualmente in vigore, ed alla possibilità per le autorità monetarie USA di creare debito senza limiti e quindi generare capitale fittizio a profusione per alimentare la voracità di Wall Street da un lato, e l’enorme costosissima macchina militare, compreso il suo notevole indotto industriale, dall’altro. Mai dimenticare che il privilegio di avere la valuta di riferimento lo si conquista e lo si difende sul campo di battaglia. Veniamo ora alla seconda parte della definizione: “E’ un’invenzione che è assolutamente necessaria per la crescita del capitale reale, costituisce il simbolo di fiducia nel futuro…”. Il capitale fittizio è invenzione, è frutto della fantasia di banche ed istituiti finanziari che operano anche tramite il mercato borsistico, loro complice in nefandezze bancarie. Facciamo l’esempio dei Subprime oggetto della bolla esplosa nel 2008. Al rapporto reale di erogazione di un mutuo a fronte dell’acquisto di una casa, banche e finanziarie costruiscono una serie di prodotti finanziari derivati costruiscono una serie di prodotti finanziari derivati che inglobano il rapporto mutualistico, per poi venire a loro volta inclusi in altri prodotti finanziari, moltiplicando così il valore del debito originario. Fino al momento dell’esplosione della bolla, la vendita sul mercato tali prodotti speculativi genera denaro vero che ritorna “impropriamente” sotto forma di capitale investito, in questo senso ai alimenta il capitale reale, il capitale fittizio costituisce il simbolo di fiducia nel futuro perché tale sistema si fonda sulla convinzione che il sottostante rapporto reale, un debitore in carne ed ossa che paga regolarmente le rate del mutuo, non cesserà mai di adempiere al proprio dovere “sociale”. Su questa fiducia la speculazione moltiplica i valori senza porsi limiti. Allorché tale debitore viene meno a tale obbligo abbiamo è la crisi del 2008.

LA FASE TERMINALE DELLA CRISI?

   E’ errato sostenere (come fanno i riformisti vecchi e nuovi) che l’attività economica complessiva è stata abbandonata alla libera iniziativa di tanti singoli individui. Al contrario la sua direzione è stata sempre più concentrata nelle mani di un ristretto numero di capitalisti e di loro commessi. In secondo luogo, con la mondializzazione del Modo di Produzione Capitalista e, il passaggio del capitale finanziario a ruolo guida del processo economico capitalista, la cosiddetta “globalizzazione”, la finanziarizzazione, la speculazione ha permesso alla borghesia, di ritardare il collasso dell’economia. Con l’estorsione del plusvalore estorto ai lavoratori o con le plusvalenze delle compravendite di titoli, i capitalisti hanno soddisfatto il loro bisogno di valorizzarsi il loro capitale e accumulare e accumulare. I bassi salari dei proletari (in tutti i paesi imperialisti compresi gli USA il monte salari è stato una percentuale decrescente del PIL) sono stati in una certa misura compensati dal credito: grazie a ciò il potere di acquisto della popolazione è stato tenuto elevato milioni di famiglie si sono indebitate, le imprese sono riuscite  a vendere le merci prodotte e hanno investito tenendo alta la domanda di merci anche per questa via.

   Si è trattato di un’autentica esplosione del credito al consumo attraverso l’uso generalizzato del pagamento a rate per ogni tipo di merce, delle carte di credito a rimborso generalizzato, nel proliferare come funghi di finanziarie che nei canali televisivi offrivano credito facile (persino anche a chi ha avuto problemi di pagamento!). Questo fenomeno si è diffuso dagli USA a tutti i paesi occidentali, dove in paesi come l’Italia (dove tradizionalmente le famiglie hanno sempre teso al risparmio), l’indebitamento delle famiglie occidentali è salito in pochi anni, in Spagna è salito al 120% del reddito mensile e in Gran Bretagna è arrivato a essere riconosciuto come una patologia sociale.

   Ma nonostante la droga creditizia messa in atto, il collasso delle attività produttrici di merci non è stata evitata e a causa della bolla immobiliare dei prestiti ipotecari USA e del crollo  del prezzo dei titoli finanziari, si restringe il credito.

   Bisogna considerare, inoltre, che la massiccia profusione di credito introdusse numerosi squilibri nel sistema poiché l’aumento del credito concesso non era accompagnato dalla crescita dei depositi liquidi  atti a fronteggiare eventuali fallimenti dei debitori. Il problema nasce dal fatto è che questo sistema poggia sulla continua rivalutazione delle attività finanziarie, cui all’origine sta il rientro dei debiti contratti e a valle la fruibilità dei prestiti fiduciari tra le istituzioni di credito. Poiché le passività tendono a essere molto più liquide delle attività (è più facile pagare un debito che riscuoterlo), l’assottigliamento dei depositi significa che in corrispondenza di una svalutazione degli assetti finanziari che intacchi la fiducia, le banche diventano particolarmente esposte al rischio d’insolvenza.

   Le chiavi attorno a cui ruotò l’intero meccanismo furono essenzialmente quattro:

  1. I Veicoli d’Investimento Strutturato (Siv). Si presentano come una sorta di entità virtuali designate a condurre fuori bilancio le passività bancarie, cartorizzarle e rivenderle. Per costruire una Siv, la “banca madre” acquista una quota consistente di obbligazioni garantite da mutui ipotecari, chiamati Morgtgagebaked Securities (Mbs). La Siv, nel frattempo creata dalla banca, emette titoli a debito a breve termine detti assett-backed commercial paper – il cui tasso di interesse è agganciato al tasso di interesse interbancario (LIBORrate) – che servivano per acquistare le obbligazioni rischiose dalla “banca madre”, cartorizzarle nella forma di collateralizet debt obligation (Cdo)  e rivenderle ad altre istituzioni bancarie, oppure a investitori come fondi pensione o hedge fund. Per assicurare gli investitori circa la propria solvibilità, la banca madre attiva una linea di credito che dovrebbe garantire circa la solvibilità nel caso in cui la Siv venga a mancare della liquidità necessaria a onorare le proprie obbligazioni alla scadenza. Quando nell’estate del 2007, la curva dei rendimenti – ossia la relazione che i rendimenti dei titoli con maturità diverse alle rispettive maturità – s’invertirà e i tassi di interesse a lungo termine diventeranno più bassi di quelli interbancari a breve termine, la strategia di contrarre prestiti a breve termine (pagando bassi tassi di interesse) si rivelerà un boomerang per le banche madri, costrette ad accollarsi le perdite delle Siv.
  2. Colleteralized Debt Obligation (Cdo).  La cartolarizzazione è una tecnica finanziaria che utilizza i flussi di cassa generati da un portafoglio di attività finanziarie per pagare le cedole e rimborsare e rimborsare il capitale di titoli di debito, come obbligazioni a medio – lungo termine, oppure carta commerciale a breve termine. Il prodotto cartoralizzato divenuto popolare con lo scoppio della crisi è il Cdo ossia un titolo contenente garanzie sul debito sottostante. Esso ha conosciuto una forte espansione dal 2002 al 2003, quando i bassi tassi di interesse hanno spinto gli investitori ad acquistare questi prodotti che offrivano la promessa di rendimenti ben più elevati.
  3. Agenzie di rating. Sono società che esprimono un giudizio di merito, attribuendone un voto (rating), sia sull’emittente, sia sul titolo stesso. Queste agenzie non hanno alcuna responsabilità sulla bontà del punteggio diffuso. Se il titolo fosse sopravalutato, le agenzie non sarebbero soggette ad alcuna sanzione materiale, ma vedrebbero minata la loro “reputazione”. Tuttavia, data la natura monopolista dell’ambiente dove operano, anche se tutte le agenzie sopravalutassero i giudizi, nessuna sarebbe penalizzata.
  4. Leva finanziaria. Essa è il rapporto fra il titolo dei debiti di un’impresa e il valore della stessa impresa sul mercato. Questa pratica è utilizzata dagli speculatori e consiste nel prendere a prestito capitali con i quali acquistare titoli che saranno venduti una volta rivalutati. Dato il basso costo del denaro, dal 2003 società finanziarie di tutti i tipi sono in grado di prelevare denaro a prestito (a breve termine) per investirlo a lungo termine, generando profitti. Per quanto riguarda la bolla, l’inflazione dei prezzi immobiliari sta alla base della continua rivalutazione dei titoli cartolarizzati che ha spinto le banche a indebitarsi pesantemente per acquistare Cdo, lucrando sulla differenza tra i tassi della commercial papers emessi dalle Siv e i guadagni ottenuti, derivanti dall’avvenuto apprezzamento dei Cdo. In realtà, si è giunto al cosiddetto “effetto Ponzi” in cui la continua rivalutazione dei Cdo non era basata sui flussi di reddito sottostante, ma su pura assunzione che il prezzo del titolo sarebbe continuato ad aumentare.

Questa bolla non è certamente esplosa per caso.

   La New Economy, ha visto forti investimenti in nuove tecnologie informatiche (TIC): ma alla fine i forti incrementi di produttività non hanno compensato i costi della crescita dell’intensità del capitale, e quindi la sostituzione del capitale al lavoro.[6]

   L’indebitamento delle famiglie come si diceva prima, era stato favorito dal basso costo del denaro che favorì una crescita dei processi di centralizzazione, l’indebitamento delle imprese e appunto delle famiglie, la finanziarizzazione dell’economia e l’attrazione degli investimenti dall’estero. Ne conseguì un boom d’investimenti nel settore delle società di nuove tecnologie infotelematiche, in particolare sulle giovani imprese legate a Internet; con la conseguente crescita fittizia della New Economy che alimentò gli ordini di computer, server, software, di cui molte imprese del settore manifatturiero erano forti utilizzatrici e le imprese produttrici di beni d’investimento in TIC avevano visto esplodere i loro profitti e accrescere i loro investimenti. Ma, a causa degli alti costi fissi e dei prezzi tirati verso il basso dalla facilità di entrata di nuove imprese nel settore della New Economy, queste ultime accumularono nuove perdite e quando cercavano di farsi rifinanziare (avendo molte di queste società forti perdite) la somma legge del profitto che regola l’economia capitalistica indusse i vari finanziatori a stringere i cordoni della borsa in quanto avevano preso atto della sopravvalutazione al loro riguardo e le più fragili videro presto cadere attività e valore borsistico. Si sgonfiò così il boom degli investimenti in TIC.

   Dopo la fine della New Economy nel 2001 le autorità U.S.A. favorirono l’accesso facile al credito a milioni d’individui, in particolare per l’acquisto di case come abitazione principale o come seconda casa. Tra il gennaio 2001 e il giugno 2003 la Banca Centrale USA (FED) ridusse il tasso di sconto dal 6,5% al 1% . Su questa base le banche concedevano prestiti per costruire o acquistare case con ipoteca sulle case (senza bisogno di disporre già di una certa somma né di avere un reddito a garanzia del credito). I tassi di interesse calanti garantivano la crescita del prezzo delle case. Ad esempio, chi investiva denaro comprando case da affittare, il prezzo delle case era conveniente finché la rata da pagare per il prestito contratto per comprarle restava inferiore all’affitto. Il prezzo cui era possibile vendere le case quindi saliva man mano che diminuiva il tasso d’interesse praticato dalla FED. La crescita del prezzo corrente delle case non copriva le ipoteche, ma consentiva di coprire nuovi prestiti. Il potere d’acquisto della popolazione USA era così gonfiato con l’indebitamento delle case.

   Ma quando la FED, per far fronte al declino dell’imperialismo U.S.A. nel sistema finanziario mondiale (l’euro sta contrastando l’egemonia del dollaro, poiché molti paesi, per i loro scambi e i processi di regolamentazione delle partite correnti tra merci cominciano a preferire l’euro) nel 2007 riporta il tasso di sconto al 5,2% fa scoppiare la bolla nel settore edilizio USA e causa il collasso delle banche che avevano investito facendo prestiti ipotecari di cui i beneficiari non pagavano più le rate. Questo a sua volta ha causato il collasso delle istituzioni  finanziarie che avevano investito in titoli derivati dai prestiti ipotecari che nessuna comprava più, perché gli alti interessi promessi non potevano più arrivare. Tutto questo, alla fine, provocò il collasso del credito, la riduzione della liquidità e del potere di acquisto.  Diminuzione degli investimenti e del consumo determinano il collasso delle attività produttrici di merci.

   Se si guarda il percorso storico della crisi, dagli anni ’80, si nota che le attività produttrici stavano in piedi grazie a investimenti e consumi determinati dalle attività finanziarie. Quando queste collassano anche le attività produttrici crollano.

   Le autorità pubbliche di uno stato borghese, per rilanciare l’attività economica, le uniche cose che possono fare rimanendo dentro l’ambito delle compatibilità del sistema, sono:

  1. Finanziare con pubblico denaro le imprese capitaliste.
  2. Sostenere (sempre con pubblico denaro) il potere d’acquisto dei potenziali clienti delle imprese.
  3. Appaltare a imprese capitalistiche lavori pubblici.

   Per far fronte a questi interventi, le autorità chiedono denaro a prestito, proprio nel momento in cui le banche non solo non danno prestiti ma sono anche loro alla ricerca di denaro perché ognuna di esse possiede titoli che non riesce a vendere. Infatti, chiedono denaro per non fallire e per non negare il denaro depositato sui conti correnti presso di loro. Si sta creando un processo per cui le banche centrali fanno crediti a interesse zero o quasi alle banche per non farle fallire, le stesse banche che dovrebbero fare prestiti allo Stato. Essendo a corto di liquidità lo fanno solo con alti interessi e pingui commissioni. Lo Stato così s’indebita sempre di più verso banche e istituzioni finanziarie, cioè verso i capitalisti che ne sono proprietari. Finché c’è fiducia che lo Stato possa mantenere i suoi impegni di pagare gli interessi e restituire i debiti, i titoli di debito pubblico diventano l’unico investimento finanziario sicuro per una crescente massa di denaro che così è disinvestita da altri settori.

   Per far fronte alla crisi ogni Stato cerca di chiudere le proprie frontiere alle imprese straniere e forzare altri Stati ad aprire a loro. Quindi tutti i mezzi di pressione sono messi in opera. La competizione fra Stati e il protezionismo dilaga, come dilaga nazionalismo, fondamentalismo religioso, xenofobia, populismo, insomma tutte le ideologie che in mancanza di un’alternativa anticapitalista si diffondono tra i lavoratori e che sono usate dalle classi dominanti per ricompattare il paese (bisogno di creare un senso comune, di superare le divisioni politiche – qui in Italia in questo quadro bisogna vedere il superamento della divisione tra fascismo/antifascismo).

IL RUOLO DELLO STATO NELLA CREAZIONE DEL CAPITALE FITTIZIO

   la borghesia finanziaria[7] fa un uso privatistico dello Stato per creare capitale fittizio a costante sostentamento delle attività speculative. La Bolla del dollaro ci richiama alla genesi dell’intervento dello Stato in economia, nota eresia per il pensiero liberista classico, come soluzione della crisi economia del 1929.

   Gli economisti che sostengono l’intervento statale nell’economia sostenevano la tesi che il capitalismo sia governabile. Ideologi borghesi quali Sombart, Liefman, Schulze-Gaevenitz e riprese poi dai teorici della Seconda Internazionale quali Kautsky e Hiferding sostenevano la tesi del “capitalismo organizzato”.[8] Queste posizioni erano favorite dal fatto che nel periodo 1870/1914 ci fu un lungo periodo di assenza fra i paesi imperialisti.[9] I teorici del “capitalismo organizzato” sostenevano che nella società borghese moderna si riduceva progressivamente il campo delle leggi economiche operanti e ampliava in modo straordinario quello della regolamentazione cosciente dell’attività economica per opera delle banche.

   Queste teorie del “capitalismo organizzato “naufragarono nelle trincee della prima guerra mondiale, ma furono riprese all’inizio della grande depressione degli anni Trenta. In quel periodo nei circoli academici anglo-americani, in particolare Keynes ripresero il tentativo di dare un governo all’economia capitalista.

   Partendo dalla tesi che la stagnazione era causata dalla mancanza di investimenti produttivi ad un livello adeguato da parte dei capitalisti, che sono gli unici in una società borghese hanno i mezzi e sono nelle condizioni prendere l’iniziativa in campo economica. Secondo Keynes gli Stati devono creare una domanda di consumo finanziata col disavanzo statale. Keynes sosteneva che manovrando questa domanda attraverso la spesa pubblica e mettendo “degli incentivi a spendere” si poteva mantenere un livello di produzione che limitasse la disoccupazione.

   Le diverse soluzioni politiche che le borghesie dei vari paesi imperialisti hanno assunto negli anni Trenta (New Deal negli USA, nazionalsocialismo in Germania) erano caratterizzate da elementi comuni quali l’intervento dello Stato per razionalizzare l’economia.

   A essere precisi questo fenomeno dell’intervento dello Stato nell’economia era cominciato molto prima, ma fino al 1914 era rimasto sporadico o solo abbozzato:

   Vi sono stati due modelli di intervento statale nel mondo capitalista, da un lato la modalità degli Stati Uniti di Roosevelt e della Germania di Hitler, dall’altra la modalità dell’Italia di Mussolini. Il periodo è lo stesso: il primo lustro degli anni Trenta.

   In questo periodo  negli Stati Uniti l’azione del neo presidente Franklin Delano Roosevelt, a partire dai famosi primi 100 giorni del 1933, sinteticamente si rivolgono a tre aree d’intervento: l’area finanziaria, mettendo qualche briglia alle attività di Borsa tramite l’istituzione di una commissione di controllo sulle operazioni, ma soprattutto dividendo in modo netto l’attività delle banche commerciali (raccolta del piccolo e medio risparmio privato e loro investimento nei settori produttivi tradizionali) da quello delle banche di affari (gestione dei grandi patrimoni ed attività speculative); la seconda area riguarda il ruolo dello Stato (tramite apposite agenzie) come datore di lavoro, la più famosa delle quali fu certamente la Tennessee Valley Authority, con lo scopo di rilanciare economicamente la valle del fiume Tennessee soprattutto tramite la sua completa elettrificazione; infine nel campo fiscale dove, cosa incredibile se pensiamo alle risibili aliquote delle imposte dirette sugli alti redditi di oggi (in Italia la maggiore è il 43 per cento). Roosevelt gravò i redditi maggiori con aliquote fino al 79 per cento. Tutte queste azioni, tuttavia, non misero mai in discussione la proprietà privata di aziende ed istituti finanziari.

   Adolf Hitler, andato al potere agli inizi del 1933, si affidò per il rilancio dell’economia del Reich “millenario” ad un veterano della finanza tedesca del primo dopoguerra: Hjalmar Schacht. Già responsabile dell’economia nella Repubblica di Weimar nel 1923, presidente della Reichbank nel 1924. Nella sua azione governativa in economia, Schacht aderì al modello Rooseveltiano delle grandi opere pubbliche, che nel caso tedesco furono necessariamente ed immediatamente finanziate generando debito (capitale fittizio), che qualcuno tra Lombard Street[10] e Wall Street pensò bene di garantire, essendo la Reichbank impossibilitata a farlo. Il rapporto dello Stato con le grandi corporation tedesche fu subito quello di un’economia volta alla preparazione di un grande esercito e di una potente aeronautica: quindi soldi a profusione ai settori degli armamenti, meccanici ed automobilistici (come la Volkswagen, nata da un accordo siglato tra Hitler e Ferdinand Porsche). Anche nel caso tedesco le grandi banche ed i grandi agglomerati industriali (Krupp, Siemens, Bosch) non ebbero mai nulla da temere circa la saldezza dei pacchetti azionari nelle mani delle famiglie fondatrici.

   Come Roosevelt, anche Mussolini varò una legge bancaria nel 1933 che prevedeva la divisione tra banche di affari e banche commerciali. Ma in Italia si fece un passo che USA e Germania non si sognarono mai di fare: il salvataggio di banche ed industrie venne pagato proprio dai possessori dei pacchetti azionari, che dovettero cederli all’Istituto di Ricostruzione Industriale (IRI) fondato da Alberto Beneduce[11]. In ogni caso, in misura diversa e con modalità differenti, Stati Uniti, Germania ed Italia vararono ufficialmente e come politica strutturale l’era dell’intervento statale nell’economia. Anche la Gran Bretagna diede il suo contributo accademico, tramite l’opera di John Maynard Keynes, la cui divulgazione di uno dei due modelli, ovviamente quello che non metteva in pericolo i pacchetti azionari dei benefattori di denaro pubblico, contribuì alla diffusione dell’intervento statale nell’economia  nel mondo occidentale, soprattutto nel secondo dopoguerra. I due modelli di intervento statale ebbero diverse evoluzioni, dovute anche agli esiti della seconda guerra mondiale. Di fatto, il modello rooseveltiano venne quasi subito sostituito da un intervento di tipo finanziario: le agenzie governative del New Deal scemarono d’importanza, e lo Stato Federale da “datore di lavoro” diventò “committente” soprattutto nei confronti delle industrie belliche.

   Per ricapitolare: l’intervento dello Stato a partire dagli anni Trenta divenne permanente e più massiccio; la tendenza alla trasformazione in proprietà dello Stato di interi settori dell’industria e al dirigismo statale dell’economia nazionale si è affermato in tutti i paesi dominati dalla borghesia. Questa tendenza al capitalismo di Stato non cambia i rapporti di produzione, non rappresenta nessuna novità qualitativa nei confronti del capitalismo classico, anzi ne è l’estrema conseguenza. Le nazionalizzazioni, i monopoli statali, ecc. non sorgono, in sistema capitalistico, come conseguenze della prosperità economico, ma come risposta alla crisi, come mezzi per salvare dal fallimento e perpetuare i monopoli di questo o quel ramo dell’industria; il controllo dello Stato sull’economia nazionale serve ad impedire attraverso la centralizzazione delle decisioni, il tracollo del sistema sotto il peso delle sue contraddizioni.

   Tornando all’epoca contemporanea, le esigenze della cosiddetta guerra fredda portarono il Tesoro americano all’indebitamento progressivo che costringerà Washington ad abbandonare il Gold Exchange System nel 1971.

 Il modello italiano, invece, si sviluppò ulteriormente: al gigante IRI si affiancano i giganti pubblici ENI ed ENEL. È il boom economico di questo paese, che è bene sottolineare, non fu mai a trazione privata. Il modello italiano di intervento pubblico ha dei tratti diversi rispetti a quello degli altri paesi occidentali, poiché tendeva a formare quella che veniva definita un “economia mista”, quando in realtà sarebbe corretto che si creavano delle FAUS (Forme Antitetiche dell’Unità Sociale).

   Le FAUS sono istituzioni e procedure con cui la borghesia cerca di far fronte al carattere collettivo oramai assunto dalle forze produttive, restando però sul terreno della proprietà e dell’iniziativa individuale dei capitalisti. Per farvi fronte crea istituzioni e procedure che sono in contraddizione con i rapporti di produzione capitalisti. Sono mediazioni tra il carattere collettivo delle forze produttive e i rapporti di produzione che ancora sopravvivono. Sono ad esempio FAUS le banche centrali, il denaro fiduciario, la contrattazione collettiva dei rapporti di lavoro salariato, la politica economica dello Stato, ecc.

    In tale sistema la produzione di capitale fittizio da parte dello Stato è sostituita dalla crescita del PIL agevolata dal ruolo direttivo dello Stato esercitato tramite il Ministero delle Partecipazioni statali. Nel 1964, in pieno boom economico, quando l’economia italiana cresce in media del 5% annuo sostanzialmente senza inflazione, il rapporto debito-Pil si trova al 33%.

   Nonostante gli anni Settanta vedono un oggettivo aumento dell’inflazione e della spesa pubblica, anche grazie alle conquiste dei lavoratori, lo Stato non genera debito: nel 1981 si trova ancora al 60% del Pil. Negli anni Ottanta, al ruolo dello Stato “direttore” dell’economia si affianca il ruolo di “sovvenzionatore” sia dell’economia privata che di un Welfare che si sbilancia sul lato della spesa (ad esempio le baby pensioni). La produzione del debito inizia ad eccedere la capacità di crescita del sistema di “economia mista”.

   La  caduta del muro di Berlino in Italia decreta la fine di molte FAUS per abbracciare un liberismo spinto al suo estremo. Il fallimento morale, politico, economico e sociale delle famigerate privatizzazioni selvagge degli anni Novanta guidate da Mario Draghi e Romano Prodi sono sotto gli occhi di tutti, basta pensare alla gestione Benetton delle autostrade italiane ed alle vicende legate al ponte Morandi di Genova.

   Gli anni Novanta rappresentano il trionfo del liberismo più o meno estremo (in Italia estremissimo) in tutto il mondo; tuttavia questo passaggio alla magia del mercato ha bisogno subito della generazione di tanto debito e quindi di capitale fittizio: dal 1991 al 2001 ultimo decennio della lira si passa dal 98,6 al 108,7 del rapporto debito Pil. L’ingresso del bel paese nella moneta unica non muta il trend: si passa dal 105,5 del 2002 al 126,1 del 2012 (complice la crisi dei Subprime), per poi superare brillantemente il 135 per cento nel 2019, per non parlare del 2020 ancora in corso.

CAPITALE FITTIZIO E LOTTA DI CLASSE

   La lotta di classe non è mai finita, lo sappiamo bene, semplicemente dalla caduta del muro di Berlino ad oggi nei paesi imperialisti centrali, la borghesia ne ha maggior coscienza ed è all’offensiva. Altro discorso è quello che avviene nei paesi del Sud del mondo poiché a livello politico la contraddizione principale è imperialismo (principalmente U.S.A.)/popoli oppressi. Massima espressione di questa contraddizione sono le guerre popolari in atto condotte da partiti comunisti guidati dal marxismo leninismo maoismo. Contraddizione che si sta fondendo con la contraddizione fondamentale classe operaia/capitale, poiché la classe operaia si è allargata a livello mondiale in termini assoluti, se si considera (pur con dati parziali) che la classe operaia mondiale abbia superato il miliardo di componenti e tendendo conto delle migrazioni verso i paesi imperialisti, dove ormai i lavoratori migranti sono una quota rilevante della classe operaia di questi paesi, per questo motivo nelle metropoli imperialiste si può tranquillamente dire che siamo di fronte ad una classe operaia multinazionale.

   Come si diceva prima in Italia (come negli agli altri paesi imperialisti) è stata combattuta strenuamente ed efficacemente da una classe sola: la borghesia “finanziaria” internazionale, quella che frequenta Wall Street, la City di Londra, che partecipa al World Economic Forum di Davos; la stessa che detiene la proprietà dei mass media, che crea partiti e leader di plastica che, a loro volta, allestiscono il “palco delle elezioni democratiche”. La crescita di debito e la conseguente produzione di capitale fittizio sono un segnale dello sfacciato uso privatistico che la classe dominante fa dello Stato.  Poniamoci una domanda: come mai i paesi occidentali soffrono di deficit costanti e debiti pubblici e privati crescenti? Il caso Italia è illuminante sotto questo profilo. Le ragioni del maggior debito non risiedono, come comunemente viene fatto credere dai mass media di regime, dalla crescita della spesa pubblica, la quale in Europa ha avuto un aumento limitato e fisiologico a causa degli accordi di Maastricht. La ragione sta nella diminuzione tendenziale delle entrate, le cui cause sono ideologiche e politiche; vediamole. La principale e fondamentale causa, che accomuna tutti i paesi occidentali, è la progressiva diminuzione della tassazione sia sui redditi delle persone fisiche più elevati sia sulle grandi aziende, e l’inevitabile spostamento del peso della tassazione diretta quasi interamente sulla classe dei salariati. Il sistema fiscale dei paesi democratici borghesi funziona come lo sceriffo di Nottingham: prende tanto ai poveri per dare a piene mani ai ricchi (vedasi il recente “prestito Covid-19” ottenuto dalla Fiat per 6,3 miliardi di euro da Intesa San Paolo, garantiti dallo Stato e che molto probabilmente non saranno mai restituiti[12]). La classe dominante non sopporta l’offesa di pagare le tasse. Gli Stati Uniti sono passati dalle aliquote rooseveltiane (ma anche del predecessore Herbert Hoover) del 79% sui redditi più alti agli attuali 39% per redditi oltre i 500.000 dollari: hai voglia a restituire il debito USA. Per quanto riguarda le grandi corporation, il culto del mercato globale ha ispirato legislazioni fiscali che permettono ai grandi gruppi di eludere il fisco dei paesi dove producono il proprio reddito tramite complesse architetture societarie, che finiscono sempre per avere “holding” in paesi offshore oppure a tassazione agevolata come Olanda e Lussemburgo. Cercare poi di far pagare le giuste tasse ad Amazon, Google, Apple nei paesi europei, ad esempio, rappresenta un oltraggio per gli Stati Uniti che su questo tema sono pronti alle ritorsioni commerciali (ultima crisi è datata dicembre 2019).

   In Italia è tradizionalmente tollerata un’elevata evasione fiscale il cui dato esatto è un vero e proprio segreto di stato, ma che viene mediamente calcolata tra i 170 e 190 miliardi di euro l’anno. Siccome nel Bel Paese le grandi corporation sono poche e le piccole e medie imprese sono molte e tutte private, l’aver creato un fisco caotico, inefficiente e profondamente ingiusto ha agevolato la media e piccola borghesia nostrana ad escogitare numerose e fantasiose pratiche evasive quasi mai perseguite. Allora chi paga le tasse per intero? Ovviamente la classe dei salariati, soggetta al sostituto d’imposta e quindi impossibilitata ad evadere.

   Tuttavia, tartassare e dileggiare i salariati è necessario ma non sufficiente. La performance tributaria di questa classe si è fortemente deteriorata dagli anni Novanta in avanti, grazie alla solerte opera dei partiti di governo (partendo da quelli di sinistra, vedi le riforme Treu) votati allo smantellamento progressivo dei contratti nazionali e rendendo possibile ed estremamente conveniente precarizzare il lavoro. In Italia il gettito fiscale da salari e stipendi è diminuito per ragioni quantitative: l’epoca della privatizzazione e del liberismo senza appello ha fortemente diminuito il numero degli assunti in valore assoluto; e per ragioni qualitative: il valore e la stabilità dei contratti degli assunti è progressivamente diminuito, deprimendo quindi il relativo gettito fiscale. La soluzione è stata quella di alzare la tassazione indiretta, ulteriore decisione a sfavore delle classi meno abbienti.

   Oggi l’aliquota principale sul valore aggiunto in Italia è del 22%, e vi sono meccanismi “automatici” che prevedono l’inasprimento delle percentuali IVA in caso di deficit eccessivo. Negli Stati Uniti invece esiste una Sales Tax[13] che arriva solo all’11% (nondimeno il gettito IVA è determinato dai consumi domestici, anch’essi diminuiti seguendo fatalmente il declino del reddito delle persone fisiche, altro elemento depressivo delle entrate. Last butnotleast (come dicono i bravi scrittori anglosassoni), l’aumento del debito è dovuto alle politiche delle banche centrali come il Quantitative easing e dei tassi d’interesse vicini allo zero oppure negativi. Federal Reserve e Banca Centrale Europea hanno inondato il mercato di denaro a bassissimo costo, ma non è arrivato a tutti. Le Banche private debbono prestare denaro a tassi forzatamente bassi e che non permettono di coprire adeguatamente il rischio delle insolvenze. Trincerandosi dietro agli accordi di Basilea ed al sistema dei rating su famiglie ed aziende, gli istituti di credito prestano a sicuri solventi, cioè a coloro che non hanno bisogno di soldi, e difficilmente a coloro che ne hanno realmente necessità, quindi potenzialmente a rischio. Il risultato di questo giochino è una montagna di denaro messa a disposizione per acquisto di titoli del debito pubblico, per alimentare i private equity, gli edgefound e per le speculazioni di borsa anche a causa dello smantellamento di un altro pilastro delle politiche economiche degli anni Trenta: la distinzione tra banche commerciali e banche d’affari, tornate in un’inquietante simbiosi. Il Quantitative Easing tiene il denaro lontano dall’economia reale ed è uno strumento di generazione di capitale fittizio. Sommando tutti questi elementi, che sono i principali ma non gli unici, possiamo comprendere perché il mantenimento di un sistema occidentale, democratico borghese e liberista non può che avvenire attraverso i deficit dei bilanci annuali, quindi dell’aumento del debito complessivo ed in ultima istanza di produzione di capitale fittizio: le stigmate della classe borghese dominante.

IL CAPITALE FITTIZIO PUO’ ESSERE DISTRUTTO?

   Riprendiamo l’ultima parte della definizione di Capitale fittizio: “Si tratta di una finzione necessaria ma costosa, e prima o poi crolla a terra”. Fino ad ora abbiamo visto che il capitale fittizio, essendo frutto di invenzioni ed architetture finanziarie è totalmente estraneo alla produzione di capitale reale, e quindi viene necessariamente distrutto. Il capitale fittizio è generato dalla grande disponibilità di denaro derivante dall’espansione dei debiti pubblici, e moltiplicato dalle attività speculative della finanza.

Spostiamo quindi l’oggetto della riflessione sui debiti sovrani e sul loro futuro. Un assunto: un debito pubblico che supera una certa soglia (per convenzione diciamo il 100% del proprio PIL) non è rimborsabile né ora né mai. Tali debiti possono avere altri destini. Quando il debito non è espresso da una moneta di riserva e di riferimento internazionali come la sterlina fino al 1944 oppure il dollaro oggi, la sua distruzione è accompagnata dall’evaporazione della moneta che lo esprime. Il debito della Germania sconfitta nella Grande Guerra e vessata dal trattato di Versailles ha cessato di esistere e pagare interessi distruggendo il Papiermark[14], sostituito dal Rentenmark[15] prima e dal Reichmark[16] subito dopo.

   Queste monete tedesche, prive di significative riserve d’oro e valutarie a seguito delle sanzioni post belliche ed espressioni di un paese allo sbando economico, erano interamente garantite da dollaro e sterlina (quante cose non sappiamo dell’ascesa al potere di Hitler). Quando il debito è espresso nella moneta di riserva e riferimento internazionale, come oggi è il dollaro, esso è “protetto” dall’esercito, dalla marina e dell’aviazione della metropoli imperiale, che non esitano a persuadere, chiunque voglia utilizzare monete più sane, a cambiare immediatamente idea.

   Agli inizi del XXI secolo  vi fu un leader che non fu accorto e lesto nel mutare opinione a proposito di vendere petrolio contro euro. Gli americani prima devastarono il suo paese per la seconda volta e poi lo impiccarono: si chiamava Saddam Hussein[17]. Il debito americano sembrerebbe quindi eterno finché protetto dalle portaerei USA. Esistono infine debiti che, se fossero espressi nella moneta nazionale, sarebbero già dissolti evaporandone la moneta, ma avendo nominato tale debito con una valuta comunitaria, esso è garantito da tale moneta e quindi da altri paesi: è il debito italiano denominato in euro. Proviamo ora ad immaginare il Bel Paese che perdesse la garanzia di paesi creditori, siano essi UE oppure la Cina, se volessimo trattare l’arduo tema dell’uscita dell’Italia dalla moneta unica. Possiamo immaginare uno scenario dove gli italiani dovrebbero ridurre le proprie attività e gli spostamenti al minimo indispensabile; se i lavoratori dovrebbero essere legati ad un delimitato territorio, con divieto di oltrepassare determinati confini. Andrebbero dotati di un salvacondotto (anche sotto forma di autocertificazione) che dichiari i confini del fondo” all’interno del quale potersi muovere, ispirandosi in questo alla figura intermedia tra schiavo e uomo libero che fu per secoli il servo della gleba; chi invece non lavora, dovrebbe essere confinato nel proprio alloggio e basta. I servizi pubblici andrebbero ridotti sensibilmente: sportelli d’utilità generale come uffici comunali, INPS, Agenzia delle Entrate, Catasto eccetera dovrebbero rimanere chiusi il più possibile. Le scuole andrebbero chiuse e sostituite da forme d’istruzione (come le lezioni a distanza, anche in assenza di una infrastruttura di trasmissione dati dignitosa) che permetta agli scolari di stare a casa, con un risparmio anche su questa voce; l’accesso agli ospedali andrebbe regolato e concesso a chi può pagare, per talune malattie e non per altre, dando ai dirigenti sanitari la discrezionalità impunibile di scegliere di curare e chi lasciare al proprio destino; intere classi di pensionati, che beneficiano di forme di contribuzione antiche e quindi redditizie, andrebbero eliminati senza che nessuno fiati.

   Ad esempio, per una regione ricca di lavoratori a riposo provenienti dall’industria come la Lombardia, circa 17.000 persone morte  sarebbero un target adeguato. Luoghi e modalità di assemblamento andrebbero vietati, le assemblee sindacali nei posti di lavoro interdetti, i governi dovrebbero perpetrare stati di emergenza per prevenire sommosse, eccetera. Questo scenario, “del tutto ipotetico”, sarebbe compatibile per la sopravvivenza di un paese con un debito di 2.600 miliardi e nessuna possibilità di fare deficit. Ma se arrivassero 209 miliardi dai creditori, che per motivi geopolitici, sapendo di dare denaro a potenziali incapaci e disonesti scialacquatori, decidessero di salvare il debitore…. Per gli Stati Uniti il discorso è diverso. Il capitale fittizio primo o poi crolla a terra, eppure il congresso americano ha varato un allargamento di debito mai visto in un lasso di tempo ridottissimo: circa 3.000 miliardi di debiti creati da marzo 2020 ad oggi esta inondando Walle Street, banche private, private equity[18], società finanziarie, ecc. Quale destino può quindi avere un debito di 26.712 miliardi? Personalmente per quanto ne sappia ritengo impossibile che possa essere rimborsato. Potrebbe implodere internamente, il dollaro evaporerebbe in una iper inflazione mai vista prima della storia dell’umanità, rigorosamente accompagnato da uno spaventoso conflitto domestico che potrebbe avere connotati raziali, ad esempio inasprendo la tradizionale e diffusa brutalità della polizia ai danni delle minoranze, aggiungendo l’azione repressiva delle guardie nazionali dei vari  stati federali, magari (speriamo veramente di no) comprendendo come strumento repressivo l’uso di testate nucleari. Questo debito potrebbe esplodere esternamente, tramite un poderoso tentativo di dollarizzazione di altri importanti paesi attraverso l’aggressione militare. La Cina sarebbe l’obiettivo ideale per numero di abitanti e le dimensioni della sua economia. Con l’aiuto di ottimi eserciti ausiliari come quello giapponese e  coreano la guerra alla Cina (che viene fatta ovviamente per portare “democrazia” e “libertà” – sarebbe un’impresa ardua ma possibile. Non è impossibile che ci possa essere un conflitto interno alla NATO ad esempio fra la Turchia e la Grecia[19] che rischierebbe di infiammare tutto il Medio Oriente, che potrebbe determinare il blocco della produzione di petrolio, e non sarebbe da scartare un conflitto con la Russia magari con la scusa di soccorrere un governo con la facciata democratica guido ad arte da amici dell’occidente come Tikhanovskaya.

   Non bisogna scordare che ci saranno le elezioni americane per la presidenza e che non possiamo suddividerli tra presidenti “buoni” o “cattivi”, ma presidenti di  quello che è tutt’ora il maggior paese imperialista.  


[1] Gianfranco Bellini (Milano, 1952-Milano, 2012). Manager, esperto di sistemi informatici, studioso e critico di economia internazionale. Di famiglia proletaria e comunista dà vita con i fratelli Andrea e Marco, al Collettivo di quartiere Casoretto, passato alle cronache come “la banda Bellini”. Si iscrive alla Boccon, durante il servizio militare, milita nel Movimento dei soldati. Si laurea in Economia alla Bocconi, con una tesi sull’Economia di Piano in Unione Sovietica, sviluppata con la matematica lineare di Kantorovic, che lo indirizza ai temi dell’economia globale e a una propria visione geopolitica. Manager in molte multinazionali, dalla Barclays Bank alla Montedison alla IBM, successivamente e fino alla sua morte continua la sua militanza nella sezione Tematica Laika del PdCI che ha come elemento fondante la ricerca teorica sul Capitale e l’inchiesta militante alla maoista.

[2]  Questi summit sono l’appuntamento annuale per economisti e banchieri centrali organizzato dalla Fed. Prende il nome dalla vallata del Wyoming dove gli esperti di tutto il mondo dovrebbero avere un momento di riflessione. Un momento di relax favorito dalla pace della vallata e dalla splendida vista sulle montagne Grand Teton, tra boschi di conifere e fiumi blu. Negli ultimi anni tuttavia su Jackson Hole si sono proiettate le tensioni dell’economia mondiale. https://argomenti.ilsole24ore.com/parolechiave/jackson-hole.html

https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2020/08/27/news/fed_l_inflazione_non_conta_piu_-265651271/

[3] Marx ritiene che tale “più” monetario, ovvero Plusvalore, non debba essere cercato a livello di scambio di merci, bensì a livello della produzione capitalistica delle medesime.

[4] Sterlina è il nome italiano della valuta ufficiale del Regno Unito e di alcune parti di territorio sparse nel mondo, compresa un’area del Polo Sud definita “Territorio Antartico Britannico”. All’origine del suo nome deriva da “Sterling Silver“, una lega metallica composta per il 92.5% di argento e il 7.5% rame.

[5] L’oncia troy è un’unità di misura del sistema imperiale britannico. Al 2013, è la più comune unità di massa per i metalli preziosi, le gemme e la polvere da sparo e, come tale, è utilizzata per definire il prezzo di questi beni nel mercato internazionale

[6] Spinte dalla concorrenza le imprese se non volevano essere spazzate via hanno investito in nuove tecnologie e modernizzato il capitale produttivo, tutto ciò ha causato un aumento fortissimo dei costi.

[7] Questa frazione (dominante) della borghesia è l’espressione del  capitale finanziario che  si determina la fusione e l’equiparazione del capitale industriale con quello industriale e la stretta unione di entrambi con il potere dello Stato monopolista.

[8] All’interno del Movimento Comunista N. Bucharin sosteneva la tesi che il capitalismo dalla fine del XIX secolo ha avviato un processo di organizzazione che ha modificato seriamente il libero gioco delle forze della concorrenza.

[9] Non è certamente un caso che in questo periodo all’interno del movimento operaio nasce e si consolida il revisionismo.

[10] Lombard Street è una strada della Città di Londra, nota per i suoi legami, risalenti al Medioevo, con i mercanti, i banchieri e gli assicuratori della City. Viene perciò spesso paragonata a Wall Street a New York.

[11] Alberto Beneduce è stato un dirigente pubblico, economista, politico (era un socialista riformista)  e accademico italiano, amministratore di importanti aziende statali nell’Italia liberale e fascista, amministratore delegato dell’INA, tra gli artefici della creazione dell’IRI e suo primo presidente, oltre che ministro e deputato.

[12] https://www.ilsole24ore.com/art/fiat-chrysler-stretta-prestito-garantito-63-miliardi-la-filiera-italia-ADlxC6Q

[13] La sales tax è la tassa sulla vendita di prodotti e servizi applicata in America ed è pagata dal consumatore finale al momento dell’acquisto.

[14] Il nome Papiermark si applica alla valuta tedesca dal 1914 quando il collegamento tra il Marco e l’oro fu abbandonato, a causa dello scoppio della I guerra mondiale. In particolare, il nome fu usato per le banconote emesse durante il periodo dell’iperinflazione in Germania nel 1922 e specialmente nel 1923.

[15] Il Rentenmark è stato la valuta emessa il 15 novembre 1923 per fermare l’inflazione del 1922-1923 in Germania. Sostituì la Papiermark, che era stata completamente svalutata. La Rentenmark fu solo una valuta temporanea, e non ebbe valore legale.

[16] Reichsmark è stato la valuta della Germania dal 1924 fino al 20 giugno 1948, quando è stato sostituito dal marco tedesco nella Germania Ovest.

[17] https://m.facebook.com/Coscienzeinrete/posts/291343917557482/?_rdr

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=11366

[18] Il private equity è un’attività finanziaria mediante la quale un’entità rileva quote di una società definita obiettivo, sia acquisendo azioni esistenti da terzi sia sottoscrivendo azioni di nuova emissione apportando nuovi capitali all’interno dell’obiettivo.

[19] Non sarebbe la prima volta già nel 1974, quando La Turchia invase Cipro sabato 20 luglio 1974. … L’operazione, il cui nome in codice era Operazione Atilla, fu chiamata nella zona turca di Cipro “Operazione di pace del 1974”. Le forze turche dispiegarono una chiara e decisa strategia, costringendo numerosi greco-ciprioti a riparare nel sud dell’isola.

   Secondo un’intervista di Cem Gurdeniz, che nella Marina turca ha rivestito il grado di contrammiraglio ed ora dirige il centro studi marittimi della Koc University tale conflitto nel Mar Egeo significherebbe la fine della Nato e spingerebbe la Turchia definitivamente nell’orbita russa.  https://www.agi.it/estero/news/2020-08-12/guerra-grecia-turchia-trivellazioni-cipro-9403144/

LA UE CERCA COMPATEZZA SUL TERRENO DEL MILITARISMO

•Maggio 6, 2024 • Lascia un commento

   Le guerre, finora “di area”, che infiammano lo scenario Internazionale non accennano a diminuire, ma anzi si stanno intensificando, soprattutto in Medio Oriente, e specialmente sul Mar Rosso, mentre a Gaza c’è addirittura una crisi umanitaria per i palestinesi, cui a volte arrivano a mancare del tutto cibo e acqua.

   La schiacciante superiorità militare di Israele rispetto alla Resistenza palestinese (che comunque resite infliggendo dure perdite all’esercito israeliano) ha costretto un milione e mezzo di palestinesi a lasciare dietro di sé distruzione e morte per spostarsi al sud, a Rafah, al confine con l’Egitto. E mentre Al Sisi tiene chiusa la frontiera, dalla quale riesce a passare solo chi può pagare un’esosa agenzia egiziana, nel frattempo continua un genocida stillicidio di attacchi israeliani contro poveri e diseredati. Gli stessi aiuti umanitari, provenienti sia da Israele che dall’Egitto, passano solo “col contagocce”: l’amarissima riprova che a fare le spese di ogni guerra sono sempre i più deboli!

   Alle elezioni egiziane di dicembre, Al Sisi ha ottenuto il terzo mandato presidenziale, ma la situazione economica è al collasso, e molto dipende, per ottenere “aiuti”, dal ruolo di mediazione che sta perseguendo nel conflitto in corso, visti anche i buoni rapporti intrattenuti con lo stesso Israele. Indebitato con il Fondo Monetario Internazionale (FMI), ha realizzato sommarie strutture di tende oltre Rafah, in vista di un ulteriore prestito di dieci miliardi di dollari dal FMI, in cambio del quale si sta profilando la

possibilità di accettarvi uno stazionamento dei profughi nel Sinai[1].

   E mentre sono morti altri sfollati palestinesi, perfino sepolti vivi da “aiuti paracadutati”, date le difficoltà a passare via terra, il presidente egiziano ha incontrato domenica 17 U. Von der Leyen e G. Meloni, per firmare un Memorandum del Piano Mattei, ottenendo 7,4 miliardi in tre anni, in cambio di caccia ai migranti e di forniture energetiche[2]. A questo proposito, nel quadro del disimpegno deciso per il Mar Mediterraneo, gli USA lasceranno un presidio “umanitario” al largo di Gaza, vicino al giacimento di gas concesso da Israele agli alleati di Occidente[3].

   Sul Mar Rosso, mentre continuano gli attacchi degli Houthi alle navi di Israele, USA e RU, e le incursioni anglo-americane, con bombardamenti anche in Yemen, è partita la Missione Aspides,[4] il cui comando operativo è italiano, per “scortare” le navi mercantili che lo attraversano. Sabato 2 marzo il cacciatorpediniere italiano C. Duilio aveva distrutto un primo drone sparato dagli Houthi, seguito poi, più recentemente, da altri due[5].

   È evidente che la scelta di fare parte della Missione equivale ad una partecipazione attiva al conflitto. E mentre la missione era da tempo operativa, martedì 5 il Parlamento la ha approvata quasi all’unanimità (con il solo voto contrario dell’Alleanza verdi s Sinistra -AVS), questo ci deve far ricordare che tale consenso alla missione vuol di dire che nel parlamento rappresentato politicamente  solo gli interessi dell’imperialismo italiano. Sono state approvate anche altre missioni, tra cui la Missione EUMAM Ucraina (con un solo voto contrario) per la formazione di 15mila militari ucraini nei Paesi UE[6].

   Ed è soprattutto la guerra ucraina che ha visto convergere su di essa un susseguirsi di dichiarazioni belliciste da parte di diversi leader europei. Allo sconcertante Trattato tra l’Ucraina e la Gran Bretagna[7] hanno fatto seguito per prime le ardite dichiarazioni di Macron del 27 febbraio, peraltro recentemente confermate, su di un possibile invio diretto di truppe NATO in Ucraina, oltre all’invio di missili a lungo raggio e munizioni, per ottenere la sconfitta della Russia sul campo.

   Alla iniziale levata di scudi degli altri leader europei contro la sortita di Macron hanno fatto da contraltare, nel giro di 48 ore, le dichiarazioni di U. Von del Leyen, che ha chiamato gli Stati UE ad investire di più in armamenti, dato che uno scenario di guerra estesa in Europa contro la Russia, seppure forse non imminente, “non è impossibile”. Ha detto che, “come abbiamo fatto per i vaccini e il gas naturale”, servono “appalti congiunti” nel settore armiero. Si deve, cioè, “spendere europeo” per poi sparare “più europeo”, come già fanno le navi israeliane, che su Gaza “sparano italiano”!…

   La Commissione europea sta, infatti, presentando il nuovo Piano comunitario per la Difesa da cento miliardi[8], che prevede di aumentare la produzione armiera, sia per una integrata Difesa Europea, sia per l’export, sviluppando tecnologie europee. Inoltre il relativo disimpegno USA dal teatro europeo, a lungo preparato, e che non riguarderebbe solo il Mediterraneo, a vantaggio di altre Aree, oltre alle richieste NATO agli Stati UE di aumentare le percentuali di PIL dedicate al militare, nonché le stesse perdite militari subite dall’Ucraina, hanno concorso a spingere la UE a tali scelte.

   Ad oggi, comunque, esiste un problema di munizioni da fornire all’Ucraina, dato che la UE ne avrebbe prodotto solo la metà di quelle a suo tempo promesse, e diversi Stati stanno cercando “triangolazioni” da Paesi “neutrali”, in Asia, in Africa e persino nella ex-URSS. In questo senso, pare che la Germania, con molte difficoltà, stia provando a convincere l’India, uno degli Stati dei BRICS della prima ora[9], ad un passo del genere. Interesse economico ed interesse geostrategico non sempre collimano perfettamente… garanzie di sicurezza” durante il viaggio a Kiev, G. Meloni, come Presidente del G7, è andata negli USA nei giorni 1 e 2, incontrando J. Biden, col quale ha detto di condividere impegno “umanitario” ed una “mediazione” per Gaza, verso l’obiettivo comune di “Due popoli e due Stati”, e il leader canadese J. Trudeau. Ne ha approfittato per lanciare una nuova “coalizione” contro “i trafficanti di esseri umani” (leggi: contro i migranti), accreditando il ruolo del Piano Mattei, viste le interessanti produzioni africane.

   Nel gennaio scorso, infatti, al viaggio in Egitto, Tunisia, Togo e Costa d’Avorio del Ministro degli Esteri cinese, aveva, di fatto, risposto quello del Segretario di Stato USA, A. Blinken, in Angola, Capo Verde, Cost d’Avorio e Nigeria. Ma, mentre la Cina è ora preoccupata da quanto sta avvenendo in Medio Oriente, gli USA, con la UE, sta cercando di rispondere alla Nuova Via della Seta, dando seguito al Memorandum (MoU) firmato il 26 ottobre scorso, insieme alla Banca Africana di Sviluppo e all’Africa Finance Corporation, per ristrutturare il Corridoio di Lobito.

   Come per l’IMEC che dovrebbe collegare India, Golfo Arabico ed Europa, il Corridoio di Lobito dovrà collegare, per 1300 km., Angola, Zambia e Repubblica Democratica del Congo con una via ferroviaria, un gasdotto per l’idrogeno, un elettrodotto ed una infrastruttura digitale, al Porto angolano di Lobito, sull’Atlantico. L’obiettivo dell’Occidente è quello di sopravanzare la Cina nel rapporto economico con l’Angola, e con l’Africa in generale, favorendo anche l’importazione di cobalto, litio e terre rare.

   Sfruttando la presidenza del G7, l’imperialismo italiano cerca di giocare un ruolo in ambito UE e NATO con il “Piano Mattei per l’Africa”, in funzione anticinese. Chi, invece, sta “giocando” in proprio è la Turchia, Paese NATO che, contemporaneamente, fa il “difensore” di Hamas e cura un ruolo geopolitico di mediazione reale. In Africa ha rapporti col Senegal, sull’Atlantico, e con la Somalia, sull’Oceano Indiano. Gli ultimi accordi, che la Somalia spera di utilizzare contro l’alleanza fra Etiopia e Somaliland, la stanno, invece, trasformando, di fatto, in “protettorato” turco.

   È in atto un gran movimento per il controllo geostrategico del Mar Rosso e degli Stretti di Suez e di Bab al-Mandab che lo delimitano, e la guerra in corso ne è parte, quanto l’esercitazione navale congiunta di Cina, Iran e Russia, in atto nel Golfo di Oman[10]. Il colosso asiatico, comunque, non vede di buon occhio né i fermenti che stanno destabilizzando aree in cui considerava già dei BRICS, e né il riarmo navale annunciato dalla Australia, che segue il suo Patto AUKUS con USA e Gran Bretagna[11].

   Intanto in Europa è in corso “Steadfast Defender 2024”, la esercitazione NATO più grande dalla fine della Guerra Fredda in poi[12]. Questa esercitazione si conduce in 16 aree dalla Finlandia alla Grecia, dal Regno Unito agli Stati baltici,  prevalentemente presso il confine orientale dell’Alleanza. Coinvolge 90mila uomini e migliaia di mezzi militari di cielo, di terra e di mare. Sono 20mila i militari in Scandinavia per la Nordic Response, in Polonia la Dragon con altri 25mila, e poi la Quadriga, con le forze tedesche. Viene simulato un attacco ad una delle nazioni NATO in Europa, e potrà coinvolgere civili.

   Dell’esercitazione, iniziata il 22 gennaio e che finirà il 31 maggio, fanno parte forze armate di 32 Stati, compresa la Svezia, “new entry”. Massima attenzione verso gli Stati baltici e la Polonia, alludendo a scontri con la Russia. La NATO non manca di sottolineare l’importanza di un sostegno costante da parte della “società civile”, mentre in Polonia vi sono anche forze USA. Allo stesso tempo, sarebbero giunte notizie di esercitazioni militari al confine con Finlandia e Lituania, rispettivamente russe e   bielorusse[13].

   In una situazione del genere, è facile capire quanto sia labile il confine fra un possibile vero attacco del nemico, e quanto, invece, volendolo, lo si possa raccontare come già avvenuto. Basta veramente poco, da entrambe le parti, a costruirsi un pretesto per inaugurare scenari di allargamento del conflitto: si tratta, sostanzialmente, di preparativi di guerra.

   Sta prendendo forma un quadro in cui l’Ucraina, in attesa di esaurimento, sarebbe, di fatto, l’avamposto di un conflitto continentale fra la UE con il Regno Unito, sostenuti dalla NATO, e la Russia. Le volontà di porre fine al conflitto si stanno azzerando, e la “levata di scudi” contro le dichiarazioni pacifiste del Papa lo dimostra, mentre Zelenskij ha detto che “una tregua farebbe bene solo alla Russia”, come anche, addirittura, il solo parlare di “negoziato”. Dalla Polonia poi sono arrivate conferme ufficiali sulla presenza di “istruttori” NATO direttamente in Ucraina[14].

   La Russia, che, vista la propria produzione di materiali bellici a pieno regime, in questo momento ha molte più armi e munizioni di quante ne dispone la NATO in Ucraina, continua ad avvisare l’Occidente, e la UE in particolare, sulle nefaste conseguenze di possibili interventi diretti in Ucraina. Nonostante ciò, Polonia e Lituania hanno ricalcato il discorso interventista di Macron. L’Italia, invece, sta contribuendo col vendere sempre più armi alla UE, di cui è il primo fornitore, e dopo il 7 ottobre 2023, pur negandolo, si sta rivolgendo anche al Medio Oriente (Israele, Egitto).

   La svolta bellicista della UE è una manna per i profitti del settore armiero italiano. Con grande gioia di G. Crosetto, ma anche di L. Violante e M. Minniti, nel 2023 il profitto netto ordinario della Leonardo SpA è stato di 742 milioni, con una crescita annuale del 6,5% e i dividendi per gli azionisti raddoppiati rispetto all’anno precedente, grazie soprattutto, ma non solo, alla guerra ucraina. E per la prima Società armiera della UE, di cui lo Stato italiano detiene circa il 30% delle azioni, si prevede una ulteriore e consistente crescita per l’anno in corso.

   Solo la tedesca Rheinmetall, che produce i famosi carri armati Leopard, ha avuto una crescita maggiore dei dividendi (quasi quintuplicati) nel 2023. E alle buone prospettive per l’anno in corso sta contribuendo anche l’Italia, che ha deciso l’acquisto di ben 132 unità di tali carri armati. Forse per ripristinare le scorte delle armi fornite all’Ucraina, contrariamente a quanto dichiarato dalla premier, che, a proposito di tali forniture, ha detto di non stare “togliendo niente agli italiani”… Spesa che, invece, va a sommarsi ai contributi “fuori bilancio” al Fondo Europeo “Epf”.

  Nel Convegno di mercoledì 13 al Centro Alti Studi per la Difesa, presentato dal Presidente di Med-Or (una creatura di Leonardo SpA), M. Minniti, il Ministro G. Crosetto si è poi adoperato, tra l’altro, per mostrare i tagli alla sanità pubblica come non dipendenti dall’aumento delle spese armiere, ed ha definito i prossimi due anni come “i più bui dal dopoguerra” per l’Europa, senza mancare di addossare ogni responsabilità di quanto accadrà al nemico V. Putin.

   Aldilà delle elezioni americane che si dovrebbero svolgere nel novembre 2024, appare evidente la scelta dell’imperialismo USA di privilegiare, anche sul piano militare, un confronto “muscolare” con la Cina soprattutto nell’Indo-Pacifico, e lo confermano anche le recenti missioni di addestramento da parte di suoi consiglieri militari proprio a Taiwan. Il teatro europeo rimarrà, invece, appannaggio della UE, cui le decisioni sulla Difesa comune Europea sono funzionali, e corrispondono alle scelte di fondo dell’imperialismo europeo.

   In questo senso, infatti, la Presidente della BCE, C. Lagarde, ha rivendicato la propria autonomia dalla Fed, affermando che, visti anche segnali di riduzione dell’inflazione, arriverà a tagliare i tassi di interesse nei prossimi mesi, prima di essa. Allo stesso tempo, il Commissario UE alla economia, P. Gentiloni, ha ipotizzato un ricorso agli Eurobond per finanziare un piano di riarmo da cento miliardi di euro annui.

   Questo completerebbe il quadro per il concreto passaggio ad una economia di guerra.

   In attesa che la UE si attrezzi come tale, sono possibili, comunque, rapporti bilaterali sul terreno militare con l’Ucraina. Venerdì 15, così, si è svolto a Berlino un vertice tra Macron, Scholz e Tusk, che, se non sono all’ordine del giorno truppe NATO in Ucraina, lo è la fornitura di “armi a lungo raggio”, perché, come ha ricordato Macron, “Putin non può e non deve vincere”. Se è vero che molte dichiarazioni, di questi tempi, sono legate ad una campagna elettorale europea di fatto già iniziata, è altrettanto vero che la scelta di fondo il capitale europeo l’ha fatta!

  Come ha sottolineato il Comando supremo della NATO in Europa, in occasione dell’avvio della esercitazione militare in corso, il coinvolgimento della “popolazione civile” è essenziale per la “difesa totale operativa”, e questo spiega il martellamento dei media nell’attribuire ogni misfatto, vero o falso che sia, alle responsabilità della Russia del “neo-rieletto” Putin. L’economia di guerra, verso la quale ci stiamo avviando, richiede disciplina e allineamento, con le buone o con le cattive, ed è per questo che la repressione si sta abbattendo con più energia su studenti ed operai in lotta.

   E mentre continua l’ecatombe sui luoghi di lavoro, sono arrestati sindacalisti scomodi e represse le azioni più conseguenti di lotta operaia. Le forze dell’ordine stanno poi calcando la mano anche sugli studenti, quando dimostrano solidarietà ai diseredati palestinesi massacrati a Gaza, come avvenuto a Firenze. E la narrazione dei media, quando ne parla, riporta tutto in una presunta contrapposizione fra destra e “sinistra”, data la campagna elettorale continua per elezioni regionali che si susseguono, verso le europee di giugno.

   Le condizioni di vita, di lavoro e di studio dei proletari non accennano a migliorare, e non sono in piedi i livelli di mobilitazione che occorrerebbero, specialmente in un quadro internazionale di crisi, che sta andando sempre più verso scenari di guerra e di cataclismi climatici. L’imperialismo di casa nostra, come visto, oltre a farne pagare i costi ai proletari, fa ampiamente la sua parte nel contesto europeo e del G7.

   Occorre fare opposizione contro la guerra, a partire dalla lotta contro le spese militari, che tolgono risorse alla spesa sociale, sanità, scuola e trasporti, contro le imprese belliche e anti-immigrati, contro la repressione di operai e studenti, per la indipendenza di classe e l’instaurazione di rapporti fraterni con i proletari degli altri Paesi che lottano contro l’imperialismo e tutti i nazionalismi.


[1] https://www.agenzianova.com/news/egitto-nuovo-accordo-con-il-fondo-monetario-programma-di-prestiti-ampliato-a-8-miliardi-di-dollari/

[2] https://www.ilsole24ore.com/art/meloni-domani-cairo-vede-al-sisi-e-firma-memorandum-migranti-modello-tunisia-AFdik63C?refresh_ce=1

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2024/03/16/meloni-e-von-der-leyen-da-al-sisi-schlein-attacca_286629ed-761e-454f-a215-ffdedbb9d7a1.html

https://tg24.sky.it/mondo/2024/03/17/meloni-egitto-al-sisi-memorandum

[3] https://www.avvenire.it/mondo/pagine/fame-a-gaza-ecco-il-piano-usa-per-gli-aiuti-dal-mare

[4] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/africa/2024/02/19/cose-le-cosa-prevede-la-missione-aspides-contro-attacchi-degli-houthi_92e688f1-ecda-44bc-bfa1-8e0bfe43e7af.html

[5] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2024/03/12/la-nave-duilio-abbatte-due-droni-nel-mar-rosso_ef6dcb23-5e54-4be9-b29e-fc2572bcc2fe.html

[6] https://temi.camera.it/leg19/temi/autorizzazione-e-proroga-delle-missioni-internazionali-nel-2024.html

[7] https://www.repubblica.it/esteri/2024/05/04/news/ucraina_cameron_armi_britanniche_russia-422821607/

[8] https://www.ilmessaggero.it/politica/esercito_ue_difesa_comune_100_miliardi_piano_armi_come_funziona-7943521.html

https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/03/06/nel-piano-di-difesa-europea-pochi-fondi-e-molte-richieste-agli-stati-dallue-solo-15-miliardi-rete-disarmo-cosi-e-una-mancia-a-chi-produce-armi/7469267

https://www.ilsole24ore.com/art/difesa-comune-ecco-piani-ue-migliorare-cooperazione-e-spendere-meglio–italia-via-libera-missioni-regole-aspides-AFaIjYwC

[9] https://euractiv.it/section/capitali/news/la-germania-non-considera-lallargamento-dei-brics-come-una-minaccia/

[10] https://www.agenzianova.com/news/iran-russia-e-cina-terranno-unesercitazione-navale-congiunta-nel-golfo-di-oman/

[11] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/aukus-e-la-corsa-al-riarmo-sottomarino-nellindo-pacifico-132662

https://tg24.sky.it/mondo/approfondimenti/patto-aukus-australia-usa-uk

[12] https://www.aviation-report.com/steadfast-defender-2024-piu-grande-esercitazione-nato-dai-tempi-della-guerra-fredda/#:~:text=%E2%80%9CSteadfast%20Defender%202024%20%C3%A8%20la,Cavoli.

[13] https://www.ilgazzettino.it/esteri/bielorussia_esercitazioni_militari_lituania_polonia_lukasheko_pronti_guerra_ucraina_russia-8031442.html

[14] https://www.panorama.it/tecnologia/difesa-aerospazio/truppe-nato-ucraina-segreto-istruttori

SUL FASCISMO STORICO E SUL FASCISMO “GLOBALISTA”

•Maggio 2, 2024 • Lascia un commento

   è utile, ricordare i presupposti su cui il fascismo costruì, il suo consenso anche in consistenti settori di masse popolari, ma non di meno, è necessario chiedersi se tali processi sono destinati a riprodursi con le stesse modalità. E, primieramente, è necessario chiedersi cosa fu il fascismo.

   I due episodi principali del fascismo furono in Italia e Germania. In entrambi i casi il fascismo fu la risposta della borghesia per sconfiggere e normalizzare una prolungata e insorgenza proletaria che minacciava di trasformarsi in rivoluzione, e contemporaneamente, la messa in atto della necessità di centralizzare le risorse economiche e politiche per tutelare gli interessi collettivi del capitalismo nazionale nei confronti delle altre potenze mondiali.

   Il fascismo fu totalitario. Il suo totalitarismo non consisteva tanto nell’abolizione della democrazia formale e nella repressione degli oppositori (cui, pure, non lesinava violenza) ma nel sancire ideologicamente e praticamente il nesso inestricabile tra popolo e Stato fissato il quale la democrazia finiva con l’essere pletorica e gli oppositori diventano sabotatori disfattisti. La fede nello Stato non era rivolta a un ente astratto, ma a uno Stato concreto, quello fascista, ossia allo Stato diretto dal fascismo, movimento/partito attraverso il quale il popolo avrebbe dovuto muoversi come un sol uomo per perseguire la missione di riscattare la patria (che nel caso dell’Italia della vittoria della Prima guerra mondiale era stata mutilata dalle altre potenze imperialiste) e se stesso,  promuovendo il progresso della produzione agricola e industriale, dotandosi delle infrastrutture necessarie allo sviluppo economico e delle istituzioni utili al benessere del popolo, contrastando il potere delle plutocrazie. Il totalitarismo popolo-partito-Stato era, sul piano storico, la precondizione per realizzare il totalitarismo del capitale, che all’epoca si poneva ancora come qualcosa di esterno alla quotidianità  della comunità umana (sussunzione formale), che si era  appropriato, cioè, di grande parte della produzione materiale, ma doveva ancora conquistarne parti rilevanti e, soprattutto doveva avviarsi a sottomettere a sé tutta la vita sociale, modellandola e funzionalizzandola completamente alla propria produzione. Il fascismo, infatti, si poteva permettere persino di lanciare strali contro il capitalismo, opponendogli le virtù del nazional-socialismo, ovvero un programma che si contrapponeva ufficialmente al capitalismo, ma praticamente solo al potere finanziario e militare dei concorrenti capitalisti (e all’egoismo anti-nazionale di capitalisti interni), che volevano bloccare il progresso dell’Italia quale paese capitalista dotata di forza propria, come cercavano di stroncare la Germania, che potenza capitalistica in proprio lo era già divenuta.

   Il fascismo e il nazismo svolsero, quindi, un ruolo fondamentale per bloccare l’insorgenza proletaria nel cuore dell’Europa, nell’interessa del capitale europeo e mondiale, ma rappresentarono anche una decisa spinta in termini di modernizzazione dei rapporti sociali del capitalismo e di sviluppo accelerato delle forze produttive, che senza di essi Italia e Germania non sarebbero riuscite a conseguire. Su questo secondo piano, svolsero, una funzione di supplenza in termini di centralizzazione del capitale che per ragioni specifiche di storia recente e di debolezza delle due borghesie, non era in grado di affermarsi spontaneamente, potenziando e tutelando, allo stesso tempo, gli interessi del capitale nazionale.

   Alla morte ufficiale del fascismo è conseguito un processo di ulteriore sviluppo del capitalismo in tutto il mondo che ha portato alla realizzazione di un totalitarismo molto più totalitario del fascismo, quello del capitale che per dominare le classi e i popoli oppressi non ha avuto più bisogno della mediazione popolo-Stato, ma si è affermato in proprio, trasformandosi (sussunzione reale) in rapporto sociale di produzione che si estende a tutti gli aspetti della vita sociale e individuale, immedesimandosi con la riproduzione della vita stessa. La vita batte al ritmo del capitale, se al capitale viene la tachicardia, la vita rischia l’infarto.

   Ciò, da un lato, rende il capitale potente come non mai prima, espungendo qualsiasi spinta (reale, non il chiacchiericcio anti-capitalista della gran parte dell’attuale sinistra di classe) di massa a disfarsene, ma, dall’altro, lo rende sommamente  a rischio per conservare la sua presa totalitaria deve essere in grado di garantire sempre la riproduzione della vita sociale e individuale. Avendo introiettato che la propria vita è diretta emanazione del ritmo in cui pulsa il capitale, la massa proletaria (e l’intera società) è disposta a bere tutti gli amari calici  per aiutarlo a riprendersi dai suoi momenti di difficoltà, che si tratti di crisi economica o di crisi pandemica, oppure, di crisi climatica o dell’energia o degli approvvigionamenti ecc., purché ne abbia in cambio la riproduzione della sua propria vita, sia pure progressivamente impoverita.

   Oggi questo nesso capitale-vita inizia a rivelarsi problematica. Per risollevarsi dalla sua crisi, infatti, il capitale scopre che non può più garantire per quote crescenti di masse popolari la facilità della riproduzione della vita. Ora pensiamo solamente come si sta diffondendo la pratica di salari inferiori al valore della forza-lavoro, ne vediamo ora anche qualche conseguenza con l’abbandono del lavoro, soprattutto negli USA di milioni di lavoratori il cui salario non è sufficiente, appunto , neanche a pagare i minimi beni essenziali per sopravvivere. Ritmo del capitale e ritmo della vita iniziano, perciò, pericolosamente a divaricarsi, e a prospettarsi addirittura, la possibilità di confliggere, aprendo pericolosi conflitti, se non coscientemente, praticamente anticapitalisti. Qui, perciò, torna in rilievo il secondo insegnamento del fascismo.

   Se il totalitarismo capitalista ha ben superato quello fascista, si tratta ora di recuperare necessariamente l’aspetto di disciplinamento attorno allo Stato che il fascismo aveva realizzato. Torna in auge lo Stato quale unico ente capace di assicurare almeno la salute del proprio popolo, ossia la vita ridotta a pura sopravvivenza fisica, a condizione che il popolo si identifichi con lo Stato e militi a difesa delle sue scelte (e dunque, accetti anche a ridurre la vita a pura sopravvivenza). Ove non si identifichi, c’è sempre la terza lezione del fascismo: isolamento, segregazione, criminalizzazione degli oppositori, e loro repressione, e  se fosse necessario la soppressione violenta. Il ritorno dello Stato fa a meno della mediazione del partito, in quanto presupponeva una mobilitazione del popolo, che, invece, nel nuovo quadro deve essere mantenuto in una condizione di parità, delegando il governo nelle mani degli esperti, di una tecnocrazia capace per definizione di trovare le soluzioni migliori per il bene si tutti, purché tutti vi si disciplinano senza aspirazioni di apportarvi la propria opinione e i propri interessi di classe, neanche di quelli (che il fascismo storico sollecitava) di classe-nazione.

   Si può dunque, parlare di un ritorno del fascismo? Sì a condizione di aver chiaro che l’essenza del fascismo (il totalitarismo) non se ne è mai andata, anzi è molto cresciuta, da allora e si qualificata con più forza come totalitarismo capitalista. Quel che, con maggiore evidenza, torna oggi del fasciamo è il disciplinamento sociale. Certamente.

FASCISMO OGGI

   Chi ebbe a dire, dopo il 1945, che il fascismo era stato militarmente sconfitto, ma aveva politicamente vinto, non aveva torto. Anzi. Purché si riesca a intendere cosa sia stato il fascismo storico, evitando di cadere nelle semplificazioni operate da un certo antifascismo, che lo ha ridotto a un movimento anticomunista, intollerante della democrazia, e razzista, soprattutto contro gli ebrei.

   Questi caratteri erano nel fascismo storico reali, e tuttavia, esso non si riduceva a questo, ma era qualcosa di più ambizioso che pulsava al ritmo delle necessità del capitale di transitare dalla sua fase di sussunzione formale a quella di sussunzione reale, di farsi, cioè, fino in fondo totalitario. Fascismo italiano e nazismo tedesco furono delle prime forme di questo incipiente totalitarismo, che, sconfitti loro, ha continuato a svilupparsi fino ai giorni nostri con performance totalitarie che hanno raggiunto vette di cui resterebbero stupefatti dei redivivi Hitler e Mussolini.

   La differenza con il fascismo storico è la base nazionalistica, che in quello storico era fondamentale, mentre nell’odierno è sostituita da quella collettiva dei paesi imperialisti a dominanza USA, nei quali è raccolto il capitale trans-nazionale (anch’esso a pieno dominanza USA) unificato dall’esigenza di ribadire il suo dominio su un resto del mondo che non può più sopportare di restare allo stadio di semi-sviluppo per ingrassare in centri capitalisti d’Occidente con le proprie risorse  fisiche e umane.     

   Il nuovo fascismo è, perciò, “globalista” mobilitato per riaffermare il suo potere di sfruttamento dell’intero globo, e allo stesso tempo, realizzare il disciplinamento delle proprie popolazioni a cui riesce sempre meno a traferire i “dividendi” del suo dominio come, invece, era riuscito dopo i “trenta gloriosi anni” che sono succeduti alla fine del secondo conflitto mondiale.         

   I nostalgici del fascismo storico non possono separarsi dalla sua base nazionalistica. Per questo si contrappongono al “globalismo”, o, come preferiscono chiamarlo loro, al “mondialismo”.

   Ne consegue che tra il totalitarismo fascista avanzante e i fascisti storici c’è, a volte,  una contrapposizionereale, e molti di questi hanno cercato (e cercano tuttora) di alimentare/sostenere le mobilitazioni alle misure totalitarie (obbligo vaccinale, green pass, controllo digitale, manipolazione delle informazioni, ecc.) non in quanto totalitarie, ma in quanto espressioni del totalitarismo “mondialista”, mentre  sarebbero sicuramente pronti a metterle in atto nel caso di un eventuale ritorno di un totalitarismo  nazional-centrico.    

   Oggi i fascisti rappresentano una corrente, oggi minoritaria, del sovranismo, che è un movimento composito che, nondimeno, si è sviluppato quasi in tutti i paesi dell’Occidente collettivo e anche tra alcuni dei suoi principali vassalli (per esempio: Ungheria, Polonia, Slovacchia). Questo movimento ha una base sociale prevalentemente composta da piccoli capitalisti, lavoratori autonomi, parti di ceto medio, lavoratori dipendenti, accomunati nella situazione di perdenti della globalizzazione, che ha subito da “perdente” la crescita dello strapotere delle multinazionali e degli organi di potere internazionale che impongono i loro diktat agli stati, privandoli della loro sovranità.                                                                                                               

   Finora i campioni del sovranismo occidentale sono stati manipolati o ridotti al declino politico, in qualche paese vassallo, invece, sono arrivati anche al potere (Ungheria, Polonia, e Slovacchia) e hanno costituito, ancora un problema per la UE e per la NATO. In Germania, al momento, sembrano in crescita, sia da destra che da sinistra, e appaiono un po’ più solidi o almeno confusionari di quelli della prima ondata di sovranismo.

    Il potere globalista li attacca equiparandoli ai fascisti. Due sono i motivi di questo attacco:

  1. Con lo scatenare addosso  l’antifascismo, nelle due versioni: quello di salotto e quello militante – cerca in questo modo di disporre di forze militanti per contrastare dal “basso” i “fascisti”. Questa manovra si è rivelata di ampio successo a partire dalla pandemia con i dissenzienti divenuti bersaglio della maggioranza degli “antifascisti” ed è proseguito dopo con i “filo-putiniani”; per allargarsi gli “illiberali” al governo (tipo Orban), o di opposizione (tipo l’AfD)[1], dei quali si può dire tutto, tranne che siano più “illiberali” della UE e dei governi che, dopo la pandemia, hanno tranquillamente proseguito a implementare gli apparati di controllo e disciplinamento, a perseguitare ogni dissenso, fino a vietare, per esempio i media russi, a inquisire perfino i deputati del UE che esprimono dubbi sulle politiche anti-russe, ecc. In Germania si è arrivati che il governo vieta lo sventolio di bandiere palestinesi, persegue chi grida “Palestina libera”, e arresta un ebreo che si dichiara contro il genocidio;
  2. Il secondo motivo, non meno importante, è che un’ulteriore radicalizzazione del sovranismo potrebbe trovare proprio nel fascismo storico un’ideologia più solida e coerente sul piano del nazionalismo. E, ove giungesse al governo di qualche paese, metterebbe la compagine imperialista a rischio di sgretolamento. O, per lo meno, di sgretolare le strutture e le politiche unitarie sulle quali si regge tuttora. Nulla di veramente irreparabile,  in quanto l’unitarietà delle esigenze e degli obiettivi (conservare a tutti i paesi occidentali il privilegio di dominare il mercato mondiale e conquistare il resto del mondo, privandolo della possibilità di uscire dal semi o dal sottosviluppo) probabilmente produrrebbe nuove forme di alleanza fra loro. “Probabilmente” non significa “sicuramente”. Per questo motivo l’azione per contrastare il sovranismo equiparandolo al fascismo è diventata una missione che si sono dati la UE, la NATO, i circoli di potere USA che aggrediscono Trump (non tanto lui come politico, egli non solo è un pasticcione ma egli è uno disposto ai compromessi più ampi con i “globalisti”; il problema serio è che egli ha una forte base di consensi che ha,  in realtà, prodotto come leader e che nel sostenerlo manifesta un ben più vasta spinta “anti-globalista.

    Inoltre, c’è un altro fondamentale aspetto su cui l’attuale fascismo/nazismo “globalista” è in diretta linea di continuità con il nazismo storico: l’attacco alla Russia. Come dovrebbe essere noto a chi non cade nelle semplificazioni dell’Hitler “pazzo”, il nazismo fu molto apprezzato dal capitale USA, che lo aiutò in tutti i modi a consolidarsi per usarlo proprio come testa d’ariete contro il comunismo e, in particolare contro l’Unione Sovietica. Questa era un nemico ideologico, ma soprattutto era un ostacolo politico alla libertà del capitale imperialistico di sfruttare un appetitoso territorio, in senso fisico e umano. Il progetto USA era che la Germania e l’URSS si distruggessero a vicenda, e, quindi, dopo aver aiutato la Germania a riarmarsi, aiutarono, in parte, anche l’URSS. È noto come Hitler, divenuta certa la vittoria dell’URSS, cercasse di come Hitler, cercasse di rispolverare il patto iniziale con “zona cesarini”, con un URSS ormai alle porte di Berlino. Certamente il territorio dell’attuale Russia è inferiore a quello dell’URSS, ma è ancora terribilmente appetitoso per un imperialismo in crescente difficoltà con la valorizzazione del capitale. Territorio che è ancora difeso da uno Stato che certamente è borghese, ma che dopo essere stato sul punto di un completo assoggettamento ha trovato la forza per una risalita, questa sì, sovranista, e, per di più, con una crescente influenza sul resto del mondo, a sua volta in agitazione contro lo sfruttamento imperialista.

   La cosa veramente curiosa è che, mentre il fascismo “globalista” rinnova e riparte dal drag nach osten (Spinta verso l’Est) del nazismo storico, alcuni settori di fascisti/nazisti nostalgici (e molti sovranisti occidentali più o meno vicini a essi) gli si oppongono e ritengono Putin uno dei loro. Il bello (o il brutto secondo i punti di vista) una buona quota di “antifascisti”, mentre si oppongono a quello che rimane del fascismo storico, non si fanno il minimo scrupolo nell’appoggiare il fascismo “globalista” nel suo drag nach osten, contro la Russia “imperialista”, e “Putin autocrate”. Un appoggio esplicito e diretto, in qualche caso accompagnato da contorti discorsi all’apparenza contro entrambi, mentre in realtà si sposa fino in fondo la tesi della NATO sul fatto che la Russia abbia aggredito l’Ucraina per mire imperialiste, che Putin sia un autocrate, oltre a sposarne tutta la sua propaganda.

   Chi, invece, comprende, sulla propria pelle, come il fascismo “globalista” riprende e prosegua l’antica aggressione verso est, sono i russi (lo capirono in verità, per primi, gli jugoslavi ma per quanto provassero dare appello agli antifascisti di tutto il mondo furono lasciati terribilmente soli). Quando i russi parlano di trovarsi di nuovo a combattere il fascismo non si riferiscono solo al fatto che quello ucraino è un regime fino-nazista, ma anche al fatto di trovarsi di nuovo sotto le mire dei grandi potentati occidentali che bramano le loro risorse fisiche, che desiderano eliminare un bel po’ di russi provocando guerre continue ai loro confini, al fine di sottometterli e sfruttarli come erano riusciti in buona parte a fare con il decennio di Eltsin.

   La prima aggressione è stata fermata, l’URSS sconfisse il nazismo hitleriano. Ma l’imperialismo rimase intatto, anzi trasformò la sua vittoria contro la Germania e il Giappone  in un ulteriore salto in avanti nello sfruttamento e nel dominio di tutto il mondo.

   Attualmente il quesito se forze che si pongo alla trasformazione radicale della società, che intendano costruire una società non più fondata sul profitto si pongano l’obiettivo non solo di sconfiggere il fascismo “globalista” ma anche tutto l’apparato imperialista di sfruttamento e il fondamento capitalista da cui esso scaturisce.


[1] L’Alternative für Deutschland  è un partito politico tedesco di estrema destra. Attualmente, l’AfD è considerato un partito nazionalista tedesco, nazional-conservatore, euroscettico e anti-immigrazione. Dal 2017, l’AfD si è mostrato sempre più disponibile a lavorare con gruppi di estrema destra come Pegida. https://it.wikipedia.org/wiki/Alternative_f%C3%BCr_Deutschland

LA NATURA DEL BIOCAPITALISMO

•aprile 27, 2024 • 1 commento

      Il capitalismo ha attraversato nella sua lunga storia diverse fasi, ma ha seguito un unico percorso evolutivo, caratterizzato dal processo di una progressiva diffusione del capitale nella realtà sociale. Il capitale infatti, in virtù della sua natura quantitativa e impersonale, ha la capacità di assumere qualsiasi forma e di propagarsi nel mondo qualitativo del valore d’uso e dei bisogni umani.  In altre parole, ha la capacità di smaterializzarsi e di penetrare in profondità nella cultura individuale e sociale, facendo assumere a quest’ultima un carattere astratto.

   Innanzitutto, il processo di astrazione riguarda il capitale stesso. La ricchezza economica, in cui da sempre esso si concretizza, è infatti cambiata: un tempo legata alla concretezza della terra e ad altri beni immobili, ora si è fatta più mobile e leggera, assumendo ad esempio le forme del credito e della finanza. Ne è testimonianza la smaterializzazione progressiva del denaro, avvenuta, a partire dalla Grecia antica, attraverso tre fasi successive: il denaro che incorpora direttamente il suo valore (d’oro, d’argento), il denaro di carta e l’assegno (che svolgono una funzione simbolica in quanto sono realizzati con un materiale privo di valore, sebbene abbiano ancora un’esistenza concreta) e la moneta elettronica, cioè il denaro virtuale circolante nelle reti telematiche. Come ha messo in luce già alla fine dell’Ottocento Georg SImmel[1], che il denaro ha perso il suo valore materiale e specifico per trasformarsi in valore astratto e indistinto. Ciò gli ha consentito però di funzionare sempre meglio come unità di misura di tutte le cose, come “equamente generale” che livella le differenze qualitative e quantifica tutto per poterlo rendere scambiabile. 

   Marx affermava che nel capitalismo il processo di astrazione riguarda principalmente il lavoro ed è evidente nella particolare capacità della forza lavoro di trasformare il suo valore d’uso in valore economico, dunque di farsi astratta. La qualità della forza lavoro diventa cioè quantità nel momento in cui il lavoro viene venduto sul mercato al capitalista come un qualsiasi merce. Con lo sviluppo dei mercati e del capitalismo, il lavoro ha trasformato progressivamente la propria natura, da concreta in astratta. Perciò, anche il lavoro come il denaro, è stato smaterializzato dal processo di diffusione sociale del capitale.

   Una tappa fondamentale nel processo di astrazione del lavoro si è avuta a metà del Novecento, quando nei paesi capitalisti più avanzati i cosiddetti “colletti bianchi”, cioè i lavoratori che occupano posizioni direttive, tecniche e impiegatizie hanno cominciato a pesare quantitativamente nelle aziende. Per questo motivo molti sociologi borghesi cominciavano a parlare, erroneamente di “società postindustriale”.

   Approdiamo un attimo questa problematica inerente i “ceti medi”. Nel Manifesto del Partito Comunista  Marx ed Engels volevano mettere in evidenza la scissione sempre più netta, sotto il profilo politico, della società capitalista in due “grandi campi” fra loro antagonisti, campi che hanno la loro forza egemone nella classe borghese e nella classe proletaria. Nel 18 brumaio, e nelle Lotte di classe in Francia, in Rivoluzione e controrivoluzione in Germania e in altre opere storico-politiche di Marx e di Engels troviamo la piena conferma di questa loro concezione (che sarà poi ripresa e sviluppata da Lenin). Ed è innegabile che tutto lo sviluppo della società capitalista fino ad oggi sia andata in questa direzione.

   Sotto il profilo economico, la questione della riduzione marxiana del sistema capitalista a due soli classi è stata, in generale, fraintesa, confondendo il problema della produzione del valore e del plusvalore, con quello della sua realizzazione. Per quanto riguarda l’origine del plusvalore, è del tutto irrilevante sapere se, e come, esso poi sarà ripartito fra diverse classi che abbiano titolo a percepirne una determinata quota; interessa sapere chi lo estrae a chi, e questo rapporto si instaura fra due sole classi. Per quanto riguarda, invece, la realizzazione del plusvalore, l’esistenza di altre classi (oltre alle due fondamentali degli operai salariati e dei capitalisti) non solo non è negata da Marx, ma è da lui ritenuta necessaria per il funzionamento del sistema capitalistico.

   Nel Capitale, Volume III, egli afferma esplicitamente che “allo stato attuale delle cose, la ricostituzione dei capitali impiegati nella produzione dipende soprattutto dalla capacità di consumo delle classi improduttive”. E nelle Teorie sul plusvalore, Volume II, mette in rilievo mette il “costante accrescimento delle classi medie che si trovano nel mezzo, fra gli operai da una parte e i capitalisti e i proprietari fondiari dall’altra, in gran parte mantenute direttamente dal reddito, e che gravano come un peso sulla sottostante base lavoratrice”.

   Nel III volume delle Teorie del plusvalore vi è poi un brano ancora più eloquente. Marx spiega come siano i consumatori improduttivi a salvare (almeno in parte) i capitalisti dalle crisi di sovrapproduzione, “poiché i consumatori improduttivi non solo costituiscono un enorme canale di scarico per i prodotti gettati sul mercato, ma da parte loro non gettano alcun prodotto sul mercato; quindi, per quanto numerosi siano, non fanno concorrenza ai capitalisti, ma rappresentano tutta la domanda senza offerta”. Chi sono questi consumatori improduttivi? Sono in primo luogo i proprietari fondiari; ma continua Marx “questi rentiers fondiari non bastano a creare una domanda sufficiente”. Bisogna ricorrere a mezzi artificiali. “Questi consistono, in una massa di sinecuristi[2] statali ed ecclesiastici, in grandi eserciti, pensionati, decime per i preti, in un considerevole debito pubblico e, di tanto in tanto, in guerre dispendiose”.

   Questa descrizione che fa Marx, sembra una descrizione del giorno d’oggi; dall’enorme apparato burocratico dello Stato borghese alle spese militari, dai gravami fiscali per i lavoratori alla voragine del debito pubblico, fino all’otto per mille a favore della Chiesa Cattolica.

   Per quanto concerne la natura e la composizione delle “classi medie”, gli ideologi borghesi hanno interesse, da un lato, a gonfiarne la consistenza quantitativa, dall’altro a ricomprendere sotto la generica etichetta “ceto medio” un conglomerato eterogeneo di classi e ceti diversi (dal punto di vista terminologico, anche Marx ed Engels usano spesso il termine Mittelstande = ceti medi,[3] la questione, tuttavia, non è di parole, ma di sostanza).

   Ci può aiutare ad affrontare questo lavoro sulla definizione di “ceti medi” l’affrontare il rapporto fra lavoro produttivo e lavoro improduttivo.

   I testi generali di riferimento sono alcune pagine del Libro I del Capitale, il cosiddetto Capitolo VI inedito del Capitale stesso, nella parte che si intitola appunto Lavoro produttivo e lavoro improduttivo, il vol. I cap. 4° delle Teorie del plusvalore e l’Appendice allo stesso volume.

   Dal punto di vista del processo lavorativo semplice è produttivo ogni lavoro che mette capo a un risultato utile, a un valore d’uso, a un prodotto qualsiasi destinato al consumo. Dal punto di vista della produzione semplice di merci, è produttivo ogni lavoro che si oggettiva in un prodotto il quale assuma la forma merce, quale unità di valore d’uso e valore di scambio. Nel modo di produzione capitalistico, il processo lavorativo è soltanto un mezzo per la valorizzazione del capitale; perciò, dal punto di vista della produzione capitalistica di merci, è produttivo solo quello che si oggettiva, sì in merci, ma oltre a questo valorizza il capitale, aumenta il capitale, produce cioè un plusvalore per il capitale investito in quel ramo della produzione.       

   Scrive Marx nel    Capitolo VI inedito: “Poiché il fine immediato e lo specifico prodotto della produzione capitalistico è il plusvalore, in essa è   produttivo soltanto quel lavoro – e produttivo solo quell’erogatore di forza-lavoro – che produce direttamente plusvalore; quindi soltanto il lavoro consumato direttamente nel processo di produzione per valorizzare il capitale”.

   Sono dunque produttivi (di plusvalore) i lavoratori che scambiano il proprio lavoro vivo con denaro-capitale, sono improduttivi i lavoratori che scambiano il loro lavoro vivo con un reddito (cioè con una qualsiasi somma di denaro che non funge da capitale) e che pertanto non sono sussunti, né formalmente né realmente, nel rapporto di produzione capitalistico.

   La categoria dei lavoratori produttivi non coincide, dunque, con quella, dei lavoratori salariati. Vi sono lavoratori (per esempio, un giardiniere assunto in modo fisso da una persona che ne compensa il lavoro con una retribuzione mensile), i quali scambiano il loro lavoro semplicemente con un reddito. Questa persona può anche essere un capitalista; ma non è in quanto capitalista che essa assume il giardiniere perché tenga in ordine il giardino di casa. Altro esempio, le colf sono retribuite mensilmente o a ore con retribuzione che il loro datore di lavoro detrae dal proprio reddito. Il lavoro della colf non aumenta alcun capitale; al contrario il salario da essa percepito riduce di volta in volta il reddito della controparte. La colf è dunque una lavoratrice improduttiva.

   L’analisi di Marx è estremamente preciso in proposito: “Ogni lavoratore produttivo è salariato, ma non per questo ogni salariato è lavoratore produttivo. Se il lavoro è comperato per consumarlo in quanto valore d’uso, in quanto servizio, anziché per sostituirlo come fattore vivente al valore del capitale variabile e incorporarlo al processo di predazione capitalistico, il lavoro non è lavoro produttivo, e il salariato non è lavoratore produttivo. In questo caso, il lavoro è consumato per il suo valore d’uso non in quanto pone lavoro di scambio (…) Come le merci che il capitalista compera per il suo consumo privato non sono consumate produttivamente, non diventano fattori del capitale, così non sono consumati produttivamente i servizi che egli acquista, o volontariamente o per necessità di cose (servizi forniti dallo Stato, ecc.), a causa del loro valore d’uso, per il suo consumo”.

   A proposito dei servizi forniti dallo Stato (esercito, polizia, magistratura, pubblica amministrazione, ecc.), Marx nei Grundrisse (Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica), Cap. III, distingue ulteriormente il “salario” (Lohn) dal “soldo” (Sold), che fu storicamente la prima forma di retribuzione fissa, percepita dai soldati negli eserciti antichi. Sotto questo aspetto, anche negli Stati moderni i membri delle forze armare, i funzionari, gli impiegati statali ecc. sono degli “assoldati” rispetto ad altre categorie di “salariati”.

   Sotto la generica categoria dei “servizi” la sociologia borghese (e le statistiche borghesi) coprono figure sociali ed appartenenze di classe molto diverse, mistificando il tutto fino al ben noto slogan secondo il quale la società in cui viviamo sarebbe diventata la “società dei servizi” (slogan imbecille, che fa il paio con altri, non meno noti ed altrettanto mistificatori, come la “società dello spettacolo”, la “società dell’informazione”, la “società del benessere”, ecc.).

   Ciò che, invece, richiederebbe oggi un’analisi attenta, e sempre più approfondita, è la crescente sussunzione sotto il rapporto di produzione capitalistico di tutta una serie di attività che, in precedenza, erano condotte in modo non capitalistico da lavoratori autonomi (ristorazione, lavanderie, manutenzione e ripartizione, noleggio auto, attività culturali e ricreative, ecc).

   A proposito di certe attività di lavoro che non consistono nella produzione di beni materiali, Marx fa tre esempi che chiariscono molto bene le idee: lo scrittore, la cantante e l’insegnante.

   Lo scrittore:

  1. Può scrivere esclusivamente per il proprio piacere;
  2. Può scrivere libri per venderli, di volta in volta, come merci sul mercato librario: in tal caso, fa di se stesso un “trafficante di merci”;
  3. Scrive libri in modo continuativo su comando di un editore-capitalista che lo assume come suo salariato; valorizza, in tal caso, col suo lavoro il capitale dell’editore, produce per lui un plusvalore (Marx lo definisce esplicitamente, in quest’ultimo caso “letterato-proletario”).

   La cantante:

  1. Può cantare esclusivamente per il proprio piacere.
  2. Canta per un complesso che riceve di volta in volta (vendita di un servizio che assume forma di merce); è “un trafficante di merci”.
  3. È assunta, per cantare, in modo continuativo da un impresario teatrale capitalista che le corrisponde un salario, anch’essa, in quest’ultimo caso, aumenta un capitale; è una “cantante-proletaria”.

   L’insenante:

  1. Dà lezioni private per un compenso che riceve di volta in volta dai suoi allievi (vendita di un servizio che assume forma di merce) è “trafficante di merci”;
  2. Viene assunto come salariato da un istituto di insegnamento privato gestito su base capitalistica: valorizza il capitale del suo imprenditore, produce per lui un plusvalore; “è in insegnante-proletario”.

   Marx aggiungeva, ai tempi suoi, che “la grande maggioranza di questi lavori non è sottomessa (neppure) formalmente al capitale, ma rientra nelle forme di transizione verso il modo di produzione capitalistico”. Questa transizione si sta compiendo in forma sempre più accelerata.

Possiamo dunque concludere che uno stesso lavoro:

  1. Può essere produttivo o improduttivo a seconda che sia eseguito da un capitalista in quanto agente del capitale o per il consumo di un consumatore qualsiasi (un artigiano, un operaio, un capitalista, un contadino, ecc.);
  2. Il carattere produttivo o improduttivo del lavoro non dipende dal contenuto materiale del lavoro.

   Inoltre, uno stesso lavoratore può, in certi casi, cumulare nella sua persona entrambe le figure di lavoratore produttivo e di lavoratore improduttivo. Per esempio: il dipendente di una ditta commerciale, quando trasporta le merci all’interno del negozio e le dispone per la vendita, svolge un lavoro direttamente produttivo di pluslavoro (trasporto = prolungamento della produzione nella sfera della circolazione); quando vende le merci al cliente, svolge un lavoro non direttamente produttivo di plusvalore.

   Dunque, nell’odierna società capitalista a proposito del rapporto fra lavoro produttivo e lavoro improduttivo, alcune figure che i sociologi borghesi includono nel “ceto medio” fanno parte integrante del proletariato.

   Altre figure sociali appartengono, invece, alla piccola borghesia urbana, classe intermedia della società (distinta dalle classi fondamentali della società civile stessa): ne fanno parte gli artigiani nella sfera della produzione e i piccoli commercianti in quella della circolazione. Come scrivono lapidariamente Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista, essi spesso “combattono la borghesia”, ma “per salvare dalla rovina l’esistenza loro di ceti medi. Non sono dunque rivoluzionari, ma conservatori. Ancor più, essi sono reazionari, essi tendono a far girare all’indietro la ruota della storia. Se sono rivoluzionari, lo sono in vista del loro imminente passaggio al proletariato; cioè non difendono i loro interessi economici presenti, ma i loro interessi futuri”.

   La miglior descrizione di questa classe sociale rimane ancor oggi quella che ne dette Engels in Rivoluzione e controrivoluzione in Germania: “La sua posizione intermedia tra la classe dei capitalisti, commercianti, ed industriali maggiori, tra la borghesia propriamente detta e la classe dei proletari o industriale, determina il suo carattere. Mentre essa aspira alla posizione della prima, il più piccolo rovescio di fortuna precipita i suoi membri nelle file della seconda”. Dal punto di vista politico, è una classe estremamente instabile e vacillante nelle sue opinioni, perché “sballottata esternamente tra la speranza di salire nelle fila della classe più ricca  e la paura di essere ridotta alla condizione di proletari e pesino di poveri, tra la speranza di favorire i propri interessi con la conquista di una partecipazione nella direzione degli affari pubblici e il timore di provocare, con la sua opposizione intempestiva, la collera di un governo da cui dipende la sua stessa esistenza, perché ha il potere togliere i migliori clienti”.Questa descrizione potrebbe benissimo essere associ della sinistra borghese.

   Piccoli commercianti, artigiani, piccoli contadini sono classi di origine precapitalistica che conservano, anche nella fase del capitalismo maturo, la loro essenziale caratteristica di classi transitorie. Ma, accanto a questa piccola borghesia di tipo tradizionale, la dinamica interna del capitalismo nella sua fase caratterizzata dal Capitalismo Monopolistico di Stato genera una piccola borghesia urbana di tipo nuovo (tecnici, pubblicitari, esperti di marketing ecc.) che svolge ruoli particolari sia nella sfera della produzione che in quella della circolazione del capitale.

   Infine l’esigenza di una mediazione statale che regoli in forme più istituzionali le crescenti contraddizioni e i sempre più gravi squilibri del capitalismo nell’epoca imperialista genera uno sviluppo ipertrofico dell’apparato statale e parastatale (pubblico impiego).

   Nelle società di tardo capitalismo, tende a essere assorbita nel “ceto impiegatizio” statale anche una parte notevole di quella che Marx chiamava “ceti ideologici” (insegnanti, scrittori) e di quegli altri “ceti sociali” (avvocati, medici, liberi professionisti ecc.) che, in epoca precapitalistica, svolgevano la loro attività in forma privata.

   Esiste, inoltre, una massa di lavoratori salariati che, nelle città e nelle campagne, vendono la loro forza-lavoro al capitale solo per una parte limitata della loro giornata lavorativa, mentre nell’altra parte della loro giornata svolgono lavori non sussunti sotto il rapporto di produzione capitalistico (lavori di natura autonoma). Questi lavoratori salariati potrebbero essere classificati come semiproletari.

   Con l’arrivo del post fordismo[4] nelle metropoli imperialiste la grande fabbrica ha assunto la forma di una struttura reticolare dispersa sul territorio e composta da piccole realtà produttive.

  Questo processo nasceva come una risposta alla crisi generale del capitalismo (crisi non solo economica, ma anche politica, culturale e ambientale) cominciata nella metà degli anni Settanta.

   La crisi oltre alla transizione tra fordismo e postfordismo, ha provocato anche la tendenza nell’affermazione di nuove tecnologie come forza trainante dell’espansione economica[5] e la tendenza alla massiccia internazionalizzazione dei flussi finanziari.

   Un altro fattore che ha favorito le ristrutturazioni aziendali oltre all’accentuazione della concorrenza determinata dalla crisi è stata la lotta di classe dove negli anni Settanta nelle metropoli imperialiste ci fu una radicalizzazione delle lotte operaie.

   Non è certamente un caso che negli USA le prime aziende a essere ristrutturate sono quelle più sindacalizzate.

    In effetti, dopo il ciclo di lotte operaie degli anni ‘60/’70, i capitalisti sentivano la necessità di sperimentare nuove strategie produttive che consentissero loro un maggior controllo. Ma era la stessa evoluzione del sistema industriale che spingeva i capitalisti a ricercare una maggiore flessibilità produttiva. Una flessibilità resa possibile anche dalla riduzione del costo dei trasporti e dalla disponibilità di quella particolare struttura a rete che caratterizza il funzionamento delle tecnologie informatiche. A ciò va aggiunta la spinta al cambiamento derivante dalla crisi economica cominciata come si diceva prima nella metà degli anni Settanta, quando molti mercati dei beni di largo consumo raggiunsero per la prima volta il livello della maturazione e della saturazione.

   Nel corso dei secoli, anche la materia ha vissuto un processo di astrazione in conseguenza dell’analogo processo subito dal capitale. I beni hanno progressivamente ampliato i loro significati, sviluppando le loro componenti comunicative e immateriali a scapito di quelle puramente materiali. A partire dalla fine del Medioevo, prese vita il “mercato dello stile”, che si basava sullo scambio di oggetti preziosi, opere d’arte e persino volumi manoscritti in edizioni di lusso, cioè manufatti unici che richiedevano molti mesi per la loro realizzazione. Si trattava di un mercato riservato agli aristocratici e ai ricchi borghesi, che per diversi secoli è rimasto tale. Con l’arrivo dell’Ottocento però l’industrializzazione ha fatto grandi passi avanti e la riproduzione in serie di oggetti di stile ha dato l’avvio a un mercato di massa per questi articoli, un mercato cioè in cui un maggior numero di persone poteva permettersi di acquistare imitazioni standardizzate di oggetti tipici del mondo aristocratico.

   Nell’Ottocento ha inoltre avuto origine il concetto di design. Esso inizialmente si riferiva all’intero processo di progettazione dei prodotti, ma via via il suo significato è passato a indicare la possibilità di abbellire la superfice esterna degli oggetti. Possibilità realizzabile con decorazioni e forme slegate dalla funzione svolta dall’oggetto. Nel contempo, anche la disponibilità di nuove tecniche di costruzione e di materiali come l’acciaio e le grandi lastre di vetro ha consentito la creazione di uno stile architettonico sempre più astratto, in grado di esprimere una tensione verso l’immaterialità e la trascendenza. Il grattacielo, ardita invenzione statunitense di fine Ottocento, simbolizza meglio di qualunque altra architettura creata dagli esseri umani l’idea di crescita economica, ma anche di spinta verso l’alto e dunque verso l’immaterialità del cielo.

   Nel Novecento, il processo di smaterializzazione è proseguito tanto che fra gli innovatori dell’architettura e del design moderni, dal 1900 in poi, il fascino dell’immateriale diventò lo scopo del loro lavoro. Nei loro progetti e disegni, e spesso nelle loro parole, l’impulso a liberare la forma dalla sostanza rappresentava uno scopo. È il caso dei designer Walter Gropius, Marcel Breuer oppure di architetti come Le Corbusier e Frank Lloyd Wright.

   Negli ultimi decenni il processo di smaterializzazione degli oggetti è stato particolarmente evidente grazie ai progressi dell’elettronica. Di dimensioni sempre più ridotte e realizzati con nuovi materiali leggeri, gli oggetti sono diventati protagonisti discreti dello scenario sociale. In essi, infatti, la componente hard si è progressivamente ridotta e alleggerita, mentre quella software si è sviluppata, moltiplicando le funzioni sino a rendere a volta addirittura difficoltose per gli utilizzatori di riconoscimento e impiego.

   Insieme agli oggetti e alle architetture, anche i corpi individuali sono stati interessati da un processo di astrazione. Nel corso del Novecento, ad esempio, gli abiti femminili si sono ridotti e semplificati, producendo una percezione di dinamismo e di spostamento verso l’alto della figura femminile. E se nei primi anni del Novecento le rappresentazioni idealizzate del corpo continuavano a riflettere la predilezione per il tangibile, tipica del valore fondiario, con figure corpulente che rimandavano direttamente alla “pesantezza” della ricchezza terriera, nei decenni successivi il corpo femminile si è fatto più sottile e leggero. Rimedi dimagranti e diete sono diventati così la norma (e non solo per il sesso femminile), mentre la cellulite, codificata la prima volta nel 1924 dal medico Louis Alquier, è sempre più percepita come un vero e proprio nemico da distruggere.

   Appare evidente che nel corso della storia del capitalismo l’intera società ha subito una progressiva astrazione. D’altronde, anche la storia dell’industria culturale è imperniata su una progressiva proliferazione di dispositivi che spingono verso la smaterializzazione del mondo vissuto. Con la diffusione a livello di massa di libri a stampa e dei quotidiani, le persone hanno imparato a separare il produttore della conoscenza dalla conoscenza stessa, che è diventata un soggetto sempre più autonomo della società. A metà dell’Ottocento la nascita della fotografia ha indotto il medico statunitense Oliver Wendell Holmes a pensare che tale mezzo avrebbe potuto modificare la percezione della realtà da parte degli individui, producendo una netta separazione tra la forma espressiva e la materia. In effetti, la fotografia l’immagine autonoma dalla realtà oggettuale che rappresenta, stabile nel tempo e facilmente trasportabile. A ciò si può aggiungere che la fotografia è una riproduzione della realtà più convincente della realtà stessa e ha introdotto un processo di produzione meccanica dell’immagine che ha in parte esautorato l’autore umano. Questi non può più comportarsi infatti cone il pittore tradizionale che tendeva a imporre il suo personale punto di vista cercando di stabilire una distanza tra sé e il mondo.

   In seguito con il cinema e la radio, la riproducibilità tecnica perdeva in concretezza e guadagnava in astrazione. Ciò ha consentito a questi due mezzi di potenziare la loro capacità di coinvolgimento dello spettatore. Il cinema, intensificando la forza comunicativa delle immagini fotografiche, ha attraversato il confine dell’esistenza materiale, evocando un modo spirituale. La radio, introducendo invece un flusso di voci per rappresentare la realtà, ha dimostrato un grande potenza evocativa. Così la strategia di messa a distanza che era stata instaurata dal modello di rappresentazione imposto dalla cultura moderna viene progressivamente sostituita da un processo che tende ad annullare la distanza dell’esistente tra lo spettatore e la realtà.

   Ma è stata la televisione a sostituire definitivamente il punto di vista dell’individuo con quello della telecamera.

   Con il mezzo televisivo infatti a inquadrare la realtà non è più lo sguardo del singolo, ma quello della collettività che usa lo schermo. Tanti sguardi individuali si fondono in un unico sguardo, che coincide appunto con quello della telecamera. E tutto ciò viene ulteriormente intensificato oggi dal computer, che rappresenta la somma di tutti i media precedenti, e che in più è in grado di sfruttare le grandi possibilità comunicative proprie della Rete. Pertanto bisogna essere ciechi per non accorgersi che il computer si sta sposando con la televisione per costituire, all’esterno della psiche organica della persona, una psiche elettronica che propone ormai una paracoscienza collettiva.

DALL’EONOMIA MATERIALE ALL’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

   Negli ultimi anni, il processo di astrazione della società si è intensificato. Il denaro man mano si sta trasformando in informazione circolante nelle reti informatiche e dunque senza più vincoli di spazio e di tempo. È diventato cioè una componente di un flusso globale dove tutto si mescola incessantemente: forme di pagamento, messaggi pubblicitari, informazioni, spettacoli, merco e consumatori. E la vita sociale è sempre più il risultato della mescolanza tra i luoghi fisici tradizionali e questo flusso globale.

   Nelle metropoli imperialiste il lavoro si sta trasformando nella gestione di un flusso continuo di informazioni.[6]

   Ciò non significa che il lavoro manuale faticoso e alienante della fabbrica sia scomparso. Ma che si sta sviluppando la tendenza che vede che al lavoratore che non possedeva i suoi mezzi di produzione, si sostituisce più frequentemente un lavoratore che è invece proprietario del suo principale strumento di lavoro: la conoscenza.

   La conoscenza è sempre stata un risorsa importante per il funzionamento del sistema economico. Marx aveva intuito questa trasformazione del capitalismo individuando l’importante ruolo produttivo svolto dal general intellect, cioè dal “sapere sociale generale”, inteso come rete di relazioni e conoscenze che si sviluppano all’interno della fabbrica e che vengono impiegate per la produzione attraverso i macchinari. Nei Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica aveva sostenuto che il sapere astratto, quello scientifico in primo luogo, ma non solo, si avviava a diventare, proprio in virtù della sua autonomia dalla produzione, niente di meno che la principale forza produttiva, relegando il lavoro parcellizzato e ripetitivo in una posizione individuale.

   Ma il processo che si sta sviluppando oggi è ben più ampio di quello previsto da Marx all’interno della concezione del general intellect. Non riguarda cioè soltanto la capacità del sapere sociale di trasformarsi in Capitale fisso, cioè di rendere produttivi i macchinari operanti nelle fabbriche. A diventare sempre più importanti come strumenti di produzione sono le componenti immateriali dell’essere umano, come i processi mentali, le immaginazioni e le visioni del mondo. Vale a dire che la fonte del valore economico è ancora rappresentata dal lavoro svolto dagli individui, ma, grazie alla delocalizzazione produttiva in aree geografiche dove il costo della manodopera è minimo e alla crescente potenza delle tecnologie produttive, il lavoro nell’Occidente imperialista tende a focalizzarsi soprattutto sulle attività di ideazione, progettazione, promozione e commercializzazione dei prodotti. Cioè sulle attività di marketing e comunicazione e sul loro orientamento verso la ricerca di una relazione con i consumatori. Dunque, oggi la fonte del valore economico per molte aziende sta più che dalla produzione nella invenzione di un bene. Lo dimostra il caso esemplare di un’azienda come Google, dove i dipendenti devono per contratto, dedicare almeno il 20 per cento del proprio tempo a farsi venire idee nuove[7]. Ciò comporta che nel lavoro assumano un peso importante le esperienze e le conoscenze maturate dagli individuo al di fuori degli ambienti lavorativi e che le tradizionali frontiere tra lavoro e tempo libero si sgretolino progressivamente. Si può dire, insomma, che la produzione tende a uscire dalla fabbrica ed è la società che nel suo complesso a divenire la vera sorgente del progresso tecnico, mentre i meccanismi capitalistici di produzione del valore si estendono a tutto il tempo e lo spazio sociali.

SMART WORKING

   A proposito della tendenza del superamento della frontiera tra lavoro e tempo libero non si può non parlare dello Smart Working.

    La pandemia di Covid-19 è stata l’occasione che i capitalisti hanno colto per universalizzare un metodo di lavoro che esalta una delle esigenze fondamentali della produzione capitalistica: la flessibilità.

   Le misure di confinamento obbligatorio, l’ordine di restare a casa come prima e indispensabile misura per non infettare o infettarsi, con la conseguente chiusura di moltissime attività lavorative dove non si sapeva per quanto tempo sarebbe durata questa situazione, calavano sulle masse popolari come un’improvvisa calamità: niente lavoro, niente salario, pericolo di povertà assicurato. Quindi,  al rischio di essersi ammalati di Covid-19 senza accorgersene, al rischio di farsi curare per una malattia sconosciuta con farmaci del tutto inutili se non dannosi, al rischio di finire in ospedale quando i posti letto erano ormai esauriti e la terapia intensiva, o subintensiva, veniva destinata a pazienti selezionati con condizioni ipoteticamente con maggiori probabilità di guarigione, si aggiungeva il rischio di perdere il lavoro, e quindi il salario, e, per i più “fortunati”, di vedersi decurtato sensibilmente il salario con la cassa integrazione.

   Molte aziende, e non solo quelle che rientravano tra le funzioni “essenziali” in tempi di pandemia, hanno continuato per settimane a far lavorare i propri dipendenti per tamponare in qualche modo l’inevitabile perdita di profitto, ma senza attuare la necessaria sanificazione degli ambienti e senza rifornire delle indispensabili protezioni individuali i propri dipendenti (perfino negli ospedali!).

   La tecnologia moderna legata ad internet permette il collegamento a distanza, e non solo fra l’azienda e l’abitazione dei dipendenti, ma fra una parte e l’altra del mondo. Il telelavoro – ormai abitualmente adottato in moltissime operazioni (basti pensare ai call center) – è diventato così il modo di lavorare per una massa sempre più numerosa di lavoratori. Il cosiddetto Smart Working è così diventato una soluzione che risponde magnificamente alla flessibilità di cui hanno bisogno le aziende; può essere temporaneo, parziale, totale, a seconda della situazione in cui l’azienda viene trovarsi. E questa flessibilità aziendale è stata trasformata in “opportunità”, se non in un “favore” che l’azienda offre ai lavoratori – a cominciare dalle lavoratrici – nei casi in cui essi devono occuparsi della gestione domestica dei figli, degli anziani, dei disabili e, naturalmente, della cura della casa. Insomma, lo Smart Working, il lavoro intelligente, agile, rapido che, in realtà, confina in casa i lavoratori e le lavoratrici – come una specie di cottimo 2.0 – separa ogni lavoratore dagli altri, lì isola, li schiaccia nelle faccende domestiche illudendoli di poter “gestire” il proprio tempo di lavoro secondo le proprie esigenze familiari quotidiane.  Invece si tratta, in realtà, di un’ulteriore forma di sfruttamento schiavistico!

   Già nella vita quotidiana imposta dal capitalismo, i proletari sono sempre più costretti a provvedere da sé a tutta una serie di compiti pratici, ben riassunti nella denominazione di lavori domestici. La famiglia, questa forma organizzativa della vita che il capitalismo ha ereditato dalle precedenti società divise in classi, si dimostra sempre più – in particolare per i proletari – una prigione, uno spazio ristretto in cui vivere, un luogo da attrezzare per sopravvivere come se si fosse soli al mondo, un ambito in cui i rapporti tra esseri umani non sono “liberi” di esprimersi a seconda delle predisposizioni e pulsioni individuali di ciascun componente nel pieno rispettò delle predisposizioni e delle pulsioni degli altri componenti il nucleo familiare, ma dipendono dal guadagno privato, dai soldi che uno o più componenti riescono a portare a casa, dalla stabilità di quel guadagno. I soldi decidono tutto, chi ha i soldi, chi porta più soldi a casa acquista più potere all’interno del nucleo familiare, di fatto compra i favori degli altri, il loro affetto o la loro sottomissione, come succede sistematicamente nei confronti dei figli e, in generale, nei confronti delle donne da parte degli uomini. La schiavitù domestica, è ciò che caratterizza la condizione della donna nelle società divise in classi; con il capitalismo e il suo sviluppo, alla schiavitù domestica si è aggiunta la schiavitù salariale. La donna, sotto il capitalismo, soffre di questa doppia schiavitù, e lo Smart Working, riportando le lavoratrici e i lavoratori all’interno delle quattro mura domestiche, li toglie non dalla schiavitù salariale – che permane, in questo caso, sotto forma di auto detenzione – ma dai rapporti diretti con gli altri lavoratori salariati coi quali, proprio in base al lavoro associato che caratterizza l’attività produttiva capitalistica, è possibile confrontarvisi, verificare insieme e negli stessi momenti i comportamenti dei padroni e dei capi, solidarizzare praticamente e sul momento in tutti i casi in cui uno o più lavoratori vengono presi di mira, puniti, emarginati perché si oppongono o si ribellano a condizioni di lavoro insopportabili o rischiose. L’interesse borghese è di dividere, isolare i lavoratori gli uni dagli altri, renderli più deboli, schiacciarli in condizioni lavorative, e salariali, tali da obbligarli ancor più ad accettare “quel che passa il Convento”, ad accettare che le esigenze delle aziende primeggino su qualunque esigenza personale.

   E cosa c’è di meglio che confinare i lavoratori fra le quattro mura di casa dove li si illude di poter lavorare con meno stress, ma nei confronti dei quali non si attenua affatto, anzi, per un certo verso, si rafforza, il controllo sul loro lavoro, sulla quantità e qualità di tale lavoro.

   Lo Smart Working è utile soprattutto alle aziende: risparmiano sui costi fissi (locali in cui far lavorare più persone, postazioni attrezzate con scrivanie, telefoni, energia elettrica, riscaldamento, bagni, mensa o ticket pasti ecc.) e sui costi variabili (cancelleria, carta, ricariche varie ecc.), mentre scaricano una buona parte di quei costi sui lavoratori che si devono attrezzare in casa per collegarsi stabilmente via internet con l’azienda, pagando le bollette per l’elettricità e il gas aumentate per il loro maggior consumo, aumentando i costi dei pasti ecc., senza contare il fatto che non c’è più separazione tra il tempo di lavoro per l’azienda e il tempo a disposizione per se stessi.  L’azienda è entrata in casa, 24 ore su 24!


[1] Georg Simmel (1856-1918) è stato un sociologo e filosofo tedesco. Ad oggi è considerato uno dei padri fondatori della sociologia, insieme ad Émile Durkheim e Max Weber. Il suo pensiero ha ispirato molti e in modi diversi, anche per la vastità della sua opera. https://it.wikipedia.org/wiki/Georg_Simmel

[2] Sinecura s. f. [dalla locuz. lat. eccles. sine cura «senza cura (di anime)»]. – 1. . Beneficio ecclesiastico senza obbligo di uffizî e di cura spirituale di fedeli. 2.. Ufficio, occupazione di scarso impegno e di poca fatica e responsabilità. https://www.treccani.it/vocabolario/sinecura/

[3] https://www.google.it/search?q=mittelstand+traduzione&source=hp&ei=2-ApYqSGMYPYaKifuvAD&iflsig=AHkkrS4AAAAAYinu60ShPxKjfRgegtjekve1eJ4iZn6T&oq=Mittelstande+&gs_lcp=Cgdnd3Mtd2l6EAEYADIECAAQDTIGCAAQDRAeMgYIABANEB4yCAgAEA0QChAeMgYIABANEB4yBggAEA0QHjIGCAAQDRAeMgYIABANEB4yCAgAEA0QChAeMgYIABANEB5KBQhAEgExUABYAGDyHGgAcAB4AIABjQeIAY0HkgEDNi0xmAEAoAECoAEB&sclient=gws-wiz

[4] Postfordismo In economia, la fase di sviluppo industriale che caratterizza gran parte delle economie capitaliste più avanzate a partire dagli ultimi decenni del 20° secolo. Contrariamente alla fase del fordismo, la cui caratteristica precipua era la produzione industriale di massa basata sull’impiego di lavoro ripetitivo che aveva progressivamente perso qualifiche e specializzazioni, il postfordismo si caratterizza per l’adozione di tecnologie e criteri organizzativi che pongono nuova enfasi sulla specializzazione, qualificazione e flessibilità dei lavoratori. L’industria, abbandonata la tradizionale produzione di massa, acquista maggiore flessibilità produttiva e organizzativa, adeguando la propria offerta a una domanda, in particolare di beni di consumo, sempre più diversificata e soggetta a cambiamenti anche molto repentini. Metodo di produzione emblematico del p. è il sistema di gestione delle scorte chiamato just in time

https://www.treccani.it/enciclopedia/postfordismo

[5] Microelettronica, telecomunicazioni, elaborazioni dati, tecnologie ottiche, robotica ecc.

[6] Tutto questo però non ha niente a che fare con le teorie della scomparsa della classe operaia e con le tesi della società “postindustriale”.

[7] https://www.giovannilucarelli.it/2014/05/principi-innovazione-google-2/

https://www.feltrinellieditore.it/news/2007/09/17/vittorio-zucconi-google–i-dieci-anni-che-sconvolsero-il-web-8986

https://formiche.net/2013/09/google-lavoro-tempo-libero-convivono-azienda-i-dipendenti-hanno-diritto-al-20-liberta-creativa-fino-quando/ ci

CRISI DEL CAPITALE

•aprile 26, 2024 • Lascia un commento

   Per Marx, ognuna delle crisi del capitale si risolve con una distruzione delle forze produttive, ma non di tutte e neanche di una quota di ognuna di esse, ma solo di quelle che, già prima della crisi, erano soccombenti nella concorrenza, essendo state rese obsolete dalle nuove forze emergenti, insomma divenute meno produttive, nel solo nel senso della produttività del processo di lavoro, ma anche di forza complessiva che in ultima istanza si fonda comunque sulla produttività del lavoro. Mentre per quelle divenute già produttive, la crisi è un’occasione di ulteriore consolidamento ed estensione della loro predominanza. Infatti, secondo Marx, da ogni crisi sorge sempre un nuovo equilibrio che non scaturisce dal nulla, ma era già incubato prima della crisi. La crisi si limita a sancirlo, a renderlo esplicito e, appunto, dominante abolendo gli ostacoli che in precedenza lo frenavano.

   Marx si riferiva alle crisi economiche classiche, non risulta che si sia mai misurato con l’ipotesi di una distruzione generalizzata di forze produttive provocata da un conflitto mondiale altamente distruttivo. Dopo di lui i conflitti di tale portata ci sono stati, e sono stati due. In essi i molti marxisti, e non solo marxisti, hanno visto la realizzazione su vasta scala della stessa dinamica che si era manifestata nelle crisi economiche classiche. Effettivamente i due conflitti mondiali hanno distrutto una quantità di forze produttive materiali e umane che corrispondeva a un gigantesco multiplo di ognuna  delle crisi cicliche classiche. Ma già qui compare una differenza che smentisce l’assunto “ogni guerra mondiale distrugge forze produttive, consentendo al capitale di ripartire per una nuova fase di crescita”. Infatti la Prima guerra mondiale non ha lanciato dopo di sé alcuna crescita, in grande stile dell’accumulazione capitalistica, ma, anzi, la peggiore crisi che il capitale abbia mai vissuto, nel 1929 (è già questo dovrebbe far riflettere nell’applicare in maniera meccanicistica un assunto alla realtà). Perché? Perché da essa, se Marx avesse avuto ragione, non sarebbe emerso un nuovo equilibrio in grado di superare le strettoie che avevano generato la crisi e la guerra.

   Dopo la Seconda guerra mondiale, invece, il nuovo equilibrio è emerso, e il capitale ha conosciuto un lungo periodo di crescita, che non ha pari, in estensione e intensità, con nessuna delle precedenti fasi di crescita. Non ha, insomma, semplicemente ricostituito i livelli che aveva raggiunto fino al 1914, ma è andato molto, molto, oltre di essi.

   Quale sia, dunque, questo nuovo equilibrio è domanda su cui non si può sorvolare, pena l’incomprensione del “dove siamo oggi”, cioè, dov’è oggi il capitale e, di conseguenza, “il movimento reale che trasforma la realtà esistente”. A questa avere la capacità di darsi una risposta materialistica evitando risposte consolatorie.

    Torniamo al punto. Quale nuovo equilibrio è emerso dopo la Seconda guerra mondiale?

    Prima di tutto, e in perfetta adesione ai postulati concreti (quelli, appunto necessario a comprendere come la teoria trova applicazione) di Marx, la Seconda guerra mondiale non ha distrutto tutte le forze produttive, e non le ha distrutte pro quota. le ha distrutte in alcuni centri in cui si erano massivamente sviluppate, Europa e Giappone. Negli USA non solo non sono state distrutte, ma, grazie anche alla guerra, non hanno smesso mai di continuare a svilupparsi, sia in quantità che in qualità. A ben vedere già prima della guerra gli USA erano diventati il paese con il più alto livello di forze produttive  altamente sviluppate, non solo nell’industria ma anche in tutti i fattori produttivi (a partire dall’agricoltura che impiegava, già allora, una frazione bassissima della forza lavoro rispetto a tutti gli altri paesi capitalisti), conglomerati capitalistici già estesi a una massa territoriale paragonabile a un continente, un accumulo gigantesco di capitali che consentivano un assoluto primato in termini di finanza e, anche, una moneta forte, proprio perché fondata su un capitale complessivamente potente. Oltre a ciò, la guerra permise agli USA anche diventare una potenza militare inarrivabile e, non meno importante, acquisire una predominanza stratosferica (rispetto agli altri) nella logistica marittima e terrestre.

   La crisi-guerra, perciò non fece altro che sancire ciò che già incubava, ma si rivelò anche un piccolo dettaglio: ciò che conta per il capitale non è genericamente “distruggere le forze produttive”, ma distruggere le forze produttive degli altri capitalisti e preservare le proprie. Piccola parentesi su cui tornare: la guerra mondiale che si annuncia e di cui proprio gli USA hanno sommo bisogno, molto difficilmente li ascerà integri come la Seconda. Russia e Cina hanno già la capacità militare di distruggere completamente gli USA (e Putin ha già avvertito che, se la Russia sarà trascinata in una guerra in Europa, i suoi mandanti non resteranno impuniti e intoccati).

   Il nuovo equilibrio post-crisi era, dunque, fondato su una unica potenza che superava di grandezze incommensurabili tutte le altre, dissanguatesi in tutti i sensi a causa della guerra. Questo è un primo elemento di un nuovo equilibrio: non ci sono più molteplici potenze capitaliste più o meno alla pari che si contendono alla pari, ma ce n’è una che decisamente superato tutte le altre e che ha nelle sue mani la possibilità di farle riprendere oppure no . Ciò, per inciso, ci rivela un altro piccolo dettaglio: da una distruzione delle forze produttive il capitale non riparte magicamente dalle sue macerie, ma grazie al fatto che ci siano forze produttive non-distrutte è che siano, inoltre, sufficientemente sviluppate da far ripartire il ciclo dell’accumulazione ovunque.

   Gli USA fecero, come noto, ripartire il ciclo dell’accumulazione capitalistica sia in Europa che in Giappone. E lo fecero con due misure:

  1. Prestando capitali;
  2. Fornendo liquidità a tutti.

   Questi due fatti non sono una semplice solidarietà tra capitalisti, ma cambiano ulteriori quattro elementi del precedente equilibrio:

  1. Smettono di esistere i vari paesi imperialisti che si contengono la spartizione del mondo, ma l’imperialismo si configura a un nuovo livello, come imperialismo collettivo di quegli stessi paesi con però un unico centro mondiale, gli USA, da cui tutti gli altri dipendono per continuare a restare dalla parte di chi sfrutta il mondo sotto-sviluppato e non finire in quest’ultimo mondo (tra essi rimane ancora in vita la concorrenza, ma non è più in discussione questa gerarchia imperialista). Nemmeno gli USA sono paragonabili alla precedente Gran Bretagna, che era, sì più potente degli altri, ma non li dominava;
  2. Il predominio USA sugli altri paesi imperialisti non è solo questione di “potenza interna”, ma si estende come una piovra, grazie alle multinazionali, che investono direttamente negli altri paesi imperialisti, vi costruiscono filiali, si appropriano di aziende e capitali locali, determinano le condizioni produttive, gli standard produttivi e organizzativi, ecc. fino al punto di creare, lo vediamo oggi, un capitale trans-nazionale a dominio USA, con la conseguente scomparsa degli altri capitali a forte base nazionale;
  3. Il rapporto tra paesi dominanti e dominati cambia: non c’è più bisogno di colonie, ma il dominio e lo sfruttamento prendono le strade più proficue, dell’esportazione dei capitali, della schiavitù finanziaria tramite debito, della nuova minaccia delle portaerei e dell’atomica, ecc.;
  4. Si afferma una moneta mondiale ciò che non era mai stata la sterlina. Una moneta fondata su presupposti economici, politici, commerciali, finanziari, militari da rendere le transazioni e gli scambi mondiali  più sicuri di quelli precedenti.

   Tutti questi elementi delineano il nuovo equilibrio scaturito dalla Seconda guerra mondiale. E tutti insieme costituiscono anche un’innovazione rispetto alla fase precedente: il mercato mondiale non è più limitato al “commercio estero” di merci, ma assume i caratteri di un vero e proprio mercato capitalista in cui circolano liberamente i capitali e, almeno tendenzialmente, si conquistano l’accesso allo sfruttamento diretto di tutte le forze-lavoro mondiali.

   È stato un processo lungo, che ha trovato compimento con la caduta della “cortina di ferro” e il coinvolgimento della Cina nelle catene del valore globali.

   Il mercato mondiale capitalista delineato in teoria come una necessità per lo sviluppo del capitale esiste, dunque, nel suo modo concreto alle condizioni attuali: un blocco imperialista in un paese, potente sopra tutti da ogni punto di vista , in grado di svolgere la funzione di cassaforte finanziaria mondiale, ma anche mercato di consumo principale sia come quantità assorbite di merci, sia, e soprattutto, come capacità di decidere le caratteristiche e gli standard di tutte le merci che circolano nel mondo, e anche dominante le forze produttive divenute decisive (l’alta tecnologia), nonché emettitore della moneta indispensabile ai commerci e come moneta di riserva. Per potere svolgere questa funziona, nell’interesse di “tutti” i capitalisti del mondo, c’è, ovviamente, una piccola condizione: che la stragrande maggioranza dei profitti mondialmente prodotti vi siano centralizzati direttamente con le multinazionali o indirettamente tramite il potere finanziario, e, inoltre, che, per garantire la stabilità del dollaro, possa vivere con un debito complessivo enorme, in quanto finanziato da tutti gli altri. Insomma, un paese con un privilegio esorbitante su tutti gli altri, ma di cui gli altri hanno bisogno. Perché, se gli USA dovessero patire una crisi profonda, non andrebbero in crisi solo loro, ma crollerebbe il mercato mondiale capitalista, si bloccherebbero tutti gli scambi e, di conseguenza, la produzione mondiale.

   Il passo avanti fatto nella direzione del mercato mondiale capitalistico da semplice commercio delle merci a vero e proprio mercato dei capitali (nato con l’esportazione dei capitali ma andato molto oltre questa) e del lavoro, nonché l’apparire di una moneta veramente mondiale hanno consentito al capitale la straordinaria crescita dei “trenta gloriosi anni” di crescita cominciati nel secondo dopoguerra, ma gli hanno anche permesso di “risolvere” la classica crisi che si era ripresentata nella prima metà degli anni Settata. Rimosso il limite dell’ancoraggio all’oro del dollaro, la soluzione alla crisi è stata trovata nel trasferire gran parte della produzione in paesi sotto-sviluppati, sfruttando una manodopera meno costosa, e trasferendovi parte delle forze produttive divenute obsolete. La dotazione di nuove forze produttive a questi paesi vi ha innescato una lotta di classe simile a quella sviluppata in Europa e USA fino agli anni Sessanta. Questi paesi sono stati, perciò, sospinti dai conflitti di classe interni a cercare di utilizzare le forze produttive ricevute non solo per alimentare i profitti imperialisti, ma anche per sé stessi. I primi paesi coinvolti nel processo furono le “tigri asiatiche”[1], che furono le prime anche a cercare di trasformarsi in potenze capitalistiche “in proprio”. La delocalizzazione si concentrò anche in Cina, paese che offriva non solo una manodopera, oltre che a basso costo, già sufficientemente qualificata, ma anche la possibilità di sviluppare un’ambiente favorevole all’attività industriale e con costi bassi.

   Queste delocalizzazioni facevano parte di un’operazione  da parte dei gruppi imperialisti USA per fronteggiare la crisi.

   Approfittando del fatto che la Repubblica Popolare Cinese aveva bisogno di qualcuno che la spalleggiasse dal punto di vista economico, il Partito Comunista Cinese non riteneva possibile cominciare da zero come aveva fatto l’Unione Sovietica negli anni Trenta (stante anche le condizioni diverse: la maggiore arretratezza, l’ostilità dell’URSS e di gran parte del Movimento Comunista Internazionale). A seguito di questa operazione i monopoli USA vanno a produrre in Cina e poi proseguiranno altrove: abbattono così i propri costi di produzione.

   Questa scelta di delocalizzare in Cina (e in altri paesi) permise di rinviare ulteriormente il peggioramento della crisi. Nel frattempo la crescita del proletariato cinese ha indotto un conflitto di classe in questo paese che ha reso indispensabile al governo e allo Stato il tentativo di ridurre il flusso dei profitti verso l’Occidente per potere realizzare un suo proprio maggiore sviluppo. Annichilire la Cina come si era fatto per le “tigri “non è possibile. Il tentativo è ancora in corso.

   Se le caratteristiche del nuovo equilibrio post-1945 sono state, nell’essenziale, delineate correttamente, bisogna ora chiedersi quale nuovo equilibrio incuba all’interno della crisi attuale del capitale che non solo non si arresta e forze  sarà indispensabile portarlo a livello di guerra.

   Si dovrebbe cominciare a esaminare una serie di fattori singolarmente e nel loro intreccio.

   Prendiamo come esempio il fattore della sovra-capacità produttiva, ovvero la difficoltà del capitale di riprodurre nel suo insieme i cicli di accumulazione. Ciò significa prendere in considerazione solo la parte del mondo che già possiede forze produttive massicce, che siano dislocate nel proprio paese o delocalizzate altrove. Nello stesso tempo in cui questa sovracapacità sì manifesta, i paesi che non fanno parte di questa cerchia ristretta, non si trovano in una situazione di sovra-capacità di forze produttive, ma al contrario hanno necessità di incrementare quelle povere o nulle di cui dispongono. Ancora una volta questa contraddizione era già inserita nella teoria del capitale, da cui emergeva che la natura di questo modo di produzione è di sottometterle al “regime di proprietà privata” secondo cui chi le sviluppa e le detiene ne limita la diffusione allo scopo di usarle per accrescere i propri profitti.      

   Il movimento operaio degli albori si poneva l’obiettivo di socializzare le forze produttive. La Rivoluzione di Ottobre provò a risolvere questo problema, ma di forze produttive in Russia in quel periodo vi erano ben poche, e fallita la rivoluzione socialista in Europa (anche a causa del ruolo controrivoluzionario della socialdemocrazia che era maggioritaria nel movimento operaio europeo), la Russia dovette dedicarsi al tentativo di costruire  da sola le forze produttive, con una rincorsa permanente a eguagliare la produttività dell’Occidente.          

   Questo aspetto della teoria ha avuto dei tentativi di renderlo concreto.  Oggi, questa teoria diventa molta concreta a livello internazionale.

   La Cina come paese è perfettamente consapevole che le forze produttive minacciate di distruzione con un conflitto con gli USA, sono le sue, come si vede dalla catena di sanzioni, dazi, provocazioni, ecc. e come ciò potrebbe essere realizzato ancora meglio con una crisi della Cina o con la sua distruzione. Ma qui c’è un altro aspetto che conferma il fatto che la Cina è posta da anni alla testa di un processo, lento, ma costante, di una costituzione di un fronte accomunato sulla ricerca di un maggiore sviluppo, che unisce paesi che qualche gradino di sviluppo lo hanno salito (come Cina, Russia, Brasile) a tanti altri che sono tenuti dall’imperialismo nelle condizioni di sotto-sviluppo, se non proprio distrutti con guerre di ogni tipo. Se si guarda all’insieme delle politiche della Cina, della Russia e dei BRICS nel suo insieme, all’interesse crescente che conquistano nel resto del mondo, la questione diventa oggettivamente importante, nel senso che una enorme parte del mondo che è riuscita a vivere nel sottosviluppo o nel semisviluppo fino a ora, non può più continuare a farlo.   

   Non perché stiano emergendo borghesie più accanite, ma perché nelle loro società i conflitti di classe si fanno sempre più minacciosi.      

   Da un lato c’è un mondo che soffre la sovracapacità, dall’altro uno che soffre la sottocapacità. Da un lato un mondo che soffre per l’eccesso di sviluppo, dall’altro un mondo che soffre per la sua mancanza o debolezza.

   Ora, se l’equilibrio post-1945 sta andando in crisi, e se esso ha messo in movimento davvero le forze che si contendono        nel modo suddetto il conflitto sulla questione dello “sviluppo” e della diffusione delle forze produttive, quale è il nuovo equilibrio che potenzialmente può emergere dalla deflagrazione del primo, che sta diventando sempre più possibile?      

   Se si guarda alle forze in campo, abbiamo oggi:

  • Un polo che si batte per rinnovare l’equilibrio post-1945, un mercato mondiale capitalistico con centro quello che si potrebbe definire l’Occidente collettivo, e che, infatti, avvertendo il rischio di scomparsa, si arrocca sempre più nel paese che lo domina (una deindustrializzazione che è  a svantaggio dell’Europa e che invece va a vantaggio degli USA per esempio) e diventa sempre più aggressivo, fino alla probabilissima esplosione di un conflitto mondiale generalizzato;
  • Un polo di paesi capitalisti (al di là di certe autodenominazioni “socialiste”) che per uscire dai semi o sottosviluppo premono per ridurre il privilegio esorbitante dagli USA e, a cascata, dei loro vassalli, e il massimo obbiettivo che possono porsi è quello di transitare a un mercato mondiale capitalistico che  ci sia un centro mondiale capitalistico che lo domina, in sostanza vogliono un mercato mondiale capitalistico “democratico”.   

Ora, si potrebbe discutere se un mercato mondiale capitalista senza centro imperialista possa davvero concretamente esistere. Di sicuro, se gli USA uscissero sconfitti da un’eventuale guerra o a causa di una pesante crisi che non riescono più a scaricare sugli altri, nessun altro paese al momento possederebbe le condizioni prenderne il posto. Né la cosiddetta Europa, non i suoi singoli paesi, né il Giappone che sarebbero trascinati pesantemente nella soccombenza USA. Ma neanche la Cina è lontanissima dalle condizioni differenziali di sviluppo degli USA nel 1945, e non potrà raggiungerle mai, soprattutto per l’enorme massa di lavoratori delle campagne, che non può trasformare in lavoratori altamente produttivi e neanche può disfarsene  o eliminare in massa. Stiamo parlando di circa  600-700 milioni di cinesi. Quindi il mondo nuovo che può emergere è un mondo che, di sicuro,  non potrà avere la stessa stabilità che ha avuto negli ultimi 80 anni, cambiando semplicemente i ruoli dei paesi.

    Dunque, se l’equilibrio precedente non regge più e se un nuovo equilibrio non è possibile o sarebbe altamente instabile, puòemergere un terzo ipotetico equilibrio del capitale? Non si può escludere questa ipotesi. Oppure può emergere una situazione che imponga la necessità di fare a meno del capitale e dei suoi equilibri, mettendo in moto le forze sociali e politiche necessarie a questo scopo.                                                                                                                                                                                              


[1] Nome con cui si indicano, nel gergo economico, le economie di Hong Kong, Singapore, Corea del Sud e Taiwan, che tra gli anni 1960 e 1990 hanno promosso percorsi di industrializzazione, cambiamento strutturale e crescita comunemente considerati di successo. Durante il 21° sec. le 4 T. sono a pieno titolo entrate a far parte del mercato globale: Hong Kong e Singapore come centri finanziari e logistici di importanza mondiale, Corea del Sud e Taiwan raggiungendo posizioni di leadership per alcuni importanti prodotti industriali e nel settore delle tecnologie informatiche.  https://www.treccani.it/enciclopedia/tigri-asiatiche_(Dizionario-di-Economia-e-Finanza)/

STATO SOCIALE, PSICHIATRIA, MAGISTRATURA E SOCIETA’

•aprile 19, 2024 • Lascia un commento

ABUSI SU MINORI: COSA C’E’ DIETRO?

   A Reggio Emilia NEL 2019 su un’inchiesta relativa ad abusi su minori ci  furono 27 indagati e 18 misure cautelari, e il sindaco ai domiciliari. In questa inchiesta è stata coinvolta anche una Onlus torinese.[1]

   Emerge una storia agghiacciante. Dove ai bambini furono usate nei loro confronti scosse elettriche per modificarne la memoria e generare falsi ricordi di abusi di abusi sessuali mai avvenuti, dove ci furono terapeuti che si travestivano da personaggi cattivi delle fiabe in rappresentazione dei genitori e ci furono relazioni falsificate per strappare i bambini alle proprie famiglie e collocarli in affido a conoscenti e sottoporre i minori a un programma psicoterapeutico per un giro d’affari di centinaia di migliaia di euro.  

   Si stenta a credere al racconto che emerge dalle carte.

   I bimbi sarebbero stati sottoposti a ore e ore di intensi “lavaggi del cervello durante le sedute di psicoterapia[2] e suggestionati anche con l’uso di impulsi elettrici.

   Un sistema spacciato ai piccoli come una “macchinetta dei ricordi”, che in realtà avrebbe alterato lo stato della memoria in prossimità dei colloqui giudiziari. Siamo di fronte a un fatto denunciato e rimosso dai poteri dominanti e dai loro servi dell’informazione: il lavaggio del cervello. Ci troviamo di fronte all’induzione dello shock per riprogrammare la mente, alterandone la mente e creare falsi ricordi. Tecnica che fu sviluppata da quegli psichiatri che collaborarono all’insieme di progetti sperimentati e finanziati dalla CIA negli anni ’50 e ’60 che prese il nome di MK-ULTRA.

   Diceva nel 1958 lo scrittor Aldous Huxley: “Se la dottrina è impartita nel modi giusto e al momento giusto all’esaurimento nervoso, essa penetra. In condizioni opportune si può convertire in pratica chiunque, a qualunque dottrina si voglia”.[3]

   L’MK-ULTRA parte propria da questo presupposto, facendo del trauma il punto di partenza.

   Questa tecnica avrebbe dovuto portare numerosi vantaggi, come ad esempio la creazione di assassini inconsapevoli o il controllo di leader stranieri scomodi. Il progetto sarebbe stato sovvenzionato da un totale di 25 milioni di dollari e ne fu furono coinvolte 80 istituzioni tra cui 44 università e 12 ospedali.

   Da quello che emerse dagli oltre 22.000 documenti USA declassificati e riportati in luce nel 1977, gli esperimenti prevedevano il ricorso ad abusi fisici e psichici, radiazioni, elettroshock, ipnosi, infine la somministrazione di sostanze psicotrope quali l’LSD.

   Stando ai documenti recuperati, le cavie degli esperimenti erano: dipendenti della CIA, personale militare, prostitute, pazienti con disturbi mentali e persone comuni che si offrivano come volontari a pagamento; il tutto con lo scopo di verificare che tipo di reazione avessero queste persone otto l’influsso di droghe e altre sostanze.

   Stando ad alcuni ricercatori e a denunce che ci sono state in molti paesi tra i quali l’Italia,[4] questo genere di sperimentazioni e di torture non sarebbe però terminato negli anni ’70, ma si sarebbe raffinato e continua in segreto un protocollo specifico che avrebbe trovato la propria sede ideale presso l’istituto Tavistock, situato nell’omonima cittadina inglese.

   Bisogna dire mentre sull’MK-ULTRA i documenti ufficiali che furono resi pubblici, si configurarono come fonti pienamente attendibili negli ultimi casi la ricostruzione è ancora frammentaria e incompleta.

   Le ultime notizie di cronaca che parlano di bambini torturati tramite impulsi elettrici conferma che certe tecniche vengono usate per fini criminali.

   Queste tecniche di condizionamento sono pure usate da sette di stampo occulto grazie alla copertura dei servizi segreti.

   Da un lato si gettano le basi per fabbricare dei veri e propri culti intorno a un leader carismatico dall’altro si sperimentano le tecniche del progetto MK-ULTRA.

   È così che si creano dei movimenti settari che alterano tecniche di manipolazione mentale a pratiche esoteriche.

BUSINESS SUGLI AFFIDI DEI MINORI E TSO

   Una notizia proveniente dal sito http://avvocatisenzafrontiere.it/?p=2227[5] afferma che nel 2011 il giro di affari attorno ai minorenni collocati in case-famiglia e agli affidi familiari sarebbe da più di un miliardo di Euro[6].

   Nel 2011, questo destino travolgerebbe più di 32.000 minorenni. Più delle volte questi minori sono allontanati dalle famiglie per motivi, che in apparenza sarebbero “giustificati”[7] con motivazioni come: abusi sessuali, maltrattamenti o l’indigenza.

   Dal 2001 al 2011 il numero dei minori in questo giro infernale è aumentato del 29,3%. Più della metà è finito in affidamento temporaneo ad altre famiglie. Il resto in quelli che prima erano chiamati istituti, ma dal 2001 sono stati più formalmente ribattezzati servizi residenziali. Nel 2011 erano presenti oltre un migliaio di comunità che ospitavano 15.624 ragazzini

   Un numero enorme, che costa allo Stato mezzo miliardo di Euro all’anno solo in rette giornaliere.  Ma la cifra secondo molti esperti di giustizia minorile, andrebbe più che raddoppiata. Oggi questo sistema viene rimesso in discussione: sono sorte associazioni, si sono sviluppate inchieste giornalistiche[8] che hanno portato all’emersione di racconti dove si parla di assistenti sociali troppo interventisti, di psicologi disattenti, di una magistratura flemmatica e di interessi economici e di errori giudiziari sempre più frequenti. Come quello in cui sono incappati due fratellini di Basiglio (MI). Il più grande aveva 14 anni, la sorella 10. Il 14 marzo 2008 la polizia li preleva da casa e li porta in due comunità protette.[9]

   Questa storia nasce quando a scuola, una maestra aveva trovato un disegno che li descrive mentre fanno sesso insieme. Viene attribuito alla bambina. Alla fine tutto ciò si scoprì era il frutto di uno scherzo atroce di una campagna di classe. Anche il perito grafico del tribunale ha confermato la versione dello scherzo, il guaio che egli fu nominato solo dopo 41 giorni. Anche a causa di questo inspiegabile i ragazzini trascorrono più di due mei in comunità. Sono stati mesi di angoscia: il più grande, per la sofferenza, perde 9 chili. L’avvocato che si è battuto per fare affiorare la verità l’avvocato Antonello Martinez per due mesi si danna l’anima: fino a quando i bambini non tornano dai genitori con molte scuse. A ottobre, la Procura di Milano chiede il rinvio a giudizio per la preside della scuola, per due maestre, per uno psicologo e un’assistente sociale del comune. L’accusa è “falsa testimonianza”.

  L’avvocato Martinez ha da quando si è occupato dei due fratellini, ha ricevuto più di 700 segnalazioni: madri e padri disperati disposti a tutto pur di riavere indietro i loro figli. È diventato presidente dell’associazione Cresco a casa: accusa “Tutti denunciano lo stesso scandalo. I nostri figli sono nelle mani degli assistenti sociali. Scrivono: “I genitori non sono idonei”. Poi mandano la relazione a un magistrato che, senza troppe verifiche, adotta un provvedimento provvisorio. Quello definitivo arriva, quando tutto va bene, anni dopo. Ma i bambini intanto sono usciti di casa”.[10]

   Il caso di Basiglio è illuminante: alle 9 di mattina il dirigente scolastico averte i servizi sociali, che inviano un telefax al tribunale di Milano. Passa qualche ora: il giudice dispone che i bambini vengono allontanati alla famiglia. Di sera, la polizia locale esegue. Per inciso non si chiese ma delle spiegazioni: né ai ragazzini né ai genitori.

   Martinez denuncia il fatto che: “Questi sono sequestri di Stato” prosegue concitato. E attacca: “Ogni giorno vengono portati via 80 bambini. Li chiudono in un centro protetto per anni, e costano allo Stato in media 200 euro al giorno”.[11]

   Una cifra che farebbe lievitare considerevolmente la spesa ufficiale per l’accoglienza, stimata in mezzo miliardo di euro. Basta fare due calcoli: 200 euro al giorno fanno un totale di 73 mila euro all’anno per ogni minorenne. Che moltiplicati per i 15.624 ospiti dei centri significa oltre 1,1, miliardi di euro: più del doppio di quanto riveli la cifra in mano ai ministeri, probabilmente troppo prudente.

   Una cosa è certa: tenere un bambini in una comunità protetta costa molto. E non assicura quella stabilità affettiva che potrebbe offrire una famiglia.

TSO AFFARI E “GIUSTIZIA”

   Secondo il codice civile l’interdizione viene effettuata quando una persona maggiorenne si trova in situazione di abituale infermità di mente.

   Una sentenza del tribunale che dichiara l’interdizione dispone da parte del giudice tutelare la nomina di un tutore, scelto di preferenza tra: il coniuge che non sia separato, il padre, la madre, un figlio maggiorenne o la persona designata con testamento dal genitore superstite, con il compito di rappresentare legalmente l’interdetto e di amministrare il patrimonio.

   E qui il terreno inizia ad essere insidioso, cosa si deve intendere per abituale infermità di mente? La giurisprudenza per abituale infermità di mente non intende solo l’esistenza di una tipica malattia mentale, ma che la semplice alterazione nelle facoltà mentali tale da dar luogo ad un’incapacità totale o parziale di provvedere ai propri interessi. 

   Piera Crosignani è stata una vittima, ha avuto una storia ai limiti dell’ordinaria follia. È stata una vicenda clamorosa, non fosse altro per i 150 miliardi di lire che fanno da sfondo o più propriamente da protagonisti. Alla fine degli anni ’90, la signora è un’anziana ereditiera. Suo nonno materno nonché ricco industriale del settore siderurgico, le lascia un tesoro valutato circa 150 miliardi. Ripeterà in quegli anni l’ereditiera: “Sono in un incubo senza via di uscita, anche se ho contattato un amico di vecchia data, medico, ora ministro[12] e spero che qualcosa per me possa cambiare. Intanto sono stata sbattuta fuori dalla casa dove ho abitato per cinquanta anni e tutti i miei beni sono stati assegnati ad un tutore”.[13] L’incubo di cui parla inizia il 9 giugno 1999, quando, con una sentenza del tribunale di Milano viene stabilita la “nazionalità austriaca”. Ecco il punto: il marito va in tribunale e diche che la sua ricchissima moglie non ci sta con la testa, un giudice chiede la perizia; una udienza, una controperizia e il giudice decide. Tutto in venti minuti. E il giudice decide che, la signora Piera si trova in situazione abituale infermità di mente, anzi dirà la sentenza: “affetta da delirio paranoico”. Il patrimonio naturalmente passa di mano, dalle sue a quelle dei tutori che si sono avvicendati[14].

Maggior controllo sociale come esigenza di una società in putrefazione

   Quello che è successo Italia (scandali sessuali, crisi politica ecc.) è un segno evidente della decadenza del modo di produzione capitalistico. Tutto ciò non è una faccenda puramente italica (come i vari Travaglio e C. cercano di far intendere) ma è comune a tutti i paesi capitalisti.

   Segno evidente di tale decomposizione sono:

  1.  Le moltiplicazioni di carestie che avvengono nei paesi che sono definiti “Terzo Mondo” mentre nei paesi “avanzati” sono distrutti stock di prodotti agricoli, oppure sono abbandonate superfici considerevoli di terre fertili;
  2. La trasformazione di questo “Terzo Mondo” in un’immensa bidonville in cui centinaia di milioni di esseri umani sopravvivono come topi nelle fogne;
  3. Lo sviluppo di questo stesso fenomeno nei paesi “avanzati” in cui il numero dei senzatetto e di quelli privi di ogni mezzo di sostenimento continua ad accrescersi;
  4. Le catastrofi “accidentali” che si moltiplicano (aerei che precipitano, treni che si trasformano in casse da morto);
  5. Gli effetti sempre più devastanti sul piano umano, sociale ed economico delle catastrofi “naturali” (inondazioni, siccità, terremoti, cicloni) di fronte alle quali gli esseri umani sembrano sempre più disarmati laddove la tecnologia continua progredire ed esistono già oggi tutti i mezzi per realizzare le opportune protezioni (dighe, sistemi d’irrigazione, abitazioni antisismiche e resistenti alle tempeste, …), mentre poi, di fatto, sono chiuse le fabbriche che producono tali mezzi e licenziati i loro operai;
  6.  La degradazione dell’ambiente che raggiunge proporzioni assurde (acqua di rubinetto imbevibile, i fiumi ormai privi di vita, gli oceani pattumiera, l’aria delle città irrespirabile, decine di migliaia…) e che minaccia l’equilibrio di tutto il pianeta con la scomparsa della foresta dell’Amazzonia (il “polmone della terra”), l’effetto serra e il buco dell’ozono al polo sud.

   Tutte queste calamità economiche e sociali, se sono in generale un’espressione della decadenza del capitalismo, per il grado di accumulazione e l’ampiezza raggiunta costituiscono la manifestazione dello sprofondamento in uno stallo completo di un sistema che non ha alcun avvenire da proporre alla maggior parte della popolazione mondiale se non una barbarie al di là, di ogni immaginazione. Un sistema in cui le politiche economiche, le ricerche, gli investimenti, tutto è realizzato sistematicamente a scapito del futuro dell’umanità e, pertanto, a scapito del futuro stesso del sistema stesso.

   Ma le manifestazioni dell’assenza totale di prospettive della società attuale sono ancora più evidenti sul piano politico e ideologico:

  1.  L’incredibile corruzione che cresce e prospera nell’apparato politico, amministrativo e statale, il susseguirsi di scandali in tutti i paesi imperialisti;
  2. L’aumento della criminalità, dell’insicurezza, della violenza urbana che coinvolgono sempre di più i bambini che diventano preda dei pedofili;
  3. Il flagello della droga, che è da tempo divenuto un fenomeno di massa, contribuendo pesantemente alla corruzione degli Stati e degli organi finanziari, che non risparmia nessuna parte del mondo colpendo in particolare i giovani, è un fenomeno che sempre meno esprime la fuga nelle illusioni e sempre di più diventa una forma di suicidio;
  4.  Lo sviluppo del nichilismo, del suicidio di giovani, della disperazione, dell’odio e del razzismo;
  5.  La proliferazione di sette, il rifiorire di un pensiero religioso anche nei paesi imperialisti, il rigetto di un pensiero razionale, coerente, logico;
  6.  Il dilagare nei mezzi di comunicazione di massa di spettacoli di violenza, di orrore, di sangue, di massacri, finanche nelle trasmissioni e nei giornalini per i bambini;
  7. La nullità e la venalità di ogni produzione “artistica”, di letteratura, di musica, di pittura o di architettura, che non sanno esprimere che l’angoscia, la disperazione, l’esplosione del pensiero, il niente;
  8.  Il “ciascuno per sé”, la marginalizzazione, l’atomizzazione degli individui, la distruzione dei rapporti familiari, l’esclusione delle persone anziane, l’annientamento dell’affetto e la sua sostituzione con la pornografia, lo sport commercializzato, il raduno di masse di giovani in un’isterica solitudine collettiva in occasione di concerti o in discoteche, sinistro sostituto di una solidarietà e di legami sociali completamente assenti.

   Tutte queste manifestazioni della putrefazione sociale che oggi, a un livello mai visto nella storia, permea tutti i pori della società umana; esprimono una sola cosa: non solo lo sfascio della società borghese, ma soprattutto l’annientamento di ogni principio di vita collettiva nel senso di una società priva del minimo progetto, della minima prospettiva, anche se a corto termine, anche se illusoria.

   Il progetto della P2 si proponeva il controllo degli organigrammi essenziali di vertice degli apparati dello Stato e dell’informazione attraverso televisioni, quotidiani e periodici, e della politica (comprando i vertici dei partiti o costruendone nuovi se necessario): questo con l’obiettivo di eliminare le garanzie e i diritti che i lavoratori si erano conquistati con dure lotte.

   A fonte della crisi generale in atto e dei relativi processi di decomposizione tutto questo non è più sufficiente, anzi è inadeguato. Come non sono sufficienti le strategie repressive tradizionali (gendarmerie europee, strategie geopolitiche militari ecc.).

   Si è messa in atto una strategia sotterranea, non visibile, molto sottile. Uno degli strumenti di questa strategia è quello della disinformazione, dove si miscela false informazioni mescolate con quelle vere.

   Ma uno degli aspetti essenziali di questa strategia è di rendere il controllo pressoché sistematico. Le democrazie borghesi per quanto siano il miglior involucro per il capitalismo per via della mistificazione della “volontà popolare”, presentano sempre il pericolo (per il capitale ovviamente) della possibilità di un’autentica volontà popolare che sarebbe difficilmente gestibile e il controllo dell’informazione e delle opinioni “collettive” non sarebbe sufficiente.

   Occorre perciò una diffusa e sistematica capacità d’intervento sugli individui, mediato anche dalle autorità pubbliche, usando la medesima trama d’interventi per la “tutela sociale”, ma invertendone la funzione: allo Stato “sociale” (da mettere sociale tra virgolette, perché sotto il capitalismo non può esserci nessuna autentica socialità), che era un sottoprodotto della lotta di classe tendente a rovesciare il sistema, che con la sua ramificazione tutelava bene o male le masse popolari (in Italia, sotto il regime DC, si deve parlare di stato assistenziale e clientelare), emerge una sua caricatura che ha funzioni di puro controllo della popolazione in particolare di quello che una volta si definiva “le classi pericolose”, oppure dei soggetti “deviati”.

   Possiamo prendere come un esempio magistrale quella rete che intreccia tra di loro magistratura, servizi socio-sanitari e psichiatria. Una rete che alleva e forma psicologi, educatori e laureandi di discipline medico-sociali. Che aiuta la formazione di imperi economici privati grazie alla formazione di un vero e proprio intreccio di attività, interventi e presenze.

   Un esempio di tutto ciò è il fatto che dal 1995 è direttore scientifico della Comunità Saman il Prof. Luigi Cancrini, ben noto psichiatra e presidente del Centro Studi di Terapia e Relazione.

   Proveniente dal PCI è stato deputato dei Comunisti italiani. Direttore scientifico di una realtà dove ha operato Rostagno prima di essere assassinato, ma soprattutto ha operato un avventuriero come Francesco Cardella, grande amico di Craxi, che costruì un impero economico, pensiamo solamente alla holding Saman e alle altre attività economiche controllate da lui, il fisco ha fatto su di esse una relazione di duecento pagine.[15] Ci si trova una sfilza di sigle, da Saman International a Saman Italia, da Saman France (amministrata da Giorgio Pietrostefani) a Saman Srl, da Gie Solidarie’ te’ a Oiasa, da Cigarettes Brokers a Saman Quadrifoglio, passando per Il Mattone. E molte altre sono per altre vie riconducibili all’ex santone. La Saman International ha sede a Malta, in un grande palazzo nel centro della Valletta (indirizzo: 61, Arcibishop Gonzi Square). Ed è a questa società, al riparo dal fisco italiano, che è intestata la piccola flotta della comunità: le due famose navi Garaventa 1 e Garaventa 2 (sospettate di non occuparsi solo del recupero dei tossicodipendenti), la barca a vela “Il povero vecchio”, un tre alberi e un’imbarcazione off shore valutata circa mezzo miliardo di lire. Con un complesso giro finanziario, inoltre, la Saman International acquistò anni fa anche un castello nella Loira: fu pagato con soldi di Saman Italia, fu intestato a Saman France. Non finisce qui: Cardella e i suoi risultano proprietari anche di appartamenti a Milano, di terreni e fabbricati sia in Italia che all’estero, di conti correnti in due banche milanesi (la Banca dell’Agricoltura e la Cesare Ponti). Nel’ 93, in particolare, proprio alla “Ponti” di via Plinio furono depositati da Cardella due miliardi: i soldi erano di Saman, ma gli interessi bancari finivano nel patrimonio personale dell’ex guru. Con lo stesso sistema, dice il rapporto della Finanza, furono creati fondi neri (in titoli di Stato) impiegati “per attività estranee alla comunità “. Quali attività? Mistero, per ora. Una chiave di lettura può essere il viaggio del piccolo bimotore (intestato a Saman International) che nell’94 fu usato per la fuga di Craxi in Tunisia.

   Per far passare questo tipo passaggio, da una democrazia borghese a un sistema di controllo più capillare fu decisivo il controllo della magistratura, dove tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni 80, ci fu la resa dei conti tra la vecchia massoneria tradizionale e la nuova schiera di magistrati, molto “efficentisti” e magari anche “democratici”.

   Infatti, sotto una versione di “sinistra”, la tendenza emergente della magistratura parlando di diritti e progettando istituti che avrebbero dovuto tutelari, in realtà si è portato a un risultato che è stato tutto l’opposto rispetto ai fini dichiarati.

   Una vicenda che possiamo prendere come esempio è quella che vede a braccetto Magistratura Democratica e Psichiatria Democratica.[16] Sin dal 1997, queste due associazioni “democratiche” invocarono una legislazione sull’istituto dell’Amministratore di sostegno, un istituto che avrebbe dovuto essere a “beneficio dei bisognosi, minorati, di tutela”. Tutto questo nascondeva in realtà un’idea d’ingegnerizzazione sociale mediante un uso mirato o più diffuso di quello che in linea teorica sarebbe stato necessario.

   Nel 2004 viene approvata dal parlamento la legge sull’amministratore di sostegno, nel 2008 viene sancito il potere assoluto di certificazione sulle “patologie” ai medici psichiatri.

   Non è un caso che l’inizio del XXI secolo ha visto l’attuazione della strategia della distruzione di molti individui mediante la scienza asservita. Nel 2012 il DSM, espande in sostanza il vaglio di criticità mentale in sostanza a tutti gli aspetti del comportamento umano e alla sfera di condotte e reazioni che se non sono patologiche sono fisiologici (come dire l’identità umana, è in mano allo psichiatra di turno che ha un vaglio di discrezionalità tale, che neanche i parroci nel medioevo avrebbero potuto pensare).

   Si sta assistendo all’uso deviato sulle nomine dell’amministratore di sostegno per fini diversi dal “sostegno”. Quello che emerge oggi in maniera eclatante, è la concettualizzazione e applicazione concreta di istituti finalizzati ad un controllo sociale autoritario diffuso, dove psichiatri, psicologi, educatori ed assistenti sociali sotto l’egida dei primi e magistrati di settore “sensibilizzati” o plasmati attraverso informazioni e nozioni !manipolatorie”, entrano in modo deviato e deviante nelle sfere individuali, talvolta condotti per mano alla finalità della distruzione e del controllo dei soggetti colpiti.

   Se si va vedere si riscontra che c’è un dedalo accuratamente costruito mediante il controllo di professionalità, ruoli, che s’interfaccia con le componenti della magistratura “consapevoli” (del ruolo di controllo sociale s’intende) e un uso spregiudicato degli strumenti e degli ambiti, “di tutela”.

   Che si tratti di conflitti genitoriali, di minori o conflitti parentali, e di soggetti speciali o ordinari, le logiche degli interventi accuratamente teorizzati a monte, indicano un principio di sottrazione, d’intervento sociale autoritario, che crea dolore, danni, orientando scelte ingiuste con argomenti soavi e spesso sul piano meramente formale difficile da contestare.

   Con la chiave di lettura dello scontro tra genitori all’interno delle famiglie, e per “tutelare” i minori, si arriva che per sottrarli al conflitto, s’ingenera un fenomeno di adduzione dei minori verso case famiglia (e il relativo business) ma anche verso pratiche che e situazioni, come soluzioni “comunitarie come quella del Forteto dove i minori erano soggetti non solo di molestie ma anche di violenze sessuali.

   Ben 23 sono state le persone rinviate a giudizio, dopo le denunce dei ragazzi. In pratica, tutti i vertici del Forteto. Lo stesso Fiesoli (il leader della comunità) e il suo braccio destro, Luigi Goffredi, aveva già subito una condanna (passata in giudicato) negli anni ’80 per violenza sessuale. Ma nonostante questo il Tribunale di Firenze ha continuato ad affidare minori al centro per anni. Così come la politica, con il Comune che non ha offerto le tutele necessarie. Anzi, ha continuato ad affidare i bambini al Forteto. Anzi i leader della comunità venivano invitai nelle scuole per parlare di violenza.

   Un altro dei fondatori del centro decide di denunciare Fiesoli: “Dopo essere stato condannato, era riuscito a convincere tutti come fosse vittima di persecuzione giudiziaria”. Tanto da essere considerato nel tempo quasi un “santo laico”, diventando un’icona di un’amministrazione storicamente di centrosinistra.

   Per questo i ragazzi vittime di abusi negli anni continuano a essere mandati all’interno del centro del fondatore già condannato per violenze sessuali. Piero Tony, oggi a capo della Procura di Prato e allora il giudice minorile responsabile dei numeri affidamenti al Forteto “si vantava” dei rapporti con il centro.[17]

C’E’ UN PROGETTO?

  Quando si parla di condizionamento mentale non si può non parlare dell’Istituto Tavistock.

   Fondato nel 1920 sotto la direzione del generale di brigata e psichiatra dr John Rawlings, il Tavistock nacque per occuparsi dei soldati traumatizzati durante la prima guerra mondiale. Gli psichiatri e psicanalisti scoprirono presto che questi individui erano acutamente suggestionabili; e che lo stesso effetto poteva ottenuto attraverso interrogatori brutali e torture. Essi prepararono tecniche del controllo comportamentale, che furono praticate come parte di vasti programmi di guerra psicologica.

   Nel 1945, in un suo libro (The shaping of psichiatry by war), il generale Rees, propose che metodi analoghi a quelli sperimentati in guerra, potevano attuare il controllo sociale d’intere società o gruppi, in tempo di pace. Scrive Rees: “Se proponiamo di uscire all’aperto e di aggredire i problemi sociali e nazionali dei nostri giorni, allora abbiamo bisogno di “truppe sociali” psichiatriche, e queste non possono essere le equipes psichiatriche stanziali delle istituzionali. Dobbiamo avere gruppi di psichiatri selezionati e ben addestrati che si muovano sul territorio e prendano contatto con la situazione locale nella sua area particolare”.[18]

   Dal 1947 il generale Rees fece carriera nell’apparato dell’ONU,  assieme a Sir Julian Huxley, allora capo dell’UNESCO; e secondo Brewda, un giornalista ebreo americano che è convinto che i terroristi suicidi, sia quelli che si fanno saltare in Israele, sia (se ci sono mai stati) quelli sugli aerei dell’11 settembre 2001, possano essere fabbricati,[19] che entrambi (Rees e Huxley) elaborarono un abbiano elaborato un progetto per la selezione dei quadri nelle colonie dell’impero britannico, ormai traballante per via del fatto che si stavano, sviluppando dei movimenti di liberazione nazionale non controllati dall’imperialismo britannico, per addestrare alla futura “indipendenza” ovvero per uno sviluppo semicoloniale. Gli specialisti del Tavistock perciò cominciarono da allora a creare dei movimenti rivali a quelli che conducevano la lotta di liberazione nazionale: il primo esperimento avvenne in Kenya. Nei campi di prigionia taluni detenuti sarebbero stati selezionati e preparati con metodi psicologici traumatici a formare delle fazioni che si sarebbero dovuto inserire della nella rivolta che era definita dei Mau Mau. L’idea era di infiltrare il movimento di liberazione keniota con gruppi rivali, che le penetrassero e frazionassero, creando lotte intestine. I rivali dovevano usare metodi terroristici feroci, per screditare il movimento. 

   Facciamo un passo indietro per capire qualcosa sul ruolo delle associazioni psichiatriche britanniche e il loro ruolo. 

   Norman Montagu nel 1944 che era il governatore della Banca di Inghilterra si dimette, e cominciò ad avviare un progetto che ironicamente era collegato ai suoi ripetuti esaurimenti nervosi e ricoveri ospedalieri. Norman organizzò l’Associazione Nazionale Britannica per la Salute Mentale. Nei suoi stadi iniziali questa Associazione ebbe come sede la casa londinese di Norman. Il suo assistente presso la Banca di Inghilterra fu nominato tesoriere dell’Associazione. 

   Nel 1948 l’Associazione Nazionale per la Salute Mentale di Norman radunò i leader mondiali della psichiatria e della psicologia al Congresso Internazionale sulla Salute Mentale, presso il Ministero della Salute del Regno Unito. In questo Congresso fu formata la Federazione Mondiale per la Salute Mentale, con lo scopo di gestire i servizi psicologici del pianeta. Lady Norman, l’hostess del Congresso, fu investito del potere esecutivo. Norman scelse per presidente della Federazione Mondiale il capo dell’istituto Tavistock il generale Rees. 

   Le due agenzie delle Nazioni Unite con cui la Federazione Mondiale lavora di più strettamente sono la Federazione Mondiale della Sanità (FHO) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza, e la Cultura (UNESCO).

   È indicativo alcune frasi di Rees per capire il progetto:

   “1948: I Piazzisti del nostro programma di riprogrammazione delle percezioni (lavaggio del cervello di massa) devono agire nell’anonimato e segretamente. E proseguì: il risultato a cui dobbiamo puntare è fare in modo che ciò permei ogni attività pedagogica della vita nazionale…Abbiamo già compiuto una fruttuosa offensiva rispetto a tutta una serie di professioni. Ovviamente le più accessibili sono quelle del settore scolastico e la chiesa, mentre le più ostiche sono legge e medicina. Dobbiamo puntare a far sì che la psichiatria permei ogni attività educativa nella vita educativa della nostra nazione”.[20]

   “1950. Abbiamo condotto un fruttuoso contro un bel po’ di professioni. Le più facili tra queste sono naturalmente l’insegnamento e la Chiesa: le due più difficili sono la legge e la medicina… Se intendiamo infiltrarci nelle attività sociali e professionali degli altri, penso che dobbiamo imitare i fautori del totalitarismo e organizzare qualche tipo di attività da quinta colonna! … Vediamo quindi di diventare, molto segretamente, un ‘quinta colonna’ “.[21]

LA PSICHIATRIA DI SETTORE

   La 1965, venne introdotta la Psichiatria di Settore su influenza francese, progetto che molti trovarono seducente in quanto auspicava la psicoterapia istituzionale e soprattutto proiettava all’esterno del manicomio, cioè sul territorio, l’attività degli operatori. Il Testo Ufficiale del 1960 – la cui stesura peraltro risale al 1954 – delinea il settore come l’unico strumento che strumento che consente alla psichiatria di porre in primo piano i problemi politici della genesi sociale della malattia mentale, e ciò a causa del suo inserimento del tessuto sociale e del suo aggancio alle problematiche collettive. Negli anni ’50 la Provincia di Venezia creò per prima in Italia un centro extraospedaliero per la cura delle persone che sono definite malati mentali, anticipando di fatto di quasi 25 anni la riforma Basaglia. Il Prof. Gino Pastenga, medico e scrittore affermato, che Assessore all’Igiene e alla Salute tra il 1951 e il 1956.

   In quegli anni il suo entusiasmo, la sua determinazione di giovane politico portarono la Provincia di Venezia a conquistare un primato nazionale: l’introduzione delle figura delle assistenti sociali nella struttura manicomiale di San Servolo e la creazione nel 1953 del primo Centro Psichiatrico Extraospedaliero in Italia per l’assistenza delle persone definite mentali. Nel portogruarese i servizi psichiatrici appaiono nel 1972, a Villanova di Fossalta, con un reparto decentrato del manicomio veneziano di San Servolo, presto orientato in una generica comunità terapeutica. Ma è dal 1978, con il primario Domenico De Salvia, che si avvia la trasformazione con l’articolazione del Dipartimento di Psichiatria in un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (il reparto ospedaliero) ed il Centro di Salute Mentale (CSM). Al centro della nuova organizzazione c’è dunque il CSM, una struttura aperta, frequentabile senza tante difficoltà e paure da parte di chi già soffre il disagio psichico. Ma il progetto nella messa in pratica fu imposto dall’alto (Tavistock) e fondato più su criteri tecnici che non sui reali bisogni della popolazione. C’è da sottolineare l’elevato numero di ricoveri che si registrarono a seguito della creazione di ambulatori nel territorio, che avrebbero dovuto avere una funzione profilattica di evitamento dell’esperienza negativa del ricovero. La legge 08/03/1968 n. 431 istituzionalizzando l’igiene mentale da un lato, e, dall’altro, limitando a 625 il numero massimo dei posti letto di ospedale psichiatrico si è posto come ponte giuridico per tentativi di ristrutturazione in un senso che si potrebbe definire settoriale per molti ospedali psichiatrici italiani. La psichiatria di settore viene sperimentata prima a Varese (giugno 1964) con lo psichiatra Balduzzi poi a Padova (luglio 1965) e a Torino sempre con Balduzzi e la collaborazione di De Salvia (marzo 1970) e infine a Portogruaro (1972). Provincia e Opera Pia di Torino firmano la Convenzione per l’assistenza psichiatrica che consente il distacco di operatori dagli ospedali psichiatrici per lo svolgimento dell’attività extra ospedaliera e, e modifica e integrazione della Convenzione, viene siglato nel luglio 1973 da CGIL CISL UIL un Protocollo aggiuntivo che promuoveva la settorizzazzione.

   Con la Legge 431/68 viene introdotto il concetto di ricovero volontario “per accertamento diagnostico e cura”, senza limitazioni delle libertà personali, nella direzione di un graduale superamento della condizione di ricoverato coatto. Inoltre, oltre all’apertura dei “centri o servizi di igiene mentale” con funzione numerico del personale, che doveva essere in rapporto 1 a 3; di conseguenza gli ospedali che si vollero adeguare ai parametri volsero il loro interesse verso un progetto di deospedalizzazione per affrontare i costi che tale riforma imponeva.

OGGI LA PSICHIATRIA DI SETTOR E’ FUNZIONALE AL PROGETTO DEL GEN. REES?

      Come si diceva prima, nel 2004 viene approvata dal parlamento la legge sull’amministratore di sostegno, nel 2008 viene sancito il potere assoluto di certificazione sulle “patologie” ai medici psichiatri. Bisogna tenere conto che con questo procedere legislativo c’è il rischio che dalla perizia psichiatrica non ci possa difendere perché è un’opinione in mancanza di prove oggettive esiste, a prescindere dal fatto che essa esiste o meno poiché costituisce semplicemente la stigmatizzazione della diversità, e non dovrebbe decidere l’esito di un processo. In mancanza di prove oggettive (radiologiche, biochimiche o altro) la diagnosi psichiatrica non ha la stessa valenza di una diagnosi medica, e dovrebbe essere considerata una semplice teoria, un’ipotesi non un fatto. Nell’aula di un tribunale, essa non dovrebbe avere probatorio.

   Se vediamo le strutture coinvolte riguardano l’insieme dell’età delle persone umane (dall’infanzia alla vecchiaia) e con le diverse patologie.

   Sanità e Servizi Sociali per la parte inerente la Psichiatria, Psicologia e Servizio Sociale: Consultori familiari (Famiglia, Infanzia, adolescenza e minori in condizioni di disagio), Centri Diurni (Persone anziane), Centri di riabilitazione (Disabilità), Sert e Comunità (Dipendenze), Centri di Igiene Mentale (Salute Mentale) e le strutture operanti nel campo della marginalità sociale e dell’immigrazione.

   Scuola: Neuropsichiatria infantile, psicologi dell’età evolutiva, psicoterapeuti ecc.

   Giustizia per la parte inerente la Psichiatria, Psicologia e Servizio Sociale: Tribunale dei Minori, Case Famiglia, Amministrazione di sostegno, Dipartimento di amministrazione penitenziaria e carceri.

   Per una comprensione maggiore di avvenimenti come quelli emersi inerenti gli affidi e l’uso dei TSO bisogna vedere l’attività sotterranee delle varie caste e dei poteri forti sui vari piani: da quello storico informativo per avere un analisi concreta, sia sui livelli istituzionali coinvolti e che sulle strategie attuate della metodologie usate come quella Tavistock che del controllo e della degenerazione sociale guidata, fino alla comprensione di quali sono gli strumenti di governo sotterraneo, della gestione infiltrata e autenticamente totalitaria del braccio politico e sociale nella società e nella medicina. Bisogna capire come viene attuato il controllo delle più minute formazioni sociali come la famiglia e sono gestiti i minori mediante la formazione e gestione dei minori. Capire come gli individui attenzionati vengono accerchiati e l’uso delle case famiglia. Bisogna capire i metodi Tavistock e i modelli formativi usati dai sociologi, dagli psicologi, e dagli assistenti sociali.

   In sostanza bisogna capire questo progetto di controllo della politica che passa attraverso lo svuotamento della Costituzione, la scalata nelle amministrazioni e nei gangli dello Stato, il finanziamento e il potenziamento di organizzazioni ed associazioni riconducibili (od orientate ed in parte eterodirette) dai centri nevralgici di questo progetto.

   Per attuare questo progetto sono stati arruolati personaggi delle Èlites militari, psichiatri, che sono funzionali a un ruolo di controllo e disancoramento della legalità costituzionale.

  Questo progetto va fermato con il coinvolgimento delle masse popolari, partendo da una pubblica denuncia. Non si può ipotizzare un avvio di trasformazione democratica della società senza sconfiggere questo progetto.

   Ebbene quello che rimane dello “stato sociale” si sta evolvendo verso una prospettica di controllo integrale. Le questioni del mondo militare e della psichiatria militare arruolata, della magistratura infiltrata, delle caste politiche delle varie organizzazioni criminali collegate ai poteri forti, devono essere analizzate per comprendere e combattere meglio questo sotterraneo, come bisogna comprendere il ruolo delle attività della P2, P3, P4, della Supergladio (chiamiamo così una componente fondamentale di questo progetto, che va oltre alla quella che era stato la Gladio) e criminalità organizzata.

   Voglio precisare che questa analisi non ha l’ambizione di essere totalizzante e perciò non si riferisce mai alle componenti statuali e attività pubbliche e private che conservano il loro fine lecito ed il loro deontologico orientamento.

   Si può ipotizzare che c’è stata la sostituzione di una struttura e dei suoi uomini (vecchia P2), con l’avvio di progetto che comporta lo svuotamento delle istituzioni democratiche (borghesi) a partire dal Parlamento, con il passaggio necessario per l’attuazione di questo progetto il controllo degli apparati e dei gangli dello Stato, e l’intervento massivo su partiti, informazione e formazione degli uomini.

   Gli operatori, piccoli, medi e grandi della disinformazione, incistati e sparsi ad arte anche nella rete, tentano, di difendere il velo.

   Per  Supergladio non bisogna intendere   una struttura ben definita, ma una sorta di network composto da psichiatri deviati che agiscono in cordata, una quota di vertici militari, magistrati, politici, psichiatri quota di massoni deviati, psichiatri  infiltrati, utilizzati e gestiti dai servizi segreti, frange importanti delle forze armate e  di polizia, alti funzionari statali, una area di professionisti e associati legati in particolare alle attività forensi o sociali.

   Si può ipotizzare l’esistenza di un sub progetto eterodiretto a livello internazionale a livello internazionale.                                                                      

STATO SOCIALE, LA MAGISTRATURA E LA PSICHIATRIA

   Certamente solo poche persone avrebbe potuto pensare che la nostra Italia “democratica”, sarebbe slittata verso uno Stato autoritario (si potrebbe benissimo definire un capitalismo emergenziale). Che per attuare questo passaggio sarebbero state usate le strutture di quello che rimane dello Stato “sociale”, usate appunto per un controllo sociale diffuso.

   Funzionale a tale scopo è stato il controllo del potere giudiziario, con la possibilità di prospettazione dei fatti e degli uomini nei luoghi sociali e di vita e segnatamente delle famiglie, si sarebbe, così, potuto realizzare un potere autenticamente totalitario[22] sotto l’involucro apparentemente democratico (borghese ovviamente).

   Lo stesso permanere del (mero) involucro democratico poteva riservare sorprese, nonostante la vasta congerie di metodologie e tecniche per condizionare e gestire il consenso e il voto. Non tutto è prevedibile e controllabile, e lo svuotamento dei partiti non poteva bastare.

   Ecco la ragione primaria di una strategia eversiva (rispetto alla Costituzione), strisciante, nascosta, forse la più sofisticata nella storia dell’umanità (dopo il cavallo di Troia).

    Questa diffusa strategia eversiva non convenzionale, è andata incidendo, contemporaneamente sugli assetti dello Stato, dei corpi sociali, degli individui e dei valori, destrutturando sotterraneamente anche i punti di riferimento ideologici ed aggredendo finanche i punti di riferimento etici e religiosi.

 Vari ordini di motivi potevano indurre a questa sofisticazione progettuale, primo fra tutti la crisi generale del capitalismo, crisi non solo economica ma anche politica e culturale. Crisi nella sostanza che investe tutti gli aspetti della società, crisi che determina la potenziale incontrollabilità degli effetti politici   e sociali.

   Nel Bilderberg 2009 prevalse poi la scelta del default strisciante. Quando si parla di Bilderberg si pensa subito alle teorie che sono definite “complottiste”. I motivi che tendono a suscitare la curiosità (spesso morbosa) del pubblico sul Bilderberg e che contribuiscono all’alone di mistero che lo circonda, è dovuto alla segretezza sui contenuti dei dibattiti, nonché la presenza a questi dibattiti del Ghota economico e politico degli USA e dell’Europa Occidentale. La ragione principale è però riconducibile alla sempre più diffusa percezione di impotenza dal parte del cosiddetto “cittadino comune” nei confronti di un economia e di una politica che sfuggono alla sua comprensione. Una crisi economica cominciata alla metà degli anni Settanta e che sembra non finire mai (anzi si accentua), il potere astrato e sfuggente dei mercati finanziari, la stessa vicenda dei debiti pubblici e dell’euro, con le conseguenze devastanti sulle condizioni di vita e di lavoro di centinaia di milioni di lavoratori, favoriscono la sensazione dell’esistenza di forze oscure e incontrollabili. Una testimonianza evidente di questo stato psicologico di massa può essere individuato nella fortuna di romanzi alla Dan Brown e di innumerevoli saggi su massoneria, sette segrete, tra cui gli Illuminati (che vengono collegati al Bilderberg), e chi ne ha più ha ne metta. In un clima come questa, diventa facile, ad attribuire le cause di quanto sta succedendo all’esistenza di complotti e di gruppi che, come una specie di grande cupola, reggono un “nuovo ordine mondiale”. 

   Questo tipo approccio, fortemente dominante a livello mediatico, limita la comprensione della natura e del ruolo di organizzazioni come il Bilderberg e la Trilaterale. E, in definita, anche la consapevolezza della loro pericolosità, poiché diventa facile derubricare le critiche come fantasie complottiste oppure come critiche folk di qualche giornalista a caccia di scoop.

   Il Bilderberg è una delle organizzazioni, tra le più importanti, della classe capitalistica internazionale. Negli anni Novanta ci fu il fenomeno denominato “globalizzazione”. Sarebbe più corretto dire si stava attuando la mondializzazione del Modo di Produzione Capitalistico (formazione di un unico sistema capitalista mondiale, esteso a tutti i paesi, che è andata ben oltre la fase dell’internazionalizzazione del MPC – anni ’70 – in cui ai paesi semicoloniali si sono aggiunti gli e paesi cosiddetti “socialisti” o che ancora si definiscono tali come la Cina, nel ruolo di fornitura di materie prime e semilavorate e di produzione di manufatti a bassi salari e senza alti costi concernenti la sicurezza e alla protezione dell’inquinamento) nelle fusioni e aggregazioni che crearono grandi imprese produttive mondiali nell’ulteriore sviluppo della finanziarizzazione e della speculazione.

   Dentro un quadro di crisi generale del capitalismo le strategie autoritarie e repressive tradizionali (gendarmerie tradizionali, strategie geopolitiche militari) e quelle politiche economiche (MES, patto di stabilità e via discorrendo) dovevano essere perfezionate.

   Nel frattempo stormi di personaggi (intellettuali, politici e giornalisti pennivendoli) sprecano fiumi di inchiostro e oceani di parole su Stato “sociale”, neo liberismo, diritti e doveri sociali, su destra sinistra e centro, come nei baretti di periferia di fine anni Sessanta. Personaggi che denunciano le politiche determinate dagli organismi internazionali (CEE, Fondo Monetario Internazionale, BCE ECC) senza saper cogliere le dinamiche e i meccanismi profondi, che sono in atto per attuarle. Come proliferano personaggi che come risolutore di tutti i problemi del paese (se non del mondo intero) invocano il superamento del Signoraggio bancario, e la costruzione di una moneta sovrana.

   Nessuno pensava di contrastare dinamiche molto più intricate e meno appariscenti.

   Nessuno veniva in mente che occorreva disarticolare queste trame sotterranee con strategie complesse, con nuovi strumenti e dando nuove informazioni e chiavi di lettura.

   Questo meccanismo sotterraneo che colpisce le persone che ritiene dal suo punto di vista pericolosi. Fondamentale per il funzionamento di questo meccanismo è l’opera degli addetti alla confusione che operano con informazioni manipolate. 

   Come si diceva questo progetto per operare prevedeva l’occupazione della magistratura, a partire dagli incarichi direttivi, con servitori fedeli pronti a deviare il loro ruolo formale, e intervenendo in parallelo con strumenti vari sulla prospettazione dei fatti e sulle persone che li prospettano.

   C’è da chiedersi che scopo avrebbe questa igienizzazione

   Come si diceva prima, le democrazie borghesi per quanto controllate, condizionate, eterodirette e gestite, presentano sempre il pericolo (per le classi dominanti ovviamente) della possibilità del formarsi di una volontà popolare non gestita sufficientemente e il controllo delle informazioni e delle opinioni collettive non risulterebbe sufficiente allo scopo.

    Perciò alle classi dominanti occorre una diffusa e sistematica capacità di intervento sugli individui, mediato anche dalle autorità pubbliche, usando la medesima trama di interventi e tutela sociale, ma invertendone la funzione: lo Stato “sociale” che si ramifica e che dovrebbe tutelare i cittadini soprattutto quando si trovano in difficolta (economiche, sanitarie ecc.),  in realtà invertendone gli scopi e i fini, viene usato  per colpire e controllare chiunque, per conto dei vari gruppi di potere (più o meno sotterranei) attraverso gli strumenti più vari (quali per esempio il controllo mentale, l’uso illegale e sotterraneo delle armi “non letali”, il gang stalking), intervenendo nella sfera delle libertà  dell’individuo nel nome di un presunto “interesse pubblico” che viene presentato come inappuntabile e perfetto.

   È in atto una strategia autenticamente totalitaria attuata da gestori criminali.

   Nella sostanza si è creata una vera rete intrecciata tra magistratura, servizi socio sanitari, e psichiatria che ha allevato psicologi, educatori, laureandi formandoli (ma forse sarebbe meglio dire deformandoli), che tra l’altro ha aiutato a costruire piccoli imperi economici privati, realizzando così un vero e proprio intrico di attività, interventi e presenze, pronte a essere mobilitate in ogni momento. Rete che è fortemente intrecciata con settori della politica, dell’apparato dello Stato (da comprendere gli apparati delle Regioni e dei Comuni, da settori dei servizi segreti, dell’esercito e delle forzo dell’ordine).

   Questa rete nasce con il fine di superare la strategia piduista primitiva e il conflitto tra due generazioni massoniche.

   La P2 attraverso il progetto di “Rinascita Democratica” si proponeva il controllo degli organigrammi essenziali di vertice e della informazione attraverso televisioni, giornali e della politica, ideando persino la artificiale costruzione di partiti con l’obiettivo di eliminare le garanzie e i diritti legati al lavoro.

   Questo progetto fu superato, dallo scontro tra Berlusconi e la sua corda piduista e i poteri forti finanziari internazionali.

   L’accentuarsi della crisi generale del capitalismo necessitava un controllo più sistematico, dove quote di giudici e della relativa funzione giudiziaria dal piano ordinamentale (nomine e incarichi) diventassero funzionali alla creazione di un sistema normativo orientato e diretto a creare e rinforzare la trama di poteri diffusi necessari al governo della società e delle istituzioni.

   I partiti dovevano essere definitivamente allontanati dalle loro radici sociali e popolari, la politica veniva condizionata, irretita, ricattata e controllata, l’informazione e la cultura depotenziate e controllate, televisioni e giornali d’importanza nazionale asserviti o quasi.

   Bisognava normalizzare la potenziale svolta democratico costituzionale della Magistratura.

   Una delle peculiarità del caso italiano inerente ai movimenti presenti nel paese degli anni Settanta, è data dall’estensione dei movimenti di contestazione anche nei corpi dello Stato (Polizia, Esercito e Magistratura). Tali movimenti hanno avuto un diverso grado di penetrazione da caso a caso: nella Magistratura si è trattato di una minoranza abbastanza contenuta (sempre meno del 20%) ma molto battagliera ed efficace.

  Questa normalizzazione avveniva dentro il quadro dello scontro tra la vecchia massoneria infiltrata in modo tradizionale e la nuova massoneria, abilmente insinuatesi con metodi vari ed efficienti.

   Questa svolta è databile a cavallo degli anni Ottanta e Novanta, il varco si aprì con Tangentopoli e vi fu un’accelerazione dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio.

   Progettando diritti e parlando di istituti, alcuni miravano (silenziosamente) ad un risultato che era l’opposto rispetto ai fini dichiarati e potenziali.

   Una vicenda, fra tutte, a titolo di mero esempio vide a braccetto Magistratura Democratica e Psichiatria Democratica. Questa faccenda nasceva dal fatto che sin dal 1997 e dal 1999 si invocava una legislazione sulla Amministratore di sostegno, un istituto che avrebbe dovuto essere a “beneficio dei bisognosi, dei minorati”.

   Nel 1997 se ne argomentava la necessità affinché non si parli più di “roba ma di “quotidianità” soprattutto oggi che si stanno svuotando gli ospedali psichiatrici”, usando un argomento formale evidentemente strumentale, non fosse altro per clamorosa tardività, che nascondeva un’idea di ingegnerizzazione sociale.

   Nel 2004 ci fu la legge approvata dal Parlamento sull’amministratore di sostegno, nel 2008 fu dato ai medici psichiatri il potere assoluto di certificazione sulle “patologie”, l’inizio del XXI secolo vede attuarsi la strategia che colpisce una serie di persone (spesso attuando nei loro confronti un attività di accerchiamento). Nel 2012 il DM V, espande il vaglio di criticità mentale, in sostanza a tutti gli aspetti del comportamento umano e alla sfera di condotte e reazioni che se non patologiche sono fisiologiche (come dire l’identità umana in mano al psichiatra con un ventaglio di discrezionalità tale, che neanche i parroci di paese nel medioevo avrebbero potuto immaginare).

   Non è certamente un caso che ci furono centinaia di denunce in tutto il paese sull’uso deviato e sulle nomine dell’amministratore di sostegno a fini diversi dal “sostegno”.

   All’orizzonte vi era, ed emerge (per chi ha gli occhi e vuole vedere) in modo eclatante, la concettualizzazione ed applicazione concreta di istituti finalizzati ad un controllo sociale autoritario deviato e diffuso, anche, dove psichiatri, psicologi, educatori e assistenti sociali sotto l’egida dei primi e dei magistrati di settori “sensibilizzati”  o plasmati attraverso informazioni e nozioni manipolatorie, che entrano in modo deviato nelle sfere individuali, talvolta condotti per mano alla finalità della distruzione e del controllo delle persone attenzionate.

   Si è costruito un dedalo mediante il controllo di professionalità, ruoli, interfaccia con le componenti della magistratura più “consapevoli” e un uso spregiudicato delle occasioni degli strumenti e degli ambiti di “tutela”.

   Si trattasse di conflitti genitoriali, di minori o di conflitti parentali, o di persone considerate “ordinarie” oppure “speciali” le logiche degli interventi, indicano un principio di sottrazione, di intervento sociale autoritario o un pratica di favoreggiamento di persone con pedigree cari alle nuove cordate. La trama degli interventi attuati disegna una giurisdizione che crea dolore, che crea dolore, danni, orienta scelte fortemente ingiuste e lo fa con argomenti soavi e spesso con sul piano formale difficili da contestare.

    Negando l’alienazione genitoriale e proponendo la chiave di lettura dello scontro tra genitori e la necessità di sottrarre a tale conflitto i minori, s’ingenera un fenomeno di adduzione verso case famiglia (e del relativo business) ma anche versi pratiche e situazioni non note nelle case famiglia o verso situazioni pseudo comunitarie criminali che hanno avuto un forte livello di copertura e sponsorizzazione istituzionali.

   Come nel caso del Forteto.[23]

   Su questo scenario incombe la proposta di una nuova normativa sui T.S.O. Trattamenti coattivi ospedalieri, formalmente per persone che hanno problemi psichici, che da strumento eccezionale, che avrebbe dovuto essere sottoposto a un meccanismo di doppia certificazione (l’ordinanza del Sindaco e la verifica della legittimità della stessa) e un operatività che avrebbe dovuto essere di sette giorni rinnovabili con un limite breve, diventerebbero nelle intenzioni dei proponenti uno strumento di neo-carcerazione psichiatrica semestrale rinnovabile, sino ad un anno, e poi rinnovabile sulla base di una sola certificazione a monte, addirittura di un solo medico.

   Altro che diritti e salute, la presa del potere da parte degli psichiatri di apparato e di sistema che lavorando a stretto contatto con il circuito giudiziario, che nel frattempo si è strutturato per agevolare questa tendenza normativa, avvierebbe una stagione di un controllo sociale di tutti gli individui certificati.

   Un’altra vicenda è stata quella che ha coinvolto il magistrato Paolo Ferraro rispetto alla Caserma della Cecchignola dove sono state registrate delle attività parafiliaco sessuali esoteriche dentro un’abitazione civile frequentata da militari di tanfo e da ragazzini. Dove si è potuto accertare l’utilizzo di tecniche e modalità di intervento sulla psiche di una “sacerdotessa” a cavallo tra intonazioni medioevalistiche, condizionamenti e pressioni psichiche dinamiche e un vero e proprio trattamento mentale secondo parametri sviluppati dalla psichiatria militari e attuati dal famigerato Progetto Multar.[24]

   A Trieste invece c’è un denuncia pubblica dello strapotere della psichiatria post-basiliana deviata (ritengo doveroso specificare la deviazione per non infangare la memoria di un intellettuale e medico psichiatra portatore di un progetto di trasformazione democratica della psichiatria e di una pratica ed intuizione che nulla hanno a che fare con l’attuale andazzo). Sono denunciate pratiche di interventi e T.S.O. costruite in un circuito chiuso di potere.[25] 

   Da molti viene denunciata la devastazione della pratica delle amministrazioni di sostegno, dove si rimpinguano le tasche degli amministratori e si attua un uso deviato di chi gestisce le amministrazioni.[26]

   Da questi esempi descritti emerge il pericolo reale di un controllo sociale e totalitario.

    Come emerge il fatto che l’istituto dell’amministrazione di sostegno stia andando nettamente fuori controllo, perché la lezione appresa dagli utili idioti di cordata e dai kapò legati ad apparati deviati, lo rende nella pratica un’occasione di brigantaggio coperta e sicura: patrimoni interi e persone sane, sono imprigionate e distrutte, togliendo a quelli che avrebbero dovuto essere i “beneficiati” (che inaccettabile ipocrisia della parola), disponibilità economiche e potere di agire, letteralmente invadendo e vuotando la loro sfera personale, infine conducendoli a  ricoveri programmati ex ante, dietro un ipocrita enucleazione di un sostegno “minimo”, per la loro morale e anche fisica lenta distruzione.

  I tentativi di razionalizzazione pubblica e controllo ex post, si scontrano con l’indisponibilità di fondi per rendere retribuita l’attività degli amministratori di sostegno, altrimenti resa lucrosa in via criminale. Mentre la legge è stata fatta partire senza neanche garanzie di formazione e selezione degli amministratori.

SULLA MAGISTRATURA

   Un altro aspetto dell’involuzione autoritaria nei paesi imperialisti occidentali (in particolare in Italia) è il controllo della funzione giudiziaria dal suo interno.

   A riguardo della funzione giudiziaria bisogna precisare che i giudici non sono una supercasta.

   Cerchiamo di mettere in ordine le idee a proposito.

   Nello Stato moderno lo Stato e il diritto non esistono senza l’interpretazione e la successiva applicazione della Legge al concreto, attraverso un corpo professionale (o politico negli stati a Common Law[27]) addetto alla funzione basilare. Ed è vero che nel nostro paese questo corpo professionale risulta indicato come casta sociale, legata ed intrecciata quale élite borghese legata ad altre componenti di élite.

    Ma è evidente che il nodo non è questo.

   Per un verso l’interpretazione fedele alla Costituzione del ruolo della giurisdizione ha assicurato una evoluzione del sistema giuridico verso la più incisiva tutela dei soggetti deboli e delle classi sociali subalterne.

   Diversamente da quanto è stato continuamente detto dai fautori del cosiddetto “ammodernamento” della Costituzione, il rimaneggiarla e cambiarla profondamente viene presentato come un’esigenza tecnica di adeguare alcune norme ai nuovi tempi. Questa è una motivazione menzognera che nasconde il fatto che le costituzioni non sono un fatto meramente tecnico, esse rispecchiano i rapporti fra le classi e possono avere sia un segno progressivo che regressivo. Nessun mutamento è neutro, indifferente al contesto sociale e alla lotta di classe.

  Il periodo che va dal 1968 al 1978 è senza dubbio quello che ci fu una maggiore vitalità nell’applicazione della Costituzione poiché coincise con la grande stagione di lotte operaie e popolari che ci furono non solo in Italia ma in tutto il mondo capitalistico. Questo decennio, nonostante gli errori strategici e tattici commessi dai protagonisti di allora, ci furono degli avanzamenti effettivi per le masse popolari.

   In questo periodo le masse popolari, con alla testa la classe operaia, hanno strappato alla borghesia, con dure lotte tutta una serie di miglioramenti quasi in ogni campo: reddito, rapporti di lavoro, abitazioni, assistenza sanitaria, previdenza sociale, pensioni, assistenza e servizi sociali, istruzione scolastica, condizioni igieniche generali, diffusione di massa degli elettrodomestici, estensione di reti di servizi pubblici (trasporti, acqua, gas, nettezza urbana, telefono ecc.) e contenimento delle tariffe che li rendeva accessibili anche alle famiglie a basso reddito, diritti civili (limitazioni all’arbitrio della pubblica amministrazione, libertà di residenza, legalizzazione del divorzio e dell’aborto, limitazione delle discriminazioni sulla base del sesso, della razza, della nazionalità, della religione, della nascita e dell’età, estensione dei diritti di sciopero, propaganda, stampa ecc.).

   Questo periodo sta a dimostrare la fondatezza della tesi marxista che le riforme (intese nel senso di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori)[28] sono il sottoprodotto di una lotta rivoluzionaria o comunque radicale da parte del proletariato.

   Periodo CHE si concluse in Italia alla fine degli anni Settanta con una progressiva messa all’angolo delle forze operaie e con l’avvio della controffensiva capitalista generalizzata a livello internazionale con il cosiddetto “neoliberismo” di Reagan e della Thatcher, mentre rimaneva dopo il fallimento del compromesso storico la conventio ad excludendum verso il PCI.

   La conventio ad excludendum vero verso il PCI è la dimostrazione lampante che la democrazia borghese non è veramente democratica poiché è la borghesia a decidere chi abbia la dignità di governare o meno, a prescindere dai consensi elettorali.

   Torniamo al discorso sul ruolo della magistratura.

   Dalla seconda metà degli anni Ottanta con la decadenza del sistema definito della “prima repubblica” (in realtà era la crisi del sistema democristiano cominciata nella metà degli anni Settanta) alla magistratura fu attribuito un ruolo eccessivo e squilibrato sul controllo della legalità.

   Certamente la maggior parte dei giudici erano spesso inconsapevoli o consapevoli solo in parte del contesto globale in cui operavano e di quello che galleggiava, sopra e sotto.

   Certamente i magistrati sono per vocazione e quasi per ruolo allineati al vento della storia, poiché la stessa opera di interpretazione delle norme e delle clausole generali va tendenzialmente ancorata a quelli che sono i valori predominanti medi e non alle personali convinzioni del giudice.

   Noi abbiamo una Costituzione progressiva e al contempo rigida, sull’effettività tutela dei diritti e sulla centralità della effettiva indipendenza della giurisdizione. In altri termini, il giudice deve continuare ad interpretare le norme secondo i parametri e i valori costituzionali in una direzione che non debbono e non possono tener conto, ad esempio, delle svolte reazionarie o del conculcamento pubblico dei diritti.

  E dentro un quadro che vede una svolta reazionaria in atto e i diritti vengono calpestati, i magistrati sono attaccati e definiti (usando una definizione fuorviante) supercasta.

   Chi denuncia genericamente privilegi e poteri della magistratura, svia in maniera più o meno consapevole, i nodi veri che sono sul tappeto, poiché mascherano il tentativo di portare sotto controllo autoritario la giurisdizione.

   In questa fase storica il Grande Potere, che sarebbe la frazione dominante della borghesia che è la Borghesia Imperialista; dirige, stravolge e rimodella i poteri dello Stato, annullando la concreta vita dei principi democratici, è funzionale a questo scopo il deviare il potere giudiziario, ovunque serva ad interessi, a interessi a fini estranei alle istituzioni.   

   Se una volta ci si poteva limitare alla denuncia del Leviatano[29], del potere autoritario puro dello Stato, oggi si deve parlare di qualcosa di nuovo.

   Vi sono soggetti che segretamente associati indicano vie e direttive, e vi sono associazioni segrete o meno, trasversali, che al di là delle differenze apparenti, gestiscono fenomeni criminali socio politicamente distruttivi secondo interessi e strategie che con l’autodeterminazione dei popoli, della democrazia intesa come potere del popolo e con le varie libertà non hanno nulla a che fare.

   Perciò più che supercasta sarebbe più corretto dire che ci sia un gruppo deviato e segreto di magistrati che in accordo occulto orientano e gestiscono la funzione giudiziaria, alterandolo nell’ombra.

   La novità sta nel fatto che una ristretta aera di eletti e di membri degli apparati dello Stato si è sostituita alle precedenti cordate piduiste tradizionali. Questa area ha utilizzato l’infiltrazione per portare avanti i vari progetti di controllo e di dominio.

   Questi progetti sono realizzati per conto e in rappresentanza occulta degli stessi poteri sovranazionali, che avevano appoggiato la precedente cordata piduista: questo cambio di guardia è stata caratterizzata da una forte attività giudiziaria.

   Nella lotta per questo cambio di guardia ci furono manovre sotterranee, ricatti, minacce, l’uso deviato degli strumenti disciplinari e delle regole. Furono usati strumenti ed attività criminali di ausilio, ovviamente meno visibili e certo non tutte facilmente classificabili.

   Questa organizzazione deviata e non pubblica non è la supercasta ma è un organizzazione criminale di stampo mafioso prevista e sanzionata dall’art. 416 del codice penale[30], che tramite omertà, occupando e controllando sempre più ferreamente i poteri statuali, gestisce per fini propri o strumentali, sviando le funzioni rivestite, le varie attività che spesso sono sotterranee e criminali.

   Il progetto è quello dello svuotamento degli Stati e delle democrazie borghesi.

   Le premesse dell’attacco organico alla Costituzione (soprattutto nella parte seconda) sono ritracciabili nella riunione della Commissione Trilaterale del 1975.

   La Trilaterale ha origine da quel serbatoio che è il Council of Foreign Relation (Cfr), il Consiglio per le relazioni internazionali[31], un’associazione costituita a Parigi nel 1919 da Edward Mandell House, un influente uomo d’affari texano, eminenza grigia che accompagnò il presidente Wilson alla Conferenza di pace, quando le nazioni vincitrici del primo macello mondiale imperialista si stavano spartendo il mondo.

   Dalla Conferenza di Parigi scaturirono il Trattato di Versailles, che poneva i presupposti di una nuova conflagrazione nel cuore dell’Europa, dove si creò la Società delle Nazioni (che i bolscevichi definirono giustamente un covo di briganti), incarnante l’idea di una specie di governo mondiale federativo, poi ripresa dopo il secondo macello mondiale con l’O.N.U.

   Il quartier genere del Cfr si trova presso Harold Pratt House, un edificio di quattro piani donato all’organizzazione dai Rockefeller (guarda caso), all’incrocio della sessantottesima Strada nuovayorchese con l’elegante Park Avenue. E qui che vengono allevati i futuri alti funzionari e consiglieri governativi degli Stati Uniti, come H. Kissinger e Z. Brzezinski, solo per citare i più noti.

   Ma il CFR  non sarebbe altro che l’emanazione più esterna di una società segreta che affonda le sue radici nell’ Inghilterra vittoriana, e precisamente raccoltosi intorno a John Ruskin, un critico estetico, riformatore sociale e profeta politico, una personalità percorsa da una vena romantica che predicava in un linguaggio biblico e infuocato, l’avvento di una platonica Politeia, dove tutto, lavoro, modo di vestirsi, sposarsi e addirittura di procreare sarà regolato dallo Stato, o meglio dai sapienti che lo dovrebbero reggere. Ruskin non nutriva alcuna simpatia per gli ideali di libertà e di eguaglianza, era profondamente convinto della superiorità di alcuni uomini su altri.

   Non è un caso che queste idee si sviluppano alla fine del XIX secolo quando il capitalismo entra nella sua fase imperialista. Proprio in questo periodo nascono nuove forme di controllo e di repressione, alimentate da specifici pregiudizi e appoggiate da apposite costruzioni culturali.

   E in questo periodo che si sviluppano interpretazioni arbitrarie della biologia che vorrebbero stabilire che alcuni popoli sono superiori e altri inferiori (razzismo) e che alcuni individui sono superiori e altri inferiori (eugenetica).

   Si comincia a teorizzare che i leader sono geneticamente destinati a comandare e ciò che vale per un individuo vale per un gruppo, un popolo, una nazione.

   Nel 1891 un gruppo di personaggi imbevuti di tali dottrine tra i quali spicca Cecil Rhodes, il colonialista conquistatore del territorio africano che fu dato il nome di Rodesia costituì una società segreta caratterizzata da una fanatica vena di pananglismo razzista; che aveva come scopo di imporre al mondo il predominio britannico, tale programma era animato da un afflato che spostava l’accento dalla nazione alla razza, postulava l’esigenza di un’alleanza tra le nazioni di razza anglosassone. Dopo la morte di Rhodes un’altra figura di proconsole sudafricano, lord Alfred Milner, organizza una cerchia esterna, la Round Table, che deve assicurare all’originaria società segreta, un ambiente di simpatia e di fattiva collaborazione. Nel 1914 funzionano gruppi della Round Table in Inghilterra, Sud Africa, Canada, Australia, Nuova Zelanda, India e Stati Uniti. Il coordinamento delle loro attività viene assicurato da un organo trimestrale, The Round Table, che esce completamente anonimo, allo stesso modo della rivista gesuiti La Civiltà Cattolica, analogia non casuale, se si pensa che la Compagnia di Gesù costituiva il modello organizzativo di Cecil Rhodes.

   Alla fine della prima guerra mondiale, quando è ormai chiaro che gli Stati Uniti sono destinati ad assumere un importanza sempre maggiore più grande nel contesto mondiale, il gruppo americano della Round Table offre la piattaforma per la creazione della Cfr, assumendo il compito di contrastare la tendenza isolazionista dell’opinione pubblica: il grande business e i trust volevano mantenere l’apertura dei mercati mondiali. La sovrastruttura ideologica era data dalla teorizzazione da parte della setta segreta originaria dell’egemonia planetaria della razza anglosassone.

   Da sempre il CFR formula le sue azioni sulla basi di scenari previsionali. Il caso storico più celebre ebbe luogo nel 1939, allo scoppio della seconda guerra mondiale. Il Bar and Pece Studiose Project, l’apposito gruppo di studio creato dal CFR[32], per valutare quali sarebbero state le conseguenze, per il business americano, di una vittoria dell’Asse.

   Il gruppo di studio si pose alcune domande preliminari. Su quanta parte delle risorse e del territorio mondiale gli USA dovevano avere il controllo diretto, per mantenere ed estendere il loro livello di potere? Quanto era autosufficiente il vasto spazio dominato dagli USA (costituito dai paesi dell’America Latina), confrontato con un Europa egemonizzata dalla Germania?

   Per rispondere a queste domande, il CFR lanciò il più grandioso studio econometrico mai tentato fino allora. Il mondo fu diviso in settori d’influenza politica, e per ogni settore si calcolò la produzione e il commercio locali di materie prime e beni industriali. Fu introdotto nel quadro almeno il 95% di tutti gli scambi mondiali di materie prime e beni. Con queste, misurando le cifre dell’import e dell’export, si calcolò il grado di autosufficienza di ciascuna delle grandi regioni geo-politiche: il Wester hemisphere (gli USA e il suo giardino di casa), l’impero Britannico, l’Europa continentale, l’area del Pacifico. Emerse che l’autosufficienza dell’Europa continentale dominata dalla Germania sarebbe stata assai più alta di quelle delle due Americhe[33]. Nel Pacifico si ottenne lo stesso risultato: emerse che il Giappone come potenza minacciava i piani del CFR.

   La minaccia consisteva in questo: un Europa sotto il dominio tedesco, con l’integrazione della tecnologia tedesca e delle risorse naturali russe, avrebbe costituito uno spazio economico concorrente non dipendente dalle importazioni americane. In Asia e nel Pacifico, l’integrazione tra potenza industriale giapponese e l’immensa dotazione di manodopera cinese avrebbe creato un altro spazio economico concorrente. Un rischio mortale per le società americane che vivevano importando materie prime da queste aree, ed esportandovi beni e capitali.

   Il Presidente Roosevelt e il suo entourage furono convinti da un rapporto del CFR ad entrare in guerra a fianco dell’Impero Britannico, che all’epoca era ancora una grossa potenza economica. Già da mesi, un gruppo di pressione appositamente creato dal CFR, il Centufuture Group, aveva indotto l’amministrazione ancora formalmente neutrale a inviare cinquanta incrociatori alla Gran Bretagna in cambio di future basi su delle colonie britanniche.

   È appunto nell’ambito del CFR che nel 1972 sono venute le prime proposte di formazione della Commissione Trilaterale. È sempre in questo ambito, nasce l’idea di una strategia verso il campo socialista e verso i partiti revisionisti basata sull’allentamento dei loro vincoli rispetto a Mosca. Questo sgretolamento si sarebbe basato sulla penetrazione commerciale occidentale e dal contagio ideologico rappresentato dagli eurocomunismi.

   L’analisi che fanno i membri della Trilaterale è che la crescita della democrazia sociale nei paesi imperialisti che si è avuta nel periodo 1968/75, che si tradusse in un reale pluralismo politico e sociale a vantaggio delle masse popolari, pluralismo che gli intellettuali organici della Trilaterale chiamano frantumazione, e per questo motivo sostenevano che si era raggiunto il massimo di democrazia compatibile con il sistema capitalistico.

   Per difendere il sistema, diventa prioritaria l’ideologia della “governabilità”. La traduzione italiana delle indicazioni della Trilaterale è costituita dal Piano di rinascita democratica, elaborata dalla Loggia massonica P2.

   Questo piano fu fatto scoprire a bella posta nel giugno 1981 all’aeroporto di Fiumicino, in un doppiofondo di facilissima individuazione, della valigia della figlia di Licio Gelli.

   Data di stesura del Piano è l’inizio del 1976. Il Piano di rinascita democratica per i momenti limita l’intervento istituzionale a semplici “ritocchi”, riguardanti le norme operative della Costituzione vigente (seconda parte), tali da salvaguardare, a parole, l’armonia dei principi del disegno originario (prima parte). È di particolare interesse, l’osservazione che la caratteristica di fondo di questa seconda fase consiste nella formazione di due poli, entrambi moderati, liberal-conservatore l’uno e social-laburista l’altro, capaci di sostituire il dissolto sistema partitico – la cosiddetta “partitocrazia” – rimuovere la conflittualità di classe e ogni impostazione ideologica (quella marxista ovviamente), per venire incontro alla cosiddetta “opinione pubblica”. Il Piano di rinascita democratica delinea un sistema politico borghese in netto contrasto con quello delineato dalla Costituzione: riduzione dei poteri del parlamento, presidenzialismo, bonapartismo, legame diretto tra il capo e le masse (se si guarda gli atteggiamenti di Berlusconi e di Bossi è evidente che il loro modello è quello del capo carismatico); limitazione del diritto di sciopero, criminalizzazione della conflittualità sociale. Sul piano ideologico, ma con forte valore politico, vi è la rottura con l’atto di nascita della Costituzione: la Resistenza.

   Il libro Il sistema di Alessandro Sallusti Luca Palamara (Rizzoli, 2021), ingenera ulteriore confusione sul ruolo della magistratura.

   Voglio precisare che questo libro non contiene particolari falsificazioni nella narrazione di fatti, sulle manovre e manovrette che riportate, molte delle quali erano già note.

   Si tratta comunque di rivelazioni parziali, sulla falsariga dello schema del “manuale Cencelli”[34] nell’indicare le nomine dei capi degli uffici e le invasioni di campo nella politica da parte dei magistrati.

   Palamara attraverso la gran cassa mediatica che gli hanno dato i mezzi di informazione di area conservatrice ha voluto sviluppare la tesi che a governare la magistratura ci fosse una “cupola rossa” che elimina tutti coloro che si oppongono al suo potere.

   Ma le cose stanno veramente così?   

   Come mai nel libro non si citano le morti definiti inspiegabili di molti magistrati?

    Il 5 gennaio 2012 muore di infarto Pietro Saviotti, procuratore aggiunto di Roma. Era a capo del pool antiterrorismo e dei reati in genere contro la personalità dello Stato[35]. Un infarto stronca Pio Avecone, procuratore aggiunto presso la procura di Napoli[36]. Il 25 luglio 2012 un camion si scontra frontalmente con una Land Cruiser che si dirige verso Otijwarongo in Namibia. I tre occupanti dell’auto muoiono sul colpo, tra loro c’è il giudice Michele Barillaro. Qualche settimana prima, il 9 luglio, il ministero dell’Interno aveva tolto la scorta a Barillaro, gip presso il tribunale di Firenze. In seguito, 16 luglio, Barillaro aveva ricevuto delle minacce contenute in una lettera recapitata all’Adnkronos. Il giudice Barillaro si era occupato tra l’altro del processo Borsellino ter[37]. Il giorno successivo (26 luglio 2012) moriva Loris D’Ambrosio di infarto fulminante. Spariva così il custode delle suppliche di Mancino, imputato al processo di Palermo per i collegamenti mafia-Stato[38].  Ed infine il 13 ottobre del 2012 il procuratore aggiunto di Roma Alberto Caperna muore a 61 anni per attacco cardiaco. Caperna era il responsabile del pool dei reati contro la pubblica amministrazione ed in questa veste coordinava le indagini relative a fatti su corruzione ed altri[39].

   Niente di tutto questo emerge nel libro di Palamara e Sallusti.   

   Nel libro si afferma che un procuratore della repubblica, se è in gamba, se ha nel suo ufficio un paio di aggiunti svegli, un ufficiale di polizia giudiziaria che fa le indagini sul campo che sia altrettanto bravo e ammanicato con i servizi segreti, e se questi signori hanno rapporti stretti con un paio di giornalisti di testate importanti e soprattutto con il giudice che deve decidere i processi, frequentandone magari l’abitazione, avrebbe più potere del parlamento e  del presidente del consiglio. Soprattutto perché farebbero parte di un “sistema” che lì ha messi e che per questo li lascia fare, oltre ovviamente a difenderli.

   In sostanza in questo libro si sostiene la tesi della magistratura italiana come una componente fondamentale della cosiddetta “anomalia italiana”, che è la tesi sostenuta da Edward Luttwak autore del libro Strategia del colpo di Stato. Manuale pratico (titolo originale: Coup d’État: A Practical Handbook). È un libro di argomento storico-politico, pubblicato nel 1968. Un’edizione riveduta e ampliata fu stampata nel 1979.

   Da tenere conto che Palamara e sua cordata non hanno abrogato la Costituzione, ma aggirata occupando così uno dei gangli fondamentali dello Stato per attuare condotte illecite e illegali.

   La cosiddetta “cupola rossa” che Palamara indica in maniera fumosa come responsabile delle deviazioni della magistratura, ha agito a cavallo dell’epoca P2, in effetti potenziando il potere della magistratura, facilitato dal ruolo di supplenza e dal vuoto della politica (vuoto che è stato costruito dagli stessi vertici politici, un vuoto voluto insomma).

Giurisdizione e psichiatria per un controllo sociale diffuso

   Progettando diritti e parlando di istituti, alcuni personaggi ben inseriti nei vari gangli dello stato e delle formazioni politiche, miravano silenziosamente ad un risultato che era l’opposto rispetto ai fini dichiarati.

   Questa vicenda vide andare a braccetto Magistratura Democratica e Psichiatria Democratica.

   Sin dalla fine degli anni Novanta si invocava una legislazione sull’Amministratore di sostegno, di un istituzione che sarebbe stata creata a tutela dei bisognosi e dei minorati.

   Nel 2004 ci fu la legge che istituì questo istituto, nel 2008 ai medici psichiatri viene fatto assumere il potere di certificazione assoluta sulle “patologie”.  In sostanza si crearono degli strumenti legali per attuare la strategia dell’accerchiamento delle vittime designate. Accerchiamento finalizzato alla distruzione degli individui.

   Ormai sono centinaia le denunce in tutto il paese sull’utilizzo deviato della psichiatria e sulle nomine dell’amministratore di sostegno a fini diversi dal sostegno.

   All’orizzonte emerge oggi in modo eclatante, la concettualizzazione e l’applicazione concreta di istituti finalizzati ad un controllo sociale autoritario,  deviato e diffuso,  soprattutto  dove psichiatri, psicologi, educatori, ed assistenti sociali sotto l’egida dei primi (ovvero gli psichiatri) e magistrati di settore “sensibilizzati” o plasmati attraverso informazioni e nozioni manipolatorie, talvolta condotti per mano alla finalità della distruzione e del controllo delle persone attenzionate.

   Nel frattempo l’istituto dell’amministratore di sostegno, nonostante tutte le iniziative di diffusione, va nettamente fuori controllo, perché la lezione appresa dagli utili idioti di cordata e kapò legati ad apparati deviati, lo rende nella pratica una occasione di brigantaggio coperta e sicura: patrimoni interi e soggetti sani vengono imprigionati e distrutti, togliendo ai “beneficiati” (che orrenda ipocrisia della definizione) disponibilità e potere di agire, letteralmente invadendo e svuotando la loro sfera personale, infine conducendoli a ricoveri programmati ex ante, dietro ad una ipocrita enucleazione di un sostegno minimo, per la loro distruzione.

   Un esempio lampante è quello accaduto a Piera Crosignani. Le cronache locali della Toscana parlano di lei[40]. La vicenda è clamorosa, non fosse altro per i 150 miliardi di lire che fanno da sfondo o, più propriamente, da protagonisti. A fine degli anni Novanta, la signora è un’anziana ereditiera. Suo nonno materno che è ricco industriale del settore siderurgico, le lascia un tesoro valutato circa 150 miliardi. Ripeterà in quegli anni l’ereditiera “Sono in un incubo senza via di uscita, anche se ho contattato un amico di vecchia data, medico, ora ministro[41] e spero che qualcosa per me possa cambiare. Intanto sono stata sbattuta fuori dalla casa dove ho abitato per cinquanta anni e tutti i miei beni sono stati assegnati ad un tutore[42]”. L’incubo di cui parla inizia il 9 giugno 1999, quando, con una sentenza del tribunale di Milano (pubblico Ministero Ada Rizzi, giudice tutelare Ines Marini – nomi da tenere presente, perché torneranno nella seconda storia), viene stabilita l’interdizione della Crosignani su richiesta dell’ex marito, un diplomatico di nazionalità austriaca. Ecco il punto: il marito va in tribunale e dice che la sua ricchissima moglie non ci sta con la testa, un giudice chiede una perizia; una udienza, una contro-perizia e il giudice decide. Tutto in venti minuti. E decide che sì, la signora Piera si trova in situazione di abituale infermità di mente, anzi, dirà la sentenza, “affetta da delirio paranoico”. Il patrimonio naturalmente passa di mano, dalle sue a quelle dei tutori che si sono avvicendati[43] e che – stando alle accuse formulate dalla donna e da chi la assiste – non si dimostreranno all’altezza di gestirlo con prudenza e oculatezza, anzi! Pur non potendo ancora affermarlo con certezza, l’ammanco patrimoniale subito nel giro di pochi anni potrebbe arrivare fino a 35 milioni di euro. La Crosignani, da ricchissima che era, rimane senza nulla. Si trasferisce nella provincia lucchese dove amici l’accolgono e la sostengono.   La “paranoica” Piera, maturità classica, quattro lingue parlate correntemente, studi alla Sorbona e a Cambridge, legge Sofocle e Ibsen quando incontra lo psichiatra Gian Luca Biagini all’Asl 2 di Lucca[44] che contesta da subito la perizia ammessa dal tribunale di Milano: affermerà che “Piera Crosignani è perfettamente lucida, dotata di capacità critiche non comuni, sostenuta da un elevato patrimonio culturale. E’ del tutto esente da turbe psichiche. Ha esposto con accorati accenti fatti della sua vita. Nei colloqui non ho riscontrato elementi psicopatologici di sorta”[45]. Ma allora non è matta ne paranoica? Per Biagini “E’ sana di mente, sanissima, ed è un miracolo che il suo cervello sia uscito indenne da questa sconvolgente esperienza”[46].


   E lo psichiatra di Lucca va oltre: spedisce un esposto al Ministero della Giustizia e al Consiglio Superiore della Magistratura oltre che segnalare all’Ordine dei medici di Milano il comportamento del perito del tribunale e la validità della perizia a suo dire inspiegabile. Silenzio e ancora silenzio. Si susseguiranno perizie su perizie, finché la Crosignani, “matta” per legge da anni, viene riabilitata da una revoca della sentenza di interdizione accolta nel giugno 2005. Della serie: “ci scusi tanto, ci siamo sbagliati!”. La signora Piera Crosignani è sanissima. Happy end? Neanche per sogno.


   Il giudice tutelare del tribunale di Lucca impedisce alla signora di ritornare in possesso delle sue proprietà. Sana sì, ma che non tocchi il suo patrimonio (per quello ci sono i tutori, sempre). Delle due l’una: se la Crosignani proprio non è matta, allora il suo delirio paranoico diagnosticato può anche essere, al contrario, una lucida consapevolezza di essere divenuta vittima di una organizzazione truffaldina.


   Ancora sette anni fa raccontava a Il Giornale del 17 settembre 2000 come il sospetto di non essersi imbattuta in un banale errore professionale di un perito frettoloso o inesperto, le fu chiaro sfogliando Famiglia Cristiana. Il settimanale riportava, in un’inchiesta dal titolo piuttosto eloquente “Soli e assediati. Le truffe agli anziani”, le parole di un magistrato milanese “su piani orditi per impossessarsi dei beni di anziani soli e abbienti, di notai manigoldi, di avvocati conniventi”. Peccato che quel magistrato milanese che denuncia i piani truffaldini e professionisti senza scrupolo un mese e mezzo prima abbia firmato la sua interdizione e messa nero su bianco la sua infermità mentale!

   Ha pochi dubbi la signora Piera “Su, ma molto su, sanno benissimo come stanno le cose e io che ho sessantanove anni lo so che ci vuol poco a far passare per mentecatto un vecchio indifeso. Gli avvoltoi vanno al catasto, controllano chi ha delle proprietà. E lì si decide a chi tocca. E’ un racket!”[47].

   Facciamo il punto: per mettere su un ipotetico raggiro da parte di un’organizzazione criminale, ci vuole delle complicità nelle istituzioni giudiziarie e delle connivenze nelle professioni mediche e psichiatriche. Si individua una persona economicamente dotata ma in difficoltà, per l’età o per contingenze diverse; si utilizzano eventuali spazi discrezionali necessariamente esistenti nella normativa per interdire la vittima inoltre questo clan istituzionalizzato viene di fatto in possesso del patrimonio potendone disporre tramite il tutore o l’amministratore di sostegno a vantaggio proprio (vedasi svendite a prestanome o a complici di immobili a prezzi decisamente inferiori ai prezzi di mercato). E il gioco è fatto. 

  Ecco il dubbio, ecco il sospetto, l’ipotesi di reato: un istituto giuridico dai principi e presupposti sacrosanti, introdotto a tutela di chi sia incapace davvero di compiere atti giuridici e per permettere a parenti, o persone vicine, di curarne gli interessi, viene utilizzato per scopi criminali.

   Dubbio doveroso e sospetto legittimo che, per chi viene dichiarato matto per legge, che alla fine diventano certezza di essere stati raggirati, truffati, questo dramma si trascina negli anni in un susseguirsi di risvolti kafkiani. Il tutto in un rassegnato quanto complice silenzio.

   A rendere il sospetto una certezza, ci ha pensato poi lo stesso marito della Crosignani, che dopo averla fatta interdire, si pente, e rivela di aver ricevuto forti pressioni per il suo operato poco limpido. La domanda è in quanti hanno tratto beneficio da questa operazione?

   A non avere dubbio alcuno sull’esistenza di un vero racket delle interdizioni e a denunciarlo pubblicamente e in ogni sede è Claudia Mariani, un’altra vittima di quel meccanismo perverso e criminale che ha rovinato l’esistenza di Piera Crosignani e di chissà quanti come loro.

   Claudia Mariani, laureata in filosofia con orientamento psicologico, lucidissima e agguerrita, pronta a ripercorrere ancora una volta quei dodici anni che iniziano con la denuncia di un traffico illecito, passano per processi, minacce di morte, divorzio, lutti familiari e, non una, ma ben quattro procedimenti di interdizione.

   Ripercorrere gli ultimi dodici anni della sua vita vuol dire consultare un migliaio di pagine fra denunce, perizie, memoriali, documentazione legale, atti processuali. Il caso fu oggetto anche di 2 interrogazioni parlamentari.

   Ma partiamo dall’inizio: nel 1989 Claudia sposa Sergio Bassanese, istriano di origine e residente in provincia di Alessandria. Insieme costituiscono durante nel 1992 la B.M. International, socio accomandatario lui, accomandante lei. La società, dedita alla compravendita di autoveicoli, si rivela agli occhi della Mariani sempre di più una copertura di illeciti traffici internazionali di veicoli rubati. Le richieste al marito di spiegazioni circa il giro di affari in nero che man mano scopre transitare su conti correnti anche a lei intestati ricevono come risposta minacce e intimidazioni in un crescendo sempre più esplicito e violento.

   E il giro d’affari nascosto dietro la B.M. è oggetto, dunque, di totale evasione fiscale, si rivelerà – secondo le sue ricostruzioni – di un importo compreso fra i due e i quattro miliardi di lire mensili, con un guadagno netto da parte del marito di non meno di cento milioni al mese. Non poco per una persona che si dichiarerà poco più che nullatenente.

   Basta e avanza per superare paure e inquietudini per le minacce. Claudia non vuol rendersi indirettamente complice degli illeciti del marito e informa autorità pubbliche e la magistratura di quanto scoperto, continuando, su loro indicazione, a raccogliere informazioni utili. E le informazioni documentali Claudia le porta copiose alla competente Procura di Tortona, ma l’inchiesta non prosegue, rallenta, si insabbia, e si ferma. Di più: il procuratore capo Aldo Cuva, che da lì a pochi mesi verrà radiato dalla magistratura per essere accusato di aver manomesso i verbali d’interrogatorio nell’inchiesta sui drammatici fatti dei sassi dal cavalcavia di Tortona, dirà la Mariani “cercò di farmi passare per pazza e colpevole, impedendo in tutti i modi il proseguimento delle indagini”[48].


   Emblematico a questo proposito un documento, redatto a mano dal dottor Cuva su carta intestata della Procura indirizzato al comandante della Guardia di Finanza di Tortona con il quale si suggerisce di “farsi carico… di elementi di giudizio utili, eventualmente, sotto il profilo della calunnia”[49].

   Sembrano ora trovare conferma, nei fatti, le tante minacce rivolte dal marito e rintracciabili nelle numerose denunce depositate dalla Mariani negli anni: “Non immagini neppure chi sta dietro a sto giro!!! Abbiamo amici magistrati, finanzieri, poliziotti che lavorano per noi. Ti distruggiamo fino a farti interdire e internare in un manicomio. E quando sei lì dentro ti distruggiamo fisicamente e cerebralmente”[50].

   L’aria di questa città diventa per Claudia asfissiante e insopportabile. Il Bassanese chiede la separazione ma nega, in quanto nullatenente, ogni tipo di sostentamento alla moglie.

   Mentre gli organi di stampa locali e le varie associazioni a difesa del cittadino iniziano ad occuparsi di questa strana vicenda, Claudia torna a Milano dalla madre anziana e malata, nella speranza di trovare, chissà, il famoso “giudice a Berlino” nel tribunale che aveva condotto l’operazione “mani pulite”. Ma per lei l’appuntamento con quel giudice non è stato ancora fissato.

   Trasferitasi a Milano si fa pressante la condizione della madre, l’allora ottantenne Cesarina Fumagalli già affetta da patologie psichiche che peggiorano di giorno in giorno. La mamma si trascura, squallide le condizioni igieniche e personali, non paga le bollette, accumula debiti su debiti nonostante un sostanzioso conto corrente personale che si aggira intorno ai cinquecento milioni di lire. E la figlia provvede alle spese di volta in volta.

   Si rivolge dunque alle strutture sanitarie per chiedere il Trattamento Sanitario Obbligatorio (Tso) nella speranza che possa essere finalmente curata. Dati gli ormai numerosi decreti ingiuntivi e azioni di sequestro a carico della Fumagalli e la sua incapacità di provvedere a se stessa, alla propria salute e ai propri beni, la Mariani richiede al Tribunale di Milano l’interdizione della madre.

   E qui i fatti si susseguiranno con una sequenza travolgente che ha dell’incredibile: il Tso viene revocato e la Mariani si ritrova una imputazione per sequestro di persona da parte del PMA da Rizzi (la ricordate? La stessa della storia Crosignani); il giudice non ammette prima, per disporla poi, la perizia medico legale; ammette che sì, la Fumagalli “soffre di disturbi ansioso-depressivi già da parecchi anni, cade in uno stato confusionale, ora rigido, ora passionale”[51] ma non ne trae alcuna conseguenza d’ordine medico psichiatrico.

   Ma non basta: ora il caso Mariani si riannoda indissolubilmente con il caso Crosignani. Perché manca ancora il colpo di scena: non solo la domanda di interdizione per la madre è stata rigettata ma è ora la stessa Mariani che si dovrà difendere da una richiesta di interdizione. Ad avallare la causa c’è ancora lei, il PM Ada Rizzi. E a proporla, assistita dall’avvocato Calogero Lanzafame, la stessa Fumagalli.

   Per Claudia e per quanto riportato nelle denunce depositate poi dalla stessa Cesarina Fumagalli “l’avvocato la minacciava, continuava a chiederle soldi in nero, le faceva firmare documenti senza spiegarle il contenuto, le negava l’accesso ai documenti relativi alla sue cose”[52]. Nel 1997 la dottoressa Mariani, sollecitata anche dai giudici tutelari della madre, denuncia Lanzafame per circonvenzione e reati connessi e presenta un ricorso urgente per la limitazione della capacità di agire della madre. Ma denuncia e ricorso, assegnate come sempre alla Rizzi, vengono naturalmente respinte.

   Seguono negli anni: denunce e controdenunce; perizie e controperizie (saranno addirittura 12); istanze e controistanze; citazioni in giudizio, richieste di avocazioni, richieste di sequestri cautelari, archiviazioni in un via vai di fascicoli che appaiono e scompaiono interessando tutti i piani di Procura, Tribunale e Corte d’Appello di Milano.

   Siamo nel 2000 quando il sostituto procuratore Gherardo Colombo, consultata la memoria presentata dalla Mariani, inoltra con urgenza per competenza alla Procura di Brescia i procedimenti aperti.

   Mentre Claudia Mariani chiede l’interdizione della madre malata, presenta alla procura di Brescia, su suggerimento del presidente di corte d’Appello Seriani e del sostituto Colombo, una denuncia per abuso d’ufficio contro il PM Rizzi. Di rimando, la Rizzi cita in giudizio la denunciante Mariani per richiederne l’interdizione, in quanto affetta principalmente da “querulomania”.

   Sì. E’ una querulomane! Che più o meno sarebbe un malato psichico con atteggiamento lamentoso protratto che nasce dalla persuasione reale o immaginaria di aver subito un torto. Persuasione reale o immaginaria? C’è una bella differenza! I reati del marito, il racket delle automobili, le minacce, le percosse, le denunce insabbiate a Tortona, la persecuzione giudiziaria della Rizzi, i corridoi di centri medici e tribunali percorsi fino alla nausea, sono reali o immaginari? Sono pezzi di uno stesso disegno retto sostiene la Mariani supportata ormai da associazioni, professionisti e magistrati “dalla criminalità organizzata e da potenti organizzazioni occulte”[53] o sono il frutto della creativa fantasia di una querulomane?

   Mentre Brescia dice che la denuncia alla Rizzi è da archiviare, Milano da parte sua non accoglie la richiesta perché fosse designato un altro magistrato a svolgere le funzioni di pubblica accusa nei procedimenti riguardanti la Mariani per – usando un termine forense – ragioni di obiettiva inimicizia.

   Il 4 aprile 2007 presso il Tribunale di Milano all’udienza in appello per il giudizio di interdizione intentato contro la dottoressa Claudia Mariani dal PM Ada Rizzi, la corte ha preso atto della perizia del tutto favorevole redatta dal Consulente tecnico d’ufficio dottor Vittorio Boni. Sì, ha vinto lei. Il rendez-vous con “il giudice a Berlino” Claudia l’ha avuto. E’ ufficialmente sana di mente. Come lo è la Crosignani.

   Dire che non sia stato facile pare davvero inappropriato! Anzi! Mancano però ancora troppi fili da riannodare, troppe vicende da chiudere. Andiamo a ritroso: inchiesta giacente presso il Tribunale di Tortona: dodici anni sono più che sufficienti, per chi avesse preso parte al presunto racket delle auto rubate, per occultare ogni prova, ogni traccia, ogni piccola evidenza. L’ultima traccia che abbiamo dell’inchiesta risale al 2000. Pierluigi Vigna, ai tempi Procuratore nazionale Antimafia, dispone che i fascicoli passino da Tortona alla Dia di Torino dove, dicono, non ci sarebbero elementi per procedere. Basta come risposta a chi ha avuto il coraggio di denunciare tali reati, subendone minacce di ogni sorta, fino a una possibile persecuzione giudiziaria.

   Processo per sequestro di persona a seguito della richiesta del Tso per la madre presso il Tribunale di Milano: la Mariani, pur contestando non pochi atti illegittimi da parte del PM Rizzi, è stata giudicata colpevole e le è stata inflitta una pena di due anni. La sentenza del processo di Appello ha confermato la colpevolezza pur con la sospensione della pena. In seguito la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza.

   Caso Cesarina Fumagalli: in questo caso la parola fine non viene scritta da una sentenza ma dalla morte della signora nel 2003 Poco prima fu la Fumagalli a chiedere alla figlia di accompagnarla allo studio di Lanzafame per consegnare una revoca di mandato. Revoca che, pur spedita per raccomandata dopo il rifiuto dell’avvocato di ricevere congiuntamente la Fumagalli e la Mariani, venne disattesa da Lanzafame che ha continuato ben oltre a rappresentare la sua ex assistita.

   Questo quanto è stato possibile ricostruire. Rimangono, però, troppe domande che aspettano una risposta.

   Gli immobili svenduti del patrimonio Crosignani a chi sono andati?
 C’è un collegamento fra le minacce dell’ex marito della Mariani e il seguente calvario giudiziario?


   C’è davvero un racket che annovera avvocati, giudici e pubblici ministeri, psicologi asserviti o conniventi con poteri criminali?

   Ma soprattutto: quante storie, quanti casi Crosignani o Mariani, aspettano di essere raccontati?

   I tentativi di razionalizzazione pubblica e controllo dell’istituto dell’amministratore di sostegno, si scontrano con la indisponibilità di fondi per l’attività degli amministratori di sostegno, attività resa lucrosa via criminale, come si vede gli esempi sopra riportati.

  Voglio precisare che non intendo criminalizzare l’istituto dell’amministratore di sostegno, ma le sue deviazioni. Il coltello a uno scopo utile (es. tagliare il pane) ma può essere usato per progetti criminali.

   Ma l’elemento fondamentale di tutto questo discorso è l’uso della psichiatria come controllo sociale.

EVERSIONE NON CONVENZIONALE

   Affermare che nell’ambito del progetto Monarch sia stata trovata la tecnica e la metodologia per creare in una mente molte persone o personalità distinte, ciascuna ignara dell’altra, non è del tutto esatto.

   La personalità già nella sua definizione è vista come un insieme di caratteristiche psichiche e modalità di comportamento che, nella loro integrazione costituiscono il nucleo irriducibile di un individuo, che rimane tale nella molteplicità e diversità delle situazioni ambientali in ciò che si esprime e si trova a operare.

   Ma allora che cosa è il progetto Monarch?

  Per capirlo meglio bisogna partire dal concetto di dissonanza cognitiva di Leon Festinger[54], il quale dice che un individuo che attiva due idee o comportamenti che sono tra loro coerenti, si trova in una situazione emotiva soddisfacente (consonanza cognitiva); al contrario, si verrà a trovare in difficoltà discriminatoria ed elaborativa se le due rappresentazioni sono tra loro contrapposte o divergenti. Questa incoerenza produce appunto una dissonanza cognitiva, che l’individuo cerca automaticamente di eliminare o ridurre a causa del marcato disagio psicologico che esso comporta; questo può portare all’attivazione di vari processi elaborativi che permettono di compensare la dissonanza.

   Il controllo mentale si inserisce con il progetto Monarch in quello spazio mentale che attiva quelle due idee o comportamenti che tra loro sono contrapposti o divergenti.

   Leon Festinger, era una famoso psicologo sociale che prima di creare le sue teorie si infiltrava in gruppi e movimenti per comprendere anche come funzionasse il controllo mentale da parte di uno o più soggetti su un gruppo o su un singolo soggetto.[55]

  Egli parte dal fatto che quando si parla di dissonanza cognitiva o di autoinganno si parla della stessa identica cosa; nel 1954 Festinger riuscì a infiltrarsi con dei colleghi in una setta religiosa basata sul culto degli UFO. Secondo questa setta, dagli alieni del pianeta Clarion, gli umani venivano avvertiti dell’imminente pericolo di alluvione, che avrebbe spazzato via la vita dal pianeta prima dell’alba del 21 dicembre 1954. Festinger documentò come il culto riuscì a convincere i fedeli della necessità di riunirsi prima di mezzanotte di tale giorno, in un luogo dove un alieno sarebbe arrivato per scortarli fino all’astronave madre e trarli in salvo. Come fu suggerito, i fedeli rimossero ogni oggetto metallico dal proprio corpo: occhiali, cerniere, chiusure di reggiseno ecc. Alle 00.05 il gruppo si trovava sul luogo prestabilito, ma l’alieno non è ancora arrivato. Qualcuno fa notare che altri orologi segnano le 23.55. Il gruppo concorda perciò non è ancora mezzanotte (già si attiva un autoinganno collettivo o dissonanza cognitiva collettiva). Alle 00.10 un altro orologio batte la mezzanotte. Ancora niente alieni. Il gruppo siede in silenzio, atterrito: al cataclisma mancano non più di poche ore. Alle 04.00 la leader del gruppo, che aveva “ricevuto i messaggi” attraverso la scrittura automatica, scoppia a piangere. Si tentano spiegazioni del perché gli alieni non si siano fatti vedere. Alle ore 04.45, un altro messaggio in scrittura automatica è inviato alla signora: afferma che il Dio del Culto ha deciso di risparmiare gli umani dall’estinzione, e quindi il cataclisma non avrà luogo. Nel foglietto scritto dalla signora si leggeva: “Il vostro piccolo gruppo, riunendosi in così religiosa osservanza, ha diffuso talmente tanta luce da convincere il Dio a salvare l’intera umanità[56]. È un tripudio. Il mattino successivo, la leader e i suoi fedeli rilasciarono entusiastiche interviste sui giornali, la loro fede (e cioè il loro autoinganno o dissonanza cognitiva) divenne più forte che mai, malgrado la disconferma.[57]

   Se prendiamo le sette sataniche, bisogna dire che il satanismo esiste come fenomeno astratto (come la psico-magia, la psicologia esoterica e altri fenomeni similari) che non porta a nulla se non a fuorviare gli individui da realtà storiche, sociopolitiche e giuridiche che fondano le loro radici su una base più concreta e razionale.

   A questo riguardo, una lucida analisi su questo mondo fu data dall’antropologa Cecilia Gatti Trocchi[58] che ebbe il coraggio di affondare al fondo anche con lucido e simpatico atteggiamento razionale ed irriverente, le questioni dello sfondamento magico esoterico in ambienti “materialisti” e di sinistra.[59]

   E la stimata intellettuale e professoressa ne pagò il prezzo, pur non essendo arrivata a disegnare le più profonde ragioni strategico politico generale del fenomeno.[60]

   Tutto ciò sta a dimostrare come la programmazione Monarch sfrutti anche l’immaginario satanico (ed esoterico in generale) per traumatizzare la vittima da controllare.

RILEVANZA PENALE DEI DELITTI IN AMBITI RITUALI A COPERTURA SATANICA NELLE PSICO SETTE

   Nel diritto penale il satanismo in sé, non ha autonoma valenza, prevalendo i principi della libertà associativa e della libertà di culto.

   C’è uno stretto rapporto tra sete e manipolazione mentale.

Per lo Zingarelli, il vocabolo deriva dal latino secta (m) “parte, frazione”, ed ha una triplice accezione:

  1. Gruppo di persone che professano una particolare dottrina politica filosofica e religiosa, in contrasto o in opposizione a quella riconosciuta o professata dai più: setta clericale, setta eretica, setta cristiana, ciascuno dei movimenti che respingono l’organizzazione e le dottrine del Cattolicesimo e delle chiese derivate della Riforma/ Fare setta, congiurare;
  2. Società segreta: setta massonica, dei carbonari;
  3. Compagnia, moltitudine di seguaci.

   Dalla prima accezione si può individuare, in linea generale, un duplice aspetto che sembra caratterizzare la setta poiché tale: il fatto che essa sia costituita da un gruppo di persone; il fatto che tale gruppo sia in contraddittorio ideologico con un’istituzione o con la maggioranza.

   Per la seconda accezione, la setta è una società segreta. Quando si parla di setta massonica o setta dei carbonari si fa riferimento a gruppi organizzati, con rituali propri e con un fine ben preciso.

   Nella terza accezione si parla genericamente di setta come di un numeroso insieme di seguaci.

   Nella triplice definizione dello Zingarelli possono dunque rientrare tutti i movimenti religiosi, le associazioni esoteriche e tutti i gruppi dedicati a culti alternativi di cui ogni tanto si parla.

   Tuttavia, secondo il parere di alcuni studiosi, la setta giacché tale si caratterizzerebbe soprattutto per un altro aspetto che, al di vero non si evince dalla definizione della Zingarelli: la manipolazione mentale degli adepti.

   I suddetti studiosi definiscono una setta in questi termini: “Un qualsiasi gruppo, senza tener conto di ideologia, credo, nella quale si pratica la manipolazione mentale, da cui risulta la distruzione della persona sul piano psichico (a volte fisico, spesso finanziario) della sua famiglia, del suo entourage e della società al fine di condurla ad aderire senza riserve e a partecipare a un’attività che attenta ai diritti dell’uomo e del cittadino”.[61]

   In base alla suddetta definizione, sono da considerarsi come sette vere e proprie solo quei gruppi che si propongono come determinato obiettivo la distruzione psichica degli adepti al fine di poterli poi indurre all’adesione incondizionata e concreta all’attività che attentino ai diritti dell’uomo, adottando come mezzo principale per raggiungere tale scopo la manipolazione mentale. Questoelemento discriminante è quindi molto importante e non deve essere sottovalutato per nessun motivo.

   Secondo un Rapporto del 1998 del Ministero degli interni “è un dato ormai acquisito, sulla scorta di testimonianze prestate da molti fuoriusciti, ma anche di accertamenti condotti da organi di polizia giudiziaria, che taluni movimenti (specialmente le “psicosette”), sia nella fase di proselitismo che in quella d’indottrinamento degli adepti, ricorrano a sistemi scientificamente studiati per aggirare le difese psichiche delle persone irretite, inducendole ad un atteggiamento acritico e all’obbedienza cieca[62],  tale effetto si otterrebbe imponendo agli adepti un iter articolato in tre fasi:

  1. Nella prima fase c’è l’isolamento dell’adepto mediante l’allottamento dalla comunità sociale e di contesto familiare per indurre la perdita di ogni altro punto di riferimento; per spezzare tutti i rapporti precedenti; per saldare il senso di appartenenza al gruppo; rimuovere la privacy; obbligo di conferimento al gruppo di tutti i propri averi per indurre dipendenza finanziaria; 
  2. Nella seconda c’è l’indottrinamento dell’adepto attraverso il rigetto sistematico e aprioristico dei vecchi valori; la sottoposizione a letture di difficile comprensione; l’incoraggiamento all’obbedienza cieca, al senso gerarchico e all’aproblemicità; la richiesta di conformità a codici di vestiario, per accentuare l’idea di diversità da tutti gli altri; il senso di mistero e della partecipazione a un disegno insondabile; l’uso di preghiere e formule ripetitive, che riducono il senso critico; 
  3. Nella terza fase c’è il mantenimento dell’adepto mediante l’attività fisica prolungata, un impegno continuo e la privazione del sonno, accompagnati da un’alimentazione poco equilibrata per creare uno stato di affaticamento (che inibisca la ribellione) e di reattività agli stress emozionali, una deresponsabilizzazione per scoraggiare iniziative personali; una pressione psicologica costante da parte di altre membri per evitare improvvisi ripensamenti; l’induzione di un senso di colpa e di paura di una punizione in caso di dubbi e pensieri negativi; l’abitudine a usare un linguaggio criptico, per rendere più difficile la comunicazione con l’esterno.[63]

   La strategia delle sette per arruolare nuovi affiliati si basa su un serrato proselitismo che mira a sedurre il futuro adepto, il quale si caratterizza di solito per un profondo bisogno di trovare risposte a domande esistenzialiste, a dubbi di tipo religioso, a fisime di carattere spirituale.

   In questa fase iniziale la setta si presenta come una realtà veramente accogliente, aperta, religiosa, capace di offrire serenità, sicurezza e protezione. Essa, inoltre, si mostra sensibile e concretamente interessata anche ad altri problemi particolarmente toccanti come l’ecologia oppure le questioni umanitarie.

   Una volta affiliato, l’adepto entra in diretto contatto con la realtà della setta e quindi viene sottoposto sistematicamente alla manipolazione mentale, peraltro già avviata nella fase dell’adescamento.

   Secondo alcuni autori “la manipolazione mentale (…) poggia su tre pilastri: un guru, un gruppo, la dottrina”.[64]

   Il guru è il capo carismatico della setta. Il suo potere sta nella convinzione di essere depositario di messaggi soteriologici (messaggi relativi a una dottrina o concezione della salvezza), di avere doni di veggenza e profezia. Il guru accoglie il nuovo affiliato e gli fa prendere “consapevolezza” dei suoi punti deboli; dopodiché gli promette felicità e pace, lasciando intendere che presto troverà in se stesso le risposte a tutte le sue domande.

   Il gruppo svolge una parte importante nel processo manipolatorio. Esso agisce soprattutto sull’affettività dell’adepto illudendolo di essere amato e rassicurato. Sottoposto a un intenso love bombing (bombardamento d’amore), l’adepto non riesce a vedere nient’altro che il gruppo e gli interessi che ad esso ruotano intorno.

   L’ideologia di ogni setta si fonda su di un complesso più o meno organico di principi teorici fondamentali. In conformità a tali principi, l’affiliato sarà indotto progressivamente a modificare il suo sistema di vita e solo in seguito verrà a piena conoscenza dei veri obiettivi della setta.

   Come si diceva prima, uno dei fini della setta è la distruzione della persona sul piano psichico (a volte fisico, spesso finanziario), della sua famiglia, del suo entourage, al fine di condurla ad aderire senza riserve e a partecipare a un’attività che attenta ai diritti dell’uomo.

   C’è da chiedersi, il legislatore non si è mai occupato della manipolazione mentale? Qui entriamo in una storia molto problematica e tormentata nello stesso tempo.

   Nel 1964, Aldo Braibanti, un intellettuale di sinistra, laureato in Filosofia teoretica, iscritto al PCI, uno che ha alle spalle una lunga militanza antifascista (nel ventennio trascorse due anni in carcere e nella seconda guerra mondiale viene torturato dalla SS) conobbe due diciannovenni, Piercarlo Toscani e Giovanni Sanfratello, con i quali inizia una relazione sentimentale. Nonostante l’omosessualità all’epoca era un tabù, tutto fila liscio, fino a quando Giovanni non decide di abbandonare la famiglia, ultracattolica, per andare a vivere con lo scrittore.

   Il padre di Giovanni porta il figlio in manicomio e denuncia Braibanti per plagio. All’epoca il codice penale, di diretta derivazione fascista, prevedeva espressamente il reato.

   Secondo l’articolo 603, chi sottopone “una persona al proprio potere in modo da ridurla in totale stato di soggezione[65] si becca una pena che varia dai cinque ai quindici anni di reclusione. In sostanza, nell’Italia degli anni ’60, il reato di plagio diventa una pistola puntata contro chi ha voglia di ribellarsi alla morale dominante.

   Il processo si apre tre anni dopo, nel 1967. Giovanni giura davanti alla Corte di non essere mai stato soggiogato, ma non fa altrettanto Piercarlo, che invece denuncia il tentativo di Braibanti di “introdursi nella sua mente”.

   Questa testimonianza è sufficiente ai magistrati per stangare Braibanti: nove anni di reclusione. Pena che viene ridotta a sei in appello, di cui due condonati per l’attività partigiana. Nel dicembre 1969, dopo due anni a Rebibbia, Braibanti torna in libertà. Braibanti passerà alla storia per essere stata la prima persona (e anche l’ultima) a essere condannata per plagio in Italia.

   La vicenda comunque, negli anni della cosiddetta “rivoluzione sessuale”, diventa emblematica della battaglia contro un mondo in declino, che non vuole cedere le armi. Tanto che in favore di Braibanti, si mobilitano intellettuali del calibro di Pier Paolo Pasolini, Umberto Eco, Alberto Moravia, Elsa Morante nonché i radicali di Marco Panella.

   L’uso che fu fatto in quest’occasione del reato di plagio, ne sancì la morte giuridica, che arriverà una decina d’anni dopo. Quando alla fine degli anni Settanta alcuni genitori accusarono il sacerdote Emilio Grasso di avere plagiato i propri figli minorenni, il magistrato memore del caso Braibanti, si rivolge alla Corte costituzionale per chiedere se quel reato sia o no in contrasto con i principi sanciti nella Carta costituzionale.

   Dopo aver studiato il caso, la Corte si pronunciò l’8 giugno del 1981: il reato di plagio è incostituzionale.

   L’articolo 603 ha il difetto di essere formulato in maniera generica, dando così al giudice un potere d’interpretazione troppo discrezionale: “L’esame dettagliato delle varie e contrastanti interpretazioni date all’articolo 603” scrivono i giudici costituzionali nella sentenza “mostra chiaramente l’imprecisione e l’indeterminatezza della norma l’impossibilità di attribuire a essa un contenuto oggettivo, coerente e razionale, e pertanto l’assoluta arbitrarietà della sua concreta applicazione. Giustamente essa è stata paragonata a una mina vagante nel nostro ordinamento, potendo essere applicata a qualsiasi fatto implichi dipendenza psichica di un essere umano da un altro essere umano, e mancando qualsiasi sicuro parametro per accertarne l’intensità”.

   In sostanza, la Corte cancella un reato che nasce ufficialmente per tutelare i più deboli, ma che rischia di diventare pericoloso per le libertà personali. Però, questa sentenza apre una falla nel nostro ordinamento: non c’è più nessuna norma di chi rimane irretito da una setta o da un guru.

   Dal 1981 a oggi, informati dalle associazioni dei famigliari delle vittime delle sette, alcuni politici hanno provato a reintrodurre il reato di manipolazione mentale. Con scarsa fortuna. La pressione lobbistica delle sette, hanno fatto naufragare ogni tentativo.

   In Spagna e in Francia la questione della manipolazione mentale da parte delle sette, è stata, invece affrontata.

   In Spagna il reato è stato introdotto nel 1994, sull’onda di polemica suscitate dalle inchieste giudiziarie su Scientology.

   In Francia invece la legge nasce nel giugno 2001 per iniziativa bipartisan dell’ex deputata socialista Catherine Picard e del senatore centrista Nicolas About. È significato vedere le resistenze che si sono avute contro questa legge. Dice la Picard, oggi presidente dell’Unadfi (Associazione per la difesa delle vittime delle sette) a proposito:

D. C’è qualcuno che ha provato a fermare il vostro testo prima che diventasse legge?

R. Sì. Sono stati soprattutto i grandi movimenti settari internazionali quelli che hanno tentato di ostacolarne il cammino. Ma l’operazione di lobby è fallita clamorosamente, perché i nostri parlamentari erano compatti contro di loro. Dopodiché, a livello internazionale, sono gli Stati Uniti ad aver maggiormente manifestato il proprio dissenso, giocando sul confine sfumato tra setta e religione. Hanno pure inviato degli osservatori, e personalmente ho ricevuto ben due senatori americani, membri dell’Ocse, venuti con grande ipocrisia a chiedermi di ritirare il testo. Un’ingerenza tanto sfacciata si vede di rado da parte di parlamentari stranieri”.

   Cosa ci sia dietro molte sette, è possibile intuire, non si spiegherebbe l’interesse degli Stati Uniti per proteggerle. Inoltre, tutto ciò mete in rilievo alcuni fatti ben precisi:

  1. Che le sette non sono un fenomeno periferico, che coinvolge soltanto una piccola parte della società. Invece le trovi in Municipio, in Regione (dice niente la predominanza che ha avuto fino adesso CL in Regione Lombardia?), o in Parlamento, esse sono presenti nelle aziende, nei negozi, nelle scuole e nelle Università. Le trovi anche quando ci si batte per la pace, per l’ambiente, per i diritti umani e le libertà individuali, per la tutela dei bambini o contro il razzismo. Le trovi nei corridoi degli organi di governo internazionale, al Palazzo di Vetro dell’ONU o al Parlamento europeo di Bruxelles;
  2. Nelle sette non ci finiscono solo i pazzarielli, i poveracci, i diseredati, i senz’arte né parte, gli ingenuotti, i creduloni e i superstiziosi. Dentro ci finiscono avvocati, medici, giornalisti imprenditori, manager, personalità del mondo della cultura, politici e perfino psicologi e militari.

   Perciò creare una associazione a sfondo satanista come copertura non è di per sé reato né lo sono le attività di generica manipolazione e condizionamento individuale in se per sé; ma sino ad una soglia limite oltre la quale si  devono ritenere integrati altri fatti penalmente sanzionabili (ad esempio la violenza privata, dove, oltre al plagio, attraverso la manipolazione, la vittima viene indotta a fare certi determinati atteggiamenti violenti poiché viene indotta attraverso una pressione che si è trasmodata in aggressione alla sfera psichica del soggetto passivo che viene in varie forme minacciato oppure intimidito).

   In questi contesti settari esoterici/occultisti vengono difatti commessi, come naturale conseguenza della loro caratteristica, dell’insieme dei valori/disvalori praticati oltreché teorizzati, e dei circuiti economico criminali e segreti che vi girano interno, una miriade di fatti costituenti reato.

   Si tratta di reati anche gravissimi e metodicamente, gestiti con coperture talvolta potenti, quando si tratta di attività attuate da soggetti di potere o di attività coperte con altre finalità, gestite da apparati segreti.

   La circolare del Ministero dell’Interno che nel 1998[66] che costituiva le S.A.S. (Squadre Antisetta) elencava delitti e loro tipicità nell’ambito delle sette.

   Si va dalla violenza privata, alle violenze sessuali pluriaggravate anche in danno di minori, dal sequestro di persona, alla circonvenzione per scopi di sottrazione patrimoniale, dalle lesioni, percorse e fatti di altra varia gravità sino agli omicidi. In tali ambiti l’uso di sostanze psicotrope illecite e vietate non solo si innesta a un attività di spaccio ma si collega a traffici internazionali dove il loro delle varie organizzazioni che compongono la criminalità organizzata e cosa ben nota. In un indagine partita circondario di Teramo nel 2011, si è scoperchiato un realtà fatta di traffici internazionali in paesi come l’Afghanistan e Kossovo[67] collegata con la Camorra, ndrangheta e ambienti militari.

  Per il delitto di omicidio doloso (che consiste nel provocare volontariamente o premeditamene la morte di un’altra persona) è previsto l’articolo 575 del Codice Penale: ora c’è una difficoltà nel stabilire una connessione tra ambiente esoterico/occultista e delitti a sfondo rituale. “Satana” o altre entità evocate nei riti a sfondo esoterico/occultistico non può essere un aggravante.

SETTE E SERVIZI SEGRETI

   Le sette sono una realtà dove i vari servizi segreti hanno pascolato. Alcune persone sottoposte a controllo mentale sono membri di sette esoteriche dove tra l’altro si effettuano esperimenti inerenti il controllo mentale. Questo avvenne quando la CIA decise di spostare la sperimentazione del controllo mentale dai laboratori militari e accademici alla comunità esterna e al mondo delle sette del modello OTO.[68] Una cerchia segreta di scienziati sperimentò da allora il controllo mentale sui devoti dei vari culti e sette, questa sperimentazione a volte si spinse fino a operare omicidi di massa nascondendoli come suicidi per ridurre al silenzio i soggetti coinvolti, come accade nel 1978 alle vittime del Tempio del sole che fu senza dubbio il più grande suicidio di massa della storia, a Jonestown, o a quello dell’Ordine del Tempio Solare.[69]

   Le società occulte sono riservate e spesso molto irrazionali. Seguono un leader. Esistono all’orlo di una società che le ignora, perché la loro strana retorica religiosa risulta sgradevole.

   Nelle sette sataniche, dedite alla celebrazione di messe nere, nate per celebrare l’era nascente dell’Anticristo – come nel caso della Chiesa di Satana, nata negli Stati Uniti nel 1966 o il Tempio di Set, nato negli Stati Uniti nel 1974, ci sono personaggi promossi dalla CIA come Anton Szandor LaVey e il Tenente Colonnello Miquel Aquino, figure carismatiche e perverse intente a manipolare l’occulto per sperimentazioni allucinanti, come quelle del progetto Monarch della CIA, che faceva parte del programma per il controllo mentale MK-ULTRA.

   Tra i fondatori della Chiesa di Satana ci fu il regista cinematografico e mago delle rockstar Kenneth Anger, che era anche un nono grado dell’OTO californiano e discepolo di Crowley.

  In sostanza le sette come l’OTO sono uno strumento in mano ai servizi americani e ai loro scagnozzi dell’occulto. Per arrivare al controllo della setta, i servizi sono passati attraverso il discredito dei membri “non in linea”. Al loro interno sono attuate le sperimentazioni più perverse e immorali, grazie all’uso e abuso della religione.

   Queste sperimentazioni sono legate a frange religiose o occulte, come il Tempio Solare, sono legate in maniera quasi ossessiva alla famosa Stella Sirio[70] , quella “Stella fiammeggiante” che per la Massoneria diventa il più profondo e più sacro dei suoi simboli e una costante e strana presenza del culto Solare nei culti più oscuri e perversi degli ultimi decenni.   La setta del Tempio Solare aveva tre convinzioni fondamentali:

  1. Il mondo stava per finire;
  2. L’apocalisse verrà gestita da un gruppo di iniziati che vivono nella Loggia bianca di Sirio.

   Sirio è posta anche relazione ad alcuni esperimenti facenti parte del programma MK-ULTRA. Un ricercatore finlandese Martin Koski, in un libretto che s’intitola La mia vita, dipende da voi, parla di Sirio che viene evocata in un episodio di controllo mentale. Egli sosteneva di essere stato rapito e che i “dottori” che avevano operato su di lui dichiaravano di essere “alieni provenienti da Sirio”. Egli sosteneva che questi personaggi gli avevano impiantato uno schermo nella memoria per celare la loro identità e le loro intenzioni. Sulla base di testimonianze come questa, nei primi anni ’90, trovò credito la teoria, sostenuta da un gruppo di ricercatori, che i cosiddetti rapimenti alieni, fossero una copertura per il programma MK-ULTRA.

  Ma torniamo al discorso sulla rilevanza penale dei delitti compiuti in ambito rituale esoterico/occultista e sull’uso in questi ambienti delle sostanze psicotrope.

   Per un giudice e per il diritto penale, uccidere o violentare donne e bambine, se chi compie questi orribili delitti indossi un grembiule bianco, una tonaca rossa e la maschera da caprone non aggrava né alleggerisce né rende meno illeciti i reati commessi.

   La sorta di sceneggiatura ritualistica e le tecniche anche solo vocalmente manipolatorie, hanno lo scopo di comandare più facilmente sugli altri membri della setta o sulle vittime.

  Le sceneggiature ritualistiche e le tecniche manipolatorie, attivano in maniera prioritaria quel fenomeno che si chiama plagio. Fenomeno che difficilmente si può dimostrare. Le persone presenti dentro questi ambiti diventano nello stesso tempo complici/vittime, di reati penalmente perseguibili. I plagiati porteranno con sé il segreto evitando di denunciare solo perché nel momento in cui si compiva il delitto l’individuo con la tonaca rossa e la maschera di caprone ha creato un setting ambientale[71] suggestivo e terrificante, innescando a loro una paura già latente; e in effetti chi di noi è nato con il concetto dell’angelo che punisce e del demone che tormenta? 

   Anche in questo modo che si creano gli schiavi del controllo mentale dove lo shock prima e il plagio dopo, modificano radicalmente il cervello e il lo loro modo di apparire da parte di quelli che nella programmazione Monarch sono definiti Handlers (controllori/addestratori).   Gli Handlers imbottiscono anche di droghe o psicofarmaci i loro schiavi mentali[72].

   La paura per la propria incolumità fisica (aggressione fisica e verbale) e la minaccia alle basi biologiche dell’esistenza (carenza di cibo, assenza di un tetto ecc.) diventano le paure costanti che accompagnano le vittime del controllo mentale.[73]

  Gli Handlers possono essere militari, donne con un certo tipo di temperamento e di carattere, medici, psichiatri e psicologi; non bisogna scordarsi che per somministrare certi psicofarmaci e certe droghe necessita una supervisione da parte di esperti nel settore della medicina.

   Dagli USA arrivò la testimonianza diretta di Cathy O’ Brein vittima del progetto Monarch e co-autrice del libro Trance-Formation of America, dove asserisce, in un memoriale esplosivo, di essere stata vittima di progetti, abusi e sperimentazioni, nell’ambito di progetti per il controllo mentale, comandati da importanti personaggi della politica americana come: George W. Bush o Richard Bruce “Dick” Cheney.[74]

   Cathy O’Brien parla di laboratori militari segreti che opererebbero illegalmente facendo degli esperimenti sugli esseri umani. Sarebbero impiantate in questi laboratori nel cervello sonde microscopiche o implants (elettrodi studiati sin dagli anni ’60 su topi e scimmie) che verrebbero attivate a distanza; esse produrrebbero scariche elettriche che dovrebbero stimolare alcune aree del cervello, trasformando gli esseri umani in veri e propri robot.

   Si può credere o meno ai racconti di Cathy O’Brien, ma non si può negare che gli implants esistono: l’ex agente della CIA Derrel Sims ne ha estratti chirurgicamente una cinquantina circa e, sebbene molti ufologi propendano per una matrice aliena dei marchingegni, sappiamo che sonde, forse meno sofisticate ma comunque terrestri, possono essere vendute su internet e, tra l’altro, sono alla base di studi come il “braccialetto elettronico” per i carcerati.[75]

   Nella sostanza questi progetti inerenti il controllo mentale nati con finalità militari, operano segretamente e illegalmente e hanno finalità di ricatto e controllo politico.

   Le persone create in seguito ad attività di torture continue e di altre forme di traumi sono definiti Alter.

   L’Alter o l’autoinganno (ricordiamoci di Festinger: quello spazio mentale che attiva quelle due idee o comportamenti che tra loro sono contrapposte o divergenti) crede di essere la mente nella sua totalità, mentre non rappresenta altro che un frammento di essa.

   Facciamo un esempio. Se una persona inserita nel progetto viene a contatto con altri individui anche loro inseriti nel progetto, magari pensano che quell’Alter è la sua vera identità, anche la persona in questione, ovvero la vittima, crede la stessa cosa. Gli Alter nascosti vengono programmati con altri vari ruoli o incarichi e quando viene dato l’avvio, con una parola, un suono o un’azione specifici, avviene il passaggio a un altro Alter della persona interessata. Un Alter nascosto subentra a quello precedente, che viene momentaneamente parcheggiato nel subconscio e prende il sopravvento sul comportamento e sulla percezione della persona in questione. Una volta che l’incarico è stato completato, gli Alter vengono invertiti e quello di facciata dopo un po’ torna a prevalere, magari attivato da un suono o comando che vale come ordine di dismettere l’Alter precedente e di riattivarne un altro nuovo. L’Alter di facciata non ha la minima idea di ciò che l’Alter nascosto ha sperimentato in sua assenza a causa di una barriera amnesica che blocca all’esterno il ricordo degli orrori o delle attività estreme sperimentate da quell’Alter specifico. Ma può avere ricordi soffusi e percepiti come onirici, sensazioni di buio profonde, ricorsi di sensazioni fisiche piacevoli e forti, e, dati che irretimento precedente e contesto delle attività è un presupposto della stessa selezione subita, la vittima può avere valide intuizioni sui fatti accaduti ma senza coscienza piena. 

TRIESTE NE CURCUITI DI POTERE SOCIALE

   In questa città c’è si può configurare una connessione tra il caso Cervia e quello Landi.

   Michele Landi sarebbe stato a Trieste alla fine degli anni ’80 sembra per motivi di amicizia, ma non è escluso che fosse venuto per motivi di un lavoro che doveva fare assieme a un capitano della Guardia di finanza. Proprio in quegli anni, stava lavorando con il sistema CATRIN.

   Il CATRIN (sistema Campale di Trasmissioni e Informazioni) è un sistema informatico elaborato dalla Selenia destinato alla gestione delle telecomunicazioni militari. Si tratta, in sostanza, di un hardware e di un conseguente software che è destinato a regolare sia l’intervento delle forze sul campo di battaglia (fuoco terrestre, fuoco di controaerea, può essere impiegato per disturbare le comunicazioni avversarie, ecc.) sia la condotta vera e propria delle operazioni, cioè la diramazione di ordini e dati ai comandi militari. Un sistema, quindi, che deve essere immune dalla cosiddetta contro risposta elettronica delle truppe avversarie, cioè dalle interferenze che i sistemi telematici del nemico potrebbero lanciare per rendere inoperativi i collegamenti radio e telefonici. Il CATRIN funziona in stretta simbiosi con il Siaccon che è il sistema automatizzato di comando e controllo. Infatti, mentre il primo raccoglie dati, regola l’impiego di truppe e armi offensive, blocca le comunicazioni del nemico, il secondo ha la funzione di garantire i collegamenti dal vertice militare a ogni sezione impegnata nello scontro e a stabilire un efficace controllo. Il sistema integrato ha la caratteristica di essere altamente decentrato (il blocco di un’apparecchiatura non invalida le operazioni in corso) e molto articolato, in maniera da raccogliere e trasmettere la maggiore quantità d’informazioni in tempi brevissimi. L’altra caratteristica del CATRIN-Siaccon è che tutta la struttura può dialogare in tempi reali con altre reti informatiche ed è pienamente compatibile col sistema della NATO.[76]

   Il sistema CATRIN è legato a uno dei casi più eclatanti di spionaggio in Italia. Questa faccenda risale al 1989, quando il tecnico elettronico Giorgio Stanich, dipendente dell’Iret, una società che si occupava di sistemi radio militari, era stato rinviato a giudizio assieme a due cittadini russi per tentato spionaggio militare e altri gravi reati. I tre dovevano rispondere anche di tentata rivelazione di segreti di Stato, tentata rivelazione di notizie di cui sia stata vietata la divulgazione, associazione per delinquere e concorso in corruzione aggravata. Giorgio Stanich fu arrestato a metà febbraio del 1989 anno mentre si trovava in un bar della zona industriale di Trieste con addosso i piani del progetto Sorao, un sottoinsieme del più articolato progetto cibernetico CATRIN. Sorao era stato realizzato negli stabilimenti della Meteor di Ronchi.[77]  

  Stanich fu condannato a nove anni di reclusione, la stessa pena che i giudici triestini emisero in contumacia, nei confronti di quelli che avrebbero i destinatari delle carte segrete: gli ufficiali del KGB Vitali Alexandrovic Popov e Kirikkovic Smetankin.

   Come si vede in queste storie ci sono di mezzo i servizi segreti. Storie dove la gente scompare o muore come l’ingegnere triestino Tommaso Franca,[78] esperto in termodinamica alla Diesel Ricerche dell’ex Grandi motori di Trieste. Egli si trovava in vacanza nell’Isola greca di Skopelos, assieme alla moglie Anna, ospite di amici greci, quando scomparve misteriosamente il 09/08/1999. Era uscito, dopo aver pranzato, per fare una passeggiata nel bosco vicino, ma non fece mai ritorno. Le ricerche, partite immediatamente, non diedero alcun risultato: la sua auto fu ritrovata chiusa, parcheggiata vicino al luogo dove era andato a passeggiare l’ingegnere che sembrò scomparso nel nulla assieme a tutto quello che aveva addosso.

   Il 3 settembre successivo una telefonata anonima alla sede della Diesel Ricerche rivendicò il rapimento dell’ingegnere da parte del gruppo armato della rivoluzionaria greca 17 novembre.

   L’anno dopo, il 25 aprile 2000 giunse un’altra telefonata anonima, stavolta all’aeroporto di Brindisi, nella quale il telefonista (che parlava in perfetto italiano) rivendicava nuovamente a nome del gruppo 17 novembre il rapimento di Franca, chiedendo in cambio la liberazione di un giovane anarchico detenuto ad Atene. Ma questa telefonata rivendicava anche il posizionamento di un ordigno davanti alla sede dello stabilimento Sepadiver (una ditta che produce articoli per l’attività subacquea) nella zona industriale delle Noghere, nel comune di Muggia. L’ordigno era atto a esplodere ma fu fortunatamente trovato e disinnescato in tempo.[79]

  Le autorità non ritennero attendibili queste telefonate e le indagini non diedero alcun risultato; quando la moglie chiese che fossero riaperte le indagini, il dirigente della Digos, il dottor Crocci, dichiarò alla stampa che al tempo si era indagato sulle telefonate anonime e sulla possibile “pista greca”, senza però che spuntassero elementi utili alle indagini.

   Nel luglio del 2006 fu ritrovato sull’isola di Skopelos un corpo che fu attribuito a quello di Franca: naturalmente ci si chiese come mai, se la scomparsa risaliva a sette anni prima, i resti non erano stati trovati all’epoca. La stampa non comunicò altre notizie, per cui non si sa quale fu l’esito dell’esame del DNA che era stato annunciato.[80]

   La moglie dell’Ing. Franca ha raccontato che suo marito progettava anche motori per carri armati.

   Landi come si diceva prima aveva un rapporto di collaborazione con la Guardia di finanza, rapporto che molto probabilmente era il motivo per il quale era andato a Trieste. E in questa città (una faccenda veramente strana e inquietante) tra i finanzieri si sono registrate tante morti strane.

   Il 13 luglio 1994 il generale Sergio Cicogna, comandante della Guardia di Finanza del Friuli Venezia Giulia, si suicida lungo la strada Napoleonica. Si dirà in seguito che era “psicologicamente debole”.

   Il 29 gennaio 1996 Francesco Maccaroni, vicebrigadiere della Guardia di Finanza, si “toglie la vita” intorno alle 9 del mattino in un gabinetto secondo piano della caserma della Polizia tributaria di Via Giulia a Trieste, “sparandosi” alla tempia con l’arma d’ordinanza. Maccaroni, 38 anni, sposato, con tre figli ancora piccoli, era in servizio al Gico (Gruppo interprovinciale per la lotta alla criminalità organizzata). Si dirà che la moglie “avesse gravi problemi psichiatrici”,[81] ma il finanziere non lasciò alcun messaggio d’addio.

   Il 13 marzo 2001, Massimiliano Molino, 31 anni, e la moglie (di origine ucraina) Svitlana Vassylenko, 24 anni, sono trovati morti nel loro appartamento di Via Marco Polo, nel rione di San Giacomo. Molino lavorava da due mesi nella caserma di Via Giulia, nel servizio informativo anticontrabbando. La causa della morte dei due coniugi fu attribuita ad asfissia causata dall’ossido di carbonio: però il particolare “strano” è che nell’abitazione non c’erano stufe o caldaie, nulla che potesse emettere ossido di carbonio. “È la prima volta che mi trovo di fronte a una simile situazione” aveva dichiarato un ufficiale dei pompieri che era entrato nell’appartamento.[82] Inoltre i vigili del fuoco avevano trovato chiuso il rubinetto del gas della cucina.[83]

   Obiettivamente, è strano il fatto che quando si scoprì la morte della copia, la Guardia di Finanza, contrariamente a quanto a quanto accaduto in simili disgrazie, bloccò con i suoi reparti speciali (i baschi verdi) tutta la zona, la direzione delle indagini fu assunta direttamente dal generale comandante, cosa che effettivamente non era mai accaduta nella storia del corpo per episodi simili sia pur drammatici e dolorosi. Qualcuno sulla stampa avanzò il sospetto che quell’appartamento (peraltro molto piccolo e poco idoneo all’abitazione di una giovane copia),[84] fosse, in effetti, un centro di ascolto occulto del Corpo per il controllo dei traffici con l’Est Europeo, ma naturalmente su questo non vi è alcuna certezza.

   In un articolo su un altro quotidiano triestino si parla poi di “una pozza di sangue nell’appartamento”, sangue che “apparterrebbe a un gatto che è stato trovato anch’esso morto a causa delle esalazioni delle esalazioni di monossido di carbonio” ma “un gatto che muore intossicato non ha alcun tipo di emorragia, né interna né esterna. Perché allora quel sangue?”, si chiede il cronista. Inoltre alcuni peli tenuti fermi dal sangue coagulato dimostrerebbero che “l’emorragia è stata simultanea alla morte della bestiola”.[85]

  In seguito i giornali parlarono di “uno strano foro praticato sul pavimento dell’abitazione (…) sotto la loro stanza da letto era situato non il locale caldaia, ma un ripostiglio in cui correvano i tubi che collegavano la caldaia al camino. Passando attraverso questo foro l’ossido di carbonio che aveva già invaso il ripostiglio ha saturato il piccolo appartamento e li ha uccisi”. Questo foro, come risulta dal processo che si è svolto nel febbraio 2006 (quando furono imputati di omicidio colposo l’amministratore dello stabile ed i titolari dell’impresa incaricata di gestire l’impianto di riscaldamento centralizzato dello stabile), sarebbe stato praticato “da qualche tecnico per saggiare la consistenza del solaio” (dichiarazioni del professor Salvatore Tomasi, docente universitario e consulente della Procura). In seguito, sempre secondo la ricostruzione del perito, il foro non fu tappato, e a un certo punto una tavella che era precipitata all’interno del camino dell’appartamento dei coniugi Molino, riducendo “del 50 per cento la sezione della canna fumaria” ed impedendo così il tiraggio. Il processo si è concluso con la condanna degli imputati: “secondo l’inchiesta della procura, poteva essere evitato con una più accurata manutenzione della canna fumaria e non sottovalutando i malesseri che nei giorni precedenti che nei giorni precedenti avevano colpito altri abitanti dello stabile. Erano precisi della presenza dell’ossido di carbonio, ma nessuno li aveva colti”.[86]

   Il 13 giugno 2001, il capitano Alessandro Vitone, 30 anni, comandante a Trieste del Drappello I del Gico, si sfracella contro il guard-rail (barriera di sicurezza) dell’autostrada presso lo svincolo Redipuglia. Nessun testimone, ma lo schianto era stato tanto forte da essere udito dal personale di servizio al casello, che trovò l’auto ridotta un ad un ammasso di lamiera dal quale il corpo dello sfortunato era stato estratto a fatica.

   Vitone era a Trieste da cinque anni; dopo avere prestato servizio in porto per due anni, era passato al Goa (Gruppo operativo antidroga)); da un anno dirigeva il Drappello I ed al momento della morte, leggiamo sul Piccolo che egli “controllava la rete di informatori che stavano permettendo lo smantellamento di un’ampia opera di riciclaggio di denaro mafioso tra la nostra città ed il Friuli”.[87] Anche su questa morte i dubbi sulla dinamica reale dei fatti (e sul possibile movente) furono molti, e si parlò sulla stampa di possibili collegamenti tra la strana morte e l’attività operativa dell’ufficiale, ma nessuna certezza fu mai acclarata.

   Il 23/10/2001 Massimiliano Tartaglia, 34 anni, appuntato della Guardia di Finanza in servizio anticontrabbando, viene trovato morto, in una pozza di sangue, ucciso da due proiettili, con in mano l’arma di ordinanza, in un ufficio di una costruzione del Molo Settimo.

   I rilievi evidenziarono che il primo proiettile era stato esploso da sotto il mento, era passato dal basso verso l’alto e finì conficcato nel soffitto, il secondo proiettile era entrato nella tempia destra e poi era finito contro una parete. Qui il cronista sollevò un dubbio interessante:[88]  poiché l’arma usata era una semiautomatica, che bisogna ricaricare prima di sparare di nuovo, come può una persona, che era già gravemente ferita al primo colpo, anche se non mortale, ricaricare l’arma per suicidarsi con un secondo colpo?

   Ciò che accomuna la storia di Davide Cervia e Michele Landi, oltre al lavoro con il CATRIN stava nel fatto che s’incontrano (pur con modalità diverse) servizi segreti, trafficanti di armamenti elettronici e quant’altro.

   Entrambi hanno cominciato a operare negli anni ’80. Proprio nel periodo, in cui si potrebbe ipotizzare che ci sia stata una sorte di staffetta fra due generazioni di trafficanti. In sostanza, potrebbe essersi dei legami di continuità tra la rete che a livello a livello internazionale era gestita dalla P2 (coinvolta nell’omicidio Palme), che tra l’altro gestiva le navi dei veleni e i traffici di armi e quella che in seguito fu chiamata in codice Diavolo Rosso, con i suoi mercenari usati dalla NATO per destabilizzare o controllare intere aree. I servizi segreti italiani, in questo contesto appaiono non solo come delle semplici pedine nello scacchiere, ma essenzialmente come dei trafficoni.[89]  Diavolo Rosso potrebbe essere un’operazione nata esclusivamente inizialmente per l’Est Europa (in particolare per la Repubblica Federale Jugoslava), però nulla esclude che i suoi ideatori e i suoi gruppi di mercenari, siano stati utilizzati in altri tipi di operazioni. Quest’operazione Diavolo Rosso non sarebbe stata circoscritta al solo traffico di armi o al supporto a guerre locali, ma in ballo ci sarebbe anche il traffico di organi.

   Il nome di Diavolo Rosso viene fuori per la prima volta nel 1996, quando un giornalista della testata francese Le Figarò, Xavier Gautier, fu trovato morto in circostanze misteriose.[90] Sul muro della sua abitazione nelle Baleari c’era una scritta Diavolo rosso, traditore. Xavier Gautier negli ultimi anni della vita si era occupato assiduamente di un grosso traffico di armi dalla Bosnia. Era riuscito a pubblicare un articolo sul Figaro del 6 gennaio 1995. I parenti del giornalista, soprattutto il padre e la sorella sono convinti che Xavier sia stato assassinato. Una circostanza strana: qualche altro giornalista, che si era interessato dello stesso traffico di armi, come l’inglese Jonathan Moyle in Cile, ha trovato la morte per impiccagione (un giornalista che vuol fare veramente il suo mestiere e non il burattino o il burocrate/sciacallo dell’informazione rischia veramente tanto).

   Ma procediamo con ordine. Il corpo è stato scoperto da un amico domenica scorsa. Apparentemente, Gautier si era tolto la vita stringendosi una corda al collo dopo averla assicurata a una trave del soffitto. La villa che aveva affittato è situata in una zona abbastanza isolata di Ciudadela. Sul muro esterno è stata trovata una scritta in italiano: secondo il Corriere era Traditori, diavoli rossi, al plurale, mentre per altre fonti al singolare (personalmente propendo per quest’ultima versione). E queste parole fanno sorgere i primi dubbi sul suicidio, dubbi che non sono condivisi dalla polizia locale. Le parole sono state vergate da qualcuno che ha usato la mano destra. Di corporatura robusta, il giornalista era mancino. Ancora un fatto sconcertante: le sue mani erano legate, i suoi piedi strusciavano sul pavimento e sulla sua camicia, tracciate con precisione, c’erano alcune croci. Frettolosamente la Procura iberica archivia la sua morte come suicidio: pare che il giornalista da tempo manifestasse segni di depressione assumendo a volte, un comportamento schivo e irascibile. Non è dello stesso avviso l’ex moglie, che lo aveva incontrato poco prima del suo viaggio in Spagna. L’altro particolare trascurato, la scritta chi era il Diavolo Rosso? (O i diavoli?).

   Le inchieste di Xavier parlavano di traffici di armi e di organi tra la Bosnia e Trieste, la famiglia (che non ha mai creduto alla tesi del suicidio) disse che il giornalista aveva parlato con un “supertestimone” che era stato capo della sicurezza dei convogli che andavano da Fiume a Sarajevo, noto come Diavolo Rosso, che sia lui persona a cui si riferisce la misteriosa scritta? Oppure il soprannome di Diavolo Rosso è molto diffuso in certi ambienti?

   Da un’indagine avviata, nel 1999,[91] dopo i primi clamori sulla stampa che alcuni mercenari triestini, sarebbero stati coinvolti in un giro di mercanti di armi e di armati da mandare nelle zone calde del mondo con lo scopo di destabilizzare (o ristabilire l’ordine, a seconda da chi è il committente del lavoro). Zone come le isole Comore, ma anche la Bosnia, il Ruanda, la Birmania. Storia di mercenari come quella di Roberto Delle Fave, mercenario dell’esercito croato. A raccontare la sua storia è un film documentario dal titolo Sono stato Dio in Bosnia[92] con spezzoni da lui stesso realizzati. Pare che il suo nome di battaglia fosse Diavolo Rosso (quanti diavoli ci sono) e che fu il fondatore di una brigata chiamata “Cigno Nero”. In più interviste aveva parlato dei massacri cui aveva assistito, aveva anche denunciato pubblicamente i traffici di organi avvenuti anche con la (a suo dire) presunta complicità delle autorità internazionali (e della presenza militare occidentale).[93] Aveva denunciato in questa intervista che in Bosnia (e nell’ex Jugoslavia) si svolgeva il più grosso traffico di organi in Europa.

   A Trieste non sono state solamente morti sospette tra i membri della guardia di finanza o persone misteriosamente scomparse, ma emergono pure della presenza di sette sataniche.

   Il 25 luglio 2001 fu denunciata la scomparsa dell’attore Claudio Viviani, 48 anni, abitante in una piccola località del Carso triestino, Gropada, che si trova grosso modo tra i borghi di Basovizza e Padriciano. La stampa scrisse che Viviani era uscito di casa verso le 9 del mattino per recarsi a Padriciano, il villaggio più vicino a Gropada, senza portare con sé né il cellulare né il portafoglio con i documenti. Il corpo di Viviani fu rinvenuto quasi tre mesi dopo, l’11 ottobre: “i resti erano adagiati nell’erba a ridosso di un muro a secco a un chilometro di distanza da Basovizza, non lontano da Gropada”. A trovare i “resti” due fidanzati “che sulla vecchia strada sterrata che porta a Sesana” avevano seguito un capriolo e “centro metri tra gli arbusti e l’erba (…) in un angolo (…) un teschio con qualche capello sulla nuca, una maglietta che un tempo era tinta di rosso scuro e un paio di short. Né scarpe, né altro[94].

   Tra le ipotesi sulla morte di Viviana fu ipotizzata anche la presenza di una setta. Nel corso della campagna elettorale per le elezioni comunali triestine (giugno 2001), Viviani si era presentato ad un incontro pubblico organizzato dall’associazione Amici della Terra, al quale erano presenti i candidati sindaci e molte altre persone, di varia estrazione politica. Nel corso del dibattito l’attore aveva asserito di essere in possesso di prove, fotografie ed altro, inerenti lo svolgimento di riti satanici e messe nere in Carso. Aveva perciò chiesto ai rappresentanti dell’associazione ambientalista un incontro per consigliarsi su cosa fare: ma l’incontro non avvenne mai, perché nel frattempo Viviani era scomparso. Di questa documentazione sui riti satanici che sarebbe stata in possesso di Viviani parlò anche la stampa: l’attore era un appassionato fotografo, abitava in Carso e pare avesse scattato diverse foto relative a resti di animali usati per i riti satanici, ma dove siano finite le foto non si sa.
Del resto il fatto che il corpo di Viviani sia stato trovato proprio nei pressi di una dolina dove è di dominio pubblico che di tanto in tanto qualcuno va a celebrare dei riti satanici è un particolare che non può che dare adito a sospetti.

   A proposito di riti satanici ricordiamo un servizio a tutta pagina sul Piccolo del 20/9/94, firmato da Silvio Maranzana e corredato dalle fotografie di Fabio Balbi, intitolato: “Io, l’ultimo principe delle tenebre”.


  Il giornalista racconta il suo incontro con un uomo definito il Principe delle tenebre, corredato da alcune foto che rappresentano un uomo e una donna incappucciati ed un’automobile della quale non si vede la targa. Dopo un contatto in un locale di Città vecchia, scrive Maranzana, gli inviati furono portati in auto fino a Basovizza da dove furono fatti proseguire bendati “per alcuni minuti di strada asfaltata e alcuni di sterrato fino ad uno strapiombo sulla Val Rosandra” Lì trovarono una giovane donna che non proferì parola, ma con dei cenni li condusse fino ad una radura poco distante dove, in un prato, vicino ad una Mercedes con la targa celata, si trovava un uomo incappucciato, denominato dal giornalista Principe delle tenebre. Quest’uomo avrebbe dichiarato a Maranzana di essere originario di un paese dell’est e di essere arrivato a Trieste quindici anni prima per motivi di lavoro. La moglie viveva a Roma, lui aveva, all’epoca, circa cinquant’anni, e nella vita “normale” era manager di una azienda di compravendite nel ramo tecnico commerciale, “regolarmente iscritta alla camera di commercio”, si precisa.


   Poi il principe parla della messe nere (sono almeno trecento le persone che le praticano a Trieste, scrive Maranzana) che vengono celebrate a volte con lo sgozzamento di un agnello, a volte davanti ad una donna nuda sdraiata sull’altare a seconda “di ciò che si vuole ottenere” (il principe però non spiega quali fossero gli scopi nello specifico). La donna silenziosa che accompagnava il principe sarebbe stata proprio la “sacerdotessa nera” che l’anno venturo avrebbe ricevuto da lui i “diritti di veggenza”. Una donna giovanissima, dice il giornalista, anche se dalle foto si intravede una donna dalla figura piuttosto pesante che avrebbe potuto avere venti come quarant’anni.


   Le conclusioni del principe sono vagamente inquietanti, anche se, a nostro parere, sconclusionate: “entro due anni al massimo tutto questo sarà finito (…) i nostri obiettivi sono pressoché raggiunti: nuove forze politiche sono salite al governo grazie al nostro appoggio, la Destra ci è sempre amica. Tra poco però l’economia mondiale sarà al collasso e l’epicentro sarà l’Italia dove ci saranno disordini con vittime. Allora la gente riprenderà coscienza della spiritualità del mondo e sarà posta la parola fine a centoventi anni di satanismo dalle nostre parti”.


   A prescindere dal fatto che le fosche previsioni del principe non si sono (fortunatamente) avverate, pare comunque di capire che (almeno secondo questo personaggio) il satanismo sarebbe il tramite con cui la destra raggiunge il potere, per cui esso avrebbe fine al momento in cui la “spiritualità” delle forze di destra prendono il controllo della gente.

   Si può sospettare che questo incontro sia stato una “bufala” colossale, ma bisogna rilevare come ad esso sia stato dato un rilievo non indifferente dal quotidiano locale. La cosa però che colpisce di più è che questo incontro è collegato a Basovizza.

   Ancora un’altra voce circolò all’epoca della morte di Viviani: e cioè che l’attore sarebbe stato a conoscenza di traffici d’armi gestiti dall’estrema destra e che avrebbe anche ricevuto delle minacce per questo. Non sono in grado di verificare la veridicità di queste affermazioni, visto che Viviani ormai non può né confermare né negare alcunché. Però se teniamo presente che l’attore, abitante in Carso, usava girare molto nella zona, il fatto che la stampa diede più volte notizia del ritrovamento di armi proprio nella zona di Basovizza può anche far sorgere qualche dubbio in proposito.


   Ecco alcuni dei ritrovamenti di cui parlarono i quotidiani locali.


   Il 15/9/99 il Piccolo diede la notizia che un po’ di tempo prima una pattuglia di carabinieri in servizio anticlandestini aveva scoperto, con l’ausilio di un metal detector, una cassa di armi nei pressi della foiba di Basovizza. “Appurato”, leggiamo, “che provenivano dalla Slovenia”, furono fatti degli appostamenti per arrestare chi andava a cercare l’arsenale: dato che non si fece vivo nessuno alla fine la notizia fu resa pubblica. Le armi, leggiamo si trovavano in “una cassa di metallo delle dimensioni di una bara lunga un paio di metri, larga 90 centimetri e alta 50: dentro un arsenale di armi. Kalashnikov, pistole cecoslovacche, fucili di precisione, munizioni di ogni tipo e in quantità. Armi perfette pronte per essere usate”, ed anche “un particolare silenziatore per mitra un pezzo difficile da reperire e che può servire solo per mettere a segno un agguato[95].


   Il 13/5/00, invece, il quotidiano Trieste Oggi scrisse che nei pressi del campo sportivo Gaja di Padriciano era stata scoperta una bomba Sipe degli anni Trenta occultata alla base di un muretto a pietre. Era la terza bomba, leggiamo, trovata nel giro di poco tempo: la prima era stata trovata all’esterno di un negozio della zona industriale, la seconda nei pressi del ruscello della Val Rosandra[96].


   Nuovamente il 15/11/02 leggiamo che sulla strada tra Basovizza e Padriciano, nei pressi dell’ex campo profughi, furono trovate, anche qui sommariamente celate sotto un muro a secco, un mitra Skorpion ed una pistola Walter Ppk 7,65 che erano state usate di recente. Inoltre, ricorda il cronista, qualche anno prima “a poche centinaia di metri dal luogo del rinvenimento delle armi, era stato rinvenuto mezzo chilo di T4, il potente esplosivo usato per la strage di Capaci”, con accanto detonatore e fili inseriti (“Armi sul Carso. Un attentato?”, C. Barbacini sul “Piccolo”, 15/11/02).[97]

   Quando si parla di traffici non si può non parlare di servizi segreti. E non bisogna dimenticare che Trieste è la città dell’ammiraglio Fulvio Martini ex direttore del SISMI, un personaggio pronto a prendersela con Giulio Andreotti che aveva rivelato l’esistenza di Gladio. Sotto la sua direzione il SISMI effettuò diverse operazioni all’estero, una di queste fu l’operazione Lima.

  Nel 1987 il SISMI su una sicura sollecitazione di B. Craxi (allora presidente del consiglio) per aiutare A. Garcia (da tenere conto che l’APRA è membro dell’Internazionale Socialista) con l’invio di apparecchiature tecnologiche e istruttori in Perù per contrastare la guerra popolare diretta del PCP. Da tenere conto che in Perù s’inviarono mezzi all’epoca, erano considerati sostifisticatissimi: ponti radio, sensori a raggi infrarossi. In più furono trasportati giubbotti antiproiettile e una quantità imprecisa di pistole Beretta. A Lima, secondo quanto poi trapelato, arrivarono anche uomini dei servizi che facevano parte di Gladio.

   Quest’operazione era capitana da maresciallo Vincenzo Li Causi uomo di fiducia del generale Paolo Inzerilli, responsabile di Stay Bheind (ovvero Gladio).

   Quando Li Causi torna in Italia, assume la funzione di capo del Centro Scorpione a Trapani (struttura Gladio). L’attività del Centro Scorpione non è mai stata chiara, anche per la presenza di un aereo superleggero di cui con si capisce bene la funzione. Teniamo conto che a Trapani, ci fu nel 1985 l’attentato al giudice Carlo Palermo che stava indagando su logge massoniche coperte (dopo quest’attentato Carlo Palermo lasciò la magistratura) e qualche anno dopo ci fu l’omicidio Rostagno, i motivi di quest’omicidio sono ancora adesso oscuri (addirittura ci fu chi balenò una faida interna tra gli ex di Lotta Continua).

   Nel 1993 il maresciallo Li Causi morì in un agguato nel corso della missione ONU in Somalia. In un’intervista alla trasmissione Report (che si può vedere su Youtube) un agente segreto (mascherato per ragioni di ovvia precauzione) disse che Li Causi passa delle notizie alla giornalista Ilaria Alpi sul traffico che si svolgevano in zona, in particolare sugli scarichi di materiale radioattivo.

   Ebbene su quest’Operazione Lima nell’ottobre del 1992 ci fu un’interrogazione parlamentare da parte dei deputati Russo Spena, Galante, Bacciardi e M. Dorigo.[98]

    Trieste è una città dove una persona di nome Frank Ripel alias Gianfranco Perilli che si autodefinisce l’anticristo o la grande bestia 666 (non ci sarebbe da stupirsi se questo personaggio soffrisse di un disturbo dissociato d’identità) ed è il teorico-letterario di moltissimi testi esoterici pubblicati in tutto il mondo.[99]

   Testi di una letteratura che usa la cultura dell’antico Egitto per portare avanti e nel concreto un progetto che nasce dalla Teoria generale dei sistemi teorizzata da Ludwig von Bertalamffy.[100]

  Ludwig von Bertalamffy affermava che i metodi della suggestione di massa, della liberazione degli istinti della di quello che definiva la bestia umana, del condizionamento e del controllo del pensiero sono stati sviluppati così da raggiungere la massima efficacia; proprio perché il totalitarismo moderno (concetto questo del totalitarismo che nasconde la natura di classe dei regimi politici volendo far credere di uno Stato super partes se non addirittura governato da una nuova classe tecnocratica), è così spaventosamente scientifico, che in confronto l’autoritarismo dei regimi politici precedenti, sembrerebbe un frutto di dilettanti.

  In sostanza Trieste in campo psichiatrico si divide tra i sostenitori di questa Teoria generale dei sistemi e quella minoritaria che si rifà a Basaglia.

ESOTERISMO E GUERRA PSICOLOGICA

   Questa storia la si potrebbe far cominciare con un fatto inerente l’operazione di guerra psicologica che ha imperversato in Italia agli inizi degli anni ’90: quella che è passata sotto il nome di Falange Armata.

   La Falange Armata entrò nel circo mediatico per la prima volta per rivendicare l’uccisione di un operatore penitenziario del carcere di Opera, dopo che i telegiornali avevano dato notizia dell’accaduto. Da allora questa fantomatica sigla è stata legata a quasi tutti i fatti di cronaca di rilievo, dalle azioni della banda della Uno Bianca all’incendio del teatro Petruzzelli, dalle stragi di Capaci e via D’Amelio alle autobombe di Roma, Milano e Firenze. Nei tre anni successivi, fino all’arresto di Carmelo Scalone, operatore carcerario di Taormina accusato di essere l’uomo chiave dell’organizzazione,[101] furono fatte dai misteriosi uomini della Falange centinaia di telefonate minatorie nei confronti di alte cariche istituzionali, membri del governo, magistrati, giornalisti e operatori penitenziari e di rivendicazioni di tutti gli attentati e di buona parte degli omicidi di rilievo commessi in quel lasso tempo. In alcune telefonate minatorie o di rivendicazione, l’oscuro telefonista ha dimostrato di conoscere fatti che non erano di pubblico dominio, noti solo a una ristretta cerchia di addetti ai lavori.

   Uomini che rimasero misteriosi fino a quando Francesco Paolo Fulci che all’epoca era il segretario del CESIS (Comitato Esecutivo Italiano per la Sicurezza e l’Intelligence),[102] fornì un elenco di 16 ufficiali del SISMI che erano parte o comunque complici della Falange Armata.

   Fulci precisò[103] che 15 di questi nomi appartenevano a ufficiali della VII divisione del SISMI, la stessa dalla quale dipendeva Gladio, ma facevano capo al gruppo speciale operativo al gruppo speciale operativo OSSI (Operatori speciali del servizio di informazioni, un nucleo ristretto reclutato tra paracadutisti e incursori della marina, impegnato in operazioni delicatissime), mentre il sedicesimo era il colonnello di un’altra divisione; Gianluigi Masina.

   Ebbene egli era il capo del Raggruppamento Centri del SISMI[104] che in quel periodo si stava occupando (in contemporanea delle indagini della magistratura milanese) dell’inchiesta di Piazza Fontana.

   In questa inchiesta stava emergendo il ruolo degli agenti USA e del relativo condizionamento politico dell’Italia, perciò rischiava di scoperchiare e mettere alla luce questa rete fata da spie, agenti d’influenza, confidenti che ruotano attorno alle basi USA e NATO del Nord Italia.

   La struttura superiore della piramide di questa rete era il terminale delle indicazioni che provenivano dagli organismi preposti alla guerra non convenzionale, come l’Ufficio guerra psicologica. Magi Braschi era non solo un fiduciario della CIA di alto livello, ma era considerato il maestro della guerra psicologica in Italia. Inoltre, aveva buoni rapporti con Ordine Nuovo, tanto che partecipava assiduamente anche ai loro incontri.

    Nato a Genova nel 1917, morì nel maggio 1995: proprio poche settimane prima che fosse identificato dagli investigatori dell’operazione Nisva (una morte davvero provvidenziale!).

    Magi Braschi nel 1981 diventa presidente del capitolo italiano della Lega anticomunista mondiale, la Wacl.

   Per alcuni anni, dall’agosto 1971 al maggio 1975, è spedito in India, ma rientra spesso in Italia. Forse è solo una coincidenza, ma proprio durante la sua permanenza in India nasce a Verona il gruppo italiano Ananda Marga (Via della beatitudine eterna), alla quale aderirono alcuni membri del nucleo ordinovista veronese attratti dalle filosofie e dal settarismo esoterico, un laboratorio speciale di trasformazione delle personalità per i servizi adibiti alla guerra psicologica.

   Bisogna dire per correttezza, che i rappresentanti ufficiali di Ananda Marga negano ogni tipo di rapporto con elementi ordinovisti e nazisti. Che queste notizie sia un tentativo da parte dell’estrema destra di depistare, anche se non negano c’è stato un tentativo di infiltrarsi nel gruppo. Quando si sono resi conto dell’impossibilità, per loro, di assumere incarichi significativi all’interno del gruppo, hanno rinunciato ad infiltrarsi diffondendo nel contempo teorie come quella del fuoco purificatore, che non significa assolutamente niente per loro, e affermano di non capire come qualcuno possa averla associata alla filosofia dell’Ananda Marga.[105]

   Come abbiamo visto, non sarebbe la prima volta che i servizi segreti, attraverso persone a loro vicine, tentino di infiltrare sette o organizzazioni esoteriche/mistiche per i loro fini. E che questi tentativi avvengano senza che la stragrande maggioranza degli aderenti sappia qualcosa (magari attuando l’emarginazione o addirittura l’eliminazione di chi si oppone ai loro piani).

   Magi Braschi nella sua casa sul lago di Bracciano, nei pressi della capitale, della quale facevano parte un immenso giardino di 14.000 metri quadrati e un pezzo di lago, aveva allestito un altare formato da un’enorme spada medievale piantata su un piedistallo e una Bibbia. Nella sua biblioteca, il fondatore della guerra psicologica dell’esercito italiano teneva molti volumi sul reverendo Moon, Osho e il culto dei morti tibetano.

   Magi Braschi è seguace di Giuseppe Aloja, il generale sostenuto da Ordine Nuovo. Il suo nome non poteva mancare tra i relatori del convegno sulla guerra rivoluzionaria organizzato dall’Istituto Pollio: in questo convegno si discusse di guerra rivoluzionaria non ortodossa, quella che a un esercito fortemente preparato, militarmente attrezzato, oppone un esercito che non dispone delle medesime forze e si muove in modo asimmetrico, utilizzando la guerriglia. Se ne parlava molto negli ambienti militari negli anni ’60, soprattutto dopo la sconfitta della Francia in Indocina quando la guerra rivoluzionaria attuata dai comunisti vietnamiti aveva vinto sul potente esercito francese. Magi Braschi è un autentico osservatore di questi fenomeni e la sua ossessione è quella di trovare le armi più adatte per l’esercito anticomunista. Lui non ha dubbi: l’arma non ortodossa è quello della guerra psicologica. Da questo punto di vista, tradisce la natura di classe della sua impostazione, dove riduce, il tutto ha una tecnica (utilizzo delle forze speciali miste militari/civile e soprattutto alla guerra psicologica). Il fallimento di questa impostazione nel Vietnam ne è l’esempio evidente. Il generale nordvietnamita Nguyen Van Vinh riteneva nel 1966 di poter constatare il fallimento delle forze speciali americane: “La special warfare americana nel Vietnam del Sud è sostanzialmente fallita, dopo essere stata sperimentata per più di tre anni con strategie e tattiche diverse, con nuove armi e nuove tecniche, accompagnate da metodi estremamente crudeli: i loro principali sostegni, le truppe e l’amministrazione del governo fantoccio, sono anch’essi in decadenza; il sistema dei “villaggi strategici”, ch’essi consideravano la loro spina dorsale, è stato in sostanza distrutto; la tattica degli elicotteri e dei mezzi anfibi, che erano stati considerati più agili e più facilmente manovrabili, è stata un fiasco solenne; le città, ed altri territori temporaneamente occupati, che erano stati considerati dagli aggressori come le loro più sicure retrovie, sono accerchiati, notevolmente ridotti in estensione, e davanti all’incessante lotta politica condotta nelle città e nelle campagne da milioni di uomini del popolo si trovano in pieno scompiglio; il carattere neocolonialista dell’imperialismo USA è stato smascherato agli occhi di tutto il mondo; gli sforzi del nemico per arginare e isolare la lotta del popolo sudvietnamita, e per compiere atti di sabotaggio nel Vietnam del Nord mediante commandos di truppe del sud, sono miseramente falliti”.[106]

   L’esperienza ha dimostrato che l’elemento decisivo nelle guerre rivoluzionarie non è determinata dalla semplice forza delle armi o dalle operazioni psicologiche (dalla tecnica in sostanza), bensì dall’atteggiamento rivoluzionario delle masse popolari. Nella guerra rivoluzionaria l’essere umano, il suo vigore psichico, è più importante dei materiali; l’elemento decisivo non è il computer (o da un chip che vorrebbero installare nei soldati per trasformarli in “supercombattenti”) bensì dalla personalità, dall’abnegazione individuale.

   Maggi Braschi, per approfondire l’argomento della guerra psicologica studiò molto e fece un corso presso la Pro Deo, l’Università Cattolica. Questa disciplina era insegnata da un belga molto famoso padre Felix Morlion, uomo di Chiesa ma anche agente del servizio segreto militare americano che gestiva una rete di nazisti (spacciati per ex) nella quale membro di rilievo era Karl Hass, il nazista che lavorava per il CIC.

   Le quotazioni di Maggi Braschi sono molto alte che il SIFAR apre un ufficio per la guerra non ortodossa e glielo lo affida.

   L’esercito ordinovista era composto anche da molti giovani affascinati dalle culture mistiche ed esoteriche, perfette per gruppi di iniziati convinti di custodire verità occulte non comprensibili alle masse. Il missino Giulio Caradonna, ricorda Ordine Nuovo in questi termini: “Rauti ai suoi insegna riti magici, e quella storia dei galli. Ne parlammo addirittura una volta in direzione: a Pisa, mi pare, c’erano due sezioni che la mattina sacrificavano un gallo a chi sa chi, un rito druidico. E senza neanche mangiarselo”.[107] Rauti si nutre della cultura antimoderna, spiritualista, gerarchica di cui sono impregnati i Figli del sole, un cenacolo evoliano dentro l’MSI, e il cui nome richiamava ostentatamente il bagaglio culturale evoliano di una visione virile-solare della vita. Era solo la prima di una serie di comunità magico-esoteriche nate nella destra radicale e segnate dalle pratiche tantriche e di magia sessuale di Evola che era definito dai suoi seguaci anche come il Maestro.

   I gruppi esoterici sono stati un bacino di militanti ordinovisti. A Verona fu infiltrata l’associazione Ananda Marga, nata in India nel 1955. Le attività di questa realtà furono oggetto di dibattito nel parlamento indiano, dove fu sollevato il sospetto che Ananda Marga fosse sostenuta e finanziata dalla CIA.[108] L’FBI, inoltre, sospetta che la setta si macchiò di gravi delitti negli USA.[109]

   L’ex ordinovista Stimamiglio ha raccontato che la setta fu il terreno di coltura in cui nacque il famigerato gruppo Ludwig, animato da due ragazzini, Wolfgang Abel e Marco Furlan ma sorto per volontà di Ordine Nuovo. I due furono arrestati nel 1984 ma la sigla Ludwig era apparsa per la prima volta quattro anni prima su un volantino con scritte in caratteri runici e una svastica che rivendicò 15 omicidi a sfondo razziale. Tra le vittime barboni, preti, prostitute e omosessuali, in apparenza queste azioni sembravano attuate da persone che vivevano momenti di puta follia, nella realtà erano azioni terroristiche che miravano a diffondere il panico. Sono noti anche i nomi di alcune persone che ruotano attorno a Ludwig: Marchetti, Sterbeni e Toffaloni, detto Tomaten, già inquisito per l’attività di un gruppo denominato Ronde pirogene antidemocratiche, gruppo che alla fine degli anni ’80 aveva distrutto almeno 120 auto parcheggiate a Bologna.[110] Mentre a Bologna erano impegnati a setacciare la città per scoprire gli autori dei roghi, gli agenti della Digos, col coordinamento dell’Ucigos e la collaborazione dell’Interpol, scoprono che nel 1977 proprio a Verona un gruppo di giovani, sotto la sigla Piro-acastasi, espressione che fa riferimento al fuoco purificatore, bruciava motorini per le vie, soprattutto nella zona universitaria. Un precedente che ha attirato l’attenzione della polizia per la similitudine con i roghi di auto proletarie, che sono state prese di mira a Bologna. Dice un inquirente: “Il progetto del gruppo era quello di tenere sotto tensione la città più rossa d’Italia”. L’intenzione dei responsabili dei roghi per gli inquirenti sarebbe stata influenzata non solo da idee neonaziste ma anche dalle simbologie del gruppo di origine orientale, Ananda Marga: durante alcune perquisizioni sono saltati quello che si riteneva i simboli della setta (che, ripetiamo, smentisce ogni rapporto con gruppi nazisti) un doppio triangolo che forma una stella, con all’interno un sole nascente e la svastica, che nelle antiche cosmologie orientali rappresenta il mondo. Già qualche anno prima Bologna era stata teatro delle gesta demenziali di un gruppo che si rifaceva vagamente a ideologie di destra, i Nuclei sconvolti per la sovversione urbana. I loro obiettivi erano i cassonetti della spazzatura, che erano bruciati. Poi la banda era stata sgominata. I nuovi roghi lasciavano interdetti: le auto bruciavano una dietro l’altra, senza apparenti spiegazioni.

   Gli obiettivi delle Ronde pirogene antidemocratiche, erano la “distruzione dei simboli materiali dell’agglomerato sociale operaio piccolo-borghese mediante l’incendio dei suddetti; l’eliminazione di automezzi e motocicli vecchi e sporchi; la demolizione delle case dei pezzenti e dei baraccati, emarginati; la soppressione fisica di tutti gli esseri abietti, impediti, paraplegici, sottosviluppati, di tutti coloro che compromettono l’ordine sociale perfetto e completo dal punto di vista estetico”. Queste le loro linee programmatiche, contenute in un documento intitolato Piro Acastasi. Follia pura, ma follia crudele.

   Dalle auto decisero di passare a quelle che un aderente, il bolognese Luca Tubertini, chiamava le “macellerie”, e cioè le discoteche. Tubertini era in collegamento con Ludwig, e cioè con Abel e Furlan. Delle Ronde facevano parte anche altri militanti nazisti bolognesi, e poi due veronesi, Marco Toffaloni, appunto, e Curzio Vivarelli, insegnante di matematica in una scuola di Bolzano. Era collegato al gruppo anche Giovanni Gunnella (figlio del professore missino Pietro, ordinovista) a sua volta legato a Carlo Digilio, fascista di Ordine Nuovo e legato a sua volta ai sevizi segreti americani (appartenente alla stesse rete informativa cui faceva parte Magi Braschi).

   Al processo per la strage di Brescia Stimamiglio, tira fuori il nome di Toffaloni che all’epoca aveva 17 anni![111] (In queste pentimenti e collaborazioni c’è sempre il sospetto che ci sia la reale volontà di diminuire le proprie responsabilità e scaricarne su altri).


ABBUSI SUI MINORI

[1] https://www.lastampa.it/2019/06/28/italia/lavaggi-del-cervello-e-violenze-sui-bambini-per-ottenere-laffido-ad-altre-famiglie-qneYXSi9IGpGixugoIfalJ/pagina.html

[2] https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/emilia-romagna/reggio-emilia-falsificavano-carte-per-allontanare- minori-dalle-famiglie-e-dalle-famiglie-e-darli-in-affido-retribuito-18

[3] https://unoeditori.com/scosse-elettriche-abusi-e-manipolazione-mentele-sui-minori

[4] http://www.associazionevittimearmielettroniche-mentali.org/index-links-1.htm

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BUSINESS SUGLI AFFIDI DEI MINORI E TSO

[5] È un’associazione che si occupa di malagiustizia, il suo leader Pietro Palau nel 2017 è stato arrestato in Grecia. Intorno a lui furono fatte girare la voce che si era avvicinato agli ambiente. Notizia che Pietro Palau ha decisamente smentito ed accusa che è stata messa in giro per delegittimarlo. http://www.lavocedirobinhood.it/index.php/2017/11/28/intervista-a-pietro-palau-giovannetti-arrestato-ad-atene-in-base-ad-un-illegale-mandato-europeo-emesso-dal-p-g-di-milano/

[6] http://avvocatisenzafrontiere.it/?p=2227

[7] In apparenza ovviamente, vedere https://marcos61.wordpress.com/2019/06/28/abusi-su-minori-cosa-ce-dietro/

[8] https://www.repubblica.it/cronaca/2017/10/22/news/il_paese_dei_bambini_perduti_ecco_la_verita_vent_anni_dopo-178983626/

[9] http://avvocatisenzafrontiere.it/?p=2227

[10]                                               C.s.

[11]                                              C.s.

[12] Sarebbe Umberto Veronesi

[13] http://www.avvocatisenzafrontiere.it/?p=891

[14] Una in particolare l’avvocato Cinzia Sarni è la moglie del magistrato Ersilio Secchi componente della Corte di appello di Milano (personaggio già tristemente noto ad altre vittime che dovrebbe venire trasferito per incompatibilità non potendo esercitare nello stretto distretto dove opera la moglie) e che – stando alle accuse formulate dalla donna e da chi la assiste. – non si dimostreranno all’altezza di gestirlo von prudenza e oculatezza, anzi.  L’ammanco patrimoniale subito nel gito di pochi anni potrebbe arrivare fino a 35 milioni di Euro. http://www.avvocatisenzafrontiere.it/?p=891

[15]  http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/25/Cardella_spunta_impero_miliardario_co_8_9607252983.shtml

[16] Costituzione di una Commissione Nazionale di studio in materia di funzioni del Giudice Tutelare e dell’Amministratore di sostegno.

   Psichiatria Democratica e Magistratura Democratica hanno costituito una Commissione di Studio perché il Paese si doti di uno strumento di legge (Amministratore di sostegno) che serva a sostenere adeguatamente le persone in difficoltà, soprattutto oggi che progressivamente si vanno svuotando gli Ospedali Psichiatrici. L’obiettivo che ci si prefigge è quello da una di limitare ai soli casi estremi il ricorso agli istituti della inabilitazione   da una lato di limitare ai soli casi estremi il ricorso agli istituti dell’inabilitazione e dell’interdizione e dall’altro a far sì che l’attenzione si sposti dalla “roba” alla quotidianità della persona.

   Responsabili della Commissione sono stati designati i dottori E.LUPO e L. ATTENASIO per P.D. e il dott. AMATO per M.D.

Roma 1997

   Comunicato Stampa.

   PSICHIATRIA DEMOCRATICA MAGISTRATURA DEMOCRATICA

   In relazione al Progetto di Legge relativo alla costituzione dell’Amministratore di sostegno per i cittadini in difficoltà anche temporanea a causa di menomazioni o malattie o a causa dell’età, presentato dal governo lo scorso luglio, Psichiatria Democratica e Magistratura Democratica, attraverso i rispettivi Segretari Nazionali dott. Emilio LUPO e Vittorio BORRACCETTI, richiamano l’attenzione del Governo e del Parlamento tutto, acchè sia promossa sul tema una ampia e rapida consultazione di quelle realtà nazionali impegnate a fianco dei meno garantiti.

P.D. ed M.D. auspicano che in tempi brevi il Paese si doti di uno strumento che garantisca diritto di cittadinanza e dignità di vita a quei cittadini cui oggi è concessa la sola interdizione.

LUPO e BORRACCETTI si dicono, infatti, preoccupati dal fatto che, in assenza di disposizioni più adeguate e rispondenti alle necessità del singolo in difficoltà, possa concretizzarsi il pericolo che in talune realtà, nel corso del processo di chiusura dei manicomi si promuovano interdizioni di massa.

Settembre 1997

Invito al Governo ed al Parlamento perché riprenda e si concluda la discussione sui progetti di legge

Psichiatria Democratica e Magistratura Democratica invitano il Governo ed il Parlamento a voler adoperarsi perché la

Commissione giustizia della Camera dei Deputati riavvii la discussione ed il confronto-in Commissione Giustizia- sul testo unificato dei progetti di legge nn.960 e 4040, relativamente alle” Disposizioni in materia di funzioni del Giudice tutelare e dell’Amministratore di sostegno”. Le due Associazioni che nei mesi scorsi hanno trovato nell’ Onorevole Giuliano PISAPIA (allora Presidente della Commissione) un attento e sensibile interlocutore, oggi rinnovano l’invito a tutti coloro che hanno a cuore lo sviluppo di pratiche dei diritti, perché il testo della Commissione-con le opportune modifiche ed integrazioni costituisca l’utile base di una discussione rapida e definitiva.

[17] http://www.giornalettismo.com/archives/915489/le-iene-il-forteto-e-il-potere-che-copre-gli-stupri-sui-bambini/?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A%20giornalettismocom%20 

[18] Maurizio Blondet, chi comanda in America, EFFEDIEFFE, 2002, p. 154.

[19] Joseph Brewda, Israeli psichiatrists and hamas terrorists: case study on how terrorists are manufactured, ottobre 2001.

[20] http://paoloferrarocdd.altervista.org/non-era-basaglia-progetto-tavistock

 

[21]                                                                                  C.s.

STATO SOCIALE, LA MAGISTRATURA E LA PSICHIATRIA

[22] Non ho mai amato il termine totalitario poiché lo ritengo mistificante rispetto alla natura di classe dei diversi regimi politici (nazismo, fascismo e comunismo sono equiparati). Nello stesso tempo con lo sviluppo tecnologico, degli strumenti del controllo sociale ritengo (come la psichiatria) questo termine possa avere una concretezza maggiore che in passato.

[23] hhttps://it.wikipedia.org/wiki/Scandalo_Fortetottps://it.wikipedia.org/wiki/Scandalo_Forteto 

https://www.fanpage.it/attualita/la-storia-del-forteto

[24] https://www.grandediscovery.it/il-caso-paolo-ferraro-in-tre-articoli-a-firma-enrica-perrucchietti-luciano-garofoli-e-marco-attard/

http://alexfocus.blogspot.com/2015/08/paolo-ferraro-un-uomo-solo-contro-la.html

https://www.corsera.it/notizia.php?id=3170

[25] https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/07/04/in-friuli-a-rischio-il-modello-basagliano-di-cura-per-la-salute-mentale-in-pensione-i-medici-della-lotta-contro-i-manicomi-e-servizi-impoveriti/6244331/

https://www.ccdu.org/tso/trattamento-sanitario-obbligatorio

http://www.news-forumsalutementale.it/se-il-tso-diventa-un-sequestro-di-persona/

[26] https://www.cronacheancona.it/2021/01/20/si-approprio-dei-soldi-di-un-giovane-disabile-amministratore-di-sostegno-condannato/281980/

https://aivm.it/amministratori-di-sostegno-sottraggono-oltre-40000-euro-a-un-anziana

Sulla magistratura

[27] Per Common Law si intende un modello di ordinamento giuridico, di origine britannica, basato sui precedenti giurisprudenziali più che sulla codificazione. https://it.wikipedia.org/wiki/Common_law

[28] Fattore questo che è sempre bene ribadirlo.

[29] Gigantesco e voracissimo mostro acquatico della tradizione biblica, che è stato assunto dal filosofo Th. 

[30] Art. 416-bis. Associazioni di tipo mafioso anche straniere Chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione (da dieci a quindici anni). https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.versione=9&art.idGruppo=34&art.flagTipoArticolo=1&art.codiceRedazionale=030U1398&art.idArticolo=416&art.idSottoArticolo=2&art.idSottoArticolo1=10&art.dataPubblicazioneGazzetta=1930-10-26&art.progressivo=0

[31] Gianni Vannoni, LE SOCIETÀ SEGRETE dal Seicento al Novecento, Sansoni Editore.

[32] In questo gruppo di studio parteciparono personaggi come Allen Dulles che in seguito sarebbe diventato il capo della CIA.

[33] Laurence Shoup & William Minter : Shaping a new order : the Council on Foreign Relations blueprint for world hegemony, su Trilateralism, Boston, 1980.

[34] Manuale Cencelli è un’espressione giornalistica riferita all’assegnazione di ruoli politici e governativi ad esponenti di vari partiti politici o correnti. https://it.wikipedia.org/wiki/Manuale_Cencelli

[35] https://roma.repubblica.it/cronaca/2012/01/11/news/e_morto_il_procuratore_aggiunto_pietro_saviotti-27948681/

[36] https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/03/04/il-pm-avecone-muore-in-procura.html 

[37] https://www.lanazione.it/cronaca/2012/07/25/748809-incidente-morto-giudice-michele-barillaro-avvocato-colcellini.shtml

[38] https://www.avvenire.it/attualita/pagine/morto-d%27ambrosio-napolitano-sconvolto

[39] https://www.romatoday.it/cronaca/morto-alberto-caperna-autopsia.html

Giurisdizione e psichiatria per un controllo sociale diffuso

[40]7 http://www.censurati.it/2007/08/05/il-racket-che-interdice/

[41] Umberto Veronesi, ndr

[42] http://www.censurati.it/2007/08/05/il-racket-che-interdice/

[43] Una in particolare, l’avvocato Cinzia Sarni è la moglie del magistrato di Cassazione Ersilio Secchi componente della Corte di appello di Milano.

[44] https://books.google.it/books?id=FtMYgzNl2JUC&pg=PA1029&lpg=PA1029&dq=Gian+Luca+Biagini+ASL+LUCCA+CASO+PIERA+CROSIGNANI&source=bl&ots=7sQ1bvwj6h&sig=ACfU3U0yuq5CFr_5MeJuWXVWSBCGHJLWAA&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjAiPu8_r75AhWWQfEDHb6wDSIQ6AF6BAgMEAM#v=onepage&q=Gian%20Luca%20Biagini%20ASL%20LUCCA%20CASO%20PIERA%20CROSIGNANI&f=false

[45] http://www.censurati.it/2007/08/05/il-racket-che-interdice/

[46]                                       C.s.

[47]                                       C.s.

[48]                                       C.s.

[49]                                       C.s.

[50]                                       C.s.

[51]                                      C.s.

[52]                                      C.s.

[53]                                      C.s

EVERSIONE NON CONVENZIONALE

[54] Leon Festinger (1919-1989) è stato uno psicologo e sociologo statunitense. Egli è forse meglio noto per la Dissonanza cognitiva e la Teoria Del Confronto Sociale.

[55] https://www.samuelecorona.com/controllo-mentale/

[56] https://www.amazon.it/Quando-profezia-non-si-avvera/dp/8815238255

[57]                                                       C.s.

[58] Cecilia Gatto Trocchi (1939-2005) è stata un’antropologa, accademica e scrittrice italiana.

[59] https://www.youtube.com/watch?v=EJmInuTTY_w  in questo video Cecilia Gatto Trocchi descrive la penetrazione dell’esoterismo in ambienti “materialisti” e di sinistra, 

[60] Cecilia Gatto Trocchi era affetta da una forte depressione a causa delle morte del figlio Massimiliano Gatto, morto a 39 anni nel giugno del 2003 a causa di una leucemia fulminante subito dopo essere uscito vivo da un tremendo incidente d’auto.

   La studiosa si tolse la vita lunedì 11 luglio 2005, lanciandosi da una finestra del pianerottolo al quinto piano della palazzina in cui abitava a Roma. Secondo la ricostruzione dell’accaduto, basata sulle testimonianze dei vicini, si era lanciata nel vuoto stringendo in mano una foto del figlio. Abitava al primo piano ed era salita fino al quinto, bloccando l’ascensore per non essere intralciata nel suo tentativo di metter fine alla propria vita. Si ha traccia anche di un precedente tentativo di suicidio i barbiturici nel febbraio del 2005,

https://it.wikipedia.org/wiki/Cecilia_Gatto_Trocchi

[61]  www.alternativamente.net/documenti/sette/sette2.html

[62]                                       C.s.

[63] Fillaire B., Le sette, Il Saggiatore, Milano 1998, pag. 33.

[64] www.unadfi.org

[65] https://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/2012/11/09/il-reato-di-plagio-e-la-manipolazione-mentale/

[66] http://www.liberocredo.org/la-squadra-anti-sette

http://www.loritatinelli.it/tag/squadra-antisette/

[67] https://www.abruzzo24ore.tv/news/Traffico-internazionale-di-droga-Teramo-fra-i-centri-dello-spaccio/21875.htm

https://www.adnkronos.com/blitz-della-gdf-tra-ascoli-e-teramo-contro-il-traffico-internazionale-di-droga-14-fermi_nuZZds8BlOornVtz59eQD

[68] L’Ordo Templi Orientis (O.T.O.) (Ordine del Tempio d’Oriente) è un’organizzazione internazionale esoterica fondata intorno al 1905 dal noto occultista tedesco Theodor Reuss e da Franz Hartman sulla falsa riga dei livelli massonici e delle capillari confraternite ermetiche che erano presenti in tutta Europa. In origine l’O.T.O. era destinata ad essere modellata e associata, con tre gradi iniziatici successivi, ai sei gradi iniziatici della Massoneria. Tuttavia, sotto la guida di Aleister Crowley l’O.T.O. fu poi riorganizzata intorno alla Legge di Thelema (i cui precetti fondamentali sono “Fai ciò che vuoi sarà tutta la legge” e “Amore è la legge, amore sotto la volontà” promulgata da Crowley già nel 1904, con Il Libro della Legge. Similmente a molte organizzazioni esoteriche, l’O.T.O. è basata su un sistema iniziatico, con una serie di cerimonie che utilizzano un dramma rituale per stabilire legami fraterni e spirituali ed impartire dottrine filosofiche. L’O.T.O. comprende anche la Ecclesia Gnostica Catholica (E.G.C.) che è la ramificazione ecclesiastica dell’Ordine stesso.

[69] Leo Lyon Zagami, Le confessioni di un illuminato, UNO EDITORI.

[70] Molte culture storiche hanno dato a Sirio dei forti significati simbolici, in particolare legati ai cani; in effetti, è spesso chiamata nei Paesi anglosassoni con l’appellativo “Stella del Cane”, ossia la stella più luminosa della costellazione del Cane Maggiore. Spesso appare anche legata al mito di Orione e al suo cane da caccia; gli antichi Greci credevano che le emanazioni di questa stella potessero avere degli effetti deleteri sui cani, rendendoli particolarmente irrequieti durante i caldi giorni dell’estate (i “Giorni del Cane”).   

   L’eccessiva colorazione di questa stella spesso poteva essere messa in relazione con l’avvento di disastri naturali o di periodi particolarmente secchi e, in casi estremi, poteva infondere la rabbia nei cani, che poi veniva trasmessa agli uomini tramite i morsi, mietendo numerose vittime. I Romani chiamavano i giorni dell’inizio estate dies caniculares e la stella Canicula (“piccolo cane”). Nell’astronomia cinese la stella è conosciuta come la “stella del cane celestiale”. I nativi americani associavano Sirio con un canide; alcune indigeni del sud-ovest del Nord America indicavano questa stella come un cane che seguiva delle pecore di montagna, mentre i Piedi Neri la chiamavano “faccia di cane”. I Cherokee appaiavano Sirio ad Antares e le consideravano come due cani da guardia alle estremità di quello che chiamavano “percorso delle anime”. Le tribù del Nebraska facevano invece diverse associazioni, come la “stella-lupo” o la “stella-coyote”. Più a nord, gli Inuitdell’Alaska la chiamavano “Cane della Luna”. Altre culture in diverse parti del mondo associavano invece la stella a un arco e delle frecce. Gli antichi cinesi immaginavano un ampio arco e una freccia lungo il cielo australe, formato dalle attuali costellazioni della Poppa e del Cane Maggiore; la freccia era puntata sul lupo rappresentato da Sirio. Una simile associazione è rappresentata nel tempio di Hathor di Dendera, in Egitto, dove la dea Satet ha disegnato la sua freccia su Hathor (Sirio). Nella tarda cultura persiana la stella era similmente rappresentata come una freccia, ed era nota come Tiri. Nel libro sacro dell’Islam, il Corano, Allah (Dio viene definito il “Signore di Sirio”. Il popolo dei Dogon è un gruppo etnico del Mali, in Africa Occidentale, noto per le loro conoscenze sulla stella Sirio che sarebbero da considerare impossibili senza l’uso di un telescopio. Come riportato nei libri Dio d’acqua. Incontri con Ogotemmêli e Le renard pâle di Marcel Griaule. Questo popolo sarebbe stato al corrente della presenza di una compagna di Sirio (la “stella del fonio”) che orbita attorno ad essa con un periodo di cinquant’anni prima della sua scoperta da parte degli astronomi moderni. Questi affermano inoltre che ci sia pure una terza compagna oltre a Sirio A e Sirio B. Il libro di Robert Temple Il mistero di Sirio, edito nel 1976, accredita loro anche la conoscenza dei quattro satelliti di Giove scoperti da Galileo e degli anelli di Saturno. Tutto ciò è diventato così oggetto di controversie e, talvolta, di speculazioni.

 Secondo un articolo edito nel 1978 sulla rivista Skeptical Enquirer, potrebbe essersi trattato di una contaminazione culturale, o forse proprio per opera degli stessi etnografi.

   Altri invece vedono queste spiegazioni fin troppo semplicistiche, create ad hoc per giustificare un mistero irrisolvibile secondo i dettami della scienza in vigore. È La questione resta dunque ancora aperta.

[71] Il concetto di setting nasce nella psicologia ecologica di Roger Barker (1968) come l’insieme dei fenomeni comportamentali, dei pattern circoscritti e stabili di attività umane con un sistema integrato di forze e controlli che mantengono tali attività in un equilibrio semistabile.

[72] Nella programmazione Monarch le vittime sono chiamate schiavi.

[73] Personalmente ritengo che uno strumento per difendersi è odiare profondamente i propri oppressori, considerarli dei pezzi di merda.

 

[74] http://la-piovra.blogspot.it/2008/05/mk-ultra-la-testimonianza-di-cathy.html

[75] ttp://books.google.it/books?id=sMIYPB4GRNEC&pg=PA177&lpg=PA177&dq=l%27ex+agente+Cia+Derrel+Sims&source=bl&ots=MzemvVktuh&sig=XIMkzot7P0LDbIw88iG6dLD9b-w&hl=it&sa=X&ei=f93XU6KJAvOX0QWHg4GQBQ&ved=0CCUQ6AEwAQ#v=onepage&q=l%27ex%20agente%20Cia%20Derrel%20Sims&f=false

[76] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/02/19/ecco-il-war-game-made-in-italy.html

[77] http://www.informatrieste.eu/ts/spionaggio-a-trieste-il-caso-iret-del-1989/

[78] https://ricerca.gelocal.it/ilpiccolo/archivio/ilpiccolo/2006/07/13/NZ_21_PISA.html

[79] C. Ernè, Il giallo della bomba a Trieste, Piccolo, 26.04/2000.

[80] http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-strani_casi_di_morte_a_trieste.php

[81] Si spara finanziere del Gico, Piccolo, 30/01/1996.

[82] Niente fiamme ma tanto ossido di carbonio. Tragedia di via Polo, tre ipotesi per un incidente, Piccolo, 07/02/2006.

[83] Resta il mistero sulla coppia asfissiata, Piccolo, 26/10/2004.

[84] E sicuramente non mancavano le possibilità economiche.

[85] Nel giallo di via Marco Polo ora spunta un gatto trovato morto, Trieste Oggi, 24/03/2001.

   Provo ad avanzare un ipotesi che potrebbe apparire azzardata. E se ci fosse una matrice esoterica? Penso al ritrovamento del cadavere del gatto. Nella cultura egizia il gatto ha sempre rappresentato una divinità in particolare, ossia Bastet, la dea raffigurata con sembianze di donna e la testa di gatto o in alcuni casi semplicemente come una gatta. Bastet era la figlia di del Dio Ra e rappresentava la dea della fertilità e della salute, legata al culto lunare. Invece, nel Medioevo il gatto era considerato un’essenza completamente diabolica, maligna, proprio perché è un’animale che si è sempre pensato sapesse vedere aldilà, al di là della realtà, un’animale che fosse immerso in un altro mondo, che riuscisse a vedere aldilà della vita, ma soprattutto aldilà della morte, quindi un’animale soprannaturale.

Il gatto esprime il simbolo di benessere, di armonia, d’indipendenza, d’osservazione e comprensione, infatti si dice essere un’animale molto empatico, che proprio per questa caratteristica è in grado di raccogliere su di sé tutti gli influssi negativi che lo circondano e neutralizzarli, un’animale di certo molto consigliato da tenere molto a stretto contatto, si dice che con il contatto fisico si può ottenere calma, serenità e pace. Inoltre è un simbolo di agilità spirituale e fisica, di sensualità, un animale ammaliatore, simbolo in primis di libertà, ma al tempo stesso di mistero, un’animale che si può definire proprio magico, il detentore delle chiavi sia della realtà sia dell’inconscio.

[86] Uccisi dai gas della caldaia: condannati amministratori e conduttori dell’impianto, Piccolo, 25/01/2006. 

[87] S. Maranzana e R. Coretti, Si sfracella 007 della Finanza, Piccolo, 14/06/2001.

[88] S. Maranzana e R. Coretti, Finanziere trovato morto con due colpi in testa, Piccolo, 23/10/2000.

[89] Una caratteristica dei servizi segreti italiani sta nell’uso sistematico, di faccendieri che sono usati per portare a termine delicate operazioni che possono spaziare dall’acquisizione, vincere appalti, costruire alleanze. Un simile utilizzo comporta il formarsi di una sacca contenente i germi della corruzione, collocata tra i servizi e lo Stato.

   Gli altri servizi preferiscono certe questioni li gestiscono direttamente, magari pagano le con tangenti per acquisire degli appalti per le industrie della loro nazione. Teniamo conto che i membri dei servizi segreti sono sempre dei funzionari dello Stato e lavorano per la loro industria nazionale, (in altre parole per la Borghesia Imperialista del proprio paese).

   Tornando al discorso dei faccendieri, il loro utilizzo alla lunga si rivela controproducente poiché alla fine rischiano di essere arrestati o inquisititi e questo perché, nonostante la loro presunta “genialità” e abilità negli affari, sono implicati in troppe operazioni. Rimangono alla fine i faccendieri locali, che a differenza di quelli che lavorano a livello internazionale il loro raggio di azione è molto più limitato.

[90] http://archiviostorico.corriere.it/1996/maggio/22/giallo_Xavier_penna_anti_armi_co_0_9605225853.shtml

[91] http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2002/12_Dicembre/12/mercenari.shtml

[92] http://www.lastampa.it/2014/08/02/edizioni/imperia/morto-delle-fave-lex-mercenario-allevatore-di-serpenti-AbAziXLVuuKh0jfE98iQ3N/pagina.html

[93] Vedere questa intervista su Youtube https://www.youtube.com/watch?v=8wXWfg0-7Vc

[94] Trovato sul Carso il corpo dell’attore Viviani, di C. Ernè e C. Barbacini sul “Piccolo”, 12/10/01

[95] Dal terreno sul Carso spunta un arsenale, C. Barbacini sul “Piccolo”, 14/9/99

[96] A Padriciano spunta un’altra bomba, Trieste Oggi 13/5/00

[97] Armi sul Carso. Un attentato? C. Barbacini sul Piccolo, 15/11/02

[98] https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/11/07/soldi-del-sismi-da-craxi-al.html

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/10/17/sismi-missioni-in-peru-senza-autorizzazione.html

[99] http://giornalistamichelupmann.blogspot.com/2012/12/lassociazione-orio-associazione-orion.html

https://antrodellamagia.forumfree.it/?t=43912660

[100] Ludwig von Bertalanffy (1901-1972) è stato un biologo austriaco, noto soprattutto per aver dato il via alla teoria generale dei sistemi.

[101] Scalone fu arrestato il 26 ottobre 1993, all’età di 59 anni, e incriminato poi di associazione con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico. Fu poi condannato in primo grado nel 1999 ma due anni dopo fu prosciolto e risarcito dallo Stato con 25.000 euro per l’ingiusta detenzione di sei mesi e le conseguenze per la sua vita lavorativa e familiare.

[102] Sarebbe il comitato che ha lo scopo di coordinare i due servizi (civile e militare). Fulci ricoprì tale incarico dal giugno 1991 fino al 1993 per volontà del Presidente del Consiglio Giulio Andreotti.

[103] Ansa, 21 giugno 1995.

[104] Si occupa del coordinamento delle attività dei centri di controspionaggio in Italia.

[105] http://www.cestim.it/argomenti/05verona/05verona_nera.htm

[106] Nguyen Van Vinh, The Vietnamese People on the Road to Victory, 1966. P. 7.

[107] Intervista a L’Europeo del 25 maggio 1994, in M Caprara, G. Semprini, p. 172.

[108] Avanti, 19 aprile 1978.

[109] Atti per l’inchiesta per la strage di Brescia, verbale del 29 maggio 1996, testimonianza di Giampaolo Stimamiglio.

[110]  http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/05/24/in-cella-le-ronde-pirogene-incendiavano-le.html?refresh_ce

[111] http://www.ilpost.it/stefanonazzi/2012/02/14/processo-strage-piazza-della-loggia

IMPERIALISMO E SIONISMO

•aprile 19, 2024 • Lascia un commento

 

 

   La pericolosità della politica di Israele è fin troppo evidente, come dimostrano le continue stragi compiute direttamente, o tramite alleati o mercenari. La stampa di regime ha insistito tanto sulle centrali atomiche dell’Iran, che è ancora lontano dal possesso dell’arma nucleare, e sorvola sulle centinaia di atomiche israeliane. Limes ha pubblicato una cartina, dove si vede la gittata dei missili iraniani (fino a 2.000 Km) e di quelli israeliani Jericho (fino a 4500 km). Nel raggio di questi ultimi è compresa tutta l’Europa tranne l’Islanda, l’Africa fino all’Angola e Mozambico, gran parte della Russia, della Cina e dell’Indocina. Potrebbero distruggere Roma, Milano, Londra, Parigi, Berlino, Mosca, Delhi, e addirittura arrivare oltre il lago Bajkal, in Mongolia, a Bangkok. Il che spiega perché molti stati stanno cercando di costruire centrali atomiche. Avere atomiche non vuol dire necessariamente utilizzarle, ma dà nei confronti di chi ne è privo, un forte strumento di ricatto. Fuori del raggio d’azione dei missili sono, per ora, il continente americano e quello australiano. Tutto questo succede, poiché l’imperialismo USA tollera che un alleato, spesso riottoso anche con Washington, continui ad aumentare la sua potenza e raggio d’azione. Quanto alla borghesia europea, è troppo vile perché affronti il problema.      

   Sarebbe semplificare la realtà affermare che Israele domina gli USA. D’altronde è vero che la presenza nel mondo bancario e finanziario di un gran numero di ebrei ricchissimi assicura a Israele molti vantaggi, ma si deve tenere contro che l’alta finanza non ha patria (né religione).

   Questa tesi dell’influenza sionista nella vita politica degli USA non è una fantasia complottista (o peggio ancora, di un antisemita). Bisogna partire dal fatto che vi è stata una discreta ressa di esponenti della Borghesia Imperialista specie di paesi minori a installarsi negli USA, a inserirsi nel mondo politico ed economico USA: dai defunti Onassis e Sindona; perciò, non ci si deve meravigliare che molti grandi capitalisti di altri paesi hanno cercato di “mettere su casa” negli USA.

   Esiste la possibilità che man mano che aumentano le difficoltà dell’accumulazione del capitale, una frazione della Borghesia Imperialista mondiale tenti di imporre un’unica disciplina a tutta la Borghesia Imperialista costruendo attorno agli USA il proprio nuovo Stato sovranazionale: quest’ultimo assorbirebbe più strettamente in sé gli altri Stati limitandone ulteriormente l’autonomia.

   Negli anni trascorsi dopo la Seconda guerra mondiale, si è formato un vasto strato di Borghesia Imperialista Internazionale, legata alle multinazionali con uno strato di personale cresciuto al suo servizio.

   Già sono stati collaudati numerosi organismi (monetari, finanziari, commerciali) sovrastatali nei quali quello Strato di Borghesia Internazionale esercita una vasta egemonia.

    Parimenti si è formato un personale politico, militare e culturale borghese internazionale. di conseguenza il disegno della fusione dei maggiori Stati imperialisti in unico Stato ha oggi maggiori basi materiali di quanto ne avessero gli analoghi disegni perseguiti nella prima metà del secolo scorso, dalla borghesia anglo-francese (Società delle Nazioni), dalla borghesia tedesca (Nuovo Ordine Europeo nazista), dalla borghesia giapponese (Zona di Coprosperità). Ma la realizzazione di un processo del genere, mentre avanza e si accentua la crisi economica, difficilmente si realizzerebbe in maniera pacifica, senza che gli interessi borghesi lesi dal processo si facciano forte di tutte le rivendicazioni e i pregiudizi nazionali e locali.

   Perciò quella che si definisce lobby sionista è una frazione della Borghesia Imperialista che è accomunata dalle origini ebraiche che cerca di determinare la politica degli USA.

   Ci sono esempi lampanti di come si diceva prima la finanza non ha né patria (e né tantomeno religione). Nel passato, banchieri ebrei finanziarono la reconquista nella Spagna medioevale. La monarchia spagnola li ripagò cacciando ebrei e mussulmani, dopo averli espropriati dei loro beni e perseguitato quelli che avevano sperato di salvarsi con una conversione al cristianesimo, inaugurando uno dei più feroci regimi, basato sul saccheggio dei beni delle minoranze (e in seguito delle colonie), sull’intolleranza religiosa e sulla discriminazione razziale.

   In tempi meno lontani, i finanzieri ebrei non fecero nessuna azione di boicottaggio contro l’IBM, che per Hitler fece la schedatura degli ebrei di gran parte d’Europa, o contro quei capitalisti americani che controllavano la Fanta, l’Opel e molte altre industrie tedesche in piena epoca nazista. Quindi l’aiuto a Israele ci sarà fino a quando quei banchieri ne avranno dei vantaggi, ma potrebbero cambiare atteggiamenti in qualsiasi momento.

   Israele è un paese troppo piccolo perché sia economicamente vitale, ha bisogno di ampliare il proprio territorio a spese altrui, e questo rende particolarmente virulento il suo imperialismo. Ha bisogno, inoltre, di continui apporti esterni. Se gli USA a causa della crisi, fossero costretti a ridurre gli aiuti esterni, sorgerebbero forti difficoltà.

   Un aspetto importante in quest’analisi è l’aperto sostegno della NATO a Israele.

   Nel 2001 Israele firma al quartiere generale della NATO a Bruxelles <l’accordo di sicurezza>, impegnandosi a proteggere le “informazioni classificate” che riceveranno nell’ambito della cooperazione militare.

   Nel giugno 2003 il governo italiano stipula con quello israeliano un memorandum d’intesa per la cooperazione nel settore militare e della “difesa”, che prevede tra l’altro lo sviluppo congiunto di un nuovo sistema di guerra elettronica.

   Nel dicembre 2004 viene data notizia che la Germania fornirà a Israele due sottomarini Dolphin, che si aggiungere ai tre (di cui due regalati) consegnati nel ’90. Israele può così potenziare la sua flotta di sottomarini da attacco nucleare, tenuti costantemente in navigazione nel Mediterraneo, Mar Rosso e Golfo Persico.

   Nel febbraio 2005 il segretario generale della NATO compie la prima visita ufficiale a Tel Aviv, dove incontra le massime autorità militari israeliane per “espandere la cooperazione militare”.

      Nel marzo 2005 si svolge nel Mar Rosso la prima esercitazione navale congiunta Israele-NATO. In giugno, la marina israeliana partecipa a un’esercitazione NATO nel Golfo di Taranto. In luglio, truppe israeliane partecipano per la prima volta a un’esercitazione NATO “antiterrorismo”, che si svolge in Ucraina.

   Nel giugno 2006 una nave da guerra israeliana partecipa a un’esercitazione NATO nel Mar Nero allo scopo di “creare una migliore interoperabilità tra marina israeliana e le forze navali Nato <Dialogo mediterraneo>, il cui scopo è <contribuire alla sicurezza stabilità della regione>”. In tale quadro, “Nato e Israele si accordano sulle modalità del contributo israeliano all’operazione marittima della Nato Active Endeavour”. Israele è così premiata dalla NATO per l’attacco e l’invasione del Libano. Le forze navali israeliane, che insieme con quelle aeree e terrestri hanno appena martellato il Libano con migliaia di tonnellate di bombe facendo strage di civili, vengono integrate nell’operazione NATO che dovrebbe “combattere il terrorismo nel Mediterraneo”.

   Il 2 dicembre 2008, circa tre settimane prima dell’attacco israeliano a Gaza, la NATO ratifica il “Programma di cooperazione individuale” con Israele. Esso comprende una vasta di campi in cui “Nato e Israele coopereranno pienamente”: antiterrorismo, tra cui scambio di informazioni tra i servizi segreti; connessione di Israele al sistema elettronico NATO; cooperazione nel settore degli armamenti; aumento delle esercitazioni militari congiunte NATO-Israele; allargamento della cooperazione nella lotta contro la proliferazione nucleare (ignorando deliberatamente che Israele, è l’unica potenza nucleare della regione, che tra l’altro ha rifiutato di firmare il Trattato di non proliferazione).

   L’11 gennaio 2009, circa due settimane dopo l’inizio dell’attacco israeliano a Gaza, il segretario della NATO Japp de Hoop  Scheffer si reca in visita ufficiale in Israele nell’ambito del “Dialogo mediterraneo”. Nel suo discorso, ribadisce che “Hamas, con i suoi continui attacchi di razzi contro Israele, si è addossata la responsabilità delle tremende sofferenze del popolo che dice di rappresentare”. Loda quindi Israele per aver aderito con il “massimo entusiasmo” al “Dialogo mediterraneo”, il cui scopo è “contribuire alla sicurezza e stabilità della regione”. In quello stesso momento le forze israeliane stanno massacrando la popolazione di Gaza.

   Israele non è il cuore del sistema capitalistico, esso è però un laboratorio, dove si sperimentano soluzioni politiche e militari estreme, e dove si compie uno sporco lavoro che gli USA e le altre potenze occidentali preferiscono delegare. Ha pure il compito di sperimentare nuove armi sulla pelle dei palestinesi e dei libanesi, senza che il discredito e lo sdegno ricadano su chi quelle armi le producono soprattutto gli USA, ma anche Francia e Italia.

   Nel passato Israele aveva la funzione di impedire l’unificazione dei paesi arabi, che poteva realizzarsi intorno all’Egitto di Nasser, di rendere impossibile il consolidamento di tali regimi laici nazionalisti, favorendo ovunque l’ascesa di correnti confessionali, portando al parossismo lo scontro interreligioso. Sostituì nell’area i decadenti colonialisti inglesi e francesi.

   Queste funzioni sono importantissime per la borghesia internazionale, ma non bastano di fare di Israele il cuore dell’imperialismo. Non è certamente un caso che le più grandi concentrazioni finanziarie si trovino a Wall Street e nella City londinese, non a Tel Aviv.

   L’avversario numero uno del movimento operaio resta l’imperialismo statunitense, perché da decenni, è in grado di intervenire militarmente nei confronti di qualunque rivoluzione, lotta antimperialista e di interferire e sabotare i tentativi dei paesi che tentano di sviluppare una politica interna ed estera dall’imperialismo dominante. Tale funzione controrivoluzionaria per eccellenza, che ai tempi di Marx l’aveva la Russia zarista, al tempo di Lenin l’Inghilterra, e dal secondo dopoguerra l’hanno gli USA. Contro questo mostro imperialistico bisogna dirigere gli sforzi, che si riveleranno inutili se non si riuscirà a coinvolgere l’unica forza che ha la possibilità di vincerlo: il proletariato americano.

   Questo non significa sottovalutare l’imperialismo israeliano, il problema è il taglio politico che occorre dare alla lotta.

   L’imperialismo è un fenomeno comune a tutti i paesi che hanno raggiunto un certo livello di maturità finanziaria, e tocca il punto più alto proprio nei paesi che riescono a mantenere una facciata democratica, in primis gli USA. I fascismi si sviluppano soprattutto nei paesi che si possono definire revisionisti, in altre parole chi rivendica una ridistribuzione delle colonie e semicolonie, e quindi sviluppano una tendenza a disturbare “l’ordine” mondiale. Ciò rende possibile ai vecchi imperialismi di additarli come i responsabili di tutte le guerre, autoproclamandosi nel frattempo come i più grandi “difensori della democrazia”. E ciò che è avvenuto nella Seconda guerra mondiale.

   Tornando ai nostri giorni, il modo più efficace di smascherare il sionismo è di mostrarne la natura imperialistica, rivelando quindi il segreto che sta dietro l’enorme bardatura ideologica e religiosa. Il sionismo ha poco a che fare con le antiche tradizioni ebraiche, ancor meno con le tradizioni rivoluzionarie che si svilupparono tra gli ebrei. Ed è spiegabile che la loro condizione di perseguitati acuiva la loro sensibilità politica. La partecipazione al movimento operaio degli ebrei fu così massiccia da creare favole, congetture. Per esempio, la leggenda che la Rivoluzione d’ottobre fosse una congiura ebraica, che non si diffuse solo tra i fascisti, ma anche in ambienti liberali in Gran Bretagna e USA.

   Una delle conseguenze più gravi dello sviluppo del sionismo è di avere demolito le basi del diffuso internazionalismo ebraico e aver appoggiato moltissimi ebrei alla costruzione e difesa di uno Stato sciovinista e guerrafondaio.

   Dietro l’apparenza dei conflitti religiosi si celano le lotte sociali, e, quando i proletari di diverse etnie trovano un’intesa, tutta la borghesia locale e internazionale trova un accordo per schiacciarli. Un esempio. Quando i profughi palestinesi in Libano, in gran parte poveri in canna, cominciano a fraternizzare con i proletari libanesi e una parte dell’esercito disertò, la Siria inviò le truppe con il consenso di Russia e USA, Israele e paesi arabi, per il riportare il cosiddetto ordine. E la Falange, braccio armato della borghesia maronita, ebbe modo di compiere indisturbata una strage terribile a Tell el Zaatar.

   Questa, e altre esperienze del genere dimostrano che le borghesie del vicino Oriente hanno esaurito da tempo ogni carica antimperialista e che la liberazione delle masse oppresse e sfruttate, potrà avvenire solo sotto la guida del proletariato e del suo partito.

 

 

IMPERIALISMO OGGI

•aprile 19, 2024 • Lascia un commento

   Fare un’analisi oggettiva e di classe sull’imperialismo odierno risulta oggi, molto più difficile che ai tempi degli scritti di Lenin nel 1916 o di Hilferding nel 1910. A quell’epoca i dati con cui suffragare le proprie analisi  erano disponibili e veritieri. Oggi, al contrario, la difficoltà principale risiede nel reperire dati attendibili e soprattutto non manipolati. In sostanza, come hanno dimostrato i casi Snowden ed Assange i dati reali, anche quelli economici rilevanti, in quanto dati sensibili, vengono occultati o manipolati e si possono reperire realmente solo facendo ricorso a potentissimi apparati di spionaggio elettronico.

   Un esempio per tutti, di come le stime economiche non siano univoche ma cambino a seconda delle fonti e degli interessi di coloro che le forniscono. Se si va sull’enciclopedia Wikipedia e si digita la dicitura “stati per P.I.L.“ per ogni singolo stato appaiono tre stime diverse: uno del F.M.I., uno della Banca Mondiale e uno addirittura della C.I.A[1].

   Non disponendo di apparati di intercettazione elettronica adottiamo nel nostro lavoro solo un metodo di analisi storica e di stretta analisi di dati e di fatti per via indiretta.

   Per spiegare i cambiamenti avvenuti rispetto ai tempi di Lenin e di Hilferding molti analisti e teorici dell’imperialismo, tra cui il prof. E. Screpanti che ha pubblicato sul web uno scritto (scaricabile dalla rete) con dati aggiornati sull’imperialismo intitolato “L’imperialismo globale e la grande crisi“, fanno ricorso alla categoria di capitale transnazionale[2].

   In sostanza, nel passato il capitale finanziario partendo dalla base nazionale dei singoli stati é, sempre supportato dallo stato, proiettandosi su scala internazionale finiva per assumere una nuova forma: quella dell’imperialismo; ciò per ovviare in questo modo alla caduta del saggio di profitto che incominciava a manifestarsi nel mercato metropolitano. Attualmente, secondo Screpanti ed altri, questo fenomeno sarebbe in parte venuto meno o avrebbe del tutto cambiato forma, in quanto il capitalismo sarebbe ormai approdato ad una nuova forma: la forma transazionale.

    Certamente  questa teorizzazione contiene anche dei dati di verità, in cui rispetto al passato, i singoli capitali, soprattutto quelli che si basano sullo sfruttamento massiccio della forza lavoro e dell’energia, hanno assunto consensualmente delle forme di autonomia molto ampie dagli stati di appartenenza, ma da qui a concludere che in questa forma di mutazione i singoli stati abbiano abdicato ad ogni forma di tutela o abbiano perso ogni funzione regolatrice sui capitali nazionali considerati strategici ce ne corre. Riportiamo a tale proposito la definizione di impresa transnazionale tratta dal lessico Treccani:  “Secondo la definizione comunemente accettata dell’UNCTAD (United Nations conference on trade and development), l’impresa t. (transnational o anche multinational corporations) è una società di capitali che opera in più di due distinti paesi e che ha il controllo di almeno una filiale all’estero, giustificata dal possesso di un minimo del 10% del suo capitale: si tratta quindi di una società che organizza la produzione su scala internazionale attraverso la realizzazione di investimenti diretti (v. investimento diretto estero) consistenti nell’acquisto di imprese estere o porzioni di esse (equity investment) o tramite forme di relazioni non azionarie (non-equity investment) che possono configurarsi in contratti di fornitura di parti o componenti, contratti di subappalto, franchising, contratti di gestione, contratti di build, operate and transfer e così via. Le imprese t. rappresentano dunque il motore principale del processo di globalizzazione economica che ha portato all’affermazione di un sistema di produzione su scala internazionale organizzato su reti globali (global production networks) che localizzano le diverse fasi del ciclo produttivo in paesi differenti in funzione di convenienze localizzative connesse alla presenza di centri di ricerca, alla disponibilità di competenze produttive o a costi più bassi della manodopera, a leggi più favorevoli, ecc. …

   Secondo una rilevazione dell’UNCTAD aggiornata al 2009, le imprese t. che operano in tutto il mondo sono oltre 82.000 e controllano circa 810.000 filiali, con un volume di produzione totale corrispondente a circa un terzo del prodotto interno lordo mondiale. Le filiali estere realizzano oltre un terzo delle esportazioni mondiali e occupano circa 77 milioni di persone. Rispetto al 2000 il numero delle imprese t. è all’incirca raddoppiato, mentre quello delle filiali è aumentato di quasi quattro volte. La crescita delle filiali a un tasso due volte superiore a quello delle case madri si spiega con l’affermarsi di una tendenza alle fusioni societarie, sintomo di un accentramento del potere economico nelle mani di gruppi sempre più ristretti.

   Infatti, per quanto il numero assoluto di imprese t. sia complessivamente alto, bisogna considerare che un’impresa t. non equivale, di per sé, a un’impresa di grandi dimensioni. Nel novero complessivo sono infatti incluse, proprio a causa del criterio classificatorio definito dall’UNCTAD, anche molte cosiddette micromultinazionali: piccole e medie imprese che fino a tempi recenti avevano vocazione fortemente locale, ma che la competizione globale ha spinto a investire sempre più in paesi stranieri. Va inoltre aggiunto che con l’avvento delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, numerose piccole società, soprattutto dedicate al settore terziario (in particolare gli studi professionali di medici, avvocati, architetti, ecc.), hanno organizzato la propria attività su base multinazionale. La differenza tra le micromultinazionali e le grandi imprese t. è molto rilevante; infatti, sono soltanto le prime a essere cresciute in numero, a fronte della contrazione delle seconde: un fenomeno importante, che tuttavia statistiche come quelle dell’UNCTAD, per quanto utili, faticano a mettere in luce come sarebbe opportuno. Uno studio realizzato dal Politecnico federale di Zurigo (The network of global corporate control, 2011) ha infatti permesso di stabilire l’esistenza di un nucleo di appena 147 imprese che, attraverso meccanismi di partecipazioni proprietarie reciproche, mantiene il controllo del 40% della produzione di tutte le imprese t. mondiali, denotando una struttura del mercato globale caratterizzata da condizioni di elevata concentrazione oligopolistica”[3].

   Considerazione: se fosse vero che la forma transnazionale avrebbe eliminato ogni contrasto tra i capitali nazionali presi nella loro interezza, non si capirebbe, cosa che ormai è quotidianamente sotto gli occhi di tutti, il continuo accentuarsi della concorrenza di carattere economico a livello internazionale, accompagnata da un incrudirsi di confronti politici, sia tra stati alleati che tra stati contrapposti.

Non si capirebbe inoltre, come dimostrato da dati relativamente  recenti (vedere articolo di A. Farulli su Greenreport del 03.7.14 realizzato grazie agli studi realizzati dal professor Fratocchi e dal suo gruppo di ricerca Uni-Club MoRe Back Reshoring) come mai l’Italia è il secondo Paese nel mondo per rimpatri produttivi, alle spalle solo degli Stati Uniti “che lo stanno facendo per quelle lavorazioni molto energivore, in quanto la produzione di energia dagli scisti bituminosi ha reso di nuovo conveniente produrre in patria questi prodotti”. Quindi questa forma di transnazionalizzazione del capitale (in questo caso delocalizzazione produttiva verso paesi dove la forza lavoro e/o l’energia costano meno e/o le leggi sono più permissive in materia di sicurezza o di altre spese aggiuntive) sarebbe, per alcuni paesi, attualmente, addirittura in una fase di inversione. Lo conferma anche un breve scritto di Dino Erba (“a volte ritornano”) che afferma addirittura che tale tendenza sia operante a livello internazionale già prima del 2008.

Ne riportiamo un breve estratto: “finalmente, anche il Corrierone ha scoperto il reshoring, ovvero il rientro delle imprese italiane delocalizzate in Paesi «emergenti», in particolare la Cina. Il fenomeno del reshoring è ormai massiccio – è in corso almeno dal 2008 – e riguarda oltre all’Italia i principali Paesi industrializzati, a partire da Usa e Germania… Le delocalizzazioni furono stimolate da motivi molto contingenti (e di meschino orizzonte): bassi salari, assoluta flessibilità del lavoro e favorevoli condizioni normative, soprattutto in campo fiscale. In poche parole: molto sfruttamento e poche tasse… Passato il primo entusiasmo, saltarono fuori le magagne: le infrastrutture, dai trasporti alle telecomunicazioni, sono del tutto carenti. Magari c’è anche da far i conti con le mafie locali … Bisogna poi considerare la qualità del lavoro o, meglio, il know-how, che non si improvvisa dall’oggi al do-mani, è il frutto di decenni, se non di secoli, di una diffusa attività industriale.

   Da notare che gli USA hanno delocalizzato soltanto lavorazioni per prodotti di bassa e di media tecnologia, cioè quelli ad alta intensità di mano d’opera, non certo quelli di alta tecnologia, che in quanto considerati strategici, rimangono saldamente in patria.

   Se poi facciamo un rapido excursus storico, possiamo osservare che anche nel passato, nonostante la netta prevalenza dei capitali nella forma nazionale, ci sono stati casi di importanti compagnie commerciali degli intrecci e rapporti di capitali provenienti da diversi stati che potevano, in tal modo, difficilmente far ricondurre tali compagnie all’appartenenza esclusiva di singoli stati. Tutto questo a vantaggio di un più rapido sviluppo dei commerci e per favorire una più forte crescita dei profitti. Ciò non impediva che queste parziali alleanze commerciali e finanziarie, nel caso di guerre, avessero termine e si ritornasse a far prevalere, in ultima analisi, gli interessi degli stati, cioè del capitale nazionale complessivo.

   Che cosa ci insegnano questi precedenti storici?

   Che le forme di collaborazione finanziarie e commerciali non escludono la possibilità di confronti militari anche tra gli stati i cui capitali hanno intrecciato, in precedenza, forme di collaborazione abbastanza strette e proficue (D.R. Headrick “ Il Predominio dell’occidente “ Il Mulino p. 79 – 80).   

   Così come il geloso possesso di carte nautiche attendibili, già dall’epoca colombiana, era paragonabile al possesso di dati reali e concreti, la cui segretezza poteva assomigliare, mutatis mutandis, al possesso dei dati reali odierni.

   Del resto l’imperialismo-colonialismo degli stati, ha storicamente avuto origine proprio da compagnie private: la Compagnia delle Indie Orientali per l’Inghilterra e la Compagnia unita delle Indie Orientali per l’Olanda. Sono queste compagnie che si sono assunte il compito e l’onere di fare da battistrada per la penetrazione del proprio capitalismo nazionale. Gli stati sono subentrati solo in un secondo momento, quando la penetrazione territoriale di queste compagnie era diventata, da un lato, troppo ampia e dispendiosa per poter essere gestita e garantita con capitali esclusivamente privati, dall’altro per proteggere questi ampi possedimenti territoriali dagli imperialismi coloniali concorrenti. (D.R. Headrick “ Il Predominio dell’occidente “ p. 81 – 84 ).

   Questo lo diciamo a coloro, e sono molti, che criticano l’analisi di Lenin sull’imperialismo, accusandola di avere un’impronta eccessivamente bellicista, in quanto il capitalismo nella sua forma moderna transnazionale avrebbe risolto la sua contraddizione di generatore di contrasti violenti tra i singoli stati per approdare ad una forma di indistinta melassa irenica in cui gli stati hanno ormai perso ogni funzione di gestori e garanti di specifici interessi nazionali complessivi, oppure (tesi sostenuta da Screpanti,  che pure si dichiara leninista) avrebbe assunto una forma esclusiva di contrasto capitalistico tra Nord e Sud del mondo e tra capitale e lavoro.

   È da ritenere che tutto questo sia una verità parziale; e che, anzi, oggi soprattutto sia sempre meno vero. I pochi dati riportati in precedenza dal Lessico dalla Treccani lo dimostrano. L’essenza di fondo dell’imperialismo nella forma descritta da Lenin nel 1916 permane invariata,  il famoso e decantato capitalismo nella forma transnazionale non sono altro che dei giganteschi tentacoli oligopolistici estesi su tutto il mondo che però non escludono la concorrenza tra i singoli capitali nazionali nei settori chiave con degenerazioni conflittuali, per il momento solo economiche, ma che nel futuro non possiamo escludere possano arrivare anche a scontri bellici. La teste delle piovre, insomma, permane negli stati forti.

   Ci si potrà obiettare che le forme di “ partecipazioni proprietarie reciproche “ tra i vari capitali scongiurano e scongiureranno i confronti militari che si sono avuti nel passato, ma abbiamo già dimostrato che questo non è stato vero nel passato e ci apprestiamo a dimostrare che lo sarà anche per il futuro.

   Secondo noi la transnazionalità della forma capitale garantisce un proseguimento del ciclo capitalistico in modo pacifico solo finché questo non trova inceppo a causa delle proprie contraddizioni (cioè, nei periodi lontani dalle crisi profonde e globali); come ampiamente dimostrato nel passato da Marx.

   Così si spiega, a nostro avviso, la lunga fase di un periodo di pace durato quasi cinquanta anni in Europa e tra i paesi avanzati, negli anni del capitalismo affluente. Questo periodo di pace ha evidentemente condizionato, in modo del tutto soggettivo ed errato, le analisi di molti teorici dell’imperialismo. Purtroppo, per loro, questa pace ha incominciato ed essere turbata dalle nostre parti con la guerra nei Balcani del 1991-1995 ed attualmente dalla guerra in Ucraina. Queste guerre sono state e sono il sintomo di una malattia-crisi che va sempre più aggravando.

   Insomma il famoso e decantato capitalismo nella forma transnazionale di oggi non è fatto altro che da giganteschi tentacoli oligopolistici estesi su tutto il mondo; ma le piovre hanno sempre una testa… di solito sempre in qualche stato imperialista.

   Oggi il capitalismo, anche quello transnazionale, è in crisi checché ne dicano i vari apologeti: fomenta e causa guerre sempre più difficilmente controllabili. Queste dalle periferie dell’Africa, dell’Asia e dell’America latina dove avevano assunto la forma di guerriglia  endemica (vedi libro a cura di B. Bellesi – P. Moiola “ La guerra le guerre “ ed. EMI) si sono avvicinate sempre più ai centri nevralgici degli stati imperialisti. Abbiamo detto, in precedenza, che adotteremo per dimostrare le nostre tesi un metodo di analisi indiretto. Nell’era del capitale transnazionale trionfante possiamo citare numerosi episodi ed avvenimenti (purtroppo solo quelli a nostra conoscenza, ma saranno certamente molti di più) che dimostrano la volontà dei singoli stati imperialisti, soprattutto quelli più forti, di mettere sotto controllo i capitali nazionali ed internazionali in nome degli interessi complessivi della propria nazione.

   L’origine di queste crisi ha alla base un paradosso. Da un lato i vari capitali per crescere più rapidamente cercano di emanciparsi da un’appartenenza strettamente territoriale assumendo la forma transazionale, sia per il capitale costante, sia per il capitale variabile, e questo modo di operare potrebbe, in teoria, eliminare del tutto i contrasti bellici limitandoli a contrasti di natura esclusivamente economica, come avviene oggi su scala nazionale. Dall’altro lato, però, la persistenza e la volontà dei vari stati, delle singole borghesie imperialiste e dei loro apparati, di tenere sotto controllo i  capitali, sia propri che altrui, causa una degenerazione ed un incrudimento dei conflitti che conduce inevitabilmente alla guerra.

   Anche in questo Marx ed Engels erano stati preveggenti. I rapporti di produzione, storicamente determinati, che ancora oggi conservano una forma prevalente esclusivamente nazionale, entrando in conflitto con la base produttiva che ha assunto ormai la forma transnazionale, causano la crisi.

   Quando i contrasti tra grandi capitali in crisi superano certi limiti, la tendenza a risolverli su base extra-economica diventa sempre più forte – anche due parrucchieri in concorrenza atroce sono tentati di prendersi a pugni. Comincia, cioè, a diventare possibile anche il confronto, non solo mass-mediatico, spionistico … ma anche militare. Però le forze armate, storicamente, sono organizzate generalmente per stati nazionali; quindi sorge il bisogno di poter influenzare le decisioni militari dello stato; ma di quale stato se non quello di origine della multinazionale? I legami sono molteplici, dalla lingua alle “amicizie”, alle frequentazioni, ai patrimoni d’origine dei proprietari del capitale; lo stato nazionale è certo il più suscettibile di essere influenzato da chi è potente. Ma soprattutto ciò si connette alla tendenza naturale dello stato a difendere i capitali originati in esso, pena, maggiori difficoltà dello stato stesso.

   Si cerca di ovviare a tutto ciò attraverso l’attivazione di organismi di regolamentazione e di controllo politici, economici, ma anche militari, internazionali o sovranazionali (ONU, FMI, BRI, BCE,UE, CE, WTO, OCSE, CSCE, NATO ecc. ) e la stipula di trattati internazionali che prevedono di aree di libero scambio di beni e di servizi ma i risultati sono scarsi o controversi, in quanto in quelle sedi o con quei trattati i singoli stati nazionali, soprattutto quelli più forti, cercano di far prevalere esclusivamente i propri interessi a discapito degli altri stati, a tale proposito vedi interessante art. del 07/7/14 sul blog di A, Giannoli “Tardo europeismo o europeismo tardo? “ Noi, più che sulla definizione e sul criterio di transnazionalità, preferiamo soffermarci, per avere una definizione più precisa della natura che ha  assunto l’imperialismo contemporaneo, sul criterio e sulla definizione di imprese e capitali considerati, dai singoli stati, strategici. Come hanno dimostrato i documenti divulgati del caso Wikileaks, è la classificazione e il possesso di questi dati “ sensibili “ che interessano il maggiore stato imperialista internazionale, ma pensiamo che anche gli altri stati imperialisti adottino, anche se con minori mezzi a disposizione, gli stessi criteri”.

   A tale proposito facciamo un piccolo elenco di episodi noti, avvenuti negli ultimi anni:

  1. (Wikileaks elenco imprese ed infrastrutture strategiche mondiali)

   In un cablogramma del febbraio 2009 il Dipartimento di Stato chiese alle missioni statunitensi all’estero di aggiornare l’elenco di infrastrutture e risorse in giro per il mondo “la cui perdita avrebbe potuto avere conseguente critiche sulla salute pubblica, la sicurezza economica e/o nazionale degli Stati Uniti”. L’elenco comprende aziende produttrici di cavi sottomarini, per le comunicazioni, porti, aziende estrattive di risorse minerarie e di importanza strategica (per esempio case farmaceutiche che producono vaccini), individuate in una serie di Paesi, dall’Austria alla Nuova Zelanda. Nel dispaccio si invitano chiaramente i diplomatici a “non consultare i governi ospitanti rispetto alla richiesta”, che viene presentata sotto il National Infrastrutture Protection Plan, che mira a rafforzare la protezione delle risorse chiave “per prevenire, scoraggiare, neutralizzare o attenuare gli effetti degli sforzi di terroristi per distruggere, paralizzare o sfruttarle, e per rafforzare la preparazione a livello nazionale, la risposta e il rapido recupero in caso di attacco, calamità naturali o altra emergenza. Tra questi, si legge nel lungo elenco indicato nel dispaccio pubblicato integralmente da Wikileaks, centinaia di aziende, impianti, infrastrutture. Ad esempio, il gasdotto ‘Trans-Med, la Glaxo Smith Kline S.p.A. di Parma e la Digibind in Italia’, il cavo sottomarino APOLLO in Francia e Gran Bretagna, le fabbriche farmaceutiche in Germania, il gasdotto Nadym in Russia e altre centinaia di siti in Israele, Spagna, Africa, praticamente ovunque;

  • Tentativo di acquisto da parte di impresa petrolifera cinese Cnooc della compagnia petrolifera  USA Unocal. Veto degli USA. 2005;
  • Veto USA all’acquisto da parte della società Dubai Ports degli Emirati Arabi Uniti all’acquisto della  società che controlla i maggiori porti USA della costa ovest in quanto impresa considerata strategica . 2006;
  • Campagna mediatica contro i server cinesi Huawei accusati dagli USA di essere usati dalla Cina a scopo di spionaggio. 2014;
  • Citazione legale con condanna con risarcimento finanziario di 1 miliardo di dollari da parte della Apple contro la Samsung in una Corte di giustizia californiana per l’uso illecito di brevetti nella costruzione di telefonini. 2014;
  • Condanna dell’Argentina da parte di una Corte federale e della Corte Suprema USA al pagamento del 100% al fondo  “avvoltoio” MNL Capital del debito derivante dal default dichiarato nel 2001 a fronte della transazione raggiunta del 30% con gli altri creditori. 2014;
  • Giudizi delle tre agenzie di rating americane sulla solidità finanziaria dei singoli stati. Giudizi in base ai quali si scatena la speculazione finanziaria internazionale;
  • Il Dipartimento della “Giustizia” americano ha raggiunto un accordo di massima con la principale banca francese che le impone il pagamento di una multa compresa tra gli 8 e i 9 miliardi di dollari. Le autorità americane hanno portato alla luce ben 30 miliardi di dollari di transazioni gestite dalla banca in consapevole violazione dell’embargo contro l’Iran e contro altri paesi sulla lista nera di Washington quali il Sudan. La multa non è la sola sanzione. Bnp Paribas sarà anche colpita da un temporaneo divieto a condurre operazioni in dollari. E ha accettato la cacciata di circa 30 funzionari e dipendenti, la maggior parte dei quali avrebbe già lasciato l’istituto. La banca, inoltre, si dichiarerà colpevole, probabilmente, di un reato di complicità nella violazione dell’International Emergency Economic Powers Act statunitense. L’accordo di massima, riportato dal Wall Street Journal, sarebbe in fase di finalizzazione dopo negoziati durati a lungo tra le parti. Washington e gli organismi di supervisione del settore bancario intendono infliggere una sanzione esemplare, mentre le autorità francesi ed europee hanno espresso preoccupazione per l’impatto sulla credibilità e il futuro dell’istituto. Durante una  visita del presidente Barack Obama in Europa e Francia, il presidente francese Francois Holland ha denunciato il rischio di sanzioni che giudicato “ingiuste” e “sproporzionate “. 2014;
  • Le autorità statali e federali statunitensi hanno avviato i colloqui per un accordo con le tedesche Commerzbank e Deutsche Bank relativamente a operazioni con paesi inseriti nella lista nera degli Usa, secondo quanto riferito da una fonte con diretta conoscenza delle investigazioni. I colloqui sono appena iniziati e la tempistica di un accordo al momento non è chiara, ha detto la fonte a Reuters. Nessun commento da Deutsche Bank e Commerzbank. Il New York Times aveva anticipato le negoziazioni con Commerzbank aggiungendo che un accordo potrebbe essere raggiunto già quest’estate. Commerzbank, accusata dalle autorità Usa di trasferire denaro attraverso le attività statunitensi per conto di società in Iran e Sudan, potrebbe pagare almeno 500 milioni di dollari di multa, secondo il New York Times. La banca probabilmente raggiungerà un cosiddetto “deferred prosecution agreement”, un accordo che prevede la sospensione delle incriminazioni penali in cambio della sanzione finanziaria e di altre concessioni, aggiunge il giornale. Un potenziale accordo con Commerzbank, che dovrebbe spianare la strada a un’intesa separata con Deutsche Bank, non potrebbe mai competere con il deal raggiunto con BNP Paribas, sottolinea il NYT. La banca francese ha infatti concordato di pagare quasi nove miliardi di dollari per risolvere le accuse di aver violato le sanzioni Usa contro Sudan, Cuba e Iran. 2014;
  • Il Governo e il Senato di Washington sembrano manifestare tutt’altra intenzione. Nella loro non dichiarata guerra contro la Russia, gli Stati Uniti continuano, tra l’altro, a premere sulla Commissione e su vari Governi europei affinché abbandonino il progetto di gasdotto South Stream. Con questo dichiarato obiettivo, tre senatori americani incontrarono il  Primo Ministro bulgaro (la Bulgaria è il punto d’arrivo sulla terra ferma del gasdotto sottomarino che parte dalle coste russe). Non sappiamo cosa si siano detti nello specifico e se siano state usate minacce o blandizie, ma il Premier di Sofia, subito dopo l’incontro e platealmente, ha annunciato che la Bulgaria avrebbe “dovuto” congelare il progetto rinunciando così, almeno per il momento, a benefiche ricadute economiche sul proprio territorio”. La Voce della Russia 2014:
  • Francia vendita di Alstom. Vedi interessantissimo articolo su “Internazionale“ di B. Guetta del 28.4.14. “Per quanto siano globalizzate, le aziende hanno ancora una nazionalità. In questi giorni i vertici di Alstom non si curano dell’interesse nazionale e dell’apporto che un paese riceve dalle sue aziende (ma tutto cambia quando arriva il momento di chiedere aiuti allo stato), e sottolineano che la soluzione europea, Siemens, comporterebbe licenziamenti inevitabili “;
  • La prima di queste è che la partita ucraina si stia giocando esclusivamente nel campo degli interessi strategici e commerciali di alcuni Stati ben individuati. Da una parte la Russia, dall’altra, con differenti motivazioni, gli Usa e il blocco franco-tedesco. Quindi, nessuna battaglia di libertà e di democrazia è in scena nel teatro ucraino, soltanto complessi interessi nazionali che incrociano riposizionamenti strategici all’interno di nuovi blocchi contrapposti: la Russia, con il suo sistema di Stati satelliti da una parte, l’alleanza atlantica, allargata ai Paesi dell’est europeo, dall’altra. Seconda questione: l’Unione Europea, in quanto soggetto in grado di sviluppare un’autonoma politica estera, non esiste. L’Ue è soltanto un’etichetta utile a dare maggiore appeal all’iniziativa diplomatica delle realtà continentali di maggiore peso. Terza questione. La vicenda ucraina ogni giorno di più si va definendo come un “affare tedesco”, nel senso che dietro la forzatura sul passaggio del Paese ex-sovietico dall’area d’influenza russa a quella “europea” vi è la materializzazione dell’antica aspirazione germanica al “Lebensbraum” (lo spazio vitale) da conquistare ad oriente dei propri confini, mediante mezzi diversi, meno cruenti rispetto al passato. Nell’odierno tempo storico che ha conosciuto l’abbattimento delle frontiere grazie all’avvento della mondializzazione dell’economia e, soprattutto, della finanza, non sono più i cannoni gli strumenti con i quali affermare la supremazia nei rapporti tra gli Stati, piuttosto sono i capitali, le borse e gli spread. A voler ridefinire il concetto di guerra negli scenari attuali, si potrebbe asserire che le speculazioni finanziarie sui debiti sovrani sono la continuazione della politica con altri mezzi, volendo parafrasare la celebre frase del generale Karl Von Clausewitz. Vi è poi un’ultima questione che ci riguarda da vicino. Il mancato invito alla nostra ministra degli Affari esteri a partecipare all’incontro di Berlino denota la consapevolezza che tutti gli attori in campo hanno dell’irrilevanza italiana sullo scacchiere internazionale. Lo schiaffo rifilatoci dai partner francesi e tedeschi è, se possibile, ancor più cocente per il fatto che la riunione dei “quattro” si teneva contemporaneamente all’avvio del semestre europeo di presidenza italiana”.  Da L’Opinione del 8.7.14
  • Quando gli stati imperialisti impongono embarghi e comminano sanzioni ad altri stati riescono sempre a individuare con precisione le imprese e i capitali finanziari di questi stati, riuscendo a colpire esclusivamente i loro interessi;
  • Lo stretto punto di contatto tra guerre e interessi commerciali nazionali è dimostrato dal modo di operare degli USA sia negli anni della Seconda guerra mondiale, sia nella guerra tra Iran e Iraq 1980 – 1988.  A Seconda guerra mondiale già iniziata, gli USA entrarono in guerra solo il 7.12.41, vendettero prodotti, cibo e materie prime ad ambedue i fronti. Stessa cosa fecero con Iran e Iraq vendendo armi, durante la loro guerra, ad entrambi gli stati;
  • Uso strumentale da parte della Germania dei parametri di Maastricht (3% del deficit e 60% del debito pubblico) per tenere sotto ricatto e tutela economica gli altri stati UE;
  • La FIAT una volta perso il suo ruolo strategico in Italia, essendo ormai diventato il settore dell’auto un settore maturo, può diventare transnazionale. Si trasforma in FCA con sede giuridica in Olanda, sede fiscale in Gran Bretagna, quotandosi alla borsa di New York. 2014;
  • Q. Liang – W. Xiangsui “Guerra senza limiti “ Libreria Editrice Goriziana . I due colonnelli cinesi fanno riferimento in questo libro ad altre forme di guerra: 1) alla guerra commerciale, 2) alla guerra finanziaria, 3) alla nuova guerra terroristica, 4) alla guerra ecologica. A p. 82 vengono nominati G. Soros ed H. Kohl e le piramidi finanziarie albanesi.  “Prima di Soros, H. Kohl si è servito del marco tedesco per abbattere il Muro di Berlino, un muro che nessuno era mai riuscito a scalfire con le granate dell’artiglieria… La guerra finanziaria si è trasformata in un’arma “ iperstrategica “ che sta richiamando l’attenzione del mondo. … Analizzando il recente caos in Albania, possiamo vedere con chiarezza il ruolo svolto da vari tipi di fondazioni istituite da gruppi transnazionali e miliardari con patrimoni in grado di competere con le ricchezze degli Stati. Queste fondazioni controllano i mezzi di comunicazione e le sovvenzioni alle organizzazioni politiche, neutralizzando qualsiasi resistenza alle autorità, il che porta al crollo dell’assetto nazionale e alla caduta del governo legittimamente eletto… La frequenza e l’intensità sempre maggiori di questo tipo di guerra, e il fatto che sempre più paesi e organizzazioni non statali la stanno deliberatamente conducendo, sono motivi di preoccupazione e fatti che dobbiamo affrontare apertamente “. p 81 – 86;
  • Noi non ce ne accorgiamo, ma sono già in corso varie guerre per l’accaparramento o il controllo di acqua dolce, cibo, energia, materie prime e terreno coltivabile. I progetti per la costruzione di oleodotti-gasdotti sono 15. Alcuni di loro rappresentano progetti con opzioni strategiche e geopolitiche alternative tra loro. Fonte ed elenco Business Insider per oleodotti:

1) Denali, gas. Dall’Alaska al Canada agli USA, con potenziale coinvolgimento Gazprom.

2) Keystone, petrolio. Dal Canada agli USA. Trasporterà oil dai chiacchieratissimi scisti bituminosi canadesi.

3) IGI Poseidon, gas. Dalla Grecia all’Italia. Non si sa a quale pipeline sarà raccordato: russa o no?

4) Mosdok, gas. Dalla Russia all’Osezia del Nord, passando per la Cecenia.

5) Altai, gas. Dalla Russia alla Cina. Gestito da Gazprom fornisce gas direttamente ai cinesi.

6) South Stream, gas. Dalla Russia all’Europa passando per il Mar Nero, e bypassando l’Ucraina[4].

7) Nord Stream, gas. Dalla Russia alla Germania.

8) Transcaspian, gas. Da Kazhakistan o Turkmenistan all’Azerbaijan. Serve a bypassare i russi.

9) White Stream, gas. Dalla Georgia alla Romania passando per il Mar Nero, e bypassando la Russia.

10) Nabucco, gas. Dalla Turchia all’Austria. Anch’esso serve a bypassare i russi, attingendo eventualmente alle riserve iraniane.

11) SCO, petrolio. Dal Kazhakistan alla Cina.

12) ESPO, petrolio. Dalla Russia alla Cina e Giappone, via Siberia e Pacifico. 

13) Pars, gas. Dall’Iran alla Turchia. Accesso iraniano al mercato europeo.

14) Iran-Pakistan-India, gas. Accesso iraniano all’enorme mercato indiano.

15) TAPI, gas. Dal Turkmenistan all’India. Forse il più scottante di tutti, passa esattamente al centro delle zone di guerra in Afghanistan.

   Fonte L. R. Brown “I rischi di un mondo senza cibo“ in  “La seconda rivoluzione verde“ volumetto che contiene una raccolta di articoli tratti dalla rivista Le Scienze.

  1. Se il capitale, nella forma transnazionale, avesse definitivamente vinto (Screpanti), non si capirebbe perché i governi di vari stati si siano riservati la cosiddetta golden share, cioè la possibilità di esprimere il gradimento riguardo al cambio di proprietà azionaria di una società o di un’impresa privatizzate, in cui lo stato conserva una partecipazione azionaria (anche una sola azione) di minoranza;

20) Sempre a proposito dell’importanza della forma stato riportiamo alcuni fatti e alcune considerazioni riguardanti l’evasione fiscale: “Berna e Washington hanno firmato un accordo per porre fine al contenzioso fiscale tra le banche elvetiche e gli Stati Uniti. Gli istituti che hanno gestito averi americani non dichiarati al fisco potranno evitare azioni penali. Ma dovranno pagare multe salate. Alla Svizzera non rimane che ingoiare il rospo e voltare pagina. «È un risultato con il quale si può convivere», ha affermato venerdì la ministra delle finanze svizzera Eveline Widmer-Schlumpf. L’accordo permette di «dare una sicurezza giuridica» alle banche, ha detto la consigliera federale in una conferenza stampa a Berna. In assenza di questo programma, ha spiegato, la Svizzera avrebbe continuato ancora per anni a correre il rischio di incappare in procedimenti penali, con una conseguente instabilità della piazza finanziaria elvetica. Inoltre, senza queste chiare regolamentazioni i casi sarebbero finiti davanti ai più disparati tribunali americani: non è sicuro che una corte di Washington arrivi alle stesse conclusioni di una di New York, ha detto la ministra. Eveline Widmer-Schlumpf ha però sottolineato che «le banche dovranno pagare. Toccherà a loro decidere se detrarre il montante dai loro benefici o altrove». La dichiarazione comune è stata firmata il 29 agosto 2013 dall’ambasciatore svizzero a Washington Manuel Sager e dal viceprocuratore generale del Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti (DoJ) James Cole. Per Washington, l’accordo costituisce un passo importante nella lotta all’evasione fiscale. Consentirà alle autorità di «rafforzare considerevolmente gli sforzi per perseguire con veemenza» coloro che tentano di eludere la legge nascondendo i loro averi fuori dagli Stati Uniti, ha detto il ministro di giustizia americano Eric Holder“. Da SWI swissinnfo.ch del 30.8.13.

 “Le 13 banche svizzere ancora sotto inchiesta negli Stati Uniti perché sospettate di delitti fiscali hanno poche speranze di sfuggire a una severa sanzione, dopo la multa di 2,6 miliardi di dollari inflitta al Credit Suisse. Alcuni pezzi grossi rimangono nel mirino del Dipartimento di Giustizia (DoJ).La Banca cantonale di Zurigo (ZKB) dallo scorso anno è considerata il terzo istituto “troppo grande per fallire” della Svizzera, a causa della sua elevata quota di crediti che offre a privati e aziende all’interno del Paese. La Banca cantonale di Basilea (BKB) gioca un ruolo capitale nei cantoni di Basilea Città e Campagna, mentre Pictet e Julius Bär, che è la terza maggior amministratrice patrimoniale svizzera, sono dei giganti nel settore del private banking. La ZKB ha cessato le attività con clienti negli Stati Uniti alla fine del 2011, ma solo dopo avere accumulato 1,8 miliardi di franchi in attività negli Stati Uniti. Quanto alla BKB si suppone che negli ultimi anni abbia gestito fino a 600 milioni di franchi di averi americani. La multa al Credit Suisse “fungerà da modello per gli altri casi di banche svizzere. Non c’è alcuna base per il calcolo delle multe, quindi viene stabilita piuttosto arbitrariamente dalle autorità statunitensi. Sicuramente anche alle altre banche costerà più di quanto ci si era aspettati “, pronostica l’esperto di diritto economico Peter V. Kunz. Sanzione del Credit Suisse Il 19 maggio 2014, il Credit Suisse (CS) ha accettato di pagare una multa di 2,8 miliardi di dollari e di fare un’ammissione di colpevolezza davanti a una Corte federale della Virginia. Alla seconda più grande banca svizzera è stato imposto di versare 1,8 miliardi dollari al Dipartimento di Giustizia USA, 715 milioni di dollari all’autorità di vigilanza bancaria di New York, 196 milioni di dollari all’autorità di vigilanza dei mercati americana (la Securities and Exchange Commission, SEC) e 100 milioni di dollari alla Federal Reserve statunitense (la Fed). È la multa più elevata finora inflitta a una banca svizzera ed è pari a tre volte e mezzo quella inflitta all’UBS nel 2009. Il CS ha anche fatto un’ammissione di colpa, ma non gli viene ritirata la licenza bancaria. Nel corso dei prossimi due anni dovrà presentare i libri contabili della sua gestione patrimoniale all’autorità di vigilanza bancaria di New York. Il notevole inasprimento del perseguimento del DoJ in buona parte può essere spiegato anche dal fatto che il CS e molte altre banche svizzere hanno continuato le pratiche illegali anche dopo la sanzione inflitta all’UBS. Nell’errata convinzione di essere abbastanza lontane dagli Stati Uniti per sfuggire a sanzioni, hanno ripreso clienti americani dell’UBS che hanno evaso le imposte, offrendo loro di metterli al riparo dalle autorità fiscali USA“. Da SWI swissinnfo.ch del 26.5.14.

   Da notare che in un saggio di  A. Carlo faceva notare come negli USA, precisamente nel Delaware, esiste una legislazione fiscale estremamente favorevole, paragonabile per entità a quella dei paradisi fiscali. Evidentemente gli Usa, come dimostrano le iniziative di rivalsa nei confronti delle banche svizzere, non vogliono, come stato, perdere il controllo dei capitali dei propri cittadini. In sostanza, vogliono ribadire che è sempre lo stato che permette benevolmente di pagare meno tasse ai cittadini e non è il singolo cittadino che con la sua iniziativa riesce a farlo, a dispetto dello stato;

  • L’importanza fondamentale che tutt’oggi conserva lo stato come istituzione, checché ne dicano alcuni, è dimostrata dall’introduzione da alcuni anni nel linguaggio geopolitico della definizione di “stato fallito“. Si definiscono stati falliti quegli stati in cui “i governi non garantiscono più sicurezza personale, certezza del cibo e servizi sociali fondamentali quali istruzione e sanità. Spesso perdono il controllo di una parte o di tutto il territorio. Quando i governi restano privi del monopolio su potere, legge e ordine iniziano a disintegrarsi “. L. R. Bown art. citato.

Questa disgregazione è causata e voluta dagli stati imperialisti che sperano comunque di trarre vantaggio dal caos generato, il famoso disordine creativo, teorizzato da alcuni politologi. Si riescono capire in questo alcune destabilizzazioni o tentativi di destabilizzazione operati a danno di alcuni stati: Russia, Cina, Siria Iraq, Myanmar, Pakistan, Iran, Libano, Somalia, Venezuela, Congo, Ucraina, fascia sub sahariana e fascia nord sahariana, Libia ecc.;

  • Negli anni passati i paesi imperialisti per conservare il loro rapporto di supremazia su altri stati erano soliti fomentare, finanziare ed organizzare colpi di stato di militari a loro fedeli. Ma questo tipo di intervento aveva, alle volte, dei risvolti negativi per gli imperialisti. Questi regimi militari poiché ideologicamente si dichiaravano e si presentavano come difensori di uno stato forte, entravano spesso in contrasto con le potenze che li avevano incoraggiati, entrando così in conflitto con gli stati che li avevano ispirati. Risultato: nascita di ulteriori conflitti tra questi stati e gli stati imperialisti, vedere come esempio l’Argentina e guerra per le Malvinas, ecc. Ora la strategia sembra essere cambiata. Gli stati imperialisti preferiscono disgregare gli stati che intendono sottomettere, potendo in questo modo manovrare con maggiore facilità tra le varie fazioni della borghesia nazionale, scegliendo, di volta in volta la fazione più disposta all’obbedienza. Una situazione paragonabile a quella che storicamente nel passato ha avuto l’Italia (o recentemente, la ex Jugoslavia) e di cui si lamentava Machiavelli. Allorquando i vari stati regionali si combattevano ferocemente tra di loro ed erano alla mercé di alleanze contrapposte con stati che in Europa avevano raggiunto la forma e la forza di stato nazionale potendo, in tal modo, imporre ed esercitare la loro influenza su altri ministati; 
  • La conflittualità tra stati, anche alleati, è dimostrata cacciata da parte del governo tedesco del responsabile della CIA in Germania. 10.7.14
  • La competizione tecnologica civile e militare tra gli stati alleati occidentali, tra europei e statunitensi, si dimostra con l’avvenuta formazione dei consorzi europei per la costruzione degli aerei Airbus concorrenti di quelli della Boeing e degli eurofighter concorrenti degli F 35;
  • Roma, 12 lug. 2014 (TMNews) – L’ambasciatore degli Stati Uniti in Germania, John Emerson, ha provato in questo periodo a scongiurare lo scontro diplomatico tra Washington e Berlino sull’attività di spionaggio Usa offrendo alla controparte un accordo di condivisione delle notizie di intelligence simile a quello stipulato dagli Stati Uniti con altri paesi. Un tentativo che – Bloomberg – aveva il duplice obiettivo di placare la cancelliera Angela Merkel e impedire l’espulsione del capo della Cia in Germania, e che si è concluso in un sostanziale fallimento. Emerson si è recato al ministero tedesco degli Affari esteri il 9 luglio s2014 con una bozza di accordo autorizzata da Washington. Una missione sostenuta a distanza dal direttore della Cia, John Brennan, che nelle stesse ore avrebbe contattato il suo omologo di Berlino offrendosi di recarsi in Germania per risolvere personalmente la questione. Una proposta, hanno riferito fonti diplomatiche tedesche, che però sarebbe stata giudicata insufficiente e tardiva al punto da non meritare neppure una risposta;

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Stati_per_PIL_(nominale)

https://it.wikipedia.org/wiki/CIA_World_Factbook

[2] http://repec.deps.unisi.it/quaderni/collana/screpanti14/Imperialismo%20globale%20CollanaA4.pdf

[3] https://www.treccani.it/enciclopedia/impresa-transnazionale_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/

[4] Da non confondersi col NORD STREAM che è stato sabotato.

FAUSTO E IAIO: CHI C’E’ DIETRO IL LORO ASSASSINIO?

•aprile 13, 2024 • Lascia un commento

   Il 18 marzo 1978, due giorni dopo il rapimento di Aldo Moro, vennero assassinati a Milano in via Mancinelli, da otto colpi di pistola sparati da un commando di tre killer professionisti due giovani compagni militanti del Centro Sociale Leoncavallo: Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci detto Iaio.

   Il 1975, l’anno dell’occupazione del Leoncavallo – si caratterizza in tutta Italia e particolarmente a Milano, per essere un anno di frontiera in quel decennio di lotte (1968-1978). 

   Solo comprendendo l’evoluzione del percorso politico e generazionale che si può chiarire un contesto di lotte che ha fortemente segnato quegli anni.

   Con il periodo ’698-’72 si apre anche in Italia, come nel resto d’Europa, la stagione della contestazione studentesca. Uno dei motivi che in Italia questo movimento durò più di dieci fu l’alleanza con la classe operaia in lotta.

   Il ’68-’72 rappresenta un ciclo che si differenzia dalle lotte degli anni seguenti sotto diversi aspetti; uno di questi aspetti in particolare sancirà una vera e propria demarcazione. Dopo la strage di Stato di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, si era costituita – soprattutto a Milano – un’alleanza tra le componenti democratiche della città e i movimenti; era così stato creato un importante organo di controinformazione, il Bollettino di Controinformazione Democratica che raccoglieva anche magistrati, giornalisti e intellettuali.  La linea che portò a questa unione è la strenua volontà di accertare la verità sulle trame dello Stato, sui “corpi separati” (Gladio), sull’uso militare che la borghesia faceva della polizia, sul pericolo del colpo di Stato.

   Il 1972 è l’inizio di una nuova fase perché, dopo la morte di Gian Giacomo Feltrinelli sotto il traliccio a Segrate nel 1972 (dove la stampa di regime affermò che stava preparando un attentato), tra le componenti democratiche (o democratiche-progressiste come allora venivano definite) balza agli occhi che vi erano elementi di organizzazioni clandestine anche a sinistra; questo paralizzò il livello di unità raggiunta, e aprì grosse contraddizioni che risulteranno insanabili. Oltretutto dal 1972 in poi i gruppi politici organizzati si strutturano sempre di più: Lotta Continua, Avanguardia Operaia, Partito Comunista d’Italia Marxista-Leninista, Partito d’Unità Proletaria, questo fatto indubbiamente contribuì a frastagliare ulteriormente l’unità del movimento.

   Nel 1973 ci fu l’occupazione della FIAT da parte degli operai, ma certamente il dato emergente è che ha inizio una lunga crisi delle organizzazioni politiche che all’epoca venivano definite extraparlamentari, quindi anche del ceto politico espresso dal ’68.

   Il 1975 è quindi un anno di frontiera per diversi motivi.

   Nelle fabbriche si è già dispiegata la risposta padronale alla precedente offensiva operaia; ha inizio la crisi dei Consigli di Fabbrica.

   Uno dei motivi di questa crisi, fu indubbiamente quando il PCI che stava portando avanti la linea politica del compromesso storico, assieme alla CGIL sviluppò il suo schema di togliere autorità ai Consigli di Fabbrica che a suo dire erano diventati incontrollabili.

   Partendo da queste considerazioni Lama e il gruppo dirigente della CGIL decidono di ridimensionare i poteri dei Consigli di Fabbrica. Questa decisione di delegittimare i Consigli di Fabbrica avviene specularmente al dispiegarsi in profondità di una offensiva capitalistica che introduce massicciamente nuove tecnologie che espropriano gli operai della conoscenza acquisita sul ciclo di lavoro, impone con forza la restaurazione della gerarchia di fabbrica, fa un grande uso della cassa integrazione per allontanare le avanguardie dalla fabbrica. Le avanguardie di fabbrica in particolare i giovani emersi in questo ciclo di lotte, si rendono conto che non sono più in grado di esercitare il potere operaio in fabbrica e quindi fanno la scelta lenta, ma inesorabile di alzare il livello dello scontro aumentando i pestaggi dei capi,  moltiplicando i sabotaggi simbolici, si coagulano così le prime forme di autorganizzazione armata all’interno della classe operaia.

   Si ha quindi una modifica dei rapporti di forza in fabbrica, e una modifica dei comportamenti operai: ma altre due caratteristiche per comprendere meglio la situazione in atto vanno analizzate:

  1. La modifica delle organizzazioni della sinistra di classe formatesi negli anni precedenti;
  2. L’emergere sulla scena politica di una nuova generazione di giovani.

   Nel 1972, come si diceva prima avviene un processo di ridefinizione organizzativa dei principali gruppi politici della sinistra rivoluzionaria; un processo di ridefinizione che non è indolore, ma si presenta molto complesso. Alcune organizzazioni scompaiono mentre altre cercano di percorre strade organizzative differenti da quelle precedentemente intraprese, scelte che producono forti lacerazioni, si pensi ad esempio a quanto accade a Lotta Continua che non riesce più a conciliare le diverse anime che raccoglie.

   Soffermarsi su Lotta Continua è impostante in quanto proprio una buona parte della componente operaia milanese è stata tra le forze politiche che hanno dato vita al Leoncavallo.

   Questa componente operaia di Lotta Continua si riunirà a Milano nel 1975, alla Palazzina Liberty, per costruire una componente organizzata di dissenso interno all’organizzazione. Sciolta Lotta Continua, gran parte di questa componente darà vita al giornale Senza Tregua da cui nasceranno i Comitati Comunisti Rivoluzionari.

   Di pari passo con il decomporsi delle precedenti organizzazioni si viene a formare un nuovo aggregato politico: l’Autonomia Operaia che a Milano ha nella rivista Rosso il suo punto di riferimento. Ma a fianco dei militanti delle precedenti organizzazioni in crisi di identità e con molte incertezze rispetto alle formule organizzative, appare sulla scena una nuova generazione di giovani che si è sviluppata principalmente nei grandi quartieri metropolitani costruiti tra il finire degli anni ’50 e gli inizi degli anni ’60. Una generazione che si forma Gallaratese, a Baggio, al Gratosoglio. A Cologno Monzese o a Cinisello Balsamo.

   Si tratta di una generazione di giovani che è cresciuta nel deserto di questi quartieri ed ha iniziato un lungo periodo di sviluppo prima di potersi autorappresentare come soggetto politico; i primi momenti aggregativi sono state le compagnie di scuola che successivamente diventeranno compagnie di strada sino al punto di cercare degli spazi per potersi esprimere, spazi che assumeranno il nome di Circoli Autogestiti del Proletariato Giovanile.

   Questi circoli che dal 1975 si affacciano sulla scena sono la risposta di autorappresentazione che man mano diventerà sempre di più espressione politica. La cultura che i giovani occupanti, che sono alla ricerca di nuovi linguaggi, si avvicina molto alle forme espressive controculturali elaborate dalla rivista Re Nudo o alla nascente rivista A/traverso di Bologna. Questi circoli si chiameranno: Felce e Mirtillo, La Pera è Matura se sorgono a Pero, Sesto Senso se sorgono a Sesto San Giovanni: all’inizio con un serie di definizioni di sé che sono ancora prepolitiche.

   E precisamente in questo confuso ed articolato contesto del 1975 che sorge il Centro Sociale Leoncavallo.

   Bisogna sottolineare il fatto che il Leoncavallo, sin dal suo nascere ha caratteristiche dissimili da quelle rintracciabili nei nascenti Circoli Autogestiti del Proletariato del Proletariato Giovanile. L’occupazione del Leoncavallo è stata un’occupazione unitaria, diretta espressione di organismi politici adulti, formatisi negli anni successivi al 1968.

   Il Leoncavallo nasce in un quartiere di storiche e importanti tradizioni operaie: il quartiere Crescenzago, viale Padova, Lambrate che sono un prolungamento cittadino della Stalingrado d’Italia, Sesto San Giovanni. In questa zona vi sono le più importanti fabbriche della città.

   Lo stabile occupato è una fabbrica dismessa di prodotti farmaceutici che copre 3.600 mq, si tratta di una delle più grosse occupazioni di Milano.

   All’occupazione partecipano i diffusi Comitati di Caseggiato, i collettivi antifascisti della zona, Lotta Continua, il Movimento Lavoratori per il socialismo, Avanguardia Operaia, ecc.

   La scelta da parte di tutte queste forze di occupare unitariamente lo stabile avviene perché ci si era resi conto partiva dall’impostazione che vedeva l’ottica della fabbrica aveva invaso il sociale e quindi bisognava creare dei luoghi di riferimento nei quartieri che funzionassero da cuscinetto tra e organizzazioni e la società civile. Nascono lo Stadera in piazza Abbiategrasso, La Casermetta a Baggio, molti altri centri, tra i quali il Leoncavallo la cui caratteristica è quella di rispecchiare l’intera composizione sociale di un pezzo di città: una composizione operaia, proletaria, popolare a forte spessore di memoria di classe.

   I quartieri adiacenti, va ricordato, hanno una grossa storia di lotta antifascista che risale alla resistenza, si pensi che la Volante Rossa che nei tardi anni ’40 costituiva la parte dura del servizio d’ordine della Federazione milanese del PCI, sorse nella sezione Martiri Oscuri del PCI di Lambrate.

   La fisionomia del Leoncavallo è quella di essere un centro di rilevanza cittadina, ma fortemente radicato nel quartiere, che raccoglie al suo interno una presenza proletaria molto forte, e viene utilizzato come agorà dell’eterogeneità delle forze politiche che lo compongono. La presenza giovanile nuova, diffusissima nell’hinterland della metropoli, non emerge dal Leoncavallo: il comitato di gestione è per lo più composto da militanti delle organizzazioni in crisi. Questo risulterà col tempo un limite in quanto non furono colti gli elementi anche se solo in fase embrionale di una crescita politica di questa nuova generazione che inizia a prendere coscienza della propria realtà di proletari espulsi dalla città.

   Milano è una grande centrifuga che spinge verso la periferia i soggetti deboli; non a caso nascono a Bollate piuttosto che a Quarto Oggiaro le teorizzazioni degli indiani metropolitani, giovani espulsi dalle periferie che vanno a riappropriarsi dei territori “dell’uomo bianco”, il centro cittadino. Le prime iniziative sono assemblee e feste, non essendo ancora diffusa in modo generalizzato la cultura dei concerti.

   Dal 1975 al 1977 il Leoncavallo permane un’espressione dell’egemonia operaia. Quando furono assassinati Fausto e Iaio (stavano facendo inchiesta sullo spaccio di eroina nel quartiere) la risposta fu imponente: centomila persone partecipano ai funerali; un gruppo di donne (tra cui le madri dei giovani uccisi) prendono parte attiva nella vita del centro dando vita al gruppo delle “mamme del Leoncavallo”.

   Inizia con la morte di Aldo Moro, nel 1978 la stagione della grande repressione: il Leoncavallo è frequentato da un nucleo di compagni che produce una resistenza forte contro la ristrutturazione generale dello Stato e delle fabbriche.

   Molta gente abbandona il centro e si chiude sempre di più a riccio. Si apre sempre di più la frattura con le componenti neoistituzionali che avevano partecipato all’occupazione; una frattura dovuta alla non intenzione da parte di molti occupanti di esprimere una dura condanna al terrorismo.

   È senza dubbio vero che una parte dei frequentatori del Leoncavallo tra il 1978-79 compie la scelta della lotta armata; ovviamente la scelta della lotta armata è un fenomeno che ha attraversato molti collettivi di quel periodo, un fenomeno che è stato il prodotto logico di delle possibilità dei movimenti di rappresentarsi, cosa che ha lasciato poche alternative: per alcuni il rappresentarsi nelle organizzazioni neoistituzionali, per molti altri il ritiro al privato, per altri l’eroina e il suicidio.

   È possibile quindi tentare un sunto dei primi sei anni di vita del Leoncavallo, un sunto che è uno specchio fedele del movimento:

  1. 1975-1976: tentativo del centro volto a elaborare alternative politiche alla decomposizione delle vecchie organizzazioni;
  2. 1977: si punta sulla rivendicazione delle lotte precedenti, mostrando quindi una parziale chiusura nei confronti del neomovimento del ’77 che a Milano si rappresenta nell’esperienza dei Circoli del proletariato Giovanile;
  3. 1978-1981: perdita da parte di tutti i movimenti di militanti che compiono la scelta della clandestinità, una scelta peraltro comune e condivisa in molti altri luoghi sociali della città.

   Il Leoncavallo, come tutto il movimento, è segnato dagli arresti di massa, la reazione degli occupanti del centro è una chiusura su sé stessi, unico tema politico riguarda la repressione.

   Indubbiamente da parte del movimento ci fu un’incapacità di compiere una lettura politica più generale della fase in corso.

ALLA RICERCA DI UNA TRACCIA

   Alle 21.30 dopo un0ora e mezzo del duplice omicidio, l’agenzia di stampa ANSA riceve una telefonata da una cabina telefonica di Milano, in Piazza Oberdan.

   È breve, secca, fulminea: “Sergio Ramelli piangeva vendetta, ieri è stato vendicato. Giustiziere d’Italia. Firmato: gruppo armato Ramelli”.

   Il 22 marzo, alle 8.25 squilla di nuovo il telefono al centralino dell’ANSA di Roma, nel giorno dei funerali pubblici di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci a Milano: “Mentre si celebrano i funerali rivendichiamo l’eliminazione dei due giovani di Lotta Continua avvenuta per vendicare l’assassinio dei nostri camerati firmato Gruppi Nazionali Rivoluzionari”.

   Il giorno dopo alle 21.30, in una cabina telefonica in via LEONE IC A Roma, la polizia rinviene un volantino in triplice copia firmato Esercito nazional rivoluzionario brigata combattente Franco Anselmi.

   Il gruppo prende il nome di Franco Anselmi, uno dei fondatori dei Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR), ucciso lunedì 8 marzo 1978 dall’armiere romano     Danilo Centofanti mentre tenta di effettuare una rapina in compagni dei fratelli Giusva e Cristiano Fioravanti, Alessandro Alibrandi e Francesco Bianco.

   Per almeno quattro anni, saranno rivendicate azioni in memoria di Franco Anselmi.

  1. Il 28 maggio 1978, con la bomba contro la sede del PCI di via Pompeo Trogo, nel quartiere nel quartiere romano della Balduina;
  2. A Roma con due rapine in armerie nel 1979;
  3. Il 4 aprile 1980 a S. Antonio Labate, vicino a Napoli; con la gambizzazione di Domenico Longobardi, direttore del manicomio giudiziario di Sant’Eframo;
  4. A Venezia, pochi giorni dopo la strage di Bologna del 1980, per scagionare Marco Affatigato;
  5. A Roma, con gli omicidi di Luca Perucci, il 6 gennaio 1981, e Marco Pizzari, il 30 settembre 1981, militanti di Terza Posizione, sospettati di infamia e tradimento;
  6. Ad Acilia, con l’omicidio dell’ufficiale della Digos Francesco Straullo, il 21 ottobre 1981.

   Nei giorni successivi il duplice omicidio, a Milano un gruppo di giornalisti raccoglie indizi.

   È una rete fitta, formata da quattro quotidiani (l’Unità, Quotidiano dei Lavoratori, Lotta Continua, La Sinistra), alcune radio (Radio Popolare, Radio Lombardia, Radio Regione, Canale 96), militanti dei gruppi della sinistra extraparlamentare e della base del PCI.

   Non esiste un coordinamento generale e ognuno lavora in modo autonomo, mosso da una grande passione militante.

   Ciò che viene trovato e pubblicato nei primi mesi si somma e si sottrae spesso sono dati empirici, anche errati, altri filtrano dalle indagini ufficiali, ma formano gli elementi di una contro-inchiesta importante e preziosa.

   È la controinformazione sull’omicidio di Fausto e Iaio.

   Secondo la ricostruzione di Umberto Gay, Fabio Poletti e Angelo Valcavi di Radio Popolare, dal locale Crota Piemonteisa, Fausto e Iaio non si dirigono direttamente in via Mancinelli, ma per un motivo ancora inspiegabile si incamminano invece lungo via Lambrate, in direzione di piazza San Materno, poi risalgono lungo via Casoretto verso via Monte Nevoso.  

   Resta decisiva la testimonianza dell’edicolante all’angolo tra via Casoretto e via Mancinelli che li sente parlare ad alta voce, intorno alle 19.55 del 18 marzo 1978.

   “Commentavano i titoli delle edizioni straordinarie dei giornali sul caso Moro. Si sono fermati per pochi secondi, poi si sono diretti verso il deposito dell’ATM”.

   Alle 19.58, qualcuno o qualcosa attira Fausto e Iaio dentro via Mancinelli.

   Sono i tre killer.

   Due indossano l’impermeabile bianco con il bavero alzato.

   L’altro porta un giubbotto marroncino chiaro, di finto cammello.

   Formano un campanello davanti al portone dell’Anderson Schol.

   Gay e Poletti sostengono che i ragazzi conoscono almeno uno degli attentatori.

   Tiziano, un altro teste, esce poco prima delle 20 dalla sua abitazione di via Casoretto 8, riconosce e saluta Fausto e Iaio che imboccano via Mancinelli.

   Pochi secondi dopo vede due giovani correre verso via Casoretto, come se fossero appostati nella piccola rientranza tra l’edicola e l’angolo della via.

   L’uno sale al volo sulla linea dell’autobus 55, porta un giubbotto marroncino, capelli ricci, castano chiaro.

   L’altro si guarda intorno, lo accoglie un attimo di indecisione, poi si allontana tranquillo verso via Accademia.

   Un anziano passante scorge un movimento strano.

   All’angolo tra via Casoretto e piazza San Materno giungono una macchina e una moto che si fermano solo il tempo necessario per far scendere tre giovani, due con l’impermeabile chiaro e il bavero alzato, uno con il giubbotto marroncino.

   Queste testimonianze non saranno mai verbalizzate dagli inquirenti[1].

   Il commando sarebbe dunque formato da cinque persone.

   Due di loro coprono i tre killer introno a via Mancinelli, conoscono bene la ona e le possibili vie di fuga.

   Con ogni probabilità risiedono a Milano e provincia.

   Il loro compito è strategico: conducono gli assassini venuti da fuori nel luogo del delitto, poi, svaniscono nel nulla.

   I tre killer sono tutti armati, ma solo uno, quello più esperto, estrae una Beretta bifilare modello 34 o 35, con originaria canna calibro 9, ed esplode contro i due ragazzi otto colpi calibro 7.65 con proiettili mantellati di tipo Winchester o Fiocchi.

   Lui spara a freddo, pendendo accuratamente la mira, incurante del tempo che passa e dei testimoni che possono riconoscerlo, mentre i due complici lo proteggono a breve distanza.

   Uno di loro porta in tasca un calibro 9.

   L’arma che uccide è automatica e il sacchetto di cellophane descritto dalla testimone Marisa Biffi è senza dubbio uno stratagemma per evitare l’espulsione dei bossoli.

   Un sistema diffuso negli ambienti della destra romana.

   Così si spiegherebbe la contraddizione tra il rumore prodotto dalla pistola, descritto da quasi tutti i testi come attutito o scambiato per petardi, con l’impossibilità di utilizzare un silenziatore su una pistola a tamburo, come invece possibile per un’automatica.

   Qualche ora dopo l’omicidio, il cronista de l’Unità Mauro bruto rinviene un proiettile schiacciato accanto al corpo di Iaio e lo consegna alla polizia.

   Mauro sa che quella prova è in grado di indirizzare gli inquirenti sulla pista giusta.

   Anche sulla dinamica dell’omicidio, Mauro Bruto prova a tracciare il su prototipo di identikit del killer.

   Qualcuno in Questura fa circolare la voce che la pistola sia a tamburo, tipo calibro 32, ma Mauro Bruto smonta il tentativo di depistare l’indagine.

   Secondo la ricostruzione di Mauro Bruto, c’è almeno un elemento certo nella dinamica dell’omicidio: “I killer per uccidere hanno usato pistole automatiche avvolte in sacchetti di plastica. Per questo motivo sul luogo dell’omicidio non sono stati trovati i bossoli e i testimoni hanno sentito colpi ovattati. Un particolare che conferma il livello di professionalità: gli assassini non hanno voluto rinunciare al vantaggio della rapidità di tiro favorita da una pistola automatica senza però correre il rischio di disperdere i bossoli e lasciare quindi una traccia che in qualche modo poteva portare a loro. La necessità da parte degli assassini di sfruttare la rapidità di tiro delle automatiche indica che intendevano essere certi di uccidere nel minor tempo possibile per non dare ai testimoni la possibilità di descrivere anche in modo approssimativo, i loro volti[2].

   E i tre killer dove corrono?

   Potrebbero tornare verso via Casoretto, ma scelgono di percorrere l’intera via lungo trecento metri, con il rischio di imbattersi in qualche macchina della polizia o dei carabinieri.

   Con le armi in pugno voltano le spalle ai corpi ormai senza vita di Fausto e Iaio.

   Lo sparatore, quello più alto, si accorge che qualcuno lo ha visto (Marisa Biffi e le sue due figlie), ma è certo che il buio di via Mancinelli non può permettere la completa identificazione.

   Nel silenzio d quella sera si sente a quel punto solo il rumore delle scarpe sull’asfalto.

   I due giovani con l’accento romano, l’impermeabile bianco e il bavero alzato camminano a passo sostenuto, sul marciapiede di sinistra, mentre quello con il giubbotto color cammello prosegue alla stessa velocità su quello di destra.

  È una fuga che dimostra la sicurezza di non essere riconosciuti e la loro decisione di sparare anche su chiunque li volesse fermare.

   Del resto, l’idea di dirigersi verso il centro sociale non è balzana, poiché via Mancinelli è buia e deserta e poco dopo le 20 il Leoncavallo è ancora chiuso al pubblico, dopo che il concerto del bluesman Roberto Ciotti, organizzato da Fabio Treves, inizia più tardi, verso le 22.

   Due killer raggiungono l’angolo tra via Mancinelli e via Leoncavallo dove c’è l’ingresso a un garage pubblico che conduce al retro del centro sociale.

   Li incrocia Natale di Francesco: nella sua testimonianza sostiene che i due hanno un’età tra i 18 e i 20 anni, alti un metro e settanta, indossano impermeabili chiari.

   Il terzo componente del commando prosegue sul marciapiede di destra, attraverso via Leoncavallo, percorre via Chavez e in vis Padova viene recuperato da un complice con una moto di grossa cilindrata.

 La scena si sposta a pochi chilometri dal luogo dell’agguato.

   Intorno alle 20,10 in Piazza Durante, a poche centinaia di metri da via Mancinelli, la polizia ritrova, su indicazione del teste Angelo Palomba una pistola Beretta calibro 9, con il numero di matricola limato, il colpo in canna e sei proiettili nel caricatore, lanciata da un giovane a bordo di una motocicletta.

   L’arma non ha sparato.

   E pochi minuti dopo, in piazza Aspromonte, i testimoni Pierre Manuel Orbeson e Magda Margutti notano due ventenni su una Kawasaki color verde chiaro.

   La coppia osserva attentamente la scena: il passeggero scende dalla moto, toglie dalla targa una di copertura legata con un elastico ed entra in una vicina pizzeria.

   Pierre Manuel Orbeson memorizza il numero della targa (MI5387383) e lo passa al giornalista Antonio Belloni.

   La moto è intestata a Gaetano Russo, pregiudicato per rapina e furti, e Antonio Ausillo, incriminato per vari reati, tra cui tentato omicidio.

   In quelle ore e negli anni successivi, sul loro conto nessun ulteriore accertamento viene svolto dalla polizia giudiziaria.

   Le analisi che fa Mauro Brutto sull’Unità sono precise: “L’unica dato certo che polizia e magistrato hanno confermato è che Lorenzo e Fausto son caduti n un vero e proprio agguato e non sono stati vittime di una lite o di un diverbio scoppiato all’improvviso. Anche se i due ragazzi sono stati visti da alcuni testimoni parlare con gli assassini, costoro li avevano attesi lungo la strada che portava a casa di Tinelli, con in tasca pistole avvolte in sacchetti di plastica per impedire ai bossoli di cadere in terra e cancellare un importante traccia[3].

   I sicari decidono la morte dei due ragazzi e li pedinano da almeno tre mesi, come ricorda Danila, la mamma di Fausto: “Mi seguivano macchine targate Roma e una moto di grossa cilindrata targata Milano. Il padrone della moto era uno di Vimercate. L’avvocato Mariani[4], ne possiede perfino il numero di targa. Tra il dicembre 1977 e gennaio 1978 c’era una mini rossa che mi pedinava. Anche Fausto veniva seguito da almeno quattro settimane prima di essere ucciso[5].

   Mauro Brutto era quel tipo di giornalista che all’epoca erano chiamati “pistaroli”, un gruppo di giornalisti che non cerca lo scoop a ogni costo, ma la verità dei fatti, quelli scomodi, spesso insabbiati dalle autorità politiche o dai servizi segreti.

   Gente come Mauro Nozza, Giorgio Bocca, Gianni Flamini, Corrado Stajano, Aldo Palumbo.

   Marco Brutto è certamente uno di loro.

   Mauro Brutto nasce a Milano il 1° gennaio 1946.

   A dodici anni, in Liguria, assiste a una operazione di salvataggio di un bagnante.

   Da quella storia di cronaca, Mauro elabora un articolo, talmente bello che i genitori lo passano a un quotidiano locale, poi pubblicato con la firma.

   Si appassiona alla politica sul finire degli anni Sessanta quando frequenta il liceo Parini.

   Sono gli anni delle manifestazioni contro la guerra in Vietnam, le lotte sociali, quelle per i diritti civili e un salario più giusto per gli operai, per un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori.

   Dopo qualche servizio per lo storico giornale del Parini La Zanzara, si iscrive al PCI dopo ver conosciuto Pietro Secchia e Giovanni Pesce, capo dei GAP e Torino e Milano, nomi di battaglia Ivaldi e Visone e medaglia d’oro al valore militare della Resistenza.

   Nei primi anni Settanta collabora alla rivista Maqui diretta da Filippo Gaia, specializzata in terrorismo e servizi segreti nazionali e internazionali, ma quel lavoro viene interrotto dal servizio militare, quando lo spediscono in Sardegna in guardia alle basi NATO.

   Marco Bruto è un segugio, si rende conto che il caso di Fausto e Iaio è un caso diverso da quelli che abitualmente gli toccano in cronaca: le bische clandestine di Francis Turatello e Angelo Epaminonda detto il Tebano, il rapimento di Cristina Mazzotta, traffico di droga, il racket e l’usura.

   Mauro Brutto sul caso di Fausto e Iaio molto probabilmente era vicino alla verità.

   Lo dirà anni dopo a Danila, la mamma di Fausto Tinelli: “Ebbi l’impressione che fosse giunto al termine della sua inchiesta. Mauto venne a casa mia come un amico di lunga durata. Stava indagando sul connubio tra trafficanti di eroina, fascisti milanesi e romani, apparati dello Stato, me lo aveva confidato. Disse che la verità di Fausto e Iaio non ere poi così chiara come qualcuno voleva farla apparire[6].

   Sicuramente Mauro Bruto aveva dato fastidio a parecchi personaggi.

   Tra il 1977 e il 1978, scopre una organizzazione mafiosa che da Trezzano sul Naviglio che gestisce buona parte degli affari sporchi di Milano e provincia.

   In quei mesi indaga anche sul traffico di armi da parte dell’organizzazione filoatlantista da parte del Movimento di azione rivoluzionaria di Carlo Fumagalli, un personaggio che si definiva di essere un “estremista di centro”[7] e prepara un dossier sull’anonima sequestri.

   Nella sua abitazione e in quella dell’avvocato di parte civile Luigi Mariani, si ritrovano giovani cronisti che tentano di accostare pezzo dopo l’intricato puzzle della morte di Fausto e Iaio.

    Umberto Gay è uno di loro: “la contro-informazione era rischiosa perché doveva andare spesso a cercare le fonti nel campo avverso ed era comunque un soggetto facilmente identificabile. Questo lavoro mi ha fatto conoscere Mauro Brutto, fu lui che influenzò in modo decisivo la mia decisione di fare il giornalista d’inchiesta. Mauro fu il primo a occuparsi del caso di Fausto e Iaio, cercando di capire il motivo di quell’agguato e i risvolti oscuri della vicenda. Se ne occupava in tutti gli spazi liberi di tempo. Aveva lavorato in precedenza per una rivista rancese della sinistra “Maqui”. Il suo lavoro iniziale è risultato fondamentale per la riuscita del nostro dossier[8].

   Un giorno mentre Brutto è in via Arquà, nei pressi di via Mancinelli, sfugge a un attentato.

   Qualcuno alla guida di un’auto affianca la sua Citroën, sporge il braccio dal finestrino, punta una pistola contro Mauro ed esplode due colpi verso l’alto.

 

   Nessun proiettile va a segno, ma il messaggio è chiaro.

 

   Mauro Butto muore in circostanze misteriose a Milano, in via Murat, alle 20.45 dl 25 novembre 1978.

 

   Esce dalla sede del giornale alle 20.30. a bordo della su macchina si avvia verso via Murat, passando per viale Cà Granda, costeggiando l’ospedale di Niguarda.

 

   All’altezza di via Murat 38, posteggia l’auto accanto al marciapiede, attraversa la strada, entra nel bar tabacchi, acquista due pacchetti di sigarette, beve un aperitivo poi esce dl locale.

 

   Si ferma sulla mezzeria, proprio sulla striscia bianca. 

 

   Guarda sulla sua destra, arriva da lontano una Fiat 127 rossa che lampeggia, attende il suo passaggio, ma nella carreggiata alle sue spalle, in direzione opposta alla 127, spunta una Simca 1100 bianca che viaggia a 70 chilometri all’ora.

  

   Il conducente della vettura invade leggermente l’altra corsia, unta su Mauro, lo coglie frontalmente e lo uccide, poi sterza quanto basta per evitare la collisione con la 127 che giunge in senso opposto.

 

 TRAFFICO DI STUPEFACENTI E SERVIZI SEGRETI

 

 

   Come si diceva Fausto e Iaio collaboravano ha un’inchiesta che il movimento faceva sul rapporto tra spaccio delle sostanze stupefacenti e fascisti, lo stesso faceva Mauro Bruto.

 

   Quando ci si interroga su come è stato possibile che una intera generazione di giovani contestatori sia finito in fumo o riassorbita dai meccanismi di quel sistema che intendeva abbattere bisogna partire dal fatto che nell’estate del 1967 la CIA, avviò una grande covert operation – che significa operazione condotta per interferire negli affari di uno Stato estero, con il massimo grado di riservatezza e tutela, anticamera dell’illegalità e l’arbitrio. L’operazione si chiamava in codice CHAOS, chiusa nel 1974 (ufficialmente, per quanto riguarda i documenti ufficiali). Questa operazione consisteva nell’infiltrazione, a scopo di provocazione, propri agenti o fiduciari all’interno di gruppi, associazioni e partiti della sinistra extraparlamentare in Italia, Francia, Gran Bretagna, Spagna e Repubblica Federale Tedesca. In sostanza, attraverso la diffusione di droghe sintetiche o del radicalismo, tentò di inquinare e depotenziare il vasto movimento di protesta studentesca. In Italia si ebbe una versione locale con l’Operazione Blue Monn[9].

 

   Per capire come ebbe inizio l’operazione Blue Monn, bisogna partire dall’autunno del 1972 quando un gruppo di uomini di diversa nazionalità si erano dati appuntamento in una struttura segreta nel cuore dei monti Vosgi, al conflitto tra Francia e Germania. Arrivarono alla spicciolata: italiani, francesi, portoghesi, greci, spagnoli e perfino polacchi. In questa riunione si parla soltanto in francese, nessuno è autorizzato a rivelare il proprio nome e ogni possibile riferimento autobiografico è ommesso.

 

   La loro permanenza in quel luogo sarebbe durata alcuni giorni.

In questa riunione si sparlò di “sicurezza internazionale” e “lotta alla sovversione” – come si sarebbe reagito in caso di una nuova “avanzata comunista”? Cosa si sarebbe potuto fare? E con quali strumenti? Tutti gli uomini, uno alla volta, furono chiamati a tenere una breve relazione sulla situazione dei paesi di provenienza. Erano già in Poi si parlò di possibili situazioni, alcune delle quali erano già in atto. Ne dibatterono brevemente tra di loro sempre mantenendo segrete le rispettive identità. Non furono stesi verbali né scattate fotografie: ogni comunicazione rimase nel silenzio più assoluto, esattamente come esige il copione. Quegli uomini non erano normali cittadini: appartenevano a organizzazioni clandestine più o meno “legali”. Quello che stavano progettando avrebbe potuto determinare il futuro dell’Europa. Tutto doveva rimanere segreto, e probabilmente così sarebbe stato.  ma la storia è fatta anche di cortocircuiti. Il cortocircuito in questo caso ha un nome e cognome: Roberto Cavallaro, un agente dei servizi segreti presente alla riunione.

 

   Prima di riportare le rivelazioni di Cavallaro su questa riunione, facciamo un passo indietro.

 

   Roma, 21 marzo 1970, il Nucleo antidroga dei carabinieri fa irruzione su un barcone ancorato lungo le rive del Tevere. Il natante – da qualche mese punto di ritrovo della gioventù cittadina – è messo letteralmente sottosopra. 90 ragazzi sono arrestati. Il quotidiano Il Tempo, l’indomani mattina, titolerà con grande clamore: Duemila giovani si drogavano sul barcone, L’operazione Barcone può considerarsi l’inizio di una campagna mediatica senza precedenti: nei sei mesi successivi la stampa nazionale pubblica oltre diecimila articoli sul tema della tossicodipendenza, che fino ad allora non era praticamente mai, stato affrontato. Centinaia di ragazzi finiscono in manette; in molti casi condannati a pene severissime.

 

   L’equazione “capellone uguale drogato” diventa un postulato indiscutibile. L’intero movimento è messo sotto attacco: nasce così – come emergerà da un’accurata ricerca della psichiatra Maria Grazia Cogliati – il personaggio tossicomane, “impossibilitato a trovare un lavoro o un alloggio o una solidarietà”, diventa oggetto costante di paura, disprezzo e intolleranza. Eppure, chi conosceva quel mondo sapeva bene che la dipendenza da stupefacenti era, all’epoca, un fenomeno assolutamente marginale. In tutta Roma, nel 1970l furono censiti solo 560 giovani tossicodipendenti la maggior parte dei quali faceva uso di barbiturici o altri farmaci. I primi morti per droga vennero registrati nel 1972 ed erano consumatori di anfetamine, sostanze non ancora vietate[10].

 

   Questo fenomeno provocherà l’interesse della controinformazione militante, dalle cui inchieste emergeranno fin da subito diversi dati piuttosto significativi. Punto uno: nonostante le roboanti dichiarazioni dei media (che parlarono del sequestro di mezzo chilo di hashish, di siringhe ed eccitanti, e di decine di giovani in stato confusionale), l’operazione Barcone del 21 marzo 1970 si conclude, stando agli atti ufficiali, con il “rinvenimento” di un misero mezzo grammo di hashish. Tra i novanta arrestati, una sola persona risulta avere effettivamente assunto sostanze stupefacenti.

 

   Punto due: il capitano Giancarlo Servolini, direttore del Nucleo antidroga, era un noto agente del SID[11].

 

   Punto 3: Servolini e i suoi uomini si sarebbero dedicati a una nuova, incredibile missione, quella di intensificare le azioni repressive contro i consumatori di droghe leggere e preparare il terreno per la diffusione di quelle pesanti, a cominciare dalla morfina.

 

   Nell’aprile del 1975 Paese Sera e L’Espresso pubblicarono una lunga e clamorosa accusa di Roberto Canale, uno dei tanti arrestati dal Nucleo antidroga: “Quando sono uscito dalla prigione, nell’inverno del 1972, Roma non era più la stessa. Trastevere era completamente rovinata, Campo dè Fiori piena di spie, mafiosi. Quando sono entrato in carcere, a Roma c’era qualche “bucomane”: sballati che si facevano l’anfetamina; oppio o morfina nei giri di Trastevere e Campo dè Fiori non se ne vedevano quasi mai. Adesso arrivo sulla piazza e vedo dei ragazzi che vendono pastiglie di morfina davanti a tutti, come se fossero sigarette di contrabbando. “Ma non avete paura?”. Alcuni li conoscevo, erano ragazzi delle borgate. Si misero a ridere: “A te ne diamo gratis, prendila è molto buona”. Credevo che fossero gentili perché erano vecchi amici e io era appena uscito di prigione: mi sbagliavo. Facevano così con tutti: gratis o per duecento o trecento lire”. Da dove venivano quelle sostanze? Di nuovo Canale: “Se i carabinieri avessero fermato un tossicomane, Servolini gli avrebbe fatto lo stesso discorso: “Se lavori per noi ti diamo morfina gratis”. Dopo che ho cominciato a bucarmi, ho visto anch’io qualche volta questa morfina: era diversa da quella del Pakistan e si diceva che veniva dai laboratori farmaceutici che la fornivamo in dotazione esclusiva dell’esercito. La chiamavano Palfium[12].

 

   Il Palfium era, in effetti, una morfina sintetica lanciata sul mercato dall’industria belga alla fine degli anni Cinquanta: secondo le ricostruzioni della stampa alternativa, essa venne prodotta dall’Istituto chimico farmaceutico militare di Firenze, che lavorava soprattutto per le Forze Armate. Fu così che, grazie alla collaborazione di una sempre più numerosa pattuglia di “untori”. In pochi mesi si passò dalle pastiglie alle siringhe. Non uno spacciatore di morfina venne arrestato tra il 1972 e il 1973, mentre continuarono le azioni contro i consumatori di hashish e marijuana.

 

   Il 23 maggio 1973 il Corriere della Sera pubblica una clamorosa notizia riportata in un vademecum per turisti a stelle e strisce, distribuito dall’ambasciata statunitense a Roma: vi si legge: “I giovani americani non sanno che in Italia gli spacciatori di droga sono anche spie del Nucleo antidroga e vengono ricompresati in cambio di informazioni dettagliate sugli acquirenti/consumatori[13]. Nel suo libro Eroina Bruno Blumir, un esperto del fenomeno scrisse: “Dal febbraio 1973, il Centro antidroga del Comune di Roma a ricevere i primi casi di intossicazione da morfina: nel settembre 1974, è possibile are i conti. Sono passati dal Centro centosessanta giovani, tutti consumatori abituali di oppiacei; nel 1970, su centoquantadue tossicomani trattati dal Centro, nessuno era morfinomane o eroinomane, tutti erano farmacodipendenti da psicofarmaci”, la grande svolta arriva nell’inverno tra il 1974 e il 1975, quando la morfina viene soppiantata da una nuova sostanza: l’eroina[14].

 

   Ancora Blumir: “I mafiosi dell’eroina controllano una quota del mercato della droga leggera; bon hanno nessuna difficoltà a fingere una carestia della merce o ad alzare artificiosamente il prezzo; contemporaneamente, immettendo sul mercato eroina a basso prezzo o semigratuita, si compie un’operazione promozionale verso i “neofiti” della droga, le migliaia di ragazzi che si avvicinano al mercato nero per provare la droga. Nella misura in cui questi ragazzi ignorano i pericoli dell’eroina, o hanno un’immagine confusa della droga in generale, non esistono resistenze specifiche all’uso di eroina. Inoltre, la migliore pubblicità è quella del prezzo basso: ciò è particolarmente vero per i giovani operai, proletari e sottoproletari. Nell’inverno ’74-75, nelle grandi città operaie come Torino e Milano, quello del prezzo è il fattore chiave con cui vengono agganciati i giovani operai[15].

 

   La nuova rivoluzione psicotropa venne supportata “esternamente” dai militari del Nucleo antidroga, che tra il novembre del 1973 e il gennaio del 1974 arrestarono circa duemila consumatori di hashish e marijuana. Fu l’estrema, provvidenziale retata; il dominio dell’eroina ì, da allora in poi, sarà tremendo e totale. Esso provocherà, negli anni successivi, decine di migliaia di vittime.

 

   Per capire chi potrebbero essere i registi occulti di questa operazione bisogna reimmergersi nelle nebbie gelide dei monti Vosgi. Fu lì, nel corso di una delle più misteriosa riunione degli anni Settanta, che vennero pronunciate le tre parole che avrebbero insanguinato un’intera generazione: operazione Blue Moon. Ovvero la campagna segreta dei servizi segreti che permise la diffusione delle droghe pesanti tra i giovani dell’Europa occidentali.

 

   A questa riunione partecipò Roberto Cavallaro, agente del SID ed ex militante della Rosa dei Venti. In questa riunione egli operava un agente sotto copertura del SID. Già prima di allora, fingendosi era riuscito a infiltrarsi in una delle più potenti organizzazioni strutture segrete operanti in Italia: i Nuclei di difesa dello Stato, che riunivano sotto la propria bandiera estremisti di destra e vertici della finanza, delle istituzioni e delle Forze Armate, e che avevano come obiettivo programmatico il ripristino dell’ordine tramite la destabilizzazione golpista.

 

   Rivelerà Cavallaro: “I Nuclei di Difesa dello Stato si muovevano nell’ottica della realizzazione del Piano di sopravvivenza, e cioè, in sostanza, eseguivano le tecniche di controllo del territorio, di guerra psicologica e di attivazione e concreto addestramento, sia in funzione di resistenza a un’invasione de mutamento del quadro istituzionale, che era la parte più vera significativa della sua esistenza[16].

 

   Il ruolo dei Cavallaro all’interno dell’organizzazione era apparentemente indefinito non doveva sabotarne le operazioni, dove piuttosto osservare con attenzione, prendendo contatto con i vari leader del gruppo e monitorandone le iniziative. Cavallaro lavorò alla sua missione, fino a che, nel novembre 1973 in seguito al rocambolesco rinvenimento di un dossier segreto nel quale compariva il suo nome, venne clamorosamente arrestato dai carabinieri. La situazione era paradossale: Cavallaro lavorava per un ordine dello Stato, su mandato del quale si era infiltrato in un’organizzazione, che era guidata – seppur segretamente – da importanti generali e influenti politici, i quali si proponevano di “salvare” l’Italia dalla “sovversione comunista”. Nonostante ciò, egli veniva ammanettato dai militari dell’Arma, ovvero da un altro organo dello Stato. Cavallaro resistette in silenzio per oltre due mesi. Poi, un giorno di febbraio del 1974, stremato dall’isolamento e sentendosi ormai abbandonato dai suoi protettori, chiese un incontro con il giovane giudice istruttore che stava seguendo il suo caso, fece: “Lei potrà non credere a quello che le dirò, ma sappia che si tratta di questioni significative. La prego di non sottovalutarle”. Il giudice si chiamava Giovanni Tamburino. Fu così, partendo dalla stesura di quel primo verbale, che ebbe inizio una delle inchieste più eclatanti degli anni Settanta: quella della Rosa dei Venti[17].

 

   Nel 1972 Aginter Presse era al culmine della sua parabola.

 

   Cosa era Aginter Presse?

 

   L’esistenza al grosso pubblico di questa struttura avvenne nel 1974.

 

   Il 25 aprile 1974 il Portogallo con la “rivoluzione dei garofani” si libera del gioco di mezzo secolo di fascismo.

 

   Il 23 maggio 1974, a Lisbona, un commando di fucilieri di marina agli ordini del tenente Matos Moniz fa irruzione nei locali di un’agenzia si stampa al numero 13 di rua das Pracas, una strada tranquilla del quartiere residenziale     Bairro de Lapa, sopra il Tago. Il giorno prima un funzionario della PIDE, l’ex polizia politica del regime salazarista, interrogato nel forte di Caxias dagli ufficiali del Movimento delle forze armate, ha rivelato che dietro l’agenzia Aginter Presse si celava una centrale di informazioni lavorava per la PIDE.

 

   Per penetrare nell’agenzia i fucilieri della marina devono sfondare una parte blindata di serrature di sicurezza. Il quartiere è in fermento, la caccia ai torturatori della PIDE mobilita la popolazione, e la voce si è sparsa. Parecchie decine di abitanti circondano il palazzo.

 

   Nei locali dell’agenzia è rimasto un solo impiegato. Non sa un granché, l’agenzia ha sospeso l’attività da diversi mesi.

 

   Dal 25 aprile le telefonate si sono diradate, poi sono cessate, l’impiegato viene soltanto a ritirare la corrispondenza.

 

   Gli uffici dell’agenzia sono nell’ammezzato, in un modesto appartamento di quattro locali. Il primo, che fungeva da redazione, contiene una biblioteca, qualche scrivania e delle macchine da scrivere.

 

   Le due stanze su cui si affaccia ospitano gli archivi. L’ultimo locale   è un laboratorio per fabbricazione di microfilm. Tutto è in ordine, le carte sono al loro posto sulle scrivanie. Nessun segno di fuga precipitosa. Come se si fosse lavorato fino al giorno prima. Perquisendo l’appartamento, il commando fa diverse scoperte stupefacenti. Il laboratorio è in realtà un’officina di fabbricazione e stampa di falsi documenti francesi, spagnoli e portoghesi: passaporti, carte di identità, tessere da giornalista e da poliziotto, patenti di guida, certificati di assicurazione ecc. c’è anche un’impressionante collezione dei visti che vengono rilasciati alle principali frontiere europee e di timbri francesi della prefettura parigina di polizia, delle prefetture dipartimentali, della gendarmeria nazionale, delle regioni militari. Non manca nemmeno una serie di campioni di firme di diplomatici e ufficiali superiori francesi.

 

    Proseguendo la loro indagine, i fucilieri di marina portoghesi passano a interessarsi degli archivi. Contengono documenti, ritagli stampa e microfilm disposti in perfetto ordine in classificatori divisi per continente e paese: America del Sud, Africa, Francia, Italia, Germania occidentale, ecc. Tutti questi documentali, queste “note confidenziali”, sono in francese. I libri contabili dell’agenzia, tenuti in uno stile laconico dicono poco al commando: lunghe colonne di nomi, quasi tutti in francese, seguiti da somme in franchi.

 

   In questi archivi, il tenente Moniz scopre diversi schedari: un elenco degli abbonati alle pubblicazioni dell’agenzia, uno degli impiegati e collaboratori e un terzo schedario, estremamente ricco e misterioso, che portava la dicitura Ordre et Tradition. Le singole schede riportano il curriculum vitae preciso di ogni militante e le sue idee politiche: fascista, nazionalista anticomunista, nazionalista rivoluzionario, ecc.  Sono citate anche le organizzazioni politiche di cui fa o ha fatto parte per esempio “ex OAS”. I più misteriosi sono i francesi, ma si trovano pure spagnoli, portoghesi, italiani, britannici, svizzeri, statunitensi e sudamericani, oltre che transfughi dai paesi dell’Est. Alcuni sono nomi noti altri no.

 

   Il commando portoghese ha scoperto il quartier generale di una centrale fascista internazionale diretta da ex ufficiali dell’OAS, il cui capo non è altri che Guérin Sérac, l’uomo che il SID in un appunto del 16 dicembre 1969 accusa di essere la mente degli attentati del 12 dicembre 1969[18].

 

   Ai documenti di questa agenzia di stampa un po’ speciale si interessa ben presto la Commissione per lo smantellamento della PIDE; l’inchiesta, nell’estate 1974, viene affidata a un suo membro, il comandante di marina Costa Coreia, poi, qualche mese dopo, all’SDCI (Servizio di acquisizione dell’informazione), i nuovi servizi d’informazione portoghesi dipendenti dalla Quinta divisione, l’ufficio informazione e propaganda del Movimento delle forze armate.

 

   Secondo i risultati di questa inchiesta Aginter era fino al 25 aprile 1974 un centro di sovversione fascista internazionale finanziato dal governo portoghese e da ambienti di estrema destra francesi, belgi, sudafricani e sudamericani.

 

   Dietro l’agenzia di stampa si celavano:

–         Un centro spionistico coperto dei servizi segreti portoghesi e legato, loro tramite, ad altri servizi segreti occidentali: la CIA, il KYP greco, la DGS spagnola, il BOSS sudafricano, le reti tedesco-occidentali Gehlen ecc.;

–         Un centro di reclutamento e addestramento di mercenari e terroristi specializzato in attentati e sabotaggi (documenti scoperti negli archivi assicurano un vero e proprio insegnamento teorico e pratico in materi di guerriglia, terrorismo e spionaggio);

–         Infine, un’organizzazione fascista internazionale denominata Ordre et Tradition e il suo braccio militare, l’OACI (Organisation d’action contre le communisme international).

 

   L’Agenzia internazionale di stampa Aginter Presse viene fondata nel settembre 1966 a Lisbona da un gruppo di francesi che vivono in Portogallo.

 

    Il suo direttore, Ralf Guérin Sèrac, era arrivato nella capitale portoghese del 1962. Allora si chiamava Yves Guillou. Era capitano dell’esercito francese e il prototipo dell’ufficiale perduto, nato nel 1926 a Plouzbere, in Bretagna, in una famiglia molto cattolica, nel 1947 entra nell’esercito. Nel 1951 serve nel corpo di spedizione francese di Corea, il che gli valse la medaglia delle Nazioni Unite e la Bronze Star americana; poi, nel 1953, combatte nei Berretti neri in Indocina, dove guadagna due ferite, la Legion d’onore a 27 anni, la croce di guerra con citazione ecc. Infine, è l’Algeria.

 

    Nominato capitano il 1° aprile 1959, Guillou viene assegnato all’undicesimo choc, un corpo di paracadutisti messo a disposizione dell’ufficio “azione” dello SDECE (Service de documentation extérieure et de contre-espionnage), i servizi segreti francesi. Nel febbraio 1962 diserta e, dopo aver abbandonato il suo posto al terzo commando dell’11° choc a Orano, all’OAS. Del suo ruolo nell’esercito clandestino non si molto, che è alla testa di un commando nella regione di Orano. Nel giugno 1962, alla dichiarazione d’indipendenza dell’Algeria, si rifugia dapprima in Spagna e in seguito offre i suoi servigi all’ultimo impero coloniale che rappresenta ormai, per il francese, l’estremo baluardo contro il comunismo e l’ateismo: l’ateismo.

 

   A Lisbona Yves Guillou prende contatto con ambienti dell’immigrazione francese, alcuni membri dell’OAS che hanno scelto anche loro come rifugio la capitale portoghese e soprattutto un gruppo di ex pétainisti costretti dopo la liberazione all’esilio, per esempio il teorico nazionalista Jacques Ploncard d’Assac, il professor Jeane Haupt e qualche altro. Questa piccola comunità di fascisti dispone di una propria stampa e di proprie trasmissioni in lingua francese alla radio La Voix de l’Occident.

 

   Il capitano Guillou si chiama Ralf Guérin Sérac sarà dapprima ingaggiato come istruttore della Legione portoghese, un’organizzazione paramilitare che, creata nel 1935 sul modello delle SA tedesche e delle Camice nere italiane, a fianco della PIDE costituisce con i suoi 90.000 volontari in camicia verde il principale sostegno del regime fascista di Lisbona.

   In seguito, Guérin Sérac viene reclutato come istruttore delle unità antiguerriglia dell’esercito. Per diversi anni metterà quindi a profitto dei fascisti portoghesi l’esperienza di spionaggio e terrorismo acquisita nei reparti d’assalto in Indocina e Algeria e nell’OAS.

 

   Per incarico della PIDE e del Ministero della “Difesa” portoghese assieme ad altri ex membri dell’OAS che si erano rifugiati in Portogallo creerà una rete informativa in grado di operare nei paesi africani che ospitano i movimenti di liberazione delle colonie portoghesi. È a questo scopo che Guérin Sérac mise in piedi un’agenzia di stampa che servisse da copertura a un’organizzazione incaricata di infiltrarsi nei paesi africani.

 

   In realtà Aginter serve come doppia copertura, da un alto alle operazioni effettuate per conto dei portoghesi, dall’altro all’organizzazione politico-militare creata da Guérin Serac

Ordre et Tradition, e al suo braccio armato l’OACI.

 

   Sin dalla loro fondazione Aginter e Ordre et Tradition ricevono una calorosa accoglienza negli ambienti di estrema destra europei. Nel gennaio e alla fine di aprile del 1967 si tengono a Lisbona organizzate da Ordre et Tradition due riunioni internazionali. Alla prima partecipano rappresentanti di movimenti fascisti portoghesi, francesi, spagnoli, svizzeri, svedesi, tedeschi, argentini, e paraguaiani; alla seconda erano presenti esponenti dell’estrema destra belga, britannica e italiana (Ordine Nuovo). Aginter Presse può mettere in piedi una rete di informatori e corrispondenti. L’agenzia ha già ricevuto a questo scopo un aiuto prezioso dalla stazione radiofonica La Voix de l’Occident, il cui direttore dei programmi, Maria de Paz, ha messo a disposizione di Aginter tutti gli schedari e le informazioni in possesso della radio. Inoltre, l’agenzia ha ottenuto lo schedario di Agora la più importante rivista fascista portoghese.

 

   Per non dipendere completamente dai portoghesi, Guérin Sérac, e il suo gruppo prendono contatto anche con il governo sudafricano (loro intermediario è l’addetto stampa dell’ambasciata di Pretoria a Lisbona), il governo brasiliano e i governi della Rhodesia, del Vietnam del Sud e della Cina nazionalista.

 

   Aginter ha stretti legami, inoltre, con gli ambienti del cattolicesimo integralista. In Vaticano Ordre et Tradition può contare solide protezioni

 

   Torniamo adesso a Roberto Cavallaro e alla riunione sui monti Vosgi. Si era reso conto che quella riunione riservatissima, alla quale era stato invitato, era in parte presieduta da uno strano gruppo di “portoghesi” con l’accento francese.

 

  Buona parte degli incontri furono dedicati tema della guerra non ortodossa e sotterranea.

 

   Furono analizzate le situazioni dei di versi stati europei per quanto riguarda l’Italia, in questa riunione la situazione del paese era ritenuta instabile, poiché la fedeltà atlantica poteva essere compromessa, per questo motivo bisognava normalizzare la situazione interna del paese riducendo la forza di impatto della sinistra.

 

   Cavallaro ebbe l’impressione che a questa riunione partecipavano esponenti dei servizi segreti d’oltrecortina. In sostanza pensa che vi sia stata in quel periodo, un accordo tra Occidente e Oriente al fine di reprimere in patria, le rispettive dissidenze.[19]

 

   Ma se l’Europa doveva essere pacificata, ma in che modo? Fu In quest’ottica che gli organizzatori dell’assise cominciarono a parlare di un immenso piano operativo, le cui conseguenze sarebbero state ben presto sotto gli occhi si tutti: l’operazione Blue Monn.

 

   Dice a proposito Cavallaro: “L’operazione Blue Monn aveva uno scopo molto semplice. Si trattava di fiaccare la combattività dei movimenti studenteschi europei attraverso l’introduzione delle sostanze stupefacenti nel mondo giovanile. Si parlò di un processo programmato, nel senso che sarebbero stati i servizi di sicurezza a stabilire quali sostanze sarebbero state utilizzate, e quali quantità. La regia non era europea, ma statunitense: le direttive provenivano direttamente da Washington. Non si trattava di un piano per il futuro, e neppure mere ipotesi strategiche. L’operazione Blue Monn, a quanto ci fu fatto capire durante quell’incontro, era già perfettamente in atto[20].

 

   A metà degli anni Settanta quando Bruno Blumir e agli attivisti della controinformazione avevano iniziato a redigere i loro dossier, le rivelazioni di Roberto Cavallaro erano ancora lontane. Eppure, gli scenari, il coinvolgimento dei servi<i in operazioni legate al traffico di droga, erano già delineati. Il capitano Giancarlo Servolini non era forze un uomo del servizio segreto militare? E il Palfium la morfina sintetica non veniva forze prodotto nei laboratori delle Forze Armate? Non è forse vero, stando alle ricostruzioni dei militanti della controinformazione, che i primi spacciatori di morfina lavoravano per conto e con la protezione delle forze dell’ordine?

 

   Quale fu il ruolo di Aginter Press nello sviluppo dell’operazione Blue Moon? Che compiti ebbero gli uomini di Guérin Sérac? A queste risposte cercheranno di rispondere, nel 1996, i carabinieri del Reparto eversione, su mandato del giudice Salvini. Ne scaturirà un lungo documento di centodiciotto pagine dal titolo decisamente impegnativo: Annotazione sulle attività di guerra psicologica e non ortodossa (psycological and low density warfare) compite in Italia tra il 1969 e il 1974 attraverso l’Aginter Presse[21].

 

   Studiando i documenti desegretati dall’amministrazione Clinton, gli investigatori dell’Arma cercheranno di ricostruire il lungo rapporto tra i servizi segreti USA e le sostanze psicotrope, a cominciare dalla famigerata operazione MK-ULTRA, autorizzata dalla CIA nel 1953. Lo scopo era semplice: testare gli effetti delle droghe sulla mente umana, al fine di ottenere il controllo mentale sugli agenti nemici. Il piano prevedeva sperimentazioni a tappeto su cavie inconsapevoli, che venivano selezionate nei college, negli ospedali e nelle prigioni.

 

   Con l’avvento della contestazione, l’intelligence di Washington, stando ai documenti, avrebbe iniziato a teorizzare la possibilità di indirizzare le sostanze stupefacenti come forma di controllo della rivolta.

 

   Scrivono i carabinieri del Reparto eversione nel loro rapporto: “L’uso dell’LSD, frutto di un ventennio di sperimentazioni è ben chiaro in un documento Cia del 4 settembre 1970, ove, a fronte della impressionante estensione della protesta studentesca per la guerra del Vietnam, il Dipartimento della difesa suggerisce nuovi metodi di contenimento della violenza politica. Vi si afferma che la tendenza dei moderni metodi di polizia e bellici è quella di incapacitare reversibilmente e demoralizzare, piuttosto che uccidere, il nemico. Si sostiene che con l’avvento di potenti prodotti naturali, droghe psicotrope e immobilizzanti, sia nata una nuova era nei metodi di applicazione della legge[22].

 

   Tutto ciò sembra confermare la ricostruzione secondo la quale l’invasione di droga tra i giovani negli anni Sessanta sarebbe stata programmata da organizzazioni come Aginter Presse con il rapporto dei servizi segreti, i primis quelli americani.

 

   Nel 1978, a Lucca, furono arrestati cinque militanti di Azione Rivoluzionaria, un gruppo di ispirazione anarchica. Nelle tasche di uno di loro venne ritrovata una mappa dettagliatissima di un campo militare libanese, con tanto di parola d’ordine d’ingresso. Da dove proveniva quei fogli? Sal carcere di Bologna, e più precisamente dalla cella di prigioniero americano: il quarantenne Ronald Hadley Stark.

 

   Stark, era stato arrestato nel 1975 in un albergo del capoluogo emiliano, dove risiedeva sotto falso nome, con indosso ingenti quantitativi di droga e documenti contraffatti. Aveva oltre venti pseudonimi, di cui quattro italiani. Diceva di essere nato in Palestina e negli ultimi tempi approfittando della detenzione, aveva stretto rapporti con i leader della Brigate Rosse, a cominciare da Renato Curcio. Eppure, Ronald Stark, era tutto fuorché un comunista. Avrebbe lavorato sotto copertura per conto della CIA, anche la cosa non è mai stata provata. Ci sono tuttavia alcuni dati certi – come riportato dal dossier del Reparto eversione – che “la sua appartenenza, negli anni 1960-’62, al Dipartimento della difesa degli Usa. (…) Un tessuto di rapporti con autorità diplomatiche e consolari statunitensi anteriori alla sua detenzione, ma mantenuti durante la stessa; il periodico versamento in suo favore di somme di denaro proveniente da Fort Lee, conosciuta come sede della Cia; che il passaporto inglese, non falsificato, di cui era in possesso, non risulta né smarrito né rubato al suo apparente titolare[23].

 

  Uno degli uomini arrestati con Stark, tale Franco Buda rivelerà alle forze dell’ordine una serie di altre informazioni: dirà, per esempio, che l’americano era un noto trafficante di droga, che ricchissimo e aveva a disposizione ogni genere di sostanza, a partire dalla famigerata STP[24], che per alcuni era l’anagramma di Super Terrific Psychedelic e si diceva cento colte più potente dell’LSD. Buda aggiunse poi che Stark veniva finanziato da un’organizzazione per forzare una tipica controcultura con gli acidi.  

 

   Tentativi di infiltrazione nella sinistra rivoluzionaria, contatti organici con il mondo dei servizi segreti, traffico di droga: è un modulo piuttosto consolidato. Chi era veramente Ronald Stark? Scavando negli archivi, i militari dell’Arma riesumano una vecchia intervista allo scienziato Tim Scully[25], che era diventato un militante del movimento psichedelico e paladino dell’LSD. Negli anni Sessanta Scully aveva aderito alla Fratellanza dell’amore eterno, la cosiddetta “mafia hippy”: un’organizzazione californiana con legami con l’estrema sinistra che propugnava la proliferazione delle sostanze psichedeliche attraverso l’istituzione di un network internazionale di produttori.

 

   Scrivono i carabinieri: “Secondo Scully, nel 1969 un emissario di Stark si presentò a Willi Mellon Hitchcock, altro esponente della cultura psichedelica, in possesso di notevoli disponibilità finanziarie. L’emissario si presentò come inserito in una grossa operazione francese concernente l’Lsd e Hitchcock, molto vicino alla Fratellanza, lo presentò ai dirigenti dell’organizzazione”[26]. Stark arrivò all’incontro portando con sé un chilogrammo di LSD purissima, affermando di avere scoperto un metodo nuovo e veloce per produrre sostanze ad altissimi standard qualitativi. La cosa dovette impressionare non poco gli astanti, perché da allora in poi – e fino allo scioglimento dell’organizzazione, nei primi anni Settanta – Stark ricoprì il ruolo di “manager finanziario per le operazioni illecite della Fratellanza”.

 

   Si legge nel documento redatto dagli investigatori dell’Arma: “Stark aveva interessi in ogni continente, e si muoveva di mantenere svariate identità con l’impressionante capacità di mantenere compartimentata ciascuna di esse. Sosteneva di sapere esattamente ciò che avveniva nel mondo dello spionaggio e diceva di conoscere molti agenti. Alcuni dei suoi amici, presentati alla Fratellanza, si vantavano di essere lavorare per la Cia. Egli spiegò di aver dovuto cessare un’operazione francese per odirne della Cia nel 1971[27].

 

   Più o meno nello stesso periodo, il misterioso trafficante aprì a Bruxelles un laboratorio segreto nel quale produsse, nel giro di due anni, ben venti chilogrammi di LSD, pari a cinquanta milioni di dosi. Il laboratorio – come appuntato dai carabinieri – fu perquisito nel 1972 dagli agenti del BNDD (l’agenzia USA che si occupa della lotta agli stupefacenti), il braccio destro di Ronald Stark, il chimico Richard Kemp, venne arrestato nel 1977 da Scotland Yard: fu in seguito dimostrato che era il responsabile del cinquanta per cento della produzione mondiale di LSD nella metà degli anni Settanta[28].

 

   Dopo i vari tentativi di infiltrazione nella sinistra rivoluzionaria italiana, Ronald Stark si ritirerà nelle Antille, dove morirà in circostanze mai chiarite nel 1984, nel 1984.

 

 

   

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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[1] Daniele Biacchessi, Fausto e Iaio La speranza muore a diciotto anni, Baldini<<<6Castoldi s.r.l., Milano, 2015, seconda edizione, p. 65.

[2]                                                                   C.s. p.68

[3]                                                                 C.s.  p.70 

[4]   Parte civile per la famiglia Tinelli.

[5] Intervista resa a Daniele Biacchessi nel 1995.

[6]                                         C.s.

[7] https://it.wikipedia.org/wiki/Movimento_di_Azione_Rivoluzionaria

[8] Daniele Biacchessi, Fausto e Iaio La speranza muore a diciotto anni, Baldini<<<6Castoldi s.r.l., Milano, 2015, seconda edizione, p.78

[9] Stefania Limiti, Poteri occulti, Rubbettino Editore, 2018, P.e. 27-28.

[10] La demonizzazione degli spinelli, a conti fatti, aprì la strada all’avvento delle droghe pesanti. Era il cosiddetto “effetto scare”, l’effetto terrore, che il direttore della Do It Now Foundation, Victor Pawlak, riassumerà in queste parole: “Nella storia della droga in America abbiamo visto che il consumo di certe sostanze ha avuto dei picchi provocati, praticamente ogni volta, da qualche campagna di stampa che ha provocato il panico nella popolazione adulta e una curiosità artificiale nella popolazione giovane”.

[11] Servolini avrebbe partecipato, di lì a pochi mesi, al tentato golpe di Junio Valerio Borghese (il cui proclama alla nazione parlava esplicitamente di un’Italia “popolo di drogati, devastata dagli stupefacenti e dal comunismo”).

[12] Andrea Seresini, INTERNAZIONALE NERA la vera storia della più misteriosa organizzazione terroristica europea, Chiarellettere, Milano, 2017, P.e 72-73.

[13]                                                    C.s. p. 74

[14] Guarda caso coincide il periodo con lo sviluppo dei mari movimenti di lotta nei vari strati sociali della società e alla radicalizzazione della lotta di classe e dell’autonomia proletaria (nel 1972 ci fu l’occupazione della FIAT da parte degli operai).

[15] Andrea Seresini, INTERNAZIONALE NERA la vera storia della più misteriosa organizzazione terroristica europea, Chiarellettere, Milano, 2017, P.e 74-75.

[16]                                                   C.s.  p. 77

[17] L’organizzazione Rosa dei Venti, sulla quale si concentrarono le indagini di Tamburino, era solo una branca dei Nuclei di difesa dello Stato. Il gruppo eversivo venne sgominato in seguito alla cattura di Cavallaro e alle sue rivelazioni, che portarono all’arresto dell’ufficiale veronese Amos Spiazzi, indicato dagli inquirenti come uno dei leader operativi della struttura. Le indagini giunsero a coinvolgere, tra gli altri anche il capo del SID, il generale Vito Miceli, e alcuni tra i massimi esponenti delle Forze Armate. Addirittura, si giunge a ipotizzare l’incriminazione del presidente statunitense Richard Nixon, i cui uomini avrebbero retto le fila dell’intero complotto. In seguito, il procedimento fu trasferito a Roma, dove fu accorpato al processo per il golpe Borghese: alla fine, tutti gli imputati furono assolti.

[18] https://leg13.camera.it/_dati/leg13/lavori/doc/xxiii/064v02t02_RS/00000027.pdf

https://www.jstor.org/stable/20567007

[19] Andrea Seresini, INTERNAZIONALE NERA la vera storia della più misteriosa organizzazione terroristica europea, Chiarellettere, Milano, 2017, P.e 79 -81.

[20]                                             C.s. P.e.81-82.

[21] (PDF) Annotazione sulle attività di guerra psicologica e non ortodossa – DOKUMEN.TIPS

https://drive.google.com/file/d/0B7srLT3vW5cadTJocUJKT1RjUlE/view?resourcekey=0-V_wzUU3OZvv9bjmTXI4nGg

[22]                                           C.s.

[23]                                          C.s.

[24] Il DOM, chiamato anche STP, deriva dal trattamento chimico di composti anfetaminici con la mescalina. Si presenta sottoforma di polvere incolore e inodore ed è confezionato in compresse e capsule di varie dimensioni. https://www.carabinieri.it/in-vostro-aiuto/consigli/questioni-di-vita/tossicodipendenza-da-sostanze-stupefacenti/le-principali-droghe#:~:text=Il%20DOM%2C%20chiamato%20anche%20STP,e%20capsule%20di%20varie%20dimensioni.

 

[25] Robert “Tim” Scully (1944-) è un ingegnere informatico americano, meglio conosciuto nell’underground psichedelico per il suo lavoro nella produzione di LSD dal 1966 al 1969, per il quale è stato incriminato nel 1973 e condannato nel 1974. https://en.wikipedia.org/wiki/Tim_Scully

[26] Andrea Seresini, INTERNAZIONALE NERA la vera storia della più misteriosa organizzazione terroristica europea, Chiarellettere, Milano, 2017, P. 86.

[27]                                                             C.s. P. 87.

[28] https://guidosalvini.it/wp-content/uploads/2018/10/LAginter-Press-e-il-Piano-Caos-relazione-ROS-Carabinieri-Roma-26-luglio-1996.pdf

QUALCHE RIFLESSIONE

•aprile 6, 2024 • Lascia un commento

   Il controllo tramite onde elettromagnetiche viene usato sia in situazioni di forti mobilitazioni di massa, oltre che per esperimenti individuali.

   L’imperialismo sta usando il fenomeno conosciuto come “sindrome dell’Avana” per alimentare l’odio contro i russi, e dimostrane “l’aggressività”.

  Voglio spiegarmi meglio quando affermo quando affermo che è in atto una lotta per l’egemonia.

   Come premessa bisogna prendere atto che l’egemonia dell’imperialismo USA è stata essenziale per creare il mercato mondiale capitalistico. Questa egemonia è fondamentale per la sopravvivenza del modo di produzione capitalistico. Infatti, il mercato mondiale capitalistico è nato come sviluppo dell’imperialismo e proprio nel momento in cui la lotta tra i vari paesi imperialisti si è risolta con il predominio di uno solo di essi (gli USA), il quale hanno potuto funzionare sia come mercato di consumo in ultima istanza per tutta la produzione mondiale (assieme a quelli satelliti europeo, giapponese e australiano), sia, di conseguenza, fornendo al mercato il succedaneo della “moneta mondiale”, il dollaro, che li autorizza, per il bene di tutto il mercato mondiale, a emettere denaro a go-go e gonfiare deficit e debiti.

   In buona sostanza, mi pare di poter dedurre che il mercato mondiale capitalistico possa esistere solo a condizione che ci sia un paese che prevale su tutti gli altri e a cui tutti gli altri versino il proprio tributo (differenziato tra paesi imperialisti minori, paesi

semisviluppati, paesi sotto-sviluppati). Né la Russia, né la Cina vogliono, perciò, eliminare l’egemonia Usa, ma vorrebbero “unicamente” ridurre un po’ le sue pretese che danneggiano le proprie economie in quanto non le consentono di uscire dal semi-sviluppo, con le conseguenze che questo blocco allo sviluppo si trasformi in conflitti sociali al loro interno.

   Per eliminare l’egemonia Usa ci vorrebbe, perciò, qualche paese pronto a sostituirla. E questo non esiste. Ma, potrà prima o poi esistere?

   Secondo me, no. Gli Usa presero l’egemonia con la Seconda guerra mondiale, perché erano il paese meno distrutto, ma anche quello che aveva realizzato il sistema integrato più altamente produttivo di tutto il mondo. Aveva l’egemonia sulle forze più altamente produttive, aveva capitali da investire ovunque e una moneta in grado di assurgere a “moneta mondiale”.

   La Cina, per eguagliare gli Usa, dovrebbe, tanto per dire, ridurre i suoi 600 milioni di contadini (che sono una “zavorra” pesantissima sulla produttività generale del sistema capitalistico cinese) a non più di 30 milioni. Per non parlare di tutto il resto.

….

   Se gli Usa crollassero, crollerebbe tutto il mercato mondiale capitalistico, e, forse, il capitalismo stesso. Putin e Xi ne sono consapevoli, ma, allo stesso tempo, non possono evitare di esigere di pagare un tributo inferiore ai privilegi spropositati degli Usa e dei loro satelliti. Questo conflitto diventerà, secondo me, sempre meno componibile con compromessi di varia natura, e, inoltre, è molto probabile che assuma sempre di più i caratteri di un’alleanza tra tutto il resto del mondo per uscire dal blocco dello sviluppo imposto e costantemente coltivato dall’imperialismo Usa ed europeo.

IL RUOLO DEI POTERI OCCULTI

•marzo 27, 2024 • 2 commenti

   I cosiddetti poteri occulti sono una realtà ingombrante e insidiosa. Solo per limitarsi all’Italia le inchieste della magistratura e del Parlamento si sono occupate delle attività illecite dei servizi segreti, delle trame terroristiche, della Loggia P2, della mafia.

   È mancata una visione d’insieme del fenomeno, dovuto in parte dalla ripugnanza di molti studiosi ad occuparsi di un argomento sfuggente e altamente inquinato.

   Questa ripugnanza non è del tutto negativa, giustamente si vede la storia, quella con la S maiuscola, è fatta dai grandi movimenti con le varie ispirazioni ideali, religiosi e politici, si studia la loro natura di classe e non certo l’opera di una minoranza di cospiratori. La teoria della cospirazione ha origine nel pensiero controrivoluzionario dei tempi della rivoluzione francese. Dalla presunta congiura di pochi philophes illuministi, alla trama massonica sottesa a tutti i grandi avvenimenti storici, sino all’invenzione della cospirazione ebraica per il dominio del mondo, divulgata dai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, e fatta propria dal nazismo e dal fascismo.

   Detto questo, non si può negare il ruolo che molti di questi che sono chiamati poteri occulti svolgono nelle società imperialiste. Prendere coscienza di questa realtà non significa modificare la propria concezione marxista della società e della storia, ma semplicemente tenere conto dei fatti, anche quelli più scomodi.

   È necessario innanzi tutto delimitare il campo della ricerca e definire i soggetti. Secondo Bobbio, la democrazia “è idealmente il governo del potere visibile, sotto il controllo della pubblica opinione”[1].

   Di conseguenza, secondo Bobbio (e del pensiero liberale borghese) il problema dei poteri occulti non si pone neppure, o si pone in termini radicalmente diversi, poiché solamente negli stati assoluti d’ancien regime e nelle dittature, tutta l’attività di governo appartiene agli arcana imperii ed è coperta dal più geloso segreto.

   In realtà, tutta l’esperienza storica delle democrazie borghesi testimonia la giustezza della tesi di Lenin, che la repubblica democratica è il miglior involucro politico possibile per il capitalismo, che gli apparati militari e burocratici si mantengono e si rafforzano a prescindere dai regimi politici, se il proletariato non riesce a spezzare la macchina dello Stato: “Questo potere esecutivo, con la sua enorme organizzazione burocratica e militare, col suo meccanismo statale complicato e artificiale, con un altro esercito di impiegati di mezzo milione accanto a un altro esercito di mezzo milione di soldati, questo spaventoso corpo parassitario che avvolge come un involucro il corpo della società francese e ne ostruisce tutti i pori, si costituì nel periodo della monarchia assoluta, al cadere del sistema feudale la cui caduta aiutò a rendere più rapida”.

   La prima rivoluzione francese sviluppò la centralizzazione “e in pari tempo dovette sviluppare l’ampiezza, gli attributi e gli strumenti del potere governativo. Napoleone portò alla perfezione questo meccanismo dello Stato”.

   “La repubblica parlamentare, infine, si vide costretta a rafforzare, nella sua lotta contro la rivoluzione, assieme alle misure di repressione, gli strumenti e la centralizzazione del potere dello Stato. Tutti i rivolgimenti politici non fecero che perfezionare questa macchina, invece di spezzarla”

“I partiti che successivamente lottarono per il potere considerano il possesso di questo enorme edificio dello Stato come il bottino principale del vincitore”[2].

   Lo Stato borghese, anche quello formalmente più democratica riposa sulla separazione e sulla estraneità del potere delle masse. Nella società capitalista, la democrazia è sempre limitata dal ristretto quadro dello sfruttamento capitalistico. La maggioranza della popolazione è esclusa dalla partecipazione alla vita politico-sociale. Tutti i meccanismi dello Stato borghese creano delle limitazioni che escludono le masse popolari dalla politica. Tutto ciò significa che se la socializzazione dei mezzi di produzione deve significare che la società emancipandosi dal dominio del capitale, diviene padrona di se e pone le forze produttive sotto il proprio controllo cosciente e condotto secondo un piano, la forma politica nella quale può compiersi quest’emancipazione economica del lavoro, non potrà che essere incentrata sull’iniziativa e l’autogoverno dei produttori.

  Torniamo a tentare di definire i poteri occulti. Nonostante la visione liberale afferma che la democrazia sia idealmente il governo del potere visibile, nella realtà l’esercizio concreto del potere comporta un’area opaca, ci sono momenti e funzioni coperti dal riserbo: segreti di ufficio, segreti militari. In una certa misura questa condizione vale anche per i partiti e le associazioni. Questo non significa che tutte le realtà politiche e associative siano “poteri occulti” altrimenti questa definizione perderebbe ogni significato reale.

   I poteri occulti sono definiti da tre requisiti principali:

  1. Il segreto, che copre tutto o in parte i membri, le azioni e talvolta gli stessi fini e addirittura l’esistenza dell’organizzazione;
  2. Il perseguimento autonomo di fini propri di potere, diversi o contrari al potere ufficiale;
  3. Il carattere chiaramente illegale dell’attività, e della stessa organizzazione occulta.

   Seguendo questi ragionamenti si può individuare i principali poteri occulti operanti in Italia:

  1. I servizi segreti nazionali, in quanto assumono il carattere di corpi separati, sottratti a ogni controllo politico reale e i servizi segreti stranieri che hanno agito sul territorio italiano con metodi illegali e spesso anche senza l’autorizzazione del governo italiano;
  2. Le logge massoniche segrete, come la P2;
  3. La grande criminalità organizzata come Cosa Nostra;
  4. Le organizzazioni terroristiche che hanno attuato la strategia della tensione (Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, ecc.).

   Due aspetti è necessario rilevare subito:

  1. La dimensione internazionale nella quale operano e sono organicamente inseriti;
  2. Il complesso dei rapporti che li lega, pur conservando ciascuno la propria autonomia.

   In termini più generali si potrebbe osservare che i poteri occulti rappresentano in una certa misura il rovescio difficilmente eliminabile del regime democratico borghese. Quanto più si estendono la democrazia di massa e le masse tentano di controllare la gestione del potere, tanto più aumenta la tentazione dei gruppi di potere di operare per vie traverse e coperte, per conseguire i propri fini, eludendo la volontà della maggioranza. Non è un caso che nell’analisi della Trilaterale sulla situazione della democrazia nei paesi imperialisti riteneva che ha partire dagli anni ’60 c’era stata un’offensiva egualitaria e democratica, dove lo Stato aveva ampliato le sue funzioni ma diminuito le sue capacità di scelta. Tutto ciò era causato dal sovraccarico di domande economiche, politiche e sociali che lo Stato non poteva rispondere. Da qui l’obiettivo diventava il recupero della governabilità.

   Se si aggiunge in un paese come l’Italia, dove ci sono e hanno il sopravvento gli interessi particolari delle varie corporazioni (pensiamo a realtà come notai e avvocati dove il mestiere si tramandano da padre e figlio) e il sistema politico è travagliato da una crisi morale e politica profonda, questi poteri occulti trovano terreno fertile.

   Spesso nella pubblicistica giornalistica si dice spesso che in Italia governano le caste (come sono definiti in maniera generica i politici eletti) se non addirittura le supercaste (i magistrati).

   Niente di più errato e fuorviante.

   In Italia si costituì nel secondo dopoguerra un autentico Sistema Criminale che occupò il paese.

   L’esistenza di un Sistema Criminale potrebbe apparire il frutto di persone malate di complottismo, ma un pentito di mafia caduto nel dimenticatoio Vincenzo Calcara, ne rilevò l’esistenza. Nel suo memoriale[3] rivela a Borsellino dell’esistenza delle cinque entità che occupano e influenzano la vita politica ed economica italiana: “L’unica persona che io ricordi all’esistenza di queste cinque Entità è stato Buscetta. Al di fuori di lui, nessun altro pentito ha voluto parlarne. In realtà, queste Entità possono essere pensate anch’esse come idee, forti e apparentemente indistruttibili. Per fare un esempio, è chiaro che l’idea di un palazzo è più importante del palazzo stesso: il palazzo può crollare, ma la sua idea non ne rimane scalfita. Quando si parla di Cosa Nostra e delle altre Entità ad essa collegate, bisogna tenere ben presente questo fatto: quello che conta è la qualità di queste idee.

Quella nobile grande idea di cui parlavo può essere allora definita come un’Idea Madre che racchiude al suo interno tutte le cinque Idee rappresentate dalle cinque Entità. Eccole:

Cosa Nostra.

‘Ndrangheta.

Pezzi deviati delle istituzioni.

Pezzi deviati della Massoneria.

Pezzi deviati del Vaticano (un 10% direi)”.

   I poteri occulti, non sono un residuo di un passato feudale, essi sono un fenomeno nuovo, specifico dell’età contemporanea che si sviluppa soprattutto con l’evoluzione delle forme di conflitto che si sono manifestate a partire dagli anni ‘50/’60 del XX secolo. Accanto alla guerra convenzionale, combattuta dagli eserciti regolari, si è, infatti, generalizzato il ricorso a forme di conflitto a bassa intensità militare (come il terrorismo) ma con grande efficacia politica, che sono in grado di evitare o limitare il rischio di una guerra aperta tra le potenze.

   In una fase la condizione di belligeranza endemica tra le potenze, causa il logoramento delle regole tradizionali della guerra e dei rapporti fra gli Stati. È questo il terreno privilegiato in cui si dispiega l’azione occulta dei servizi segreti, assunti a ruolo di protagonisti.

   In questo contesto, l’Italia zona d’importanza strategica decisiva nell’area mediterranea, ma anche con gli equilibri politici molto precari, si potrebbe definire il “ventre molle” della NATO, è particolarmente esposta a questo tipo d’interventi, diventando uno dei principali campi di battaglia. Una guerra combattuta dai diversi servizi segreti, coinvolgendo altri poteri occulti, come la mafia. Precisiamo, qui non si tratta di immaginare una specie di cospirazione universale, o un’unica centrale che manovra come pezzi su una scacchiera tutti i poteri occulti. Ciascuno di questi pezzi ha una sua autonomia, persegue i propri fini, o almeno si sforza di farlo.

   Nei servizi segreti si possono distinguere tre funzioni fondamentali, alle quali corrispondono in genere tre diverse sezioni di lavoro:

  1. Analisi delle notizie e studio delle situazioni;
  2. Raccolta e controllo delle informazioni per mezzo delle reti di spionaggio e controspionaggio;
  3. Operazioni clandestine volte ad interferire nella politica di altre nazioni (o anche del proprio paese).

   Le forme di questa attività clandestina (Cover Action secondo la classificazione della CIA), sono molto differenziate, e possono andare dal semplice finanziamento di partiti politici, giornali e gruppi editoriali, alla manipolazione delle notizie, alla corruzione e ricatto di personalità politiche, sino alle cosiddette operazioni speciali. Queste costituiscono il tipo più brutale e diretto di intervento, come l’assassinio politico, l’organizzazione o l’uso strumentale di gruppi terroristi, l’impiego di formazioni paramilitari.

   È appunto sul terreno dell’azione clandestina e in particolare nelle operazioni speciali, che si determina la connessione tra servizi segreti, associazioni criminali e organizzazioni terroristiche. Di norma nessun servizio di una grande potenza imperialista, si lascerebbe coinvolgere direttamente con i propri agenti in questo genere di attività sporche, col rischio di farsi cogliere con le mani nel sacco. Nel caso che l’operazione sporca sia scoperta è, infatti, essenziale che il governo responsabile possa opporre una smentita plausibile ad ogni accusa o sospetto coinvolgimento in un’azione illegale.

   In Italia che ha vissuto il periodo di quella che fu definita strategia delle tensione, si definiscono le stragi che sono avvenute da Portella della Ginestra in avanti come fasciste, mafiose o addirittura di Stato.

   Ritengo che queste siano definizioni parziali. Le stragi non furono solamente mafiose, fasciste o di Stato. Ritengo che il termine esatto sia di strage internazionale di marca USA. Non si deve dimenticare che l’Italia è inserita pienamente in un’alleanza politico militare (NATO) e in una rigidissima catena di comando polito e militare che ha negli USA e nei suoi apparati militari e servizi segreti la sua testa. Con questo non intendo ovviamente assolvere i servizi segreti italiani, i fascisti e i mafiosi. Furono certamente i servizi segreti italiani, in collaborazione con i fascisti e i mafiosi a partecipare attivamente alle stragi e ai successivi depistaggi. Tuttavia le stragi in un paese della NATO, che peraltro aveva perso l’ultima guerra e quindi era rigidamente sottomesso agli USA, furono certamente pianificate e dirette oltreoceano, dai servizi segreti americani e dalla NATO, che in Italia ha almeno un centinaio di basi (che sono sottoposte alla sola giurisdizione nord-americana, dove cioè non è possibile nemmeno una semplice ispezione di nessun organo dello Stato italiano).

   I motivi principali di queste stragi? Non c’è neanche da spiegare più di tanto. Fermare con tutti i mezzi l’avanzata del movimento operaio, la crescita delle sinistre, del PCI, del PSI, delle formazioni della sinistra rivoluzionaria, delle lotte operaie e studentesche del ’68-’69, di quelle parti della DC e del mondo cattolico che osavano manifestare una certa autonomia rispetto alla politica USA e alla conseguente divisione del mondo in due blocchi politico-militari. Spaventare, terrorizzare, intimidire per bloccare ogni cambiamento del Paese in direzione diversa da quella voluta dalla Borghesia Imperialista americana e italiana, per evitare di perdere il controllo sull’Italia nel lungo periodo della cosiddetta “guerra fredda” dopo la seconda guerra mondiale, per stabilizzare l’Italia nel sistema capitalistico e imperialistico, nell’alleanza politico-militare della NATO.

  A Milano si colpiva il cuore delle lotte operaie-studenti (e con il resto delle masse popolari) e la loro pericolosità per il sistema. Mentre a Bologna nel 1980 si colpiva la città del PCI.

   Ci si chiede perché proprio a Bologna e proprio nel 1980, cioè alla fine del compromesso storico, esperienza già fallita, morta e sepolta con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro e l’espulsione del PCI dall’area di governo? Che bisogno c’era di colpire ancora il PCI che era stato messo fuori dal governo del Paese?

   Ritengo che con la strage di Bologna si intendeva colpire la città simbolo del PCI, per dare un chiaro segnale al suo gruppo dirigente, entrando nelle sue dinamiche interne, in quegli anni dopo la sconfitta del compromesso storico e il rischio (per gli americani e la DC) che il Pci si ripiegasse su una posizione di “chiusura” alla francese o come i comunisti portoghesi. In sostanza con la strage di Bologna del 1980 si intendeva dire al PCI: o proseguite nel cambiamento della natura del partito, ovvero del passaggio dall’essere un partito revisionista (via pacifica al socialismo) a diventare un partito della sinistra borghese (che significa la rimozione a ogni riferimento al socialismo), di un cambiamento delle alleanze internazionali, della ragione sociale, il messaggi era: arrendetevi del tutto e passate di campo, oppure vi colpiamo con tutti i mezzi.  E vi dimostriamo tutta la nostra forza e il nostro cinismo. Vi colpiamo a Bologna e bombardiamo la sala di attesa di seconda classe piena di gente comune, di donne e bombe. La logica era quella del poliziotto buono e di quello cattivo. Il poliziotto buono che ti dà un bicchiere d’acqua e la sigaretta era il quotidiano Repubblica e tutto quel mondo politico contiguo al PCI, schierato contro l’asse Forlani-Craxi del preambolo anticomunista, che invitava il PCI a proseguire la via della legittimazione democratica borghese e (soprattutto) atlantica, avviata con il compromesso storico a superare il cosiddetto “fattore K”, a rompere definitivamente con l’URSS e il Movimento Comunista (che era in profonda decadenza per via dell’egemonia del revisionismo al suo interno), per poter accedere senza più ostacoli al governo del paese, per “sbloccare il sistema politico” (così allora si diceva), per togliere dal frigorifero (anche così di diceva) quel 30% di voti e per far sì che il PCI contasse veramente (perché “si conta solo dal governo e non dall’opposizione”), eccetera, eccetera. E c’era il poliziotto cattivo che diceva, dando il segnale in codice al gruppo dirigente del PCI: vedete cosa siamo capaci di farvi? Vi colpiamo duro nel punto di vostra forza, a Bologna, con una strage che è stata la peggiore strage di tutta l’Europa del dopoguerra. Il segnale era chiaro, chiarissimo per chi doveva intendere.

  La bomba alla stazione di Bologna dal mio punto di vista e seguendo una logica politica, fu una bomba della NATO, come quelle che caddero nel 1999 su Belgrado per spingere alla resa la Serbia, per uno scherzo del destino con gli eredi capitolardi del PCI al governo che autorizzarono l’uso delle basi italiane da cui partivano i bombardieri. Il PCI solo un anno dopo quella strage si arrese completamente, giungendo a dichiarare esaurita la spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre, simbolo evidente di rottura non tanto con l’URSS e il cosiddetto “socialismo reale”, già allora in crisi profonda, quanto con il comunismo e il Movimento Comunista che ha nella Rivoluzione d’Ottobre il suo codice genetico. Per il PCI quegli anni Ottanta, non senza contraddizioni e scontri interni (come lo scontro sulla Fiat, sulla scala mobile e sui missili americani a Comiso) furono gli anni che prepararono la Bolognina di Occhetto, dove si aprì la strada a ciò che poi divenne Pds, Ds, Pd, cioè alla completa omologazione liberista e imperialista della sinistra italiana, evidenziata oggi senza più nessun equivoco.

   Perciò per capire maggiormente gli avvenimenti nazionali bisogna vedere il contesto internazionali.

   Il crollo del revisionismo nei paesi dell’Est ha cambiato inevitabilmente gli equilibri anche nel mondo massonico, dove in passato le logge militari avevano assolto anche il compito di penetrazione e di controllo del territorio.

   All’inizio degli anni ’90 c’è stata una corsa a penetrare nei paesi dell’Est e le massonerie estere si sono trasformate in centri di affari.

   In questo periodo si è giocata sullo scacchiere internazionale una partita decisiva per la ridefinizione dei nuovi equilibri mondiali, e in particolare modo, europei, tra chi voleva un rilancio di un progetto della “casa comune europea” e chi, al contrario, progettava il rafforzamento dell’influenza degli USA nei territori che fino a poco tempo prima rientravano nella sfera del Patto di Varsavia.

   Tutto ciò nasce dal fatto che la crisi generale del capitalismo mette l’uno contro l’altro le maggiori potenze imperialiste. Ogni gruppo imperialista deve assicurare la valorizzazione del suo capitale. La massa del capitale finanziario ha raggiunto dimensioni tali che non solo non è più di sollievo all’economia reale capitalista, ma la succhia e soffoca. Ogni potenza imperialista deve assicurare la stabilità al suo potere entro i confini del suo Stato e questo fine deve spogliare e devastare agli altri popoli e paesi. Il sistema internazionale dei gruppi imperialisti è la troupe teatrale di questa catastrofe che incombe su tutti noi. L’imperialismo USA guida la marcia. Le sue frazioni borghesi dominanti ne scrivono il copione, mentre i presidenti della repubblica (che siano Bush oppure Obama è indifferente) recitano la parte del capo nel teatro dei burattini.

   Inizialmente il Vaticano era favorevole al progetto europeo. Mentre la Massoneria, soprattutto, quella che faceva riferimento alla Giurisdizione Sud del Rito Scozzese antico e accettato, profondamente legato al Dipartimento di Stato degli USA, era contrario, poiché intravedeva in questo progetto la formazione di blocco imperialista concorrente con quello USA.

   Gli schieramenti erano pieni di contraddizioni al loro interno. Nella Massoneria, alcuni settori del Grande Oriente di Francia e, in misura minore del Grande Oriente d’Italia, avevano assunto una posizione decisamente europeista.

   Nel quadriennio 1989-1993 questo “conflitto segreto” è stato particolarmente aspro. La Massoneria filoamericana ha mirato a conquistare l’Est sia da un punto di vista politico che economico, attraverso la “rinascita” (capitalista) di questi paesi e il controllo delle attività produttive. Proprio in quegli anni il progetto di “casa comune europea” è stato messo in crisi dall’esplosione della “questione etnica”, sfociata in conflitti locali e soprattutto, nella guerra civile jugoslava (la Repubblica Federale Jugoslava ha subito l’aggressione imperialista). Per capire maggiormente la natura della guerra civile jugoslava bisogna tenere conto che negli anni ’60 e ’70 i teorici della Stay-behind, avevano pianificato di fomentare i conflitti tra le etnie e i popoli dell’Est europeo, per innescare meccanismi di crisi che potessero mettere in difficoltà i paesi aderenti al Patto di Varsavia. La pianificazione dei contrasti tra i popoli membri della Repubblica Federativa Jugoslava, era stata realizzata dai comandi NATO.

   Nell’Est europeo, storicamente, la Massoneria ha avuto la sua “testa di ponte” in Romania, Ceausescu ha sempre mantenuto stretti contatti con Licio Gelli, con Giancarlo Elia Valori, espulso dalla P2 e con il principe Aliata di Montereale. Un’altra prova di questo legame è rappresentata dal documento La Romania oggi che fu ritrovato nella valigia di Maria Grazia Gelli, nella stessa busta in cui era contenuto il Piano di Rinascita Democratica. Bisogna tenere conto che Ceausescu ha sempre mantenuto una strettissima diplomazia segreta con gli Stati Uniti, e manteneva i rapporti con organismi imperialisti come il Fondo Monetario Internazionale[4] e condannò l’intervento russo contro la Cecoslovacchia nel 1968. In ambienti massonici, anche se non sono state date fino ad ora prove documentate, si afferma che Ceausescu sia stato iniziato “sulla spada”.[5]

   Che ci sia stato una conquista dell’Est usando obbedienze massoniche come copertura, lo afferma un documento, scritto da un esponente di quello che si potrebbe definire l’ala europeista della Massoneria: “Molti sono i viaggiatori verso l’Est europeo: rappresentanti di gruppi economici, di singoli operatori finanziari, di portatori di opinioni riservate, come la Massoneria, di spregiudicati faccendieri, di esponenti della delinquenza organizzata (…) Se un ministro come De Michelis prende certe iniziative di appoggio a tesi relative al mondo che si dibatte  nelle strettoie, con manifestazioni, talvolta sanguinose, ha il dovere di usare la massima prudenza perché parla a nome dell’Italia; se un elemento rispettabile quale il Grande Oratore del Grande Oriente d’Italia che si è recato in Jugoslavia molte volte ed anche in Cecoslovacchia ed in Ungheria, se non va per motivi personali, deve pur sapere valutare quali implicazioni comporta la sua presenza in quei luoghi per la massoneria italiana se la Fiat od  altro gruppo industriale italiano voglia dare il suo apporto alla penetrazione occidentale nell’Est deve tener conto che non rischia solo il proprio, ma anche qualcosa che è patrimonio e sudore del popolo italiano”.[6] Prosegue il documento: “Mesi orsono Famiglia Cristiana ha attribuito al ministro De Michelis il seguente intervento presso le autorità jugoslave: “se ci sarà una pronta restaurazione della massoneria, si avranno maggiori possibilità di investimenti di capitale estero nel vostro in Jugoslavia. Tale frase non è mai stata smentita e stranamente in Jugoslavia si fa vedere frequentemente un avvocato romagnolo, Oratore del Grande Oriente d’Italia, ex missino passato al Pri, seguace di Pacciardi, il quale fu sempre legato alle posizioni americane”.[7] Il documento conclude con l’auspicio di un chiarimento interno all’interno della Libera Muratoria: “Ma allora quante sono le fazioni nelle logge? Quanto è influente la longa manus di oltre oceano? (…) Non sarebbe male se un chiarimento venisse effettuato dal mondo massonico italiano, allo scopo di frugare sospetti, che sprovveduti suoi personaggi danno ragione di ingenerare. Tanto più che funzione primaria della massoneria nera è di gestire i collegamenti internazionali per il traffico di armi e droga”.[8]

   Bisogna dire che a rendere complessa la lettura di quello che è avvenuto in questo periodo, bisogna tenere conto che la realtà non è solo bianca o nera, ma quando parliamo di situazioni dove ci sono di mezzo servizi segreti o logge massoniche il colore prevalente è il grigio.

   Un esempio di questa complessità è Loggia P2.

   Dice a proposito il professor Aldo Giannuli[9] storico, politologo e saggista: “La P2 era un comitato di affari che si è sciolto in quanto loggia P2 dopo lo scandalo del 1981, ma che ha continuato a esistere fino ai giorni nostri, con figure che sono uscite e altre che sono entrate. Questa sorta di conglomerato di potere sostanzialmente sempre esistito”[10].

  Nonostante l’ultra-atlantismo di Gelli “la massoneria angloamericana non ha digerito i tentativi di chiamare in causa e riabilitare le massonerie del Sud del mondo. Nella P2 troviamo infatti colonelli argentini, capi di stato come Anwar Sadat (Egitto) e William Tolbert (Liberia) e figure chiave del regime rumeno di Ceausescu. Un qualcosa che agli angloamericani non piaceva per niente. La disgrazia di Licio Gelli comincia quando, essendosi probabilmente montato la testa, decide di creare l’Ompam.[11] Un’iniziativa non gradita dagli americani che gli fanno capire che agli italiani certe cose non spettavano. La P2 è una banda strettamente anticomunista, ma principalmente un gruppo di spregiudicati, ci si trova alti esponenti della Romania di Ceausescu, non a caso presenti anche nel Club di Berna organizzato dal piduista Federico Umberto D’Amato[12]. Accanto a essa troviamo mondi che fanno riferimento ad Andreotti e che fanno operazioni in Etiopia con la ditta Salini, strizzando l’occhio ai sovietici. Anche la vicenda di Sigonella è sintomatica: la pone in essere Craxi, ma non fu Andreotti a opporsi, bensì il repubblicano Spadolini”[13].

   C’è indubbiamente un filorosso tra massoneria e servizi segreti “Tutti gli apparati statali degli anni Settanta erano a larga partecipazione massonica; c’è una voce che questo fil rouge sia continuato fino a oggi, e che persino Walter Bior[14] sia un ‘fratello’”.

   Negli elenchi della P2 emersero figure di un certo livello come Carlo Alberto dalla Chiesa “I quesiti su dalla Chiesa e sulla volontà di infiltrare la P2 sono complessi e la verità in questo in questo caso sia grigia: come mi disse il generale Mori, dalla Chiesa quando si infiltrava in un ambiente voleva diventare quello che comandava, voleva fare della P2 il suo strumento di potere”[15].

   Prima dicevo che nessun servizio segreto, si lascerebbe coinvolgere direttamente con i propri agenti in attività sporche, col rischio di farsi cogliere con le mani nel sacco. Ovviamente ci sono delle eccezioni, come nel caso di Abu Mar, l’egiziano che fu rapito a Milano il 17 febbraio 2003 in pieno giorno. Ma questo fatto nasce, come ha rivelato Luigi Malabarba (che quando era senatore fu membro del Copaco l’organismo di “controllo” parlamentare sui servizi segreti), è che la CIA e il suo Capocentro a Milano, Robert Seldom Lady alla questura di Milano sono di casa, e forniscono computer e strumentazione alla Digos nell’attività di collaborazione contro il cosiddetto “terrorismo islamista”[16]. Questa circostanza è confermata dalla CIA e dallo stesso giudice. Questa commistione fra servizi segreti americani e polizia italiana (milanese in particolare) è affermata dal marocchino Daki. Daki, assolto due volte dal tribunale di Milano e successivamente espulso dall’Italia dal ministro Pisanu nel dicembre 2005, ha sostenuto che in quel periodo fu interrogato nell’ufficio di Dambruoso da americani che si dicevano dell’FBI, ma lui era convinto che appartenessero alla CIA. Un interrogatorio illegale, dove gli interroganti erano incappucciati.

   Per le operazioni clandestine, i servizi segreti, di norma ricorrono a persone e organizzazioni disposte ad agire, a volte inconsapevolmente, per conto di terzi. Secondo l’ex agente della CIA Victor Marchetti, la CIA impiega di preferenza agenti a contratto e mercenari.[17] Ma per operazioni più impegnative e di ampio respiro gli strumenti preferiti sono la criminalità organizzata e i gruppi terroristi. Le agenzie delle grandi potenze imperialiste possono giovarsi di un’altra risorsa: l’impiego come proprio braccio secolare, dei servizi segreti dei paesi subalterni, i quali spesso e volentieri non agiscono direttamente.

   L’Italia è uno dei casi più significativi di subappalto di lavori sporchi da parte dei servizi segreti della potenza dominante. Il direttore dei servizi segreti militari, da cui dipendeva la pianificazione Stay Behind (ovvero Gladio), da punto di vista istituzionale rispondeva al Presidente del Consiglio, oltre che al Ministro della “Difesa”, ma dal punto di vista effettivo, in quanto capo di Stay Behind era legato a una catena di comando esterna in ambito NATO che rispondeva ai capi dei vari servizi segreti americani. Egli aveva addirittura il potere di decidere se comunicare o meno l’esistenza della pianificazione al Presidente del Consiglio ed era colui che concedeva, di fronte agli alleati il nulla osta sicurezza allo stesso Presidente del Consiglio. Così il direttore del servizio segreto militare, che formalmente dipendeva dal Presidente del Consiglio, aveva il potere di bloccarne la nomina.

   Quando il SIFAR, in attuazione del piano Demagnetize, che aveva lo scopo di ridurre l’influenza comunista in Italia e in Francia con qualsiasi mezzo, per organizzare una rete paramilitare in grado di compiere le “azioni diversive” previste, ricorse a gruppi fascisti. Dall’altra parte della barricata erano i servizi bulgari e cecoslovacchi che operavano in Italia e negli altri paesi dell’area mediterranea per conto del KGB. A quanto risulta i servizi bulgari utilizzarono elementi della mafia turca.

   A volte può essere sufficiente indirizzare verso l’obiettivo prescelto alcuni delinquenti, senza che si rendano conto dei reali fini politici della loro azione. È questo il caso del sequestro di Guido De Martino (5 aprile 1977) da parte di malavitosi napoletani; una scelta incomprensibile per un rapimento a scopo d’estorsione, considerate le condizioni economiche della famiglia, che non era certamente multimiliardaria. Il rapimento guarda caso fu eseguito poco prima del congresso di Torino del PSI. La P2 e il SISMI tramite Carboni e Pazienza, tenevano legami diretti con la camorra e le bande di Turatello[18] e di Begameli.

   Il senatore socialista Francesco De Martino, interrogato dalla commissione P2, ha più volte fatto capire che il rilascio di suo figlio ha avuto come contropartita la sua rinuncia a tornare ad assumere il ruolo dirigente nel PSI. Egli ha affermato infatti: “il rapimento di mio figlio ha avuto lo stesso significato politico dell’assassinio dell’onorevole Moro”.[19] Il significato di questa frase, sta nel fatto che da allora De Martino, pur rimanendo deputato, ha rinunciato a rappresentare l’alternativa nel PSI a Bettino Craxi.

   Ma in genere le operazioni speciali richiedono rapporti più complessi e impegnativi con la criminalità e con le organizzazioni terroriste. In molti casi il metodo consiste nel reclutare o strumentalizzare singoli elementi, da impegnare nelle operazioni più sporche e rischiose, dopo averli sottoposti a lavaggi del cervello, condizionamenti del comportamento, che li trasformano in persone assolutamente indecifrabili. Un esempio qui in Italia è dato dal cosiddetto “anarchico” Gianfranco Bertoli, autore della strage alla Questura a Milano nella primavera del 1973.

   Il fascista veneziano Carlo Digilio, era un agente veneziano della Cia con nome in codice “Erodoto”, che partecipando nei gruppi neofascisti si unisce a Carlo Maria Maggi, anche lui ordinovista; la cellula veneziana completata con Delfo Zorzi, è unita alla cellula di Freda e Ventura; oltre vent’anni dopo troviamo Digilio pentito dello stragismo italiano[20] e davanti al Giudice di Milano Antonio Lombardia che seguiva il procedimento inerente, la strage. Digilio dichiara: “Neami gli stava spiegando, con una specie di vero e proprio lavaggio del cervello, cosa avrebbe dovuto dire alla Polizia in caso di arresto e gli faceva ripetere le risposte che avrebbe dovuto dare e cioè che era un anarchico individualista e che si era procurato da solo, in Israele, la bomba per l’attentato.

   Capii subito da Soffiati e Neami che Bertoli era un debole e mi dissero infatti che gli piaceva bere e lo avevano convinto anche con la promessa di un po’ di soldi.

  Mi dissero che era che era già da parecchi giorni e che lo facevano bere e mangiare a sazietà.

   Anch’io rimasi qualche giorno a dormire in Via Stella, su un vecchio divano, e in quei giorni, non in Via Stella, ma a Colgnola, vidi anche Minetto il quale era al corrente di cosa si stava preparando e aveva personalmente procurato i soldi per Bertoli tramite gli americani.

   Non si trattava comunque di una grande somma, ma di pochi milioni e infatti si capiva subito, con un occhiata, che Bertoli poteva essere comprato per pochi soldi.

   Neami dormiva con Bertoli, nella stanza da letto, per controllare i suoi eventuali colpi di testa, mentre io dormivo su un divano nel salotto e il divano era posto per controllare vicino all’ingresso. Bertoli faceva discorsi strani, diceva che comunque fosse andata egli sarebbe diventato un grand’uomo”[21].

   Vi rendete conto lettori, di quello che stava dicendo Digilio, egli parla della programmazione di un individuo per diventare un assassino e confessare un delitto, in sostanza della creazione di un candidato manciuriano.

   Negli USA, gli avvocati di Shirhan Sirhan, l’uomo che presubilmente uccise R. Kennedy nel 1968, hanno chiesto che fosse rilasciato dalla prigione, sostenendo il fatto che fosse stato vittima del controllo mentale[22].  Essi sostengono che nel processo contro il loro cliente che fu fatto nel 1969, furono ignorate le prove vi fossero due tiratori presenti durante l’assassinio di R. Kennedy. Il team legale di Shirhan sostiene che “anche che la programmazione/controllo mentale tramite ipnosi non è affatto nuova, il pubblico è ignorante riguardo il lato oscuro di questa pratica” perciò “La persona media non è a conoscenza che l’ipnosi può e viene usata per indurre una condotta anti sociale negli esseri umani”. La CNN spiega che gli avvocati di Shirhan Sirhan avevano scoperto registrazioni audio che dimostrano che vennero sparati ben 13 colpi al momento dell’attentato a R. Kennedy: “Gli avvocati sostengono inoltre che Sirhan venne ipnoprogrammato per fungere da diversivo al vero assassino, il fatto che sia arabo avrebbe poi facilitato anche la propensione di colpevolezza. Sirhan 67 anni, è un palestinese cristiano nato a Gerusalemme che nel 1950 assieme alla famiglia emigrò negli States.

   Sirhan ‘fu un partecipante involontario dei crimini commessi in quanto venne sottoposto a sofisticate programmazioni ipnotiche e tecniche per impiantare memorie che lo resero incapace di controllare coscientemente i suoi pensieri e azioni al momento in cui i crimini vennero commessi”.

   Daniel Brown esperto di ipno-programmazione alla Harvard Medical School ha recentemente lavorato con Shirhan, dicendo di averlo aiutato con successo a ricordare l’assassinio. Brown afferma che Shirhan nel 1969, a causa del controllo mentale, pensava di trovarsi in un poligono di tiro. Alcuni di questi soggetti sottoposti a controllo mentale sono membri di sette esoteriche. Questo avvenne quando la CIA decise di spostare la sperimentazione del controllo mentale dai laboratori militari e accademici alla comunità esterna e al mondo delle sette modello OTO.[23] Una cerchia segreta sperimentò da allora sui devoti dei vari culti e sette, e a volte si spinse fino a operare omicidi di massa nascondendoli come suicidi per ridurre al silenzio i soggetti coinvolti, come accade nel 1978 alle vittime del tempio del sole con il più grande suicidio di massa della storia, a Johnstown, o a quello dell’Ordine del Tempio Solare[24].

   Le società occulte sono riservate e spesso molto irrazionali. Seguono un leader. Esistono all’orlo di una società che le ignora, perché la loro strana retorica religiosa risulta sgradevole.

   Nelle sette sataniche, dedite alla celebrazione di messe nere, nate per celebrare l’era nascente dell’Anticristo – come nel caso della Chiesa di Satana, nata negli Stati Uniti nel 1966 o il Tempio di Set, nato negli Stati Uniti nel 1974, ci sono personaggi promossi dalla CIA come Anton Szandor LaVey e il Tenente Colonnello Miquel Aquino, figure carismatiche e perverse intente a manipolare l’occulto per sperimentazioni allucinanti, come quelle del progetto Monarch della CIA, che faceva parte del programma per il controllo mentale MK-ULTRA.

    Tra i fondatori della Chiesa di Satana ci fu il regista cinematografico e mago delle rockstar Kenneth Anger, che era anche un nono grado dell’OTO californiano e discepolo di Crowley.

    In sostanza le sette come l’OTO sono uno strumento in mano ai servizi segreti americani e ai loro scagnozzi dell’occulto. Per arrivare al controllo della setta, i servizi sono passati attraverso il discredito dei membri non in linea. All’interno di esse vengono attuate le sperimentazioni più perverse e immorali, grazie all’uso e abuso della religione. Queste sperimentazioni sono legate a frange religiose o occulte, come il Tempio Solare, sono legate in maniera quasi ossessiva alla famosa Stella Sirio[25], quella “Stella fiammeggiante” che per la Massoneria diventa il più profondo e più sacro dei suoi simboli e una costante e strana presenza del culto Solare nei culti più oscuri e perversi degli ultimi decenni.

   La setta del Tempio Solare aveva tre convinzioni fondamentali:

  1. Il mondo stava per finire;
  2. L’apocalisse verrà gestita da un gruppo di iniziati che vivono nella Loggia bianca di Sirio;
  3. Che per essere degli eletti e arrivare a Sirio bisogna morire con un rituale che coinvolge il fuoco.

   Sirio è posta anche relazione ad alcuni esperimenti facenti parte del programma MK-ULTRA. Un ricercatore finlandese Martin Koski, in un libretto che si intitola La mia vita dipende da voi, parla di Sirio che viene evocata in un episodio di controllo mentale. Egli sosteneva di essere stato rapito e che i “dottori” che avevano operato su di lui dichiaravano di essere “alieni provenienti da Sirio”. Egli sosteneva che questi rapimenti alieni, fossero una copertura per il programma MK-ULTRA.

   La Massoneria per la sua struttura settaria e per il carattere iniziatico costituisce il potere occulto per eccellenza, in quanto presente in profondità nelle istituzioni e nella classe dirigente, e avendo solidi e ramificati rapporti istituzionali. Lo spiritualismo esoterico e l’ideologia elitaria e cospirativa, largamente circostanti al suo interno, insieme con la pratica segreta e iniziatica, formano un contesto culturale omogeneo a quello del radicalismo di destra: un background nel quale massoneria e organizzazioni neonaziste e neofasciste s’incontrano spontaneamente, e che è il territorio naturale dei signori del potere occulto.

   E bene ricordare che la Massoneria ha conosciuto e attraversato esperienze complesse e contraddittorie. In contrasto, ma spesso in sincretismo con l’ispirazione illuminista, liberale, filantropica che la pubblicistica apologetica e quella ostile, per opposti motivi, hanno privilegiato, vive in essa un’anima aristocratica e reazionaria divenuta predominante. Da questa ebbe origine già nel Settecento la potente massoneria di rito scozzese, che faceva propria l’eredità di una certa tradizione torbida della tradizione esoterica rinascimentale. Fondamento, teorico, del rito scozzese è infatti il mito di una dottrina occulta sovrumana, venuta dalla notte dei tempi, riscoperta dai templari nelle rovine del tempio di Gerusalemme, e tramandata segretamente da ordini cavallereschi e confraternite segrete (Templari e i Rosa-Croce). La massoneria scozzese involta in questa nebbia esoterica, divenne ricettacolo di tendenze irrazionalistiche e misticheggianti, di riti misterici e pratiche occultiste. D’altra parte il moltiplicarsi degli alti gradi, secondo una complicata gerarchia articolata in numerosi gradi compartimentali, accentuava il carattere iniziatico della massoneria scozzese, trasformatasi in un temibile centro occulto, dominato da gruppi conservatori e reazionari e aperto agli intrighi di avventurieri e impostori di ogni risma[26].

   E in questa tradizione culturale e politica affonda le radici l’anima esoterica, occultista e conservatrice che resta tuttora una componente essenziale del mondo massonico, e ne ispira alcuni dei gruppi di potere più esclusivi, segreti e potenti. Ed è impressionante constatare che questo guazzabuglio di dottrine esoteriche e miti aristocratici e cavallereschi, che appartengono alla tradizione massonica, costituisce il fondamento ideologico del filone più estremo del radicalismo di destra: quello delle SS tedesche, del neonazismo europeo, di Julius Evola e dei suoi seguaci italiani di Ordine Nuovo, da Pino Rauti e Freda, da Paolo Signorelli a Mario Tuti.

   Il sodalizio tra Rosacroce, Templari e Massoneria cominciò a svilupparsi nel corso nel corso del XVIII secolo, divenne più che palese nel secolo XIX, l’epoca in cui operavano noti occultisti francesi come Stanislas de Guaita, Joris Huysmans, Joséphin Péladan, Papus, Jules Bois, Maître Philippe e Saint Yves d’Alveydre. Molti di questi misteriosi personaggi appartengono a logge martiniste e allo stesso tempo erano membri della Rosacroce[27].

   Il governo ideale degli occultisti ottocenteschi seguiva il modello della Sinarchia. Fu Saint Yves d’Alveydre (1842-1909) il teorico del regime sinarchico. Si trattava di un governo fortemente ordinato, retto da un ristretto consiglio di saggi, un élite di re-sacerdoti. Un concistoro segreto. Questo modello, secondo i sinarchici, doveva essere applicato dapprima alla Francia e poi, dopo aver eliminato tutti i governi in carica allora esistenti, si sarebbe fondata una confederazione di Stati Uniti d’Occidente. Tale unione si rivelava indispensabile per contrastare la “minaccia espansionistica dell’Islam”. Saint Yves d’Alveydre definiva i Templari come padri spirituali della Sinarchia.

  Era necessario distruggere per poi ricostruire. Tutto sotto il segno del Sacro Cuore.

   Quello che d’Alveydre si limitò a teorizzare durante i convegni esoterici alla Librairie de l’Art Indépendant fu messo in pratica più tardi dai suoi seguaci. Il Sacro Cuore rivestiva in questo scenario un ruolo di primo piano. L’esoterista e iniziato Pierre Dujols osservò che il Sacro Cuore rappresentava per gli occultisti dell’epoca il nuovo Graal. I Rosacroce ottocenteschi si identificavano con i Templari, che il mito medievale aveva innalzato a custodi del Graal. La dottrina praticata dagli esoteristi della Belle époque era un “cristianesimo delle radici”, secondo la loro stessa definizione; un gnosticismo, pregno di acceso nazionalismo, intriso di riti satanici e dedito a un atavico culto dei morti.[28] 

   Questo ramo deviato dei Rosacroce abbandonava, poco a poco, la lungimiranza dei mitici padri fondatori e si tingeva di un nero profondo. L’universalismo degli umanisti, il messaggio liberale dei Fedeli d’amore (società iniziatica esoterica alla quale Dante apparteneva)[29] e il sacrificio disinteressato di ispirati filosofi come Giordano Bruno, lasciavano il posto alle ambizioni più nazionalistiche, allo spiccato settarismo, addirittura all’antisemitismo[30]..

   Le trame per impadronirsi del potere diventavano subdole, più raffinate. I membri dei nuovi Rosacroce si infiltravano senza remore di sorta nelle società segrete rivali, cambiavano colore a seconda del momento, organizzavano morti misteriose, incensavano e sponsorizzavano impostori e, come se non bastasse, fomentavano la paura, mettendo in scena miracolose apparizioni della Madonna o del Sacro Cuore foriere di apocalittiche disgrazie. I riti di questi iniziati confermavano l’aura tenebrosa che ne permeava il pensiero: erano vere e proprie messe nere[31].

   La Sinarchia di Saint Yves d’Alveydre permeava anche la società cattolica dello Hiéron du Val d’Or, fondata nel 1873 a Paray-le-Monial dal barone Alexis de Sarachaga e dal gesuita Victor Drevon[32].  Lo Hiéron contribuì a espandere le idee sinarchiche tra i cattolici più estremisti, a tal punto che alcuni ricercatori vi hanno riconosciuto il precursore dell’Opus Dei. Non ci sarebbe da stupirsi che anche i famigerati Protocolli dei savi anziani di Sion, che all’inizio del XX cominciarono ad avvelenare l’Europa nel corso di una serrata propaganda antisemita, non fossero stati solamente l’opera di un agente dei servizi segreti russi, ma anche un frutto maledetto di questi tenebrosi compari. Lo scrittore francese Maurice Joly (1829-1878), autore del pamphlet Dialoghi all’inferno tra Montesquieu e Machiavelli, affermava che gli agenti dell’Ochrana (servizi segreti russi nel periodo zarista) si erano ispirati nel mettere su carta gli infamanti Protocolli, a un rosacroce. Joly spirò in circostanze misteriose[33].

   Con il passare del tempo, le mire politiche dei sinarchici non rimasero limitate all’Europa. Si pensò di estendere l’auspicato governo sacerdotale al mondo intero. Dagli Stati Uniti d’Europa si passò all’idea di un governo mondiale. Questo nuovo sviluppo iniziò nella prima metà del Novecento, tra le due guerre. Sfociò nel manifesto del Patto rivoluzionario sinarchico per l’Impero francese, redatto nel 1936, in cui il MSE (Movimento Sinarchico Europeo) annunciava una rivoluzione dall’alto, che sarebbe partita dalla Francia e avrebbe coinvolto tutte le nazioni del mondo.

   Triste fiore di questa propaganda fu il movimento politico della Cagoule, che non esitò a usare metodi violenti allo scopo di rovesciare la Repubblica e istituire un regime fascista[34].  Utilizzando simbologia ritualistica simili a quelle praticate dalla Massoneria, i membri della Cagoule terrorizzarono la Francia per anni, seminando bombe e morte. Eugène Deloncle (1890-1944), capo dell’organizzazione, era un esoterista e si ispirò, nella struttura del suo movimento politico, al modello delle società segrete. Collaboratore dei Deloncle all’interno della Cagoule fu anche Francois Plantard, un cugino di Pierre Plantard. Il fondatore del moderno Priorato di Sion.   

   Questo è il contesto culturale e politico sotteso ai collegamenti politici e operativi tra un certo settore di Massoneria (e delle altre società iniziatiche come si è visto) che si può benissimo definire nera (in particolare la Loggia P2) e le trame terroristiche e golpiste di destra. Non sorprende quindi di scoprire alcuni esponenti neofascisti tra i massoni. Dalla fine degli anni ’60 entrarono nella Massoneria, molti spiritualisti evoliani ed estremisti neri, tra i quali spiccano i nomi di Sandro Saccucci e di Loris Facchinetti, leader di Europa e Civiltà.

   Ed è significativo che esponenti dell’eversione nera affiliati alla Massoneria e giunti a controllare la casa editrice Atanor, specializzata in libri massonici ed esoterici, risultino implicati nell’inchiesta della magistratura romana sul covo arsenale di Via Prenestina e sulla società pubblicitaria Adp, copertura di una centrale di supporto di organizzazioni terroristiche fasciste come i NAR (ma anche a … “Prima Linea”)[35].

   Ed è significativo che il mondo del cinema e dell’editoria gestiti dal grande capitale finanziario abbiano dato spazio e notorietà a stragisti come Mambro Francesca e Fioravanti Giusva (peraltro attore di cinema sin da bambino), a banditi criminali come Vallanzasca (il cui prestigio gli permise di recarsi a Radio Popolare appena evaso) e Felicetto Maniero (sponsorizzato culturalmente da giornalisti di rilievo) od a “guerriglieri metropolitani” di “Prima Linea” prontamente dissociatisi dopo la cattura come Segio Sergio e le evase di Rovigo. Ed i servizi segreti inglesi sostennero la permanenza a Londra per circa 20 anni diversi dirigenti dei NAR e di “Terza posizione” tra cui il futuro fondatore di “Forza nuova” Roberto Fiore.

    Né può essere una coincidenza che in tutte le trame golpiste (dal tentativo di colpo si Stato del 1970 organizzato da Junio Valerio Borghese, quello progettato per l’agosto 1974, alla Rosa dei Venti) si ritrovino in ruoli chiave diversi affiliati alla Massoneria. Nel caso del golpe Borghese, non solo il suo braccio destro, Remo Orlandini, ma anche il generale Duilio Fanali, Salvatore Drago e Sandro Saccucci sono Massoni, ma è pure documentata l’adesione di una loggia del ceppo di Piazza del Gesù, si pure ritirata all’ultimo momento con una lettera del suo rappresentante Gavino Matta, che tuttavia parteciperà personalmente all’impresa abortita[36].

  In questo contesto la Loggia P2 di Licio Gelli si configura con i suoi autentici caratteri di una sovrastruttura parallela e segreta di comando all’interno del mondo massonico, con fini di potere e di condizionamento politico, collegata con i servizi segreti e con altri gruppi di potere. Indubbiamente, una deviazione rispetto alla tradizione illuminista, liberale della Massoneria ufficiale, ma anche per converso interprete dell’anima reazionaria e oscurantista di essa. Non è un caso che un amico e apologeta di Licio Gelli, Pier Carpi (tra l’altro iscritto anche lui nella Loggia P2 dove era  Maestro), autore di un pamphlet in sua difesa, sia un cultore dell’esoterismo e un grande ammiratore di René Guénon (il pendant francese di Evola) autore di un libro un libro pubblicato dalle Edizioni Mediterranee specializzate in esoterismo, occultismo e opere di Julius Evola, sulle profezie di Giovanni XXIII, ove si dice che Angelo Roncalli avrebbe dettato per misteriosa ispirazione, congiunto in mistica catena con i fratelli della società segreta dei Rosa-Croce, alla quale sarebbe stato iniziato quando era nunzio in Turchia[37].

   La logica dell’intreccio e collaborazione tra i diversi poteri occulti è assai complessa, contorta, fondata in sostanza sul principio della reciproca utilità. La grande criminalità riceve dai servizi protezione e impunità, specie ai suoi più alti livelli colludenti con settori della classe politica e delle istituzioni, mentre il terrorismo rappresenta quanto meno un efficace diversivo, che impegna su un altro fronte le energie dello Stato. I servizi segreti trovano nella criminalità comune e nel terrorismo gli esecutori, spesso in parte inconsapevoli, delle operazioni clandestine, ma anche, partecipando a traffici illeciti come quello degli stupefacenti.

   Dal Sud Est asiatico all’America Latina si ripete, dunque, lo stesso copione: il narcotraffico è usato come un’arma per reprimere la lotta popolare ed antimperialista e nello stesso tempo, per impedire che lo scontento dei giovani e dei proletari degli Stati Uniti si converta in una lotta organizzata contro il capitalismo e le sue istituzioni, I mercenari della malavita organizzata  si recano in questi paesi per operazioni sporche, le organizzazioni criminali transazionali tessono le loro tele di ragno con gli eserciti e le autorità locali. Importanti latitanti fascisti (come Enrico Caruso assassino di Brasili a Milano o i partecipi di Terza Posizione) rimangono protetti anni e decenni negli USA o nel Regno Unito. Di esempi ce ne sono tanti, passando da Haiti, ove “i combattenti della libertà” erano finanziati attraverso il riciclaggio del narcotraffico, in Guatemala, in cui i vertici militari erano finanziati dai traffici di droga nel sud della Florida, e per la Jugoslavia, ove la Germania e poi gli USA diedero il loro contributo ad organizzare finanziandolo con il narcotraffico, un movimento di guerriglia con il fine di destabilizzare la Jugoslavia.  

   Il ruolo centrale dei servizi segreti statunitensi nell’organizzazione del narcotraffico non è una deviazione istituzionale. Il ruolo degli enti statunitensi come la DEA è quello di impedire l’afflusso di droghe differenti da quelle approvate dalla CIA.

   La cosiddetta “lotta alla droga” promossa dagli USA è stata in realtà una copertura di politiche volte alla protezione e alla funzionalizzazione del narcotraffico alla politica dell’imperialismo statunitense nei paesi oppressi e nelle metropoli imperialiste.

   Questo problema non riguarda ovviamente solamente gli USA. Fu la Francia a prima a utilizzare i proventi del traffico di oppio per finanziare le operazioni coperte contro i popoli dell’Asia. Sino al 1954, il Laos e il resto dell’Indocina erano una colonia francese. E l’oppio aveva anche un compito di pacificazione all’interno della vita coloniale. Sulla base della distribuzione dell’oppio, lo Stato francese annichiliva la popolazione vietnamita già stremata dalla mancanza di cibo e dal lavoro nelle piantagioni e nelle miniere.

  L’alleanza tra servizi segreti dei paesi imperialisti e organizzazioni criminali, nasce dal fatto che sono alleati naturali. Essi, infatti, usano le stesse armi clandestine ed hanno lo stesso tipo di immoralità. Un’operazione illegale come un assassinio, un colpo di stato chi le fa? Mica quelli che vanno in ufficio tutti i giorni, né quelli che vanno a scuola. Al limite li utilizza per qualche rissa. No, si utilizza quelli che lo fanno come mestiere, e non hanno scrupoli.

   In ciascun paese, che non sia in preda a una guerra civile aperta e dichiarata, il campo dei poteri occulti è saldamenti tenuto da una realtà che si potrebbe definire un “governo invisibile” vale dall’insieme dei servizi segreti e delle altre funzioni di potere, che dietro le quinte e collegati ad essi, operano dall’interno delle istituzioni, in autonomia e talvolta in contrasto con esse.


[1] N. Bobbio, Il potere invisibile, La Stampa 23 novembre 1980.

[2] Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte.

[3] Link http://www.19luglio1992.com/index.php?vien=article&catid=2%3Aed

[4] Serviva a finanziare l’industrializzazione.

[5] Gianni Cipriani, I mandanti, Editori Riuniti, Roma, 1993, p. 183.

[6]                                     C.s. p. 188-189.

[7]                                     C.s.

[8]                                     c.s.

[9] Intervista di Ferruccio Pinotti ad Aldo a Giannuli, 22 aprile 2021. Ferruccio Pinotti, Potere massonico, Chiarelettere, 2021, pp. 298-300.

[10]                                                                     C.s.

[11] Si tratta dell’Organizzazione mondiale per l’assistenza massonica. Sulla carte il progetto avrebbe dovuto essere un organismo internazionale della filantropia massonica, che avrebbe dovuto soccorrere le popolazioni in caso di disastri, aiutando i paesi “in via di sviluppo”. Tuttavia si proponeva anche Come mediazione in caso di crisi internazionali, come punto di riferimento di gruppi di paesi, come veicolo di accordi commerciali internazionali.

[12] Era il capo della potentissimo Ufficio affari riservati.

[13] Intervista di Ferruccio Pinotti ad Aldo a Giannuli, 22 aprile 2021. Ferruccio Pinotti, Potere massonico, Chiarelettere, 2021, pp. 298-300.

[14] Walter Bior è un ufficiale della marina militare italiana, arrestato per spionaggio nell’aprile 2021. È accusato di aver passato informazioni militari confidenziali e riservate a uomini dei servizi segreti russi a Roma.

[15] Intervista di Ferruccio Pinotti ad Aldo a Giannuli, 22 aprile 2021. Ferruccio Pinotti, Potere massonico, Chiarelettere, 2021, pp. 298-300.

[16] Luigi Malabarba, 2001-2006 SEGRETI E BUGIE DI STATO “partito americano” e l’uccisione di Calipari, Edizioni Allegre.

[17] V. Marchetti – J. D. Marks, CIA, culto e mistica del servizio segreto, Garzanti.

[18] Su questa faccenda ho un ricordo personale/familiare. Una mia cugina nel 1972, dopo che era morto suo marito si mise assieme ad uno della banda di Turatello, che si occupava di riciclare denaro. Quando fu arrestato nella casa di mia cugina, trovarono nell’abitazione denaro proveniente dal sequestro De Martino. Quando lui uscì dal carcere scomparve dalla circolazione.

[19] http://www.fondazionecipriani.it/Scritti/allapsi.html

[20] Digilio è nato a Roma nel 1937 ma veneziano d’adozione, s’iscrisse nei primi anni ’60 alla Facoltà di Economia e

Commercio dell’università di Venezia, senza riuscire a terminare gli studi. Prima il servizio militare, poi la morte del padre Michelangelo, dopo un incidente stradale nel gennaio del 1967, lo portarono, è lui stesso a scriverlo in un memoriale, a contattare l’ambiente in cui il genitore si era inserito: la rete degli informatori italiani al servizio delle basi NATO nel Veneto.

  Digilio disse “Il mio primo reclutatore fu il capitano David Carrey della Marina militare degli Stati Uniti di stanza a Verona che aveva già conosciuto mio padre”. Negli anni dell’università, entrò anche a far parte del Centro Studi Ordine Nuovo. Il primo nucleo di quest’organizzazione fu fondato a Venezia nell’aprile del 1957 da Giangastone Romani e Carlo Maria Maggi, per poi diramarsi nel Veneto. Gli anni immediatamente successivi furono quelli dei rapporti con l’OAS (l’” Organisation de l’Armée Secréte”), organizzazione promossa da settori dell’esercito francese e dall’estrema destra per contrastare l’indipendenza dell’Algeria, presto trasformatasi in un’internazionale nera. Ordine Nuovo ne favorì l’azione, allestendo nel nostro paese basi logistiche e rifugi coperti. Nel marzo del 1962, sempre a Venezia, si tenne uno dei raduni più importanti del neofascismo a livello internazionale, con il tentativo di realizzare ad un “Partito Nazionale Europeo”. Tra gli altri, a firmare il “Protocollo” d’intesa, il tedesco Adolf von Thadden, l’inglese Oswald Mosley, il belga Jean Thiriart e il conte italiano Alvise Loredan, un grande proprietario terriero veneto. http://www.osservatoriodemocratico.org/page.asp?ID=2824&Class_ID=1001

[21] http://www.uonna.it/salvin41.htm

[22] http://neovitruvian.wordpress.com

[23] L’Ordo Templi Orientis (O.T.O.) (Ordine del Tempio d’Oriente) è un’organizzazione internazionale esoterica fondata

Intorno al 1905 dal noto occultista tedesco Theodor Reuss e da Franz Hartman sulla falsa riga dei livelli massonici e delle capillari confraternite ermetiche che erano presenti in tutta Europa. In realtà, le origini potrebbero risalire al 1895, quali espressioni delle correnti di pensiero di Karl Kellner (1851-1905). In origine l’O.T.O. era destinata ad essere modellata e associata, con tre gradi iniziatici successivi. Tuttavia, sotto la guida di Aleister Crowley, l’O.T.O. fu poi riorganizzata intorno alla Legge di Thelema (i cui precetti fondamentali sono “Fai ciò che vuoi sarà tutta la legge” e “Amore è la legge, amore sotto la volontà” promulgata da Crowley già nel 1904, con Il Libro della Legge.

   Similmente a molte organizzazioni esoteriche, l’O.T.O. è basata su un sistema iniziatico, con una serie di cerimonie che utilizzano un dramma rituale per stabilire legami fraterni e spirituali ed impartire dottrine filosofiche. L’O.T.O. comprende anche la Ecclesia Gnostica Catholica (E.G.C.) che è la ramificazione ecclesiastica dell’Ordine stesso.

[24] Leo Lyon Zagami, Le confessioni di un illuminato, UNO EDITORI.

[25] Molte culture storiche hanno dato a Sirio dei forti significati simbolici, in particolare legati ai cani; in effetti, è spesso chiamata nei Paesi anglosassoni con l’appellativo “Stella del Cane”, ossia la stella più luminosa della costellazione del Cane Maggiore. Spesso appare anche legata al mito di Orione e al suo cane da caccia; gli antichi Greci credevano che le emanazioni di questa stella potessero avere degli effetti deleteri sui cani, rendendoli particolarmente irrequieti durante i caldi giorni dell’estate (i “Giorni del Cane”). L’eccessiva colorazione di questa stella spesso poteva essere messa in relazione con l’avvento di disastri naturali o di periodi particolarmente secchi e, in casi estremi, poteva infondere la rabbia nei cani, che poi veniva trasmessa agli uomini tramite i morsi, mietendo numerose vittime. I Romani chiamavano i giorni dell’inizio estate dies caniculares e la stella Canicula (“piccolo cane”). Nell’astronomia cinese la stella è conosciuta come la “stella del cane celestiale” Più lontano ancora, molte tribù? di nativi americani associavano Sirio con un canide; alcune indigeni del sud-ovest del Nord America indicavano questa stella come un cane che seguiva delle pecore di montagna, mentre i Piedi Neri la chiamavano “faccia di cane”. I Cherokee appaiavano Sirio ad Antares e le consideravano come due cani da guardia alle estremità di quello che chiamavano “percorso delle anime”. Le tribù del Nebraska facevano invece diverse associazioni, come la “stella-lupo” o la “stella-coyote”. Più a nord, gli Inuit dell’Alaska la chiamavano “Cane della Luna”. Altre culture in diverse parti del mondo associavano invece la stella ad un arco e delle frecce. Gli antichi cinesi immaginavano un ampio arco e una freccia lungo il cielo australe, formato dalle attuali costellazioni della Poppa e del Cane Maggiore; la freccia era puntata sul lupo rappresentato da Sirio. Una simile associazione è rappresentata nel tempio di Hathor di Dendera, in Egitto, dove la dea Satet ha disegnato la sua freccia su Hathor (Sirio). Nella tarda cultura persiana la stella era similmente rappresentata come una freccia, ed era nota come Tir. Nel libro sacro dell’Islam, il Corano, Allah (Dio) viene definito il “Signore di Sirio”. Il popolo dei Dogon è un gruppo etnico del Mali, in Africa Occidentale, noto per le loro conoscenze sulla stella Sirio che sarebbero da considerare impossibili senza l’uso di un telescopio. Come riportato nei libri Dio d’acqua.

Incontri con Ogotemmêli e Le renard pâle di Marcel Griaule, questo popolo sarebbe stato al corrente della presenza di una compagna di Sirio (la “stella del fonio”) che orbita attorno ad essa con un periodo di cinquant’anni prima della sua scoperta da parte degli astronomi moderni. Questi affermano inoltre che ci sia pure una terza compagna oltre a Sirio A e Sirio B. Il libro di Robert Temple Il mistero di Sirio, edito nel 1976, accredita loro anche la conoscenza dei quattro satelliti di Giove scoperti da Galileo e degli anelli di Saturno. Tutto ciò è diventato così oggetto di controversie e, talvolta, di speculazioni. Secondo un articolo edito nel 1978 sulla rivista Skeptical Enquirer, potrebbe essersi trattato di una contaminazione culturale, o forse proprio ad opera degli stessi etnografi. Altri invece vedono queste spiegazioni fin troppo semplicistiche, create ad hoc per giustificare un mistero irrisolvibile secondo i dettami della scienza in vigore. È La questione resta dunque ancora aperta.

[26] Ovviamente non solo di questi, ma anche di persone che davanti alla crisi culturale in atto, cercano un senso e significato alla vita. La struttura settaria può offrire un ambito per questo tipo di persone. Mi ricordo che un mio collega che era associato alla Massoneria, la sua gratificazione maggiore era di scrivere sulla rivista Focus, su argomenti misticheggianti ed esoterici (era diventato uno specialista di argomenti come gli angeli). In maniera indiretta, cercò di farmi associare anche lui con un misto di minacce e blandizie. Quello che non tenne conto è la forza di una coscienza ideologica, della serie al massimo mi possono distruggere il cervello. Il fattore predominante di resistenza fu che mi parlò che andavano a fare delle riunioni dentro la base di Aviano, al mio stupore, lui quasi meravigliandosi mi affermò che cosa c’era di tanto scandaloso, che il giardiniere di Truman era il Gran Maestro, perciò, è un’organizzazione profondamente democratica. Devo dire che appena andato in pensione, andò in Friuli e morì quasi subito.

[27] Sabina Marineo, Il Serpente rosso Società segrete al potere, Venexia, Roma, 2013, p. 156. 

[28]                                                   C.s. p. 157

[29] http://www.esonet.it/News-file-article-sid-213.html 

[30] Sabina Marineo, Il Serpente rosso Società segrete al potere, Venexia, Roma, 2013, p. 157

[31]                                            C.s. pp. 157.158

[32]                                          C.s.   p. 158

[33]                                          C.s.   p. 158

[34] La Cagoule aveva rapporti con i servizi segreti italiani. Fu per conto loro che assassinarono nel 1937 i fratelli Rosselli.

[35] C. Incerti, Camerati squadra e compasso, Panorama 18 maggio 1981.

[36] R. Fabiani, I massoni in Italia, Editoriale l’Espresso.

[37] P. Carpi, Le profezie di Papa Giovanni, Roma, Ed. Mediterranee, 1976.