LA DISTRUZIONE DEL DIRITTO DEL LAVORO IN ITALIA

•ottobre 26, 2020 • Lascia un commento

  L’origine dell’attacco alle condizioni materiali di esistenza delle masse popolari da parte della Borghesia Imperialista che ha portato nel nostro paese la distruzione del diritto del lavoro è la crisi del sistema capitalista iniziata all’incirca alla metà degli anni Settanta. La caratteristica di questa crisi si possono riassumere nel fatto che la crisi è generale (cioè nasce come crisi economica e poi si trasforma in crisi politica e culturale), di lunga durata e coinvolge tutto il mondo, cioè riguarda, sia pure con tempi e intensità diversa, tutti i paesi del mondo.

   È di dominio pubblico che i paesi semicoloniali e dipendenti vengono ricolonizzati, che i governi raddoppiano e triplicano i prezzi dei beni essenziali,  che milioni di persone sono cacciate dai loro paesi e costrette all’emigrazione.

   In Italia nel periodo che va dall’inizio degli anni Novanta (dove – non certamente a caso – ha operato in funzione di guerra ortodossa la Falange Armata) fino ad oggi, è stato anche (e non sarà certo un caso) quello della demolizione del diritto del lavoro e delle conquiste che i lavoratori italiani le avevano ottenute dal secondo dopoguerra dopo dure lotte.

   C’è stato anche il cambiamento del significato delle parole in uso. Fino all’altro ieri per riforme s’intendeva miglioramento (certamente graduale) delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori, da un certo periodo in poi ha solamente significato un continuo e costante peggioramento. Se poi ci si opponeva a tali “riforme” ci si tirava dietro l’accusa di essere “conservatori” che si oppongono al “progresso”.

   Quest’attività di “riforma” e di abolizione del diritto del lavoro è stata portata avanti con l’apporto dei partiti di sinistra (compresi quelle definiti “radicali” come Rifondazione) e dai sindacati confederali.

   Ci sono state due modalità diverse per portare avanti questo tipo di attacco ai diritti dei lavoratori:

  • Da parte dei governi di Centro-Sinistra la “riforma” del diritto del lavoro deve avvenire di concerto con i sindacati confederali in modo da farla accettare ai lavoratori senza alcuna protesta.
  • L’orientamento dei governi di Centro-Destra, invece, prevedeva più l’immediato e diretto intervento del potere legislativo.

   In effetti, queste cosiddette “riforme” sono avvenute in prevalenza mediante accordi sindacali che, una volta consolidati ed evitato la protesta dei lavoratori, alla fine sono state consolidate.

   Agli accordi sindacali, è stato attribuito un vero e attribuito un vero e proprio ruolo normativo.

   Un esempio. In maniera di contratti a termine, la legge n. 56 del 1987 riconosceva ai sindacati la possibilità di derogare in peggio il divieto di apposizione del termine. Con tali accordi, il termine si poteva apporre liberamente ed anche all’attività ordinaria. In pratica, con gli accordi sindacali si legalizzava la violazione della legge. Una volta consolidatigli accordi ed evitato la protesta dei lavoratori, nel 2001 è stata emanata la nuova normativa sulla liberalizzazione del contratto a termine.

   Per il resto, basta confrontare la successione dei contratti collettivi per comprendere facilmente come i sindacati sottoscrittori hanno gradualmente introdotto la flessibilità e compresso, se non abolito, i diritti dei lavoratori.

   Il ruolo di CGIL-CISL-UIL è stato quello di far passare la “riforma” in peggio dei diritti dei lavoratori in silenzio e senza sorprese.

   A garanzia di tale ruolo, l’ordinamento e la giurisprudenza hanno riconosciuto a tali sindacati l’esclusivo riconoscimento di rappresentatività per legalizzare la loro preminenza rispetto a sindacati molto più conflittuali di loro.

SULLA FLESSIBILITA’

   La flessibilità la si fa ma non si dice. In 1.127 accordi sindacali sottoscritti tra il 1990 e il 1995 la parola compare solo su 137 documenti mentre esiste nei fatti molto di più di quanto compariva nei testi che venivano poi modificati. Flessibilità soprattutto negli orari. Ciò costituisce una linea guida che poi scatterà anche in tema di salario.

   Gli accordi gradino prevedono salari inferiori ai minimi previsti dai contratti.

   Un accordo gradino è stato stipulato nell’estate del 1996 per i tessili e costituisce una clausola aggiuntiva inserita nel C.C.N.L. del 1995. Con l’affermazione che “Gli accordi gradino salvano posti di lavoro e fanno aumentare al sindacato la presenza nei posti di lavoro” (Antonio Megale della CGIL Tessili). In sostanza sindacati e imprenditori tessili sono concordi nel ritenere che la clausola dei tessili dimostra l’approccio alle deroghe salariali risulti più efficace se affidato alle singole categorie e non imposto con intese centralizzate troppo condizionate da querelle politiche. Quello dei tessili è stato uno dei settori apripista nell’emersione del sommerso: nel 1996 aveva 30.00 addetti; 2.000 aziende; 10.000 addetti già emersi; 70 aziende emerse nel leccese, 20 a Martina Franca.[1]

   Altri accordi “brillanti” sottoscritti nel 1996: la CISL sigla un accordo territoriale a Brindisi in base al quale le nuove aziende possono pagare salari inferiori ai minimi contrattuali. La Barilla sottoscrive delle intese con i sindacati in base alle quali il personale è retribuito con un gradino inferiore a Melfi e Foggia. Il Contratto Collettivo nazionale del Legno prevede per i nuovi assunti stipendi inferiori del 20%. Mentre il Contratto Collettivo nazionale Lapidei e manufatti hanno allungato il periodo di avviamento da due a cinque anni.[2]

I   n base all’art. 36 della Costituzione, ogni lavoratore deve percepire una retribuzione in misura comunque sufficiente per garantire una vita libera e dignitosa per sé e alla sua famiglia. Tale misura è stata individuata nei minimi sindacali stabiliti dalle singole contrattazioni collettive nazionali.

   Il primo intervento per ridurre la retribuzione dei lavoratori è stato quello di non aumentare più i suddetti minimi, ormai fermi da oltre venti anni. Ciò è avvenuto con la complicità dei sindacati confederali e dei governi di Centro-Sinistra (con dentro la sinistra cosiddetta “radicale”).

   Le altre azioni sono state le più svariate.

   Con gli accordi gradino, come si diceva prima, è stato previsto un salario d’ingresso inferiore per i primi anni di lavoro. Questo tipo di azione, essendo anticostituzionale per violazione del diritto di uguaglianza, era prevista solo per qualche anno e in via transitoria invece dura dal 1990 perché è sempre stata prorogata.

   Con la leggi sui Lavoratori Socialmente Utili (LSU) di cui il decreto legislativo 468/98, lo Stato e gli enti pubblici possono assumere personale precario senza tutele e con garanzie ridottissime per la realizzazione di opere o fornitura servizi, con contratti temporanei e a scadenza. L’art. 8 esclude espressamente che tale personale possa essere considerato come lavoratori subordinati.

   Con i Contratti d’Area e i Patti Territoriali si sono introdotte forme di assunzione e retribuzione precaria. Nonostante tali azioni consistano in strumenti di finanziamento statale delle attività produttive, con il beneplacito di CGIL-CISL-UIL sono state introdotte politiche per la riduzione dei salari e per nuove forme di lavoro meno garantito e meno tutelato. I Contratti d’Area sono previsti dall’accordo per il lavoro del 24.09.1996 (Governo Prodi) per le aree industriali in crisi e ad alto tasso di disoccupazione, mentre i Patti Territoriali sono stati introdotti con le leggi nn. 104/95 e 662/96 per tutto il territorio. In realtà questi strumenti che riducono le tutele dei lavoratori sono stati applicati anche in zone non in difficoltà, come Pavia, Trieste, Crema. Un posto di lavoro creato con tali strumenti costa allo Stato 300.000€, quindi per gli imprenditori è quasi a costo zero. Ciò ha prodotto nuova occupazione precaria e con reddito insufficiente ed è stata un’operazione di sostituzione dei lavoratori a costo intero con quelli a costo ridotto.

   Con l’uso indiscriminato dei Contratti di Formazione si è provveduto all’assunzione finanziata di lavoratori per un massimo di due anni con il ricatto per essere confermato il rapporto a tempo indeterminato.

   Ora l’istituto è stato sostituito con le varie forme di apprendistato della durata di quattro anni ed applicabile liberamente anche a lavoratori qualificati (ingegneri, tecnici ecc.). Come apprendisti, i lavoratori svolgono un lavoro qualificato ma sono retribuiti secondo livelli d’inquadramento inferiori.

Per quanto riguarda, la flessibilità occupazionale che abolisce la garanzia di stabilità con il Decreto Legislativo 368/2001 e la Legge 133/2008 è stata introdotta la libertà dei Contratti a termine con i quali si ottiene lo stesso risultato della totale libertà di licenziamento in favore dei padroni: stipulando ripetuti contratti a termine o brevissimo termine mensile o settimanale il lavoratore deve sottostare ai ricatti datoriali, per non ottenere il rinnovo e rimanere disoccupato e senza reddito.

   Con la legge 428/90 è possibile licenziare i lavoratori in caso di cessione di azienda per assumere altri a condizioni più svantaggiose.

   Nei casi in cui non interessa la cessione di azienda, la flessibilità è attuata mediante la pratica dello “svecchiamento” che consiste nel porre in cassa integrazione i lavoratori garantiti per indurli alle dimissioni stante il ridotto ammontare dell’assegno rispetto allo stipendio ed i limiti imposti al cassintegrato. I lavoratori con maggiore anzianità sono posti in mobilità lunga per la pensione anticipata. In entrambi i casi, cassa integrazione e mobilità con prepensionamento, i costi sono a carico dello Stato e il datore si libera di quei lavoratori garantiti per assumere nuovo personale a condizioni peggiori.

   Con l’operazione “svecchiamento” il datore di lavoro ottiene anche un altro obiettivo: liberarsi del personale “anziano” anche se efficiente per assumere personale giovane, “fresco” di studi, proprio come avviene con un computer funzionante ma sostituito con un altro di ultima generazione.

La legge Biagi del 2003 ha introdotto ulteriori forme di flessibilità, tra cui: contratti a progetto, a chiamata, lavoro intermittente, a somministrazione, ripartito, accessorio, il distacco, il trasferimento, appalto di manodopera, cessione di ramo d’azienda.

   Tutte queste tipologie comportano una retribuzione inferiore, un’insicurezza del posto di lavoro, la mancanza di copertura delle ulteriori forme di retribuzione, come quella collaterale e differita (tredicesima, quattordicesima, ferie, TFR), ed assicurativa (malattie, maternità, previdenza, indennità di disoccupazione).

   Fino alla serie di leggi che il Governo Renzi, ha varato che sono raggruppate col nome di Jobs Acts che sono un sistema di ricatto permanente a favore dei padroni e contro i lavoratori e le lavoratrici.

   Infatti, questo ricatto procede su due gambe: quella dei contratti a termine a casuali (per cui il padrone può assumere a termine quando vuole e per il tempo che vuole) e quella dei contratti a tutele crescenti (per cui il padrone può assumerne a tempo indeterminato, ma licenziare quando e come vuole pagando una miseria di indennità)

   Tutti questi interventi sindacali e legislativi hanno avuto come conseguenza che in Italia la forza lavoro è tonalmente svalorizzata. Con il ricatto della disoccupazione di massa e con il lavoro nero (che nella sostanza con questi interventi sopra descritti è stato legalizzato), il padronato ha abbassato anno dopo anno i salari.

   I bassi e bassissimi salari cono la carta che i padroni italiani e i loro governi giocano sul tavolo della competitività contro gli altri capitalisti europei e mondiali.

   Per questo motivo anche in città come Milano c’è gente che lavoro per 3-4-3 euro l’ora!

   Per questo motivo un fronte unitario di lotta e di massa dovrebbe battersi che ci sia una paga oraria che non sia inferiore a 9€ l’ora (niente di estremistico è la media della paga base oraria europea) e un salario minimo garantito per i disoccupati che non sia inferiore almeno a 1.250€ mensili.

   In sostanza bisogna combattere il sottosalario, contro la condizione sempre più schiavistica imposta dal padronato e dalle leggi dello Stato, contro l’attacco alla dignità dei lavoratori e delle lavoratrici.

INCIDENTI E INFORTUNI SUL LAVORO

   Secondo dati ufficiali (molto inferiori alla realtà) i morti ufficiali sul lavoro sarebbero oltre 1.000 all’anno. In questa cifra sono compresi solo i lavoratori che muoiono in seguito ad un incidente violento entro i primi cinque giorni.

   Sono quindi escluse, tutte le morti successive ai cinque giorni e quelle causate da malattie contratte sul lavoro.

   Perciò questo numero aumenterebbe a diverse migliaia di morti all’anno. Una vera propria guerra che la Borghesia sta effettuando contro i proletari.

   Qual è la causa degli incidenti sul lavoro e quali potrebbero essere le soluzioni?   Una delle cause è la mancata predisposizione di mezzi e sistemi infortunistici ritenuti dalle aziende troppo costosi oppure elementi che frenano la produttività. Il motivo fondamentale di quest’atteggiamento delle aziende risiede nella legge economica del sistema capitalistico della competitività: la riduzione dei costi di produzione.

   Non applicare mezzi e sistemi anti infortunistici significa risparmiare soldi, quindi aumentare i profitti.

   Un’altra causa è l’aumento dei ritmi di lavorazione. La produzione aumenta con l’aumento della velocità di lavorazione.

   È un dato economico che un prodotto è tanto più competitivo quanto viene fabbricato nel minor tempo possibile. La velocità della lavorazione, però, non permette di rispettare le regole di sicurezza. Non permette di effettuare un lavoro con attenzione e precisione. Ciò crea motivo di incidenti ed infortuni.

   Un esempio è quanto sì e registrato nei supermercati della grande distribuzione, dove i commessi dovevano correre su pattini a rotelle per rifornire gli scafali.[3]

   Inoltre, aumentare i ritmi di lavoro e ridurre e abolire le pause (si potrebbe definire il “modello Marchionne” fatto di diminuzione pause, cassa integrazione e straordinari)[4] ed i riposi, tutto ciò significa maggiore produzione ma anche maggiore rischio di incidenti per stanchezza e mancanza di lucidità.

   Egli ultimi anni è aumentato anche il numero dei lavoratori minorenni, finanche bambini. In Italia si stima che nel 2013 erano 260.000 i minori sotto i 16 anni coinvolti, più di 1 su 20.[5]

I minorenni sono i più esposti agli incidenti e alla contrazione di malattie professionali vista la loro debole condizione fisica e la mancanza di esperienza e preparazione professionale. E chi fa lavorare i bambini viola, la legge sul diritto del lavoro, figuriamoci quelle sulla sicurezza.

I governi italiani – nel 1997 quello di Centro-Sinistra (appoggiato da un grande “comunista” come Bertinotti) e nel 2003 quello di Centro-Destra hanno abolito il limite dell’orario giornaliero fissato nel 1924 in otto ore. In base alla legge n. 66/03, un lavoratore può essere obbligato anche 16 ore al giorno senza alcun aumento di retribuzione. Quello che non ha fatto il fascismo storico al governo (ma all’epoca c’era un Movimento Comunista Internazionale degno tal nome con dirigenti come Lenin non intellettuali da salotto arrivati ai posti dirigenti grazie ai revisionisti come Ingrao), lo ha fatto il tecno-fascismo attuale con la complicità di tutti i partiti politici di centro, destra e della sinistra borghese (e dei sindacati che praticano la collaborazione di classe).

   Il limite della giornata di 8 ore è stata una grande conquista dei lavoratori sugellata con gli eccidi proletari del 1° maggio.

   La richiesta di limitare la giornata lavorativa al massimo di otto ore era motivata che più ore di lavoro provocavano maggiore stanchezza psico fisica. A causa della stanchezza avvenivano maggiori incidenti.

   La stessa legge n. 66/30 che ha abolito le otto ore, prevede che possono beneficiare di una pausa di 15 minuti per il riposo solo coloro che svolgono un lavoro ripetitivo e solo dopo le prime sei ore di lavoro. Pausa che non costituisce un diritto del lavoratore ma una concessione del datore di lavoro. Se il lavoratore decide di utilizzare la pausa dopo sei ore di lavoro contro la volontà del datore di lavoro, è passibile di sanzione disciplinare per insubordinazione che può essere punita con il licenziamento.

   È chiaro che il lavoratore evita di riposarsi per non perdere il posto di lavoro.

   Ma è anche chiaro che la stanchezza e la perdita di lucidità provocano incidenti la cui colpa viene posta sempre a carico del lavoratore, ritenuto disattento.

   Questi sono gli effetti della legislazione italiana.

   Pertanto, non si può parlare di soluzione della problematica degli infortuni se non si aboliscono queste leggi, se non si abolisce la legge n. 66/03, se non si affronta la questione dei ritmi di lavoro.

   Le imprese, per risparmiare sui costi, non predispongono adeguati mezzi, né attrezzature antiinfortunistiche. Sempre per risparmiare sui costi, gli imprenditori assumono personale non specializzato e senza esperienza in modo da pagarli di meno. La mancanza di conoscenze e d’informazioni è una causa degli incidenti.

   Le imprese che ricorrono maggiormente a questi espedienti sono quelle pressate dal contenimento dei costi rispetto agli introiti stabiliti da un appalto.

   Il prezzo con cui un’impresa concorre per l’aggiudicazione di un appalto è frutto di un calcolo complessivo dei costi di esecuzione. Quanto più riduce i costi, maggiore è la possibilità di aggiudicarsi la gara di appalto.

   I costi che in genere sin riducono sono proprio quelli destinati alla sicurezza poiché ritenuti non produttivi. La conseguenza è l’esposizione agli incidenti.

   Esposizione che aumenta vertiginosamente con i subappalti. In questi casi la riduzione del costo dei costi è ancora maggiore perché il subappaltante ottiene per il medesimo lavoro un prezzo di prezzo di appalto minore. Il subappaltante per ricavare degli introiti deve risparmiare sui lavoratori e sulla loro sicurezza.

   Appare chiaro che un terreno di lotta sta nell’abolire tutte le leggi e le norme che permettono il subappalto e disporne il divieto totale.

   Il subappalto è stato sempre una causa degli incidenti sul lavoro, inoltre, ha fatto riemergere la figura del caporale che era stata vietata dalla Legge 1369/60.

   Ebbene, prima della Legge Treu (approvato da quel grande “rivoluzionario” che era Bertinotti), poi con la Legge Biagi si è abolita la Legge 1369/60 e liberalizzato gli appalti e i subappalti di manodopera e legalizzato in sostanza il caporalato con il lavoro interinale e a somministrazione.

   I lavoratori assunti con contratti flessibili e precari, come il lavoro a termine, part time, a progetto, a chiamata ecc. sono maggiormente esposti agli infortuni. La loro condizione di riscattabilità li obbliga a non protestare e ad accettare lavorazioni pericolose o, comunque faticose, compresi i ritmi elevati e senza sicurezza.

   Pertanto, non è vero che le istituzioni vogliono eliminare le stragi sul lavoro. I partiti e i governi sono stati promotori (o comunque non si sono contrapposti) di leggi che facilitano e aumentano gli incidenti sul lavoro.

   Quindi, finché esisterà questo sistema economico che si basa sullo sfruttamento delle persone, il problema degli infortuni non sarà mai risolto ed i lavoratori saranno destinati a rischiare la vita.

   Ma, intanto è importante ed obbligatorio combattere affinché siano abolite tutte quelle leggi che facilitano gli incidenti e gli infortuni. Quindi occorre immediatamente ottenere l’abolizione della legge n. 666/03 e ristabilire l’orario massimo di lavoro a otto ore per cinque giorni a settimana (e ovviamente se si hanno i rapporti di forza sufficienti lottare per ulteriori riduzioni di orario senza perdita di salario); l’abolizione delle leggi che permettono il subappalto e stabilire il divieto dell’appalto di manodopera e del caporalato; l’abolizione totale della legge Treu e della legge Biagi; l’abolizione della Jobs Act e di ogni forma di precarietà e flessibilità del lavoro.

   Il prezzo che i lavoratori stanno pagando non è solo una retribuzione inferiore o il licenziamento, ma la loro sopravvivenza fisica.

LA DELOCALIZZAZIONE DELLE IMPRESE

   Gli imprenditori italiani hanno deciso di confermare la loro politica aziendale che prevede il licenziamento degli operai, la chiusura delle fabbriche in Italia ed il loro trasferimento nel Tricontinente o nei paesi dell’ex “campo socialista” (pensiamo che al 31 dicembre 2014 risultavano in Romania ben 18.433 imprese italiane).[6]

   Questa politica di licenziamento e trasferimento delle fabbriche è a completamento di quanto gli industriali hanno già fatto negli anni ’90 e che ha comportato il licenziamento di migliaia di lavoratori.

   Tutto questo è avvenuto ed avviene nonostante l’aumento delle commesse e la concessione di enormi benefici e finanziamenti pubblici in favore degli industriali per garantire l’occupazione.

   Le imprese italiane, infatti, hanno beneficiato di enormi aiuti finanziari e agevolazioni per creare e mantenere l’occupazione in Italia. La concessione di finanziamenti, immobili, stabili, infrastrutture, macchinari, sgravi fiscali, è stata la costante di questi aiuti.

   Quasi sempre gli industriali occupavano un numero di dipendenti inferiore a quello per cui beneficiavano degli aiuti.

   Spesso gli industriali, cambiando solo il nome dell’impresa e mantenendo le medesime strutture, macchinari e dipendenti, beneficiavano di ulteriori finanziamenti come se fosse una nuova azienda che dava occupazione.

   In maniera ricorrente, gli industriali assumevano i lavoratori con contratti precari per risparmiare sul costo della manodopera. Molte volte si è scoperto il pagamento con la doppia busta paga: una fittizia secondo i minimi salariali quale documentazione per ottenere i benefici pubblici e un’altra reale, riportante un importo inferiore che era corrisposto al lavoratore.

   A partire dal 1993, gli industriali italiani hanno cominciato a trasferire la produzione all’estero (coincidente l’aperta e dichiarata restaurazione capitalista nei paesi dell’Est), iniziando dall’Albania (storico terreno di caccia dell’imperialismo italiano), grazie ad accordi e concessioni effettuati dal governo italiano.

   In conformità a questi il governo italiano finanziava la chiusura degli stabilimenti in Italia, finanziava l’apertura all’estero. Lo Stato italiano, sempre in conformità a questi accordi, non richiede agli industriali nemmeno le tasse e i dazi di ritorno dei prodotti dall’estero. L’operazione è chiamata TPP (Traffico di perfezionamento Passivo).

   Con successivi accordi governativi, gli industriali hanno aperto stabilimenti, nell’Est Europa, in America Latina, in Africa e in Asia.

   Il principale, se non unico, motivo del trasferimento è costituito dallo scorso costo della manodopera. In Albania un operaio è pagato sulla media tre euro il giorno, mentre in Bulgaria (sempre sulla media) con soli 70 centesimi

   Non c’è mai stata nessuna riduzione delle commesse. La crescita delle imprese e la produzione. È aumentata la percentuale di vendita del prodotto, e i mercati, con relativo aumento di fatturato, di capitale e di profitto (ma di posti di lavoro in Italia).

   Anzi. Le aziende del settore interessato che nel 1990 avevano in tutto 700.000 operai in Italia, fino al 1998 hanno portato all’estero la lavorazione, operando 330.000 licenziamenti.

   Gli industriali non solo non hanno portato il lavoro fuori dall’Italia, ma non hanno fatto rientrare nel paese i profitti ottenuti. Questi profitti prendono la via dei paradisi fiscali, dei fondi pensione, dei fondi di investimento in altri paesi.

   La delocalizzazione ha coinciso largamente con l’esplosione della “fuga dei capitali all’estero”. Dei profitti ottenuti, solo nel 1998 sono stati esportati all’estero 80 mila miliardi di lire, pari a 41 miliardi di euro.

   Nei primi anni della delocalizzazione, gli industriali avevano mantenuto in Italia il 40-50% della produzione solo per limitare il rischio che si poteva determinare dalla realizzazione produttiva in paesi istituzionalmente ed economicamente non ancora sicuri (cosiddetto rischio Paese).

   Tale margine d’insicurezza è stato ridotto e quasi eliminato mediante l’intervento e la presenza militare italiana. Le forze speciali dell’esercito, dietro la scusa delle missioni di pace, garantiscono all’estero gli affari degli industriali italiani. Non è un caso che i militari italiani sono presenti in almeno 36 paesi e si parla addirittura, di sottoporli al comando del Ministero degli Esteri quale strumento di politica di espansione internazionale. La Marina Militare Italiana garantisce la scorta del trasporto merci.[7]

   Ora gli industriali che si apprestano a traferire quasi tutta la produzione lasciando in Italia solo il ciclo a più alto valore aggiunto (design, marketing ecc.).

   Oltre al trasferimento delle produzioni di beni si stanno delocalizzando anche le attività di servizi (per esempio i call center).

   Nonostante ciò, nonostante gli industriali abbiano da anni dichiarato a più riprese che chiuderanno gli stabilimenti, lo Stato continua ad elargire finanziamenti in loro favore anche per ammodernamento e ristrutturazione degli impianti affinché mantengano l’occupazione di operai, che invece, quasi sempre vengono messi in cassa integrazione e in mobilità.

   I finanziamenti sono elargiti anche a quegli industriali che sono stati più volte inquisiti per truffa ai danni dello Stato.

  Gli effetti di questa delocalizzazione, che in alcuni casi è definita “impetuosa”, sono facilmente leggibili. Nel “mitico” Nordest i laboratori contoterzisti che lavorano in subappalto sono stati sostituiti da aziende situate nell’Est Europa. Mentre nel più modesto Sudest, nel Salento in particolare, solo nel comparto calzaturiero si sono registrati dagli anni ’90 si calcola secondo dati prudenti sci siano stati almeno 13.000 licenziamenti.

  La chiusura delle fabbriche in Italia, il licenziamento dei lavoratori e il trasferimento all’estero è avvenuto ed il trasferimento con la complicità dei partiti e dei sindacati che non hanno perso il tempo a firmare accordi per la cassa integrazione e la mobilità.

  I sindacati non solo non hanno accennato ad una minima protesta, mentre venivano portati via i macchinari alla luce del sole, ma hanno fatto di tutto per convincere gli operai a subire le politiche aziendali poiché “esistono le supreme leggi del mercato”.

   Nessuna istituzione ha chiesto agli industriali la restituzione dei finanziamenti ottenuti con la scusa di creare e mantenere occupazione in Italia.

   La delocalizzazione è avvenuta e avviene in base ad accordi ed a norme emanate dallo Stato italiano che permette i licenziamenti in Italia ed invoglia il trasferimento all’estero.

   I padroni rimangono impuniti e continuano a speculare. Per loro la disoccupazione è un affare.

   Il trasferimento all’estero, come si diceva prima, avviene per sfruttare i bassissimi costi della manodopera. È evidente che non si può proporre a nessuno in Italia (almeno fino a oggi) di guadagnare asolo un euro il giorno. Altrettanto è chiaro che (almeno fino ad oggi ed è sempre bene ripeterlo) che un salario del genere difficilmente si può proporre nemmeno in Francia e in Germania. Il trasferimento avviene verso quei paesi ricattati dalla miseria, dalla fame e dalle guerre scatenate degli stessi paesi imperialisti occidentali.

   Pagare un operaio, un euro al giorno significa mantenerlo alla fame, nella disperazione più totale.

   Ecco perché queste popolazioni emigrano nei paesi imperialisti come l’Italia, essi scappano dalla fame generata dagli industriali occidentali (tra i quali molti italiani e padani). Gli stessi che licenziano nei loro paesi di origine (tra i quali l’Italia) creando così disoccupazione e marginalità (la criminalità diffusa è solo un prodotto di questi fenomeni sociali creati dai padroni).

   Gli immigrati sono vittime del medesimo disegno speculativo dei padroni.

  La questione dei licenziamenti e delle delocalizzazioni è collegata, quindi, a quella dell’immigrazione.

   La delocalizzazione, tra l’altro, è utilizzata per scardinare i diritti dei lavoratori.

  In pratica, si “invitano” i lavoratori ad accettare un lavoro flessibile, una drastica riduzione dei loro diritti e garanzie, dietro la minaccia di chiudere l’azienda trasferirla all’estero dove i lavoratori costano meno.

 Il messaggio che gli industriali danno ai lavoratori è chiaro: se accettate condizioni simili a quello che vivono i lavoratori del Tricontinente o quelli dell’Est europeo, la fabbrica non chiude e l’occupazione è salva.

  Partiti e sindacati non contrastano questa politica dando per scontato la “normalità” delle condizioni di lavoro dei lavoratori dei paesi esteri in cui si delocalizza.

   Con la guerra si afferma, demistificando e mentendo, di esportare quello che dicono di essere la “democrazia” (e i regimi che sorgono da queste aggressioni nella realtà sono solo dei satelliti e dei burattini degli imperialisti), con la delocalizzazione si vuole importare l’abolizione dei diritti dei lavoratori, si vuole scatenare la concorrenza e lo scontro tra lavoratori, tra italiani e immigrati.

   Questa tendenza deve essere invertita. Bisogna estendere a tutti i lavoratori, i diritti. L’internazionalismo non è solo un ideale, ma soprattutto una necessità concreta degli operai, il capitale agisce globalmente e globalmente deve agire la classe, un punto di partenza è stabilire dei collegamenti con i lavoratori degli altri paesi dove le aziende italiane sono andate a investire, per aprire lotte comuni dove si devono omologare (non al ribasso ovviamente) sia la parte salariale che quella normativa.

IL DIRITTO DEL LAVORO

   In quasi in tutto il mondo si fa risalire la nascita del diritto al periodo dell’impero romano. Già duemila anni fa, infatti, erano state descritte ed elaborate le varie branche del diritto, per esempio quello del matrimonio, dell’eredità, dei contratti, della proprietà ecc. L’unica branca che nel diritto romano non esisteva era quello del diritto del lavoro. Ai lavoratori non era riconosciuto nessun diritto.

   Il diritto del lavoro nel diritto romano non esisteva se non come proprietà dello schiavo. In sostanza, il lavoratore, era paragonato a un attrezzo, a una macchina di lavoro, che il padrone poteva disporre a suo piacimento. Lo poteva usare, spostare, abbandonare e vendere come voleva.

   Anche dopo l’impero romano, la condizione di schiavitù è continuata senza che ai lavoratori fosse riconosciuto alcun diritto da tutte le legislazioni del mondo.

   Solo nel XVIII secolo si sono si sono registrati i primi sporadici interventi per frenare alcune situazioni schiavistiche, mentre le prime elaborazioni di diritto del lavoro sono nate tra il 1800 e il 1865.

   Tale periodo noto come rivoluzione industriale, vede la borghesia affermarsi definitivamente come classe egemone dal punto di vista politico, subentrando a quella feudale.

   Durante la rivoluzione industriale le condizioni di lavoro degli operai di fabbrica furono molto pesanti, anche l’assoluta mancanza di ogni tutela dei loro diritto e per il divieto imposto dai governi di associarsi per ottenere miglioramenti salariali e normativi.

   La giornata lavorativa era di quattordici ore e spesso fu portata a sedici. La disciplina in fabbrica era ferrea: le macchine dovevano lavorare a un ritmo continuo e veloce e non c’era spazio per riposarsi, né per le pause. Allontanarsi dal proprio posto di lavoro o parlare con un compagno di lavoro venivano considerale mancanze gravi e costavano pesanti sanzioni fino al licenziamento.

   Era l’essere umano a doversi adattare alla macchina e non il contrario. Al lavoratore si chiedeva di svolgere un ruolo meccanico e non attivo o intelligente.

   I salari erano bassissimi perché i disoccupati erano così tanti che un operaio se scontento poteva essere sostituito in qualsiasi momento.

   Particolarmente grave fu la condizione dei bambini e delle donne che, essendo pagati meno, erano utilizzati in gran numero. Costavano meno perché ricevevano un salario più basso e rendevano allo stesso modo. Nelle fabbriche della Scozia nel 1816 su 10.000 operai, 6.850 erano donne e bambini.

In nessun paese esistevano leggi per tutelare i bambini, nemmeno quelli più piccoli.

   Dopo le prime lotte operaie, molte delle quali duramente represse,[8]   lo Stato inglese approvò la prima legge nel 1819 che prevedeva il limite di età di assunzione dei bambini dai dieci anni in poi e il limite dell’orario giornaliero stabilito in dieci ore. Non c’era, però, alcuna autorità che prevedeva il controllo. Quindi la legge minorile non è stata mai applicata.

  Dal 1800 era enormemente aumentata l’esasperazione dei lavoratori causata non solo dallo sfruttamento ma anche dalle ripercussioni lavorative consistenti in moltissime morti sul lavoro (storia vecchia nel capitalismo come si vede), malattie professionali, infortuni, miseria, sopraffazioni sulla persona, insomma, gli operai erano (e lo sono tuttora se non si difendono e mettono in discussione questo Modo di Produzione) carne da macello.

   Tutto questo era la dimostrazione pratica che gli interessi delle due classi, borghese e proletaria sono inconciliabili. La borghesia ritiene che qualunque sia la sorte dell’operaio, non è compito del padrone migliorarla.

   Dalla loro esperienza pratica, gli operai hanno imparato che per migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro devono contare essenzialmente sulle loro forze. Impresa difficile perché i padroni hanno dalla loro parte anche i governi i quali rappresentano le classi più elevate che si schierano con i padroni e non con gli operai.

   I governi hanno sempre vietato l’associazione dei lavoratori e impedito le varie forme di lotta, in primis lo sciopero. In Germania, addirittura, nel 1845 ogni interruzione del lavoro era severamente punita anche con la pena di morte.

  La libertà di sciopero e di associazione alla classe operaia non è stata certamente regalata.

   In una società divisa in classi, una classe subalterna, che quindi non detiene il potere, riesce con la lotta a strappare alla classe dominante una concreta libertà, anche se parziale, e sempre in costante pericolo che le sia nuovamente tolta. Questo significa che quando si parla di conquista di concrete libertà in regime borghese, queste non possono che essere libertà che la classe soggetta strappa alla classe dominante, anche se parzialmente e anche se possono essere rimesse in discussione.

   Vediamo alcuni esempi. La libertà di riunione e di associazione fu nel periodo della Rivoluzione Francese e precisamente il 14 giugno 1791 con la legge Le Chapelier, abolita per gli operai, in quanto proibiva a loro il diritto di riunione e di associazione, e comminava ai proletari che non osservavano il divieto multe e perdita a tempo determinato dei diritti civili.

   Ugualmente in Inghilterra, in periodo di affermazione della dittatura della classe borghese a cavallo tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo è un susseguirsi di leggi che vietano ogni diritto di riunione e associazione per ogni tipo di lavoratori. Lo stesso avverrà in Italia e in altri paesi di più tarda industrializzazione a metà del XIX secolo, dove ogni diritto di coalizione e di resistenza operaia sarà proibita.

   Sia in Inghilterra che in Francia e successivamente negli altri paesi, occorreranno decenni di lotte durissime, migliaia e migliaia di morti, centinaia di migliaia di feriti e carcerati, insurrezioni e rivolte, scioperi di milioni di uomini e donne, per strappare ai governi borghesi di questi paesi la libertà di sciopero, di associazione, di coalizione e di resistenza per i lavoratori. In Francia occorreranno le rivoluzioni del 1830 e del 1848 in Inghilterra le lotte del 1825, 1832 e 1859 e la dura cruenta lotta del movimento cartista.

   Un’altra battaglia è stata quella di eleggere o essere eletti dei proletari nel parlamento borghese, la richiesta del suffragio universale (dei maschi adulti) era il primo punto della Carta del 28 febbraio 1837 che segna il momento più alto e di massa del movimento operaio inglese. Gli altri punti erano: parlamenti annuali, voto a scrutinio segreto, stipendio ai membri del parlamento, abolizione dei requisiti di censo per i candidati al parlamento, distretti uguali.

   Si noti che il cartismo, specie in quel periodo non fu emanazione di ceti piccolo-medio borghesi, ma espressione di tutto il mondo proletario mobilitato a livello di massa. Occorreranno cinquant’anni di lotte per ottenere in Inghilterra il suffragio universale, che sarà concesso solo nel 1918. Lo stesso avverrà nei decessi successivi nelle altre nazioni europee dove, il proletariato chiederà il potere per sé non per le altre classi.

   Vediamo ancora la libertà di stampa, in pratica la libertà di scrivere e diffondere le proprie idee.

   Nell’Inghilterra dell’Ottocento dove vigevano grosse tasse di bollo su ogni copia di giornale (quotidiano o settimanale) venduto. Il prezzo di vendita diveniva così altissimo, tanto che per i proletari era concretamente irraggiungibile l’acquisto di un giornale. Occorsero campagne operaie durate decenni e la sfida lanciata da giornali operai, venduti al prezzo di pochi centesimi e illegalmente senza bollo, per far abolire la legge. Il primo a lanciare la campagna fu il The poor man’s guardian che, su iniziativa del suo direttore Cobbet, fu venduto al prezzo di un penny come protesta “contro la tassa sul sapere”. Altri giornali operai seguirono, in una lotta che durò alcuni lustri, per arrivare al 1836 quando la tassa sui giornali fu ridotta, e infine nel 1855 quando fu abolita.

   Il limite di tutte queste libertà che sono state conquistate da parte del proletariato con lotte durissime (durate decenni se non addirittura due secoli) sono avvenute nell’ambito e nel quadro dello Stato borghese, permanendo la dittatura della classe borghese. E quindi in ultima analisi sono state utilizzate dallo Stato borghese per mantenere il proprio dominio. Ciò conferma la correttezza dell’analisi marxista e leninista sullo Stato, secondo cui lo Stato della classe opprime, non può essere utilizzato dalla classe oppressa, ma deve essere demolito dalle fondamenta.

   Poiché questo non è avvenuto negli ultimi due secoli, tutte le conquiste operaie, per quanto ottenute attraverso lotte asprissime e prolungate, sono state utilizzate e fatte proprie dalla classe dominante. Se da una parte la conquista di queste liberà, ha allargato le possibilità del proletariato, ma dall’altro sono state utilizzate e “catturate” dalla borghesia che le ha mistificate come proprie libertà. La libertà operaia di associarsi e di costituire leghe e sindacati sono stati utilizzati dalla borghesia per istituzionalizzare il sindacato come ulteriore struttura di sostegno alla dittatura della classe borghese. La libertà di eleggere e di essere eletti è stata usata dalla borghesia per strappare alla loro classe di provenienza gli eletti operai e farne dei borghesi. La libertà di stampa, per l’enorme differenza economica di chi finanzia i giornali (monopoli) è utilizzata dalla borghesia per creare un’opinione contraria agli interessi proletari, e si può continuare con infiniti esempi.

   Su tutte queste libertà incombe il continuo ricatto da parte della borghesia di essere abolite tutte in una notte (attraverso uno stato fascista per esempio) ove le strutture democratiche-parlamentari non dovessero più essere funzionali per il domino capitalista.

   Tutto questo per dire che il diritto del lavoro non è stato un’elargizione da parte dello Stato borghese, ma è un prodotto delle lotte operaie (soprattutto se sono rivolte al cambiamento radicale del sistema).

   Ecco perché nel linguaggio giuridico il diritto del lavoro è definito come “elemento che resiste e che restringe lo sviluppo economico”.

   Pertanto, il diritto del lavoro non è mai riconosciuto come una delle tante branche giuridiche ma come la forza dei lavoratori di rivendicare la tutela dei loro interessi. È evidente che la sua esistenza dipende dall’espressione di tale forza. Quando i lavoratori smettono di lottare in maniera radicale al di fuori delle compatibilità del sistema, il diritto del lavoro sarà sempre limitato fino ad essere abolito.


[1] Il Sole 24 0re, 28 agosto 1996.

[2] Il Sole 24 0re, 29 agosto 1996, pag. 13.

[3] http://archiviostorico.corriere.it/2002/settembre/13/manager_commessi_negozio_muoveranno

[4] http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/21/pause-ridotte-cassa-integrazione-straordinari-pilastri-%E2%80%9Cmodello-pomigliano%E2%80%9D/172169/

[5] http://www.savethechildren.it/IT/Tool/Press/All/IT/Tool/Press/Single?id_press=592&year=2013

[6] http://www.icebucarestnews.ro/userfiles/file/LA%20PRESENZA%20ITALIANA%20IN%20ROMANIA%202014.pdf

[7] Ci ricordiamo i due marò questi “eroi” uccisori di pescatori indifesi, dove erano? Su una nave mercantile. E nessuno si è chiesto cosa ci stavano a fare? Se c’è una normativa che li consente? Ebbene sì, in base al DECRETO-LEGGE 12 luglio 2011, n. 107 Proroga (delle missioni internazionali delle forze armate e di polizia e disposizioni per l’attuazione delle Risoluzioni 1970 (2011) e 1973 (2011) adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nonché degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione). Misure urgenti antipirateria. (11G0148) (GU n.160 del 12-7-201) ha permesso la convenzione tra gli armatori e il Ministero della “Difesa” (ma forse si intende difesa degli armatori e degli industriali in genere).

   Ci si chiederà se è possibile che un corpo di élite della marina non abbia nulla di più importante a cui pensare che fare la guardia giurata dei privati?    Esso è possibile poiché è un nuovo modo per fare cassa, poiché gli armatori sono pagati dal ministero. Dopo dismissioni e svendite del patrimonio, tasse e tagli a spese sociali, istruzione e ricerca, ecco a voi affitto di militari scelti. Un’ulteriore dimostrazione che l’austerità non ha come conseguenza solo il peggioramento delle condizioni sociali ma arricchimento di chi è già ricco.

   Del resto, ci siamo abituati all’impiego dell’esercito per cose che non gli competono istituzionalmente, per spot elettorali, tipo la “sicurezza” o l’emergenza neve; situazioni nate per dare solennità e importanza ad alcuni temi.

[8] L’episodio più grave di repressione si ebbe a St Peter’s Fields, vicino a Manchester, nel 1819, quando fu usata la cavalleria per disperdere un raduno di 50 000 persone che chiedevano una riforma parlamentare, provocando undici morti e 500 feriti. Questa strage fu approvata da tutta la classe politica inglese: e poiché anche il duca di Wellington, il vincitore della battaglia di Waterloo, espresse pubblicamente il suo sostegno nei confronti degli ufficiali che avevano ordinato la carica dei dimostranti, l’episodio venne sarcasticamente ribattezzato massacro di Peterloo.

LA PANDEMIA DEL DEBITO

•ottobre 25, 2020 • Lascia un commento

   In questi mesi la maggior parte della popolazione  (giustamente) si è concentrata sul Covid 19. Dal mio modesto punto di vista ritengo che bisognerebbe concentrarsi anche su un altro tipo di pandemia: quella dei debiti pubblici e privati che si stanno propagando nel mondo.

   Gli effetti del debito sono descritti dal compianto Gianfranco Bellini[1] e uscito postumo nel 2013, nel libro intitolato La bolla del dollaro – Ovvero i giorni che sconvolgeranno il mondo, edito da Odradek. Nella Bolla del dollaro si trovano riferimenti teorici, storici ed analitici che possono essere utili ad analizzare la situazione attuale. Nel frastuono di parole che i media, con ore di trasmissioni televisive sempre fuorvianti, di valanghe di notizie molte volte inattendibili  che servono ad anestetizzare la pubblica opinione, poco spazio si è dato al summit che si è tenuto il 27 – 29 agosto 2020  a Jackson Hole, in Wyoming, che è stato uno degli appuntamenti economici più attesi e importanti dell’anno, utilizzato dai banchieri centrali per mandare messaggi di politica monetaria.[2] Il tema di discussione era senza dubbio molto impegnativo: Navigare nel prossimo decennio: implicazioni per la politica monetaria. Star dell’evento è stato Jerome Powell presidente della Federal Reserve (Fed) e custode della valuta più indebitata, ma si badi bene non inflazionata, dell’intero globo terrestre,  se consideriamo che un debito di 26.712 miliardi di dollari non può più essere contenuto nei ristretti confini del pianeta Terra. Powell ha dichiarato che la Fed non si opporrà ideologicamente ad un livello di inflazione intorno al 2%, se questo sarà da stimolo alla crescita dell’occupazione. Non un accenno sul vertiginoso aumento del debito americano, di oltre 3.000 miliardi di dollari realizzatosi da marzo ad oggi, oppure per il suo improbabile contenimento, pensando alle tensioni inflazionistiche previste in percentuale assai contenute se rapportate alla massa monetaria espressa in dollari. Bisogna intendersi cosa intende dire Powell quando parla di tolleranza al 2%. Magari il capo della Fed sta mandando un messaggio alle classi dirigenti americane che si apprestano a scegliere il prossimo presidente attraverso la pantomima delle elezioni.  Powell ad esempio potrebbe sottendere che arrivare a un cambio di 1 dollaro per 0,70£ nei prossimi mesi non sarebbe tollerabile (oggi al cambio 1 dollaro per il 0,84£).  Bisognerebbe tenere d’occhio i rapporti di cambio tra le monete da novembre in avanti. Inoltre, bisognerebbe prestare attenzione al titolo del convegno Navigare nel prossimo decennio, assieme a un ulteriore riflessione: i banchieri centrali si stanno dando un orizzonte temporale definito e neppure troppo ampio. Nelle segrete stanze, e non in convegni pubblici, essi sanno che qualcosa dovrà succedere per forza nei prossimi anni.  

   Nel mondo occidentale il debito pubblico dilaga: il debito delle   corporation cresce, il debito delle aziende aumenta, il debito privato s’ingrandisce. Il Covid-19 sta accelerando questi processi, la cui velocità aumenta costantemente senza sapere effettivamente dove si vada a finire, nell’incerta certezza che per pura magia (magari per eredità culturale di Harry Potter o meglio ancora di Mago Merlino) non si andrà a sbattere contro nessun ostacolo. Ma sarà davvero così?

   Nella Bolla del Debito capitale reale e capitale fittizio vengono correttamente presentati in completa antitesi. Per quanto riguarda il capitale reale non si può che fare riferimento alla fondamentale opera di Marx DasKapital  (in italiano Il Capitale). Per quanto riguarda il capitale fittizio. Bellini fa notare che l’approfondimento teorico è ancora lacunoso e soggetto a critiche  e allo stato attuale una definizione di capitale fittizio, di potrebbe dire che c’è in esso il superamento del classico della formula classica di Marx  D-M-D’ (denaro-merce-più denaro).[3] Nella sostanza “Il Capitale Fittizio è quella parte di capitale che non può essere  simultaneamente convertita in valori d’uso esistenti. È un’invenzione che è assolutamente necessaria per la crescita del capitale reale, costituisce il simbolo di fiducia nel futuro. Si tratta di una finzione necessaria ma costosa e prima o poi crolla a terra”. Lavoriamo su questa definizione dove troviamo essenziali per comprendere perché il fittizio è il debito ed il debito è il capitale fittizio. Analizziamola la prima parte della definizione: “Il Capitale Fittizio è quella parte di capitale che non può essere simultaneamente convertita in valori d’uso esistenti…”. Nel  Capitale di Marx è la merce che contiene valori d’uso e valore di scambio, la continua trasformazione di denaro in merce e di merce in denaro genera il capitale reale. Il capitale fittizio è invece avulso da questo meccanismo, la sua generazione non dipende da fattori produttivi e commerciali, è una sorta di auto generazione perpetrata da enti che sono in grado di creare e moltiplicare denaro (banche centrali ed istituti privati). Essi hanno storicamente avuto freni inibitori in quest’azione speculativa dove alla fine sono progressivamente indeboliti. Freni inibitori importanti fino allo scoppio della prima guerra mondiale: lo sterling era il derivato (capitale fittizio) della sterlina,[4] il quale era convertibile in oro secondo i sacri dettami del Gold Standard. Una delle ragioni a fondamento della prima guerra mondiale fu lo squilibrio fra gli Sterling Bills circolanti e l’insufficiente riserva d’oro della Banca d’Inghilterra per garantirli. Un successivo indebolimento avvenne nel primo dopoguerra, allorché il dollaro di fatto affiancò la sterlina quale moneta di riferimento del commercio mondiale e quindi gli inglesi e gli americani poterono creare capitale fittizio tramite i rispettivi bills (cambiali, titoli di credito commerciali ecc.) fortemente utilizzati per le transazioni internazionali, ma a loro volta soggetti alla speculazione finanziaria. Un ulteriore ridimensionamento vi fu a seguito degli accordi di Bretton Woods del 1944, ed al passaggio al Gold Exchange Standard. Le monete europee rappresentanti di paesi accumunati dalla distruzione fisica ed economica dovute alla seconda guerra mondiale (senza particolari distinzioni tra vincitori e vinti), persero la possibilità di convertirsi in oro, delegando al solo dollaro questa possibilità. La sterlina abdicò definitivamente al proprio ruolo di moneta di riferimento a favore del biglietto verde USA.  Negli Cinquanta e Sessanta, le necessità vere o presunte di far fronte alla cosiddetta guerra fredda contro il “blocco socialista” a guida revisionista e la Repubblica Popolare Cinese, sia dalle due guerre calde determinate dalle guerre di liberazione rivoluzionaria della Corea e del Vietnam, indussero ben presto le autorità monetarie a premere sull’acceleratore dell’indebitamento e della conseguente creazione di capitale fittizio fino a giungere al primo default del debito americano dell’agosto 1971, allorché il presidente Richard Nixon decretò la sospensione della convertibilità del dollaro in oro (35 dollari per un oncia Troy[5]). Dal Gold Exchange Standard si passò al Dollar Standard, attualmente in vigore, ed alla possibilità per le autorità monetarie USA di creare debito senza limiti e quindi generare capitale fittizio a profusione per alimentare la voracità di Wall Street da un lato, e l’enorme costosissima macchina militare, compreso il suo notevole indotto industriale, dall’altro. Mai dimenticare che il privilegio di avere la valuta di riferimento lo si conquista e lo si difende sul campo di battaglia. Veniamo ora alla seconda parte della definizione: “E’ un’invenzione che è assolutamente necessaria per la crescita del capitale reale, costituisce il simbolo di fiducia nel futuro…”. Il capitale fittizio è invenzione, è frutto della fantasia di banche ed istituiti finanziari che operano anche tramite il mercato borsistico, loro complice in nefandezze bancarie. Facciamo l’esempio dei Subprime oggetto della bolla esplosa nel 2008. Al rapporto reale di erogazione di un mutuo a fronte dell’acquisto di una casa, banche e finanziarie costruiscono una serie di prodotti finanziari derivati costruiscono una serie di prodotti finanziari derivati che inglobano il rapporto mutualistico, per poi venire a loro volta inclusi in altri prodotti finanziari, moltiplicando così il valore del debito originario. Fino al momento dell’esplosione della bolla, la vendita sul mercato tali prodotti speculativi genera denaro vero che ritorna “impropriamente” sotto forma di capitale investito, in questo senso ai alimenta il capitale reale, il capitale fittizio costituisce il simbolo di fiducia nel futuro perché tale sistema si fonda sulla convinzione che il sottostante rapporto reale, un debitore in carne ed ossa che paga regolarmente le rate del mutuo, non cesserà mai di adempiere al proprio dovere “sociale”. Su questa fiducia la speculazione moltiplica i valori senza porsi limiti. Allorché tale debitore viene meno a tale obbligo abbiamo è la crisi del 2008.

LA FASE TERMINALE DELLA CRISI?

   E’ errato sostenere (come fanno i riformisti vecchi e nuovi) che l’attività economica complessiva è stata abbandonata alla libera iniziativa di tanti singoli individui. Al contrario la sua direzione è stata sempre più concentrata nelle mani di un ristretto numero di capitalisti e di loro commessi. In secondo luogo, con la mondializzazione del Modo di Produzione Capitalista e, il passaggio del capitale finanziario a ruolo guida del processo economico capitalista, la cosiddetta “globalizzazione”, la finanziarizzazione, la speculazione ha permesso alla borghesia, di ritardare il collasso dell’economia. Con l’estorsione del plusvalore estorto ai lavoratori o con le plusvalenze delle compravendite di titoli, i capitalisti hanno soddisfatto il loro bisogno di valorizzarsi il loro capitale e accumulare e accumulare. I bassi salari dei proletari (in tutti i paesi imperialisti compresi gli USA il monte salari è stato una percentuale decrescente del PIL) sono stati in una certa misura compensati dal credito: grazie a ciò il potere di acquisto della popolazione è stato tenuto elevato milioni di famiglie si sono indebitate, le imprese sono riuscite  a vendere le merci prodotte e hanno investito tenendo alta la domanda di merci anche per questa via.

   Si è trattato di un’autentica esplosione del credito al consumo attraverso l’uso generalizzato del pagamento a rate per ogni tipo di merce, delle carte di credito a rimborso generalizzato, nel proliferare come funghi di finanziarie che nei canali televisivi offrivano credito facile (persino anche a chi ha avuto problemi di pagamento!). Questo fenomeno si è diffuso dagli USA a tutti i paesi occidentali, dove in paesi come l’Italia (dove tradizionalmente le famiglie hanno sempre teso al risparmio), l’indebitamento delle famiglie occidentali è salito in pochi anni, in Spagna è salito al 120% del reddito mensile e in Gran Bretagna è arrivato a essere riconosciuto come una patologia sociale.

   Ma nonostante la droga creditizia messa in atto, il collasso delle attività produttrici di merci non è stata evitata e a causa della bolla immobiliare dei prestiti ipotecari USA e del crollo  del prezzo dei titoli finanziari, si restringe il credito.

   Bisogna considerare, inoltre, che la massiccia profusione di credito introdusse numerosi squilibri nel sistema poiché l’aumento del credito concesso non era accompagnato dalla crescita dei depositi liquidi  atti a fronteggiare eventuali fallimenti dei debitori. Il problema nasce dal fatto è che questo sistema poggia sulla continua rivalutazione delle attività finanziarie, cui all’origine sta il rientro dei debiti contratti e a valle la fruibilità dei prestiti fiduciari tra le istituzioni di credito. Poiché le passività tendono a essere molto più liquide delle attività (è più facile pagare un debito che riscuoterlo), l’assottigliamento dei depositi significa che in corrispondenza di una svalutazione degli assetti finanziari che intacchi la fiducia, le banche diventano particolarmente esposte al rischio d’insolvenza.

   Le chiavi attorno a cui ruotò l’intero meccanismo furono essenzialmente quattro:

  1. I Veicoli d’Investimento Strutturato (Siv). Si presentano come una sorta di entità virtuali designate a condurre fuori bilancio le passività bancarie, cartorizzarle e rivenderle. Per costruire una Siv, la “banca madre” acquista una quota consistente di obbligazioni garantite da mutui ipotecari, chiamati Morgtgagebaked Securities (Mbs). La Siv, nel frattempo creata dalla banca, emette titoli a debito a breve termine detti assett-backed commercial paper – il cui tasso di interesse è agganciato al tasso di interesse interbancario (LIBORrate) – che servivano per acquistare le obbligazioni rischiose dalla “banca madre”, cartorizzarle nella forma di collateralizet debt obligation (Cdo)  e rivenderle ad altre istituzioni bancarie, oppure a investitori come fondi pensione o hedge fund. Per assicurare gli investitori circa la propria solvibilità, la banca madre attiva una linea di credito che dovrebbe garantire circa la solvibilità nel caso in cui la Siv venga a mancare della liquidità necessaria a onorare le proprie obbligazioni alla scadenza. Quando nell’estate del 2007, la curva dei rendimenti – ossia la relazione che i rendimenti dei titoli con maturità diverse alle rispettive maturità – s’invertirà e i tassi di interesse a lungo termine diventeranno più bassi di quelli interbancari a breve termine, la strategia di contrarre prestiti a breve termine (pagando bassi tassi di interesse) si rivelerà un boomerang per le banche madri, costrette ad accollarsi le perdite delle Siv.
  2. Colleteralized Debt Obligation (Cdo).  La cartolarizzazione è una tecnica finanziaria che utilizza i flussi di cassa generati da un portafoglio di attività finanziarie per pagare le cedole e rimborsare e rimborsare il capitale di titoli di debito, come obbligazioni a medio – lungo termine, oppure carta commerciale a breve termine. Il prodotto cartoralizzato divenuto popolare con lo scoppio della crisi è il Cdo ossia un titolo contenente garanzie sul debito sottostante. Esso ha conosciuto una forte espansione dal 2002 al 2003, quando i bassi tassi di interesse hanno spinto gli investitori ad acquistare questi prodotti che offrivano la promessa di rendimenti ben più elevati.
  3. Agenzie di rating. Sono società che esprimono un giudizio di merito, attribuendone un voto (rating), sia sull’emittente, sia sul titolo stesso. Queste agenzie non hanno alcuna responsabilità sulla bontà del punteggio diffuso. Se il titolo fosse sopravalutato, le agenzie non sarebbero soggette ad alcuna sanzione materiale, ma vedrebbero minata la loro “reputazione”. Tuttavia, data la natura monopolista dell’ambiente dove operano, anche se tutte le agenzie sopravalutassero i giudizi, nessuna sarebbe penalizzata.
  4. Leva finanziaria. Essa è il rapporto fra il titolo dei debiti di un’impresa e il valore della stessa impresa sul mercato. Questa pratica è utilizzata dagli speculatori e consiste nel prendere a prestito capitali con i quali acquistare titoli che saranno venduti una volta rivalutati. Dato il basso costo del denaro, dal 2003 società finanziarie di tutti i tipi sono in grado di prelevare denaro a prestito (a breve termine) per investirlo a lungo termine, generando profitti. Per quanto riguarda la bolla, l’inflazione dei prezzi immobiliari sta alla base della continua rivalutazione dei titoli cartolarizzati che ha spinto le banche a indebitarsi pesantemente per acquistare Cdo, lucrando sulla differenza tra i tassi della commercial papers emessi dalle Siv e i guadagni ottenuti, derivanti dall’avvenuto apprezzamento dei Cdo. In realtà, si è giunto al cosiddetto “effetto Ponzi” in cui la continua rivalutazione dei Cdo non era basata sui flussi di reddito sottostante, ma su pura assunzione che il prezzo del titolo sarebbe continuato ad aumentare.

Questa bolla non è certamente esplosa per caso.

   La New Economy, ha visto forti investimenti in nuove tecnologie informatiche (TIC): ma alla fine i forti incrementi di produttività non hanno compensato i costi della crescita dell’intensità del capitale, e quindi la sostituzione del capitale al lavoro.[6]

   L’indebitamento delle famiglie come si diceva prima, era stato favorito dal basso costo del denaro che favorì una crescita dei processi di centralizzazione, l’indebitamento delle imprese e appunto delle famiglie, la finanziarizzazione dell’economia e l’attrazione degli investimenti dall’estero. Ne conseguì un boom d’investimenti nel settore delle società di nuove tecnologie infotelematiche, in particolare sulle giovani imprese legate a Internet; con la conseguente crescita fittizia della New Economy che alimentò gli ordini di computer, server, software, di cui molte imprese del settore manifatturiero erano forti utilizzatrici e le imprese produttrici di beni d’investimento in TIC avevano visto esplodere i loro profitti e accrescere i loro investimenti. Ma, a causa degli alti costi fissi e dei prezzi tirati verso il basso dalla facilità di entrata di nuove imprese nel settore della New Economy, queste ultime accumularono nuove perdite e quando cercavano di farsi rifinanziare (avendo molte di queste società forti perdite) la somma legge del profitto che regola l’economia capitalistica indusse i vari finanziatori a stringere i cordoni della borsa in quanto avevano preso atto della sopravvalutazione al loro riguardo e le più fragili videro presto cadere attività e valore borsistico. Si sgonfiò così il boom degli investimenti in TIC.

   Dopo la fine della New Economy nel 2001 le autorità U.S.A. favorirono l’accesso facile al credito a milioni d’individui, in particolare per l’acquisto di case come abitazione principale o come seconda casa. Tra il gennaio 2001 e il giugno 2003 la Banca Centrale USA (FED) ridusse il tasso di sconto dal 6,5% al 1% . Su questa base le banche concedevano prestiti per costruire o acquistare case con ipoteca sulle case (senza bisogno di disporre già di una certa somma né di avere un reddito a garanzia del credito). I tassi di interesse calanti garantivano la crescita del prezzo delle case. Ad esempio, chi investiva denaro comprando case da affittare, il prezzo delle case era conveniente finché la rata da pagare per il prestito contratto per comprarle restava inferiore all’affitto. Il prezzo cui era possibile vendere le case quindi saliva man mano che diminuiva il tasso d’interesse praticato dalla FED. La crescita del prezzo corrente delle case non copriva le ipoteche, ma consentiva di coprire nuovi prestiti. Il potere d’acquisto della popolazione USA era così gonfiato con l’indebitamento delle case.

   Ma quando la FED, per far fronte al declino dell’imperialismo U.S.A. nel sistema finanziario mondiale (l’euro sta contrastando l’egemonia del dollaro, poiché molti paesi, per i loro scambi e i processi di regolamentazione delle partite correnti tra merci cominciano a preferire l’euro) nel 2007 riporta il tasso di sconto al 5,2% fa scoppiare la bolla nel settore edilizio USA e causa il collasso delle banche che avevano investito facendo prestiti ipotecari di cui i beneficiari non pagavano più le rate. Questo a sua volta ha causato il collasso delle istituzioni  finanziarie che avevano investito in titoli derivati dai prestiti ipotecari che nessuna comprava più, perché gli alti interessi promessi non potevano più arrivare. Tutto questo, alla fine, provocò il collasso del credito, la riduzione della liquidità e del potere di acquisto.  Diminuzione degli investimenti e del consumo determinano il collasso delle attività produttrici di merci.

   Se si guarda il percorso storico della crisi, dagli anni ’80, si nota che le attività produttrici stavano in piedi grazie a investimenti e consumi determinati dalle attività finanziarie. Quando queste collassano anche le attività produttrici crollano.

   Le autorità pubbliche di uno stato borghese, per rilanciare l’attività economica, le uniche cose che possono fare rimanendo dentro l’ambito delle compatibilità del sistema, sono:

  1. Finanziare con pubblico denaro le imprese capitaliste.
  2. Sostenere (sempre con pubblico denaro) il potere d’acquisto dei potenziali clienti delle imprese.
  3. Appaltare a imprese capitalistiche lavori pubblici.

   Per far fronte a questi interventi, le autorità chiedono denaro a prestito, proprio nel momento in cui le banche non solo non danno prestiti ma sono anche loro alla ricerca di denaro perché ognuna di esse possiede titoli che non riesce a vendere. Infatti, chiedono denaro per non fallire e per non negare il denaro depositato sui conti correnti presso di loro. Si sta creando un processo per cui le banche centrali fanno crediti a interesse zero o quasi alle banche per non farle fallire, le stesse banche che dovrebbero fare prestiti allo Stato. Essendo a corto di liquidità lo fanno solo con alti interessi e pingui commissioni. Lo Stato così s’indebita sempre di più verso banche e istituzioni finanziarie, cioè verso i capitalisti che ne sono proprietari. Finché c’è fiducia che lo Stato possa mantenere i suoi impegni di pagare gli interessi e restituire i debiti, i titoli di debito pubblico diventano l’unico investimento finanziario sicuro per una crescente massa di denaro che così è disinvestita da altri settori.

   Per far fronte alla crisi ogni Stato cerca di chiudere le proprie frontiere alle imprese straniere e forzare altri Stati ad aprire a loro. Quindi tutti i mezzi di pressione sono messi in opera. La competizione fra Stati e il protezionismo dilaga, come dilaga nazionalismo, fondamentalismo religioso, xenofobia, populismo, insomma tutte le ideologie che in mancanza di un’alternativa anticapitalista si diffondono tra i lavoratori e che sono usate dalle classi dominanti per ricompattare il paese (bisogno di creare un senso comune, di superare le divisioni politiche – qui in Italia in questo quadro bisogna vedere il superamento della divisione tra fascismo/antifascismo).

IL RUOLO DELLO STATO NELLA CREAZIONE DEL CAPITALE FITTIZIO

   la borghesia finanziaria[7] fa un uso privatistico dello Stato per creare capitale fittizio a costante sostentamento delle attività speculative. La Bolla del dollaro ci richiama alla genesi dell’intervento dello Stato in economia, nota eresia per il pensiero liberista classico, come soluzione della crisi economia del 1929.

   Gli economisti che sostengono l’intervento statale nell’economia sostenevano la tesi che il capitalismo sia governabile. Ideologi borghesi quali Sombart, Liefman, Schulze-Gaevenitz e riprese poi dai teorici della Seconda Internazionale quali Kautsky e Hiferding sostenevano la tesi del “capitalismo organizzato”.[8] Queste posizioni erano favorite dal fatto che nel periodo 1870/1914 ci fu un lungo periodo di assenza fra i paesi imperialisti.[9] I teorici del “capitalismo organizzato” sostenevano che nella società borghese moderna si riduceva progressivamente il campo delle leggi economiche operanti e ampliava in modo straordinario quello della regolamentazione cosciente dell’attività economica per opera delle banche.

   Queste teorie del “capitalismo organizzato “naufragarono nelle trincee della prima guerra mondiale, ma furono riprese all’inizio della grande depressione degli anni Trenta. In quel periodo nei circoli academici anglo-americani, in particolare Keynes ripresero il tentativo di dare un governo all’economia capitalista.

   Partendo dalla tesi che la stagnazione era causata dalla mancanza di investimenti produttivi ad un livello adeguato da parte dei capitalisti, che sono gli unici in una società borghese hanno i mezzi e sono nelle condizioni prendere l’iniziativa in campo economica. Secondo Keynes gli Stati devono creare una domanda di consumo finanziata col disavanzo statale. Keynes sosteneva che manovrando questa domanda attraverso la spesa pubblica e mettendo “degli incentivi a spendere” si poteva mantenere un livello di produzione che limitasse la disoccupazione.

   Le diverse soluzioni politiche che le borghesie dei vari paesi imperialisti hanno assunto negli anni Trenta (New Deal negli USA, nazionalsocialismo in Germania) erano caratterizzate da elementi comuni quali l’intervento dello Stato per razionalizzare l’economia.

   A essere precisi questo fenomeno dell’intervento dello Stato nell’economia era cominciato molto prima, ma fino al 1914 era rimasto sporadico o solo abbozzato:

   Vi sono stati due modelli di intervento statale nel mondo capitalista, da un lato la modalità degli Stati Uniti di Roosevelt e della Germania di Hitler, dall’altra la modalità dell’Italia di Mussolini. Il periodo è lo stesso: il primo lustro degli anni Trenta.

   In questo periodo  negli Stati Uniti l’azione del neo presidente Franklin Delano Roosevelt, a partire dai famosi primi 100 giorni del 1933, sinteticamente si rivolgono a tre aree d’intervento: l’area finanziaria, mettendo qualche briglia alle attività di Borsa tramite l’istituzione di una commissione di controllo sulle operazioni, ma soprattutto dividendo in modo netto l’attività delle banche commerciali (raccolta del piccolo e medio risparmio privato e loro investimento nei settori produttivi tradizionali) da quello delle banche di affari (gestione dei grandi patrimoni ed attività speculative); la seconda area riguarda il ruolo dello Stato (tramite apposite agenzie) come datore di lavoro, la più famosa delle quali fu certamente la Tennessee Valley Authority, con lo scopo di rilanciare economicamente la valle del fiume Tennessee soprattutto tramite la sua completa elettrificazione; infine nel campo fiscale dove, cosa incredibile se pensiamo alle risibili aliquote delle imposte dirette sugli alti redditi di oggi (in Italia la maggiore è il 43 per cento). Roosevelt gravò i redditi maggiori con aliquote fino al 79 per cento. Tutte queste azioni, tuttavia, non misero mai in discussione la proprietà privata di aziende ed istituti finanziari.

   Adolf Hitler, andato al potere agli inizi del 1933, si affidò per il rilancio dell’economia del Reich “millenario” ad un veterano della finanza tedesca del primo dopoguerra: Hjalmar Schacht. Già responsabile dell’economia nella Repubblica di Weimar nel 1923, presidente della Reichbank nel 1924. Nella sua azione governativa in economia, Schacht aderì al modello Rooseveltiano delle grandi opere pubbliche, che nel caso tedesco furono necessariamente ed immediatamente finanziate generando debito (capitale fittizio), che qualcuno tra Lombard Street[10] e Wall Street pensò bene di garantire, essendo la Reichbank impossibilitata a farlo. Il rapporto dello Stato con le grandi corporation tedesche fu subito quello di un’economia volta alla preparazione di un grande esercito e di una potente aeronautica: quindi soldi a profusione ai settori degli armamenti, meccanici ed automobilistici (come la Volkswagen, nata da un accordo siglato tra Hitler e Ferdinand Porsche). Anche nel caso tedesco le grandi banche ed i grandi agglomerati industriali (Krupp, Siemens, Bosch) non ebbero mai nulla da temere circa la saldezza dei pacchetti azionari nelle mani delle famiglie fondatrici.

   Come Roosevelt, anche Mussolini varò una legge bancaria nel 1933 che prevedeva la divisione tra banche di affari e banche commerciali. Ma in Italia si fece un passo che USA e Germania non si sognarono mai di fare: il salvataggio di banche ed industrie venne pagato proprio dai possessori dei pacchetti azionari, che dovettero cederli all’Istituto di Ricostruzione Industriale (IRI) fondato da Alberto Beneduce[11]. In ogni caso, in misura diversa e con modalità differenti, Stati Uniti, Germania ed Italia vararono ufficialmente e come politica strutturale l’era dell’intervento statale nell’economia. Anche la Gran Bretagna diede il suo contributo accademico, tramite l’opera di John Maynard Keynes, la cui divulgazione di uno dei due modelli, ovviamente quello che non metteva in pericolo i pacchetti azionari dei benefattori di denaro pubblico, contribuì alla diffusione dell’intervento statale nell’economia  nel mondo occidentale, soprattutto nel secondo dopoguerra. I due modelli di intervento statale ebbero diverse evoluzioni, dovute anche agli esiti della seconda guerra mondiale. Di fatto, il modello rooseveltiano venne quasi subito sostituito da un intervento di tipo finanziario: le agenzie governative del New Deal scemarono d’importanza, e lo Stato Federale da “datore di lavoro” diventò “committente” soprattutto nei confronti delle industrie belliche.

   Per ricapitolare: l’intervento dello Stato a partire dagli anni Trenta divenne permanente e più massiccio; la tendenza alla trasformazione in proprietà dello Stato di interi settori dell’industria e al dirigismo statale dell’economia nazionale si è affermato in tutti i paesi dominati dalla borghesia. Questa tendenza al capitalismo di Stato non cambia i rapporti di produzione, non rappresenta nessuna novità qualitativa nei confronti del capitalismo classico, anzi ne è l’estrema conseguenza. Le nazionalizzazioni, i monopoli statali, ecc. non sorgono, in sistema capitalistico, come conseguenze della prosperità economico, ma come risposta alla crisi, come mezzi per salvare dal fallimento e perpetuare i monopoli di questo o quel ramo dell’industria; il controllo dello Stato sull’economia nazionale serve ad impedire attraverso la centralizzazione delle decisioni, il tracollo del sistema sotto il peso delle sue contraddizioni.

   Tornando all’epoca contemporanea, le esigenze della cosiddetta guerra fredda portarono il Tesoro americano all’indebitamento progressivo che costringerà Washington ad abbandonare il Gold Exchange System nel 1971.

 Il modello italiano, invece, si sviluppò ulteriormente: al gigante IRI si affiancano i giganti pubblici ENI ed ENEL. È il boom economico di questo paese, che è bene sottolineare, non fu mai a trazione privata. Il modello italiano di intervento pubblico ha dei tratti diversi rispetti a quello degli altri paesi occidentali, poiché tendeva a formare quella che veniva definita un “economia mista”, quando in realtà sarebbe corretto che si creavano delle FAUS (Forme Antitetiche dell’Unità Sociale).

   Le FAUS sono istituzioni e procedure con cui la borghesia cerca di far fronte al carattere collettivo oramai assunto dalle forze produttive, restando però sul terreno della proprietà e dell’iniziativa individuale dei capitalisti. Per farvi fronte crea istituzioni e procedure che sono in contraddizione con i rapporti di produzione capitalisti. Sono mediazioni tra il carattere collettivo delle forze produttive e i rapporti di produzione che ancora sopravvivono. Sono ad esempio FAUS le banche centrali, il denaro fiduciario, la contrattazione collettiva dei rapporti di lavoro salariato, la politica economica dello Stato, ecc.

    In tale sistema la produzione di capitale fittizio da parte dello Stato è sostituita dalla crescita del PIL agevolata dal ruolo direttivo dello Stato esercitato tramite il Ministero delle Partecipazioni statali. Nel 1964, in pieno boom economico, quando l’economia italiana cresce in media del 5% annuo sostanzialmente senza inflazione, il rapporto debito-Pil si trova al 33%.

   Nonostante gli anni Settanta vedono un oggettivo aumento dell’inflazione e della spesa pubblica, anche grazie alle conquiste dei lavoratori, lo Stato non genera debito: nel 1981 si trova ancora al 60% del Pil. Negli anni Ottanta, al ruolo dello Stato “direttore” dell’economia si affianca il ruolo di “sovvenzionatore” sia dell’economia privata che di un Welfare che si sbilancia sul lato della spesa (ad esempio le baby pensioni). La produzione del debito inizia ad eccedere la capacità di crescita del sistema di “economia mista”.

   La  caduta del muro di Berlino in Italia decreta la fine di molte FAUS per abbracciare un liberismo spinto al suo estremo. Il fallimento morale, politico, economico e sociale delle famigerate privatizzazioni selvagge degli anni Novanta guidate da Mario Draghi e Romano Prodi sono sotto gli occhi di tutti, basta pensare alla gestione Benetton delle autostrade italiane ed alle vicende legate al ponte Morandi di Genova.

   Gli anni Novanta rappresentano il trionfo del liberismo più o meno estremo (in Italia estremissimo) in tutto il mondo; tuttavia questo passaggio alla magia del mercato ha bisogno subito della generazione di tanto debito e quindi di capitale fittizio: dal 1991 al 2001 ultimo decennio della lira si passa dal 98,6 al 108,7 del rapporto debito Pil. L’ingresso del bel paese nella moneta unica non muta il trend: si passa dal 105,5 del 2002 al 126,1 del 2012 (complice la crisi dei Subprime), per poi superare brillantemente il 135 per cento nel 2019, per non parlare del 2020 ancora in corso.

CAPITALE FITTIZIO E LOTTA DI CLASSE

   La lotta di classe non è mai finita, lo sappiamo bene, semplicemente dalla caduta del muro di Berlino ad oggi nei paesi imperialisti centrali, la borghesia ne ha maggior coscienza ed è all’offensiva. Altro discorso è quello che avviene nei paesi del Sud del mondo poiché a livello politico la contraddizione principale è imperialismo (principalmente U.S.A.)/popoli oppressi. Massima espressione di questa contraddizione sono le guerre popolari in atto condotte da partiti comunisti guidati dal marxismo leninismo maoismo. Contraddizione che si sta fondendo con la contraddizione fondamentale classe operaia/capitale, poiché la classe operaia si è allargata a livello mondiale in termini assoluti, se si considera (pur con dati parziali) che la classe operaia mondiale abbia superato il miliardo di componenti e tendendo conto delle migrazioni verso i paesi imperialisti, dove ormai i lavoratori migranti sono una quota rilevante della classe operaia di questi paesi, per questo motivo nelle metropoli imperialiste si può tranquillamente dire che siamo di fronte ad una classe operaia multinazionale.

   Come si diceva prima in Italia (come negli agli altri paesi imperialisti) è stata combattuta strenuamente ed efficacemente da una classe sola: la borghesia “finanziaria” internazionale, quella che frequenta Wall Street, la City di Londra, che partecipa al World Economic Forum di Davos; la stessa che detiene la proprietà dei mass media, che crea partiti e leader di plastica che, a loro volta, allestiscono il “palco delle elezioni democratiche”. La crescita di debito e la conseguente produzione di capitale fittizio sono un segnale dello sfacciato uso privatistico che la classe dominante fa dello Stato.  Poniamoci una domanda: come mai i paesi occidentali soffrono di deficit costanti e debiti pubblici e privati crescenti? Il caso Italia è illuminante sotto questo profilo. Le ragioni del maggior debito non risiedono, come comunemente viene fatto credere dai mass media di regime, dalla crescita della spesa pubblica, la quale in Europa ha avuto un aumento limitato e fisiologico a causa degli accordi di Maastricht. La ragione sta nella diminuzione tendenziale delle entrate, le cui cause sono ideologiche e politiche; vediamole. La principale e fondamentale causa, che accomuna tutti i paesi occidentali, è la progressiva diminuzione della tassazione sia sui redditi delle persone fisiche più elevati sia sulle grandi aziende, e l’inevitabile spostamento del peso della tassazione diretta quasi interamente sulla classe dei salariati. Il sistema fiscale dei paesi democratici borghesi funziona come lo sceriffo di Nottingham: prende tanto ai poveri per dare a piene mani ai ricchi (vedasi il recente “prestito Covid-19” ottenuto dalla Fiat per 6,3 miliardi di euro da Intesa San Paolo, garantiti dallo Stato e che molto probabilmente non saranno mai restituiti[12]). La classe dominante non sopporta l’offesa di pagare le tasse. Gli Stati Uniti sono passati dalle aliquote rooseveltiane (ma anche del predecessore Herbert Hoover) del 79% sui redditi più alti agli attuali 39% per redditi oltre i 500.000 dollari: hai voglia a restituire il debito USA. Per quanto riguarda le grandi corporation, il culto del mercato globale ha ispirato legislazioni fiscali che permettono ai grandi gruppi di eludere il fisco dei paesi dove producono il proprio reddito tramite complesse architetture societarie, che finiscono sempre per avere “holding” in paesi offshore oppure a tassazione agevolata come Olanda e Lussemburgo. Cercare poi di far pagare le giuste tasse ad Amazon, Google, Apple nei paesi europei, ad esempio, rappresenta un oltraggio per gli Stati Uniti che su questo tema sono pronti alle ritorsioni commerciali (ultima crisi è datata dicembre 2019).

   In Italia è tradizionalmente tollerata un’elevata evasione fiscale il cui dato esatto è un vero e proprio segreto di stato, ma che viene mediamente calcolata tra i 170 e 190 miliardi di euro l’anno. Siccome nel Bel Paese le grandi corporation sono poche e le piccole e medie imprese sono molte e tutte private, l’aver creato un fisco caotico, inefficiente e profondamente ingiusto ha agevolato la media e piccola borghesia nostrana ad escogitare numerose e fantasiose pratiche evasive quasi mai perseguite. Allora chi paga le tasse per intero? Ovviamente la classe dei salariati, soggetta al sostituto d’imposta e quindi impossibilitata ad evadere.

   Tuttavia, tartassare e dileggiare i salariati è necessario ma non sufficiente. La performance tributaria di questa classe si è fortemente deteriorata dagli anni Novanta in avanti, grazie alla solerte opera dei partiti di governo (partendo da quelli di sinistra, vedi le riforme Treu) votati allo smantellamento progressivo dei contratti nazionali e rendendo possibile ed estremamente conveniente precarizzare il lavoro. In Italia il gettito fiscale da salari e stipendi è diminuito per ragioni quantitative: l’epoca della privatizzazione e del liberismo senza appello ha fortemente diminuito il numero degli assunti in valore assoluto; e per ragioni qualitative: il valore e la stabilità dei contratti degli assunti è progressivamente diminuito, deprimendo quindi il relativo gettito fiscale. La soluzione è stata quella di alzare la tassazione indiretta, ulteriore decisione a sfavore delle classi meno abbienti.

   Oggi l’aliquota principale sul valore aggiunto in Italia è del 22%, e vi sono meccanismi “automatici” che prevedono l’inasprimento delle percentuali IVA in caso di deficit eccessivo. Negli Stati Uniti invece esiste una Sales Tax[13] che arriva solo all’11% (nondimeno il gettito IVA è determinato dai consumi domestici, anch’essi diminuiti seguendo fatalmente il declino del reddito delle persone fisiche, altro elemento depressivo delle entrate. Last butnotleast (come dicono i bravi scrittori anglosassoni), l’aumento del debito è dovuto alle politiche delle banche centrali come il Quantitative easing e dei tassi d’interesse vicini allo zero oppure negativi. Federal Reserve e Banca Centrale Europea hanno inondato il mercato di denaro a bassissimo costo, ma non è arrivato a tutti. Le Banche private debbono prestare denaro a tassi forzatamente bassi e che non permettono di coprire adeguatamente il rischio delle insolvenze. Trincerandosi dietro agli accordi di Basilea ed al sistema dei rating su famiglie ed aziende, gli istituti di credito prestano a sicuri solventi, cioè a coloro che non hanno bisogno di soldi, e difficilmente a coloro che ne hanno realmente necessità, quindi potenzialmente a rischio. Il risultato di questo giochino è una montagna di denaro messa a disposizione per acquisto di titoli del debito pubblico, per alimentare i private equity, gli edgefound e per le speculazioni di borsa anche a causa dello smantellamento di un altro pilastro delle politiche economiche degli anni Trenta: la distinzione tra banche commerciali e banche d’affari, tornate in un’inquietante simbiosi. Il Quantitative Easing tiene il denaro lontano dall’economia reale ed è uno strumento di generazione di capitale fittizio. Sommando tutti questi elementi, che sono i principali ma non gli unici, possiamo comprendere perché il mantenimento di un sistema occidentale, democratico borghese e liberista non può che avvenire attraverso i deficit dei bilanci annuali, quindi dell’aumento del debito complessivo ed in ultima istanza di produzione di capitale fittizio: le stigmate della classe borghese dominante.

IL CAPITALE FITTIZIO PUO’ ESSERE DISTRUTTO?

   Riprendiamo l’ultima parte della definizione di Capitale fittizio: “Si tratta di una finzione necessaria ma costosa, e prima o poi crolla a terra”. Fino ad ora abbiamo visto che il capitale fittizio, essendo frutto di invenzioni ed architetture finanziarie è totalmente estraneo alla produzione di capitale reale, e quindi viene necessariamente distrutto. Il capitale fittizio è generato dalla grande disponibilità di denaro derivante dall’espansione dei debiti pubblici, e moltiplicato dalle attività speculative della finanza.

Spostiamo quindi l’oggetto della riflessione sui debiti sovrani e sul loro futuro. Un assunto: un debito pubblico che supera una certa soglia (per convenzione diciamo il 100% del proprio PIL) non è rimborsabile né ora né mai. Tali debiti possono avere altri destini. Quando il debito non è espresso da una moneta di riserva e di riferimento internazionali come la sterlina fino al 1944 oppure il dollaro oggi, la sua distruzione è accompagnata dall’evaporazione della moneta che lo esprime. Il debito della Germania sconfitta nella Grande Guerra e vessata dal trattato di Versailles ha cessato di esistere e pagare interessi distruggendo il Papiermark[14], sostituito dal Rentenmark[15] prima e dal Reichmark[16] subito dopo.

   Queste monete tedesche, prive di significative riserve d’oro e valutarie a seguito delle sanzioni post belliche ed espressioni di un paese allo sbando economico, erano interamente garantite da dollaro e sterlina (quante cose non sappiamo dell’ascesa al potere di Hitler). Quando il debito è espresso nella moneta di riserva e riferimento internazionale, come oggi è il dollaro, esso è “protetto” dall’esercito, dalla marina e dell’aviazione della metropoli imperiale, che non esitano a persuadere, chiunque voglia utilizzare monete più sane, a cambiare immediatamente idea.

   Agli inizi del XXI secolo  vi fu un leader che non fu accorto e lesto nel mutare opinione a proposito di vendere petrolio contro euro. Gli americani prima devastarono il suo paese per la seconda volta e poi lo impiccarono: si chiamava Saddam Hussein[17]. Il debito americano sembrerebbe quindi eterno finché protetto dalle portaerei USA. Esistono infine debiti che, se fossero espressi nella moneta nazionale, sarebbero già dissolti evaporandone la moneta, ma avendo nominato tale debito con una valuta comunitaria, esso è garantito da tale moneta e quindi da altri paesi: è il debito italiano denominato in euro. Proviamo ora ad immaginare il Bel Paese che perdesse la garanzia di paesi creditori, siano essi UE oppure la Cina, se volessimo trattare l’arduo tema dell’uscita dell’Italia dalla moneta unica. Possiamo immaginare uno scenario dove gli italiani dovrebbero ridurre le proprie attività e gli spostamenti al minimo indispensabile; se i lavoratori dovrebbero essere legati ad un delimitato territorio, con divieto di oltrepassare determinati confini. Andrebbero dotati di un salvacondotto (anche sotto forma di autocertificazione) che dichiari i confini del fondo” all’interno del quale potersi muovere, ispirandosi in questo alla figura intermedia tra schiavo e uomo libero che fu per secoli il servo della gleba; chi invece non lavora, dovrebbe essere confinato nel proprio alloggio e basta. I servizi pubblici andrebbero ridotti sensibilmente: sportelli d’utilità generale come uffici comunali, INPS, Agenzia delle Entrate, Catasto eccetera dovrebbero rimanere chiusi il più possibile. Le scuole andrebbero chiuse e sostituite da forme d’istruzione (come le lezioni a distanza, anche in assenza di una infrastruttura di trasmissione dati dignitosa) che permetta agli scolari di stare a casa, con un risparmio anche su questa voce; l’accesso agli ospedali andrebbe regolato e concesso a chi può pagare, per talune malattie e non per altre, dando ai dirigenti sanitari la discrezionalità impunibile di scegliere di curare e chi lasciare al proprio destino; intere classi di pensionati, che beneficiano di forme di contribuzione antiche e quindi redditizie, andrebbero eliminati senza che nessuno fiati.

   Ad esempio, per una regione ricca di lavoratori a riposo provenienti dall’industria come la Lombardia, circa 17.000 persone morte  sarebbero un target adeguato. Luoghi e modalità di assemblamento andrebbero vietati, le assemblee sindacali nei posti di lavoro interdetti, i governi dovrebbero perpetrare stati di emergenza per prevenire sommosse, eccetera. Questo scenario, “del tutto ipotetico”, sarebbe compatibile per la sopravvivenza di un paese con un debito di 2.600 miliardi e nessuna possibilità di fare deficit. Ma se arrivassero 209 miliardi dai creditori, che per motivi geopolitici, sapendo di dare denaro a potenziali incapaci e disonesti scialacquatori, decidessero di salvare il debitore…. Per gli Stati Uniti il discorso è diverso. Il capitale fittizio primo o poi crolla a terra, eppure il congresso americano ha varato un allargamento di debito mai visto in un lasso di tempo ridottissimo: circa 3.000 miliardi di debiti creati da marzo 2020 ad oggi esta inondando Walle Street, banche private, private equity[18], società finanziarie, ecc. Quale destino può quindi avere un debito di 26.712 miliardi? Personalmente per quanto ne sappia ritengo impossibile che possa essere rimborsato. Potrebbe implodere internamente, il dollaro evaporerebbe in una iper inflazione mai vista prima della storia dell’umanità, rigorosamente accompagnato da uno spaventoso conflitto domestico che potrebbe avere connotati raziali, ad esempio inasprendo la tradizionale e diffusa brutalità della polizia ai danni delle minoranze, aggiungendo l’azione repressiva delle guardie nazionali dei vari  stati federali, magari (speriamo veramente di no) comprendendo come strumento repressivo l’uso di testate nucleari. Questo debito potrebbe esplodere esternamente, tramite un poderoso tentativo di dollarizzazione di altri importanti paesi attraverso l’aggressione militare. La Cina sarebbe l’obiettivo ideale per numero di abitanti e le dimensioni della sua economia. Con l’aiuto di ottimi eserciti ausiliari come quello giapponese e  coreano la guerra alla Cina (che viene fatta ovviamente per portare “democrazia” e “libertà” – sarebbe un’impresa ardua ma possibile. Non è impossibile che ci possa essere un conflitto interno alla NATO ad esempio fra la Turchia e la Grecia[19] che rischierebbe di infiammare tutto il Medio Oriente, che potrebbe determinare il blocco della produzione di petrolio, e non sarebbe da scartare un conflitto con la Russia magari con la scusa di soccorrere un governo con la facciata democratica guido ad arte da amici dell’occidente come Tikhanovskaya.

   Non bisogna scordare che ci saranno le elezioni americane per la presidenza e che non possiamo suddividerli tra presidenti “buoni” o “cattivi”, ma presidenti di  quello che è tutt’ora il maggior paese imperialista.  


[1] Gianfranco Bellini (Milano, 1952-Milano, 2012). Manager, esperto di sistemi informatici, studioso e critico di economia internazionale. Di famiglia proletaria e comunista dà vita con i fratelli Andrea e Marco, al Collettivo di quartiere Casoretto, passato alle cronache come “la banda Bellini”. Si iscrive alla Boccon, durante il servizio militare, milita nel Movimento dei soldati. Si laurea in Economia alla Bocconi, con una tesi sull’Economia di Piano in Unione Sovietica, sviluppata con la matematica lineare di Kantorovic, che lo indirizza ai temi dell’economia globale e a una propria visione geopolitica. Manager in molte multinazionali, dalla Barclays Bank alla Montedison alla IBM, successivamente e fino alla sua morte continua la sua militanza nella sezione Tematica Laika del PdCI che ha come elemento fondante la ricerca teorica sul Capitale e l’inchiesta militante alla maoista.

[2]  Questi summit sono l’appuntamento annuale per economisti e banchieri centrali organizzato dalla Fed. Prende il nome dalla vallata del Wyoming dove gli esperti di tutto il mondo dovrebbero avere un momento di riflessione. Un momento di relax favorito dalla pace della vallata e dalla splendida vista sulle montagne Grand Teton, tra boschi di conifere e fiumi blu. Negli ultimi anni tuttavia su Jackson Hole si sono proiettate le tensioni dell’economia mondiale. https://argomenti.ilsole24ore.com/parolechiave/jackson-hole.html

https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2020/08/27/news/fed_l_inflazione_non_conta_piu_-265651271/

[3] Marx ritiene che tale “più” monetario, ovvero Plusvalore, non debba essere cercato a livello di scambio di merci, bensì a livello della produzione capitalistica delle medesime.

[4] Sterlina è il nome italiano della valuta ufficiale del Regno Unito e di alcune parti di territorio sparse nel mondo, compresa un’area del Polo Sud definita “Territorio Antartico Britannico”. All’origine del suo nome deriva da “Sterling Silver“, una lega metallica composta per il 92.5% di argento e il 7.5% rame.

[5] L’oncia troy è un’unità di misura del sistema imperiale britannico. Al 2013, è la più comune unità di massa per i metalli preziosi, le gemme e la polvere da sparo e, come tale, è utilizzata per definire il prezzo di questi beni nel mercato internazionale

[6] Spinte dalla concorrenza le imprese se non volevano essere spazzate via hanno investito in nuove tecnologie e modernizzato il capitale produttivo, tutto ciò ha causato un aumento fortissimo dei costi.

[7] Questa frazione (dominante) della borghesia è l’espressione del  capitale finanziario che  si determina la fusione e l’equiparazione del capitale industriale con quello industriale e la stretta unione di entrambi con il potere dello Stato monopolista.

[8] All’interno del Movimento Comunista N. Bucharin sosteneva la tesi che il capitalismo dalla fine del XIX secolo ha avviato un processo di organizzazione che ha modificato seriamente il libero gioco delle forze della concorrenza.

[9] Non è certamente un caso che in questo periodo all’interno del movimento operaio nasce e si consolida il revisionismo.

[10] Lombard Street è una strada della Città di Londra, nota per i suoi legami, risalenti al Medioevo, con i mercanti, i banchieri e gli assicuratori della City. Viene perciò spesso paragonata a Wall Street a New York.

[11] Alberto Beneduce è stato un dirigente pubblico, economista, politico (era un socialista riformista)  e accademico italiano, amministratore di importanti aziende statali nell’Italia liberale e fascista, amministratore delegato dell’INA, tra gli artefici della creazione dell’IRI e suo primo presidente, oltre che ministro e deputato.

[12] https://www.ilsole24ore.com/art/fiat-chrysler-stretta-prestito-garantito-63-miliardi-la-filiera-italia-ADlxC6Q

[13] La sales tax è la tassa sulla vendita di prodotti e servizi applicata in America ed è pagata dal consumatore finale al momento dell’acquisto.

[14] Il nome Papiermark si applica alla valuta tedesca dal 1914 quando il collegamento tra il Marco e l’oro fu abbandonato, a causa dello scoppio della I guerra mondiale. In particolare, il nome fu usato per le banconote emesse durante il periodo dell’iperinflazione in Germania nel 1922 e specialmente nel 1923.

[15] Il Rentenmark è stato la valuta emessa il 15 novembre 1923 per fermare l’inflazione del 1922-1923 in Germania. Sostituì la Papiermark, che era stata completamente svalutata. La Rentenmark fu solo una valuta temporanea, e non ebbe valore legale.

[16] Reichsmark è stato la valuta della Germania dal 1924 fino al 20 giugno 1948, quando è stato sostituito dal marco tedesco nella Germania Ovest.

[17] https://m.facebook.com/Coscienzeinrete/posts/291343917557482/?_rdr

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=11366

[18] Il private equity è un’attività finanziaria mediante la quale un’entità rileva quote di una società definita obiettivo, sia acquisendo azioni esistenti da terzi sia sottoscrivendo azioni di nuova emissione apportando nuovi capitali all’interno dell’obiettivo.

[19] Non sarebbe la prima volta già nel 1974, quando La Turchia invase Cipro sabato 20 luglio 1974. … L’operazione, il cui nome in codice era Operazione Atilla, fu chiamata nella zona turca di Cipro “Operazione di pace del 1974”. Le forze turche dispiegarono una chiara e decisa strategia, costringendo numerosi greco-ciprioti a riparare nel sud dell’isola.

   Secondo un’intervista di Cem Gurdeniz, che nella Marina turca ha rivestito il grado di contrammiraglio ed ora dirige il centro studi marittimi della Koc University tale conflitto nel Mar Egeo significherebbe la fine della Nato e spingerebbe la Turchia definitivamente nell’orbita russa.  https://www.agi.it/estero/news/2020-08-12/guerra-grecia-turchia-trivellazioni-cipro-9403144/

IL GRUPPO DI TEBE

•febbraio 27, 2023 • Lascia un commento

   Il Gruppo di Tebe è stato una sorta di circolo culturale di stampo esoterico attivo in Francia, in cui l’obiettivo era l’unione del frastagliato “mondo occulto francese”[1].

    Di esso si è sentito parlare per la prima volta nel 1993 grazie a un articolo del giornalista Serge Faubert[2] e nel 2010 vi è stata un’intervista chiarificatrice sulla rivista Historia Occulta, riportata nel 2012 su un blog dove lo stesso collabora[3],  all’ideatore di tale circolo, Rémi Boyer, ex membro dei Rosacroce e vicino agli ambienti esoterici/occulti e new age francesi, nonché autore di numerosi libri sul tema (massoneria, martinismo e così via).

    L’articolo del giornalista di sinistra Faubert è stato rilanciato in Italia dal blogger di controinformazione di origine messicana Miguel Martinez e dalla rivista Sodalitium[4], legata al tradizionalismo cattolico, che ne hanno parlato per denunciarne la presenza del famoso sociologo Massimo Introvigne, fondatore del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni) e militante di Alleanza Cattolica[5].

   A parte tale caso, secondo Sodalitium dovuto forse a presunti contatti con l’ambiente esoterico/occulto dello stesso Introvigne mentre secondo lo stesso avente finalità culturali e conoscitive, l’aspetto interessante di tale gruppo risulta dai partecipanti più importanti e “attivi nella scena“.

   Nell’articolo di Faubert veniva descritta una riunione del Group of Thebes in una sala della loggia massonica del Grande Oriente, riunione a cui prendevano parte oltre allo stesso Boyer anche altri “profani” (non iscritti alla massoneria) tra cui diversi esponenti di destra radicale e il militante di estrema sinistra vicino nel periodo a Rifondazione Comunista e al Collettivo Chiapas (che operava nell’ambito dei centri sociali milanesi)[6] Paolo Fogagnolo, un passato nelle BR e direttore del gruppo occultistico Prometeo Agape, gruppo legato all’Ordo Templi Orientis[7].

   Fogagnolo: boy-scout e rampollo di una famiglia di piccoli industriali di provincia, avrebbe costituito giovanissimo la Brigata Lo Muscio, gruppo che nasce nell’ambito di Guerriglia Rossa[8] che cercò invano di farsi accettare dalle Brigate Rosse. Denunciato da un pentito, si pentì subito a sua volta, coinvolgendo colpevoli e innocenti e chiedendo di aderire al PCI, guarda caso il partito del giudice Caselli che lo aveva inquisito. Il passaggio dalle avventure politiche a quelle esoteriche sembra perfettamente logico.

   Tra i membri del circolo ci sarebbero stati anche Jean-Pierre Giudicelli[9], secondo Martinez un tempo dirigente della sezione francese della Fratellanza di Miriam, nonché sostenitore dell’indipendentismo corso e con esperienza da militante dell’estrema destra, da Ordre Nouveau a Troisième Voie.

   Inoltre, l’individuo che risulta più eclettico e indubbiamente interessante tra quelli che hanno partecipato al gruppo è Christian Bouchet[10], giornalista e politico nel Front National di Marine Le Pen con un passato da militante di diversi gruppi di estrema destra, dal filone “nazional-rivoluzionario” di Ordre Noveau e Troisième Voie, e attivo nei circoli esoterici e occultistici francesi, oltre che studioso ed esperto di Rudolf Steiner, Gurdjjeff, Evola, Crowley, Savitri Devi,                                                                                                                                                                                                                                       della Wicca[11] e ben visto negli ambienti neopagani, neospiritualisti, neotradizionalisti e new age nonché in quelli della “Nuova Destra” e del nazionalbolscevismo, al cui ideologo Dugin in parte si è ispirato in passato.


[1] Massimo Introvigne e il Gruppo di Tebe (kelebekler.com)

Il misterioso Gruppo di Tebe, un circolo esoterico attivo negli anni 90 e basato, tra l’altro, su una certa ‘trasversalità politica’ (informazioneconsapevole.com)

[2] Lodge of Thebes (kelebekler.com)

[3] https://incoerismo.wordpress.com/2012/06/10/groupe-de-thebes-ombres-et-lumieres/  

[4] https://www.sodalitium.biz/la-rivista/

[5] Alleanza Cattolica è un’associazione di laici cattolici di impronta tradizionalista, che si propone lo studio e la diffusione della dottrina sociale della Chiesa cattolica. Tra i suoi massimi esponenti figura Alfredo Mantovan, magistrato, ex esponente di Alleanza Nazionale e in seguito del Popolo della Libertà e attualmente è Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri del governo diretto da Giorgia Meloni.  https://it.wikipedia.org/wiki/Alleanza_Cattolica

 

[6] Un ricordo personale, alla fine degli anni Novanta in una manifestazione a Milano quelli del Collettivo Chiapas distribuivano dei volantini, ne presi uno, e leggendolo notai con grande meraviglia che avevano costituito una commissione gnosi!!

[7] Amprodias – Gruppo Prometeo Agape (inventati.org)

[8] Microsoft Word – OK Storia – Brigata Antonio Lo Muscio.doc (misteriditalia.it)

[9] Alcuni strani amici di Introvigne (kelebekler.com)

[10] https://en.wikipedia.org/wiki/Christian_Bouchet   

[11] La Wicca, che più raramente viene anche definita come “antica religione”, è un nuovo movimento religioso afferente ai fenomeni cosiddetti di “neopaganesimo”. https://it.wikipedia.org/wiki/Wicca

LO STRAGISMO E’ UNA DELLE FORME DELLA GUERRA NON CONVENZIONALE

•febbraio 21, 2023 • Lascia un commento

   La guerra non convenzionale è una strategia militare che ha trovato una propria sistematizzazione nel XX secolo, introdotta dai manuali bellici USA dell’immediato dopoguerra, ed è stata largamente usata nel mondo per contrastare per contrastare l’avanzata delle forze comuniste e progressiste, con scarsa consapevolezza da parte delle popolazioni alle quali è stata inflitta.

   Pensata, programmata e perfezionata durante il lungo periodo della cosiddetta guerra fredda, consiste “in uno spettro piuttosto ampio di operazioni militari e paramilitari, generalmente di lunga durata, prevalentemente condotte da forze indigene o surrogate organizzate, addestrate, equipaggiate, sostenute e dirette organizzate, addestrate, equipaggiate, sostenute e dirette da forze esterne. Include la guerriglia e altre operazioni offensive, azioni di bassa visibilità, o coperte o clandestine, così come attività indirette di sovversione, sabotaggio di intelligence”.

   In questa definizione ampia ed esauriente fornita dalla Joint Dottrine Encyclopedia[1] troviamo la spiegazione essenziale di cosa è quella che viene definita guerra non convenzionale o “guerra non ortodossa”.

    L’evoluzione del pensiero militare del XX secolo normalmente è materia riservata agli specialisti benché, ad onor del vero i militari stessi non lo hanno mai tenuto molto segreto. Anzi dalla metà degli anni ’50 lo hanno propagandato senza eccessivo ritegno, rivendicando a sé stessi quel ruolo di parità (e qualche volta di superiorità) con i politici, che la realtà della cosiddetta guerra fredda aveva imposto come “necessaria” ed “inevitabile”.

    Possiamo prendere come spunto, per affrontare quest’argomento, la frase di Clausewitz che “la guerra è continuazione della politica con altri mezzi”, ma soprattutto lo sviluppo che ne fece Mao sulla base delle esperienze fornite dalle guerre rivoluzionarie e dalla Guerra di Resistenza Antigiapponese in Cina, che elaborò la teoria militare marxista, prima di lui sostanzialmente inesistente,[2] se facciamo eccezione per gli abbozzi di Engels e di Lenin su questa materia.

   I primi ad attribuire una certa importanza alla teoria di Clausewitz furono i militari tedeschi, che per primi, alla metà del secolo XIX secolo diedero un’interpretazione delle sue teorie coerente con gli interessi delle caste aristocratiche e feudali dei Junker (l’aristocrazia prussiana). La teoria sviluppata in quest’epoca dallo Stato Maggiore tedesco costituisce un’interpretazione reazionaria dei postulati claussewitziani. Per esso si trattava innanzitutto di creare una teoria per l’aggressione ma questa impostazione teorica durante la Prima guerra mondiale si rivelò un clamoroso fiasco.

   In seguito, Hitler e i nazisti seguitarono a sviluppare Clausewitz nella medesima direzione dei loro predecessori e il risultato, a tutti noto, fu la totale distruzione dell’esercito tedesco da parte di quello sovietico.

   La Germania non poté vincere la guerra contro l’URSS perché i politici e i militari nazisti non tennero conto del primo e più importante dei problemi strategici, vale a dire quello di esercitare l’atto di giudizio più decisivo, mediante i quali lo statista inquadra correttamente la guerra che intraprende rispetto alle relazioni dominanti, per cui non tenta di cambiare la realtà oggettiva in un senso impossibile. Ovvero quando la guerra lampo si era trasformata necessariamente in guerra prolungata poichè i popoli non vollero sottomettersi docilmente. E la guerra prolungata è la più difficile da affrontare, per l’imperialismo.

    I militari occidentali partendo dal fatto che in ogni Stato è in atto una conflittualità permanente (credevano – e non poteva essere altrimenti visto l’origine di classe dei militari occidentali – che la lotta di classe che si sviluppava in ogni paese imperialista fossa causata dalla “propaganda comunista”), fra  Stati e blocchi di Stati, l’obiettivo strategico non poteva essere più rappresentato dalla conquista del territorio bensì da quella delle menti, dei cuori e delle coscienze delle popolazioni.

   La “Guerra non ortodossa” più che di divisioni corazzate, essa prevede l’impiego massiccio e capillare dei mezzi di comunicazione. Diventa più importante usare slogan suggestivi che fucili, creare sogni che aerei da combattimento.

   La “Guerra non ortodossa” è una guerra autentica, totale e permanente, che viene condotta con metodi e tecniche militari da Stati Maggiori occulti, composti da militari e da civili, di un potere palese: quello che gli specialisti definiscono Stati maggiori allargati.

   Questa teoria deriva dal concetto di guerra che lo Stato Maggiore hitleriano aveva elaborato, in cui si configurava un’attività che non concerneva solamente le forze armate propriamente dette, ma inglobava e monopolizzava tutti gli individui.

   La vecchia barriera fra il civile ed il militare viene a cadere. Tutta questa pianificazione militare era semplicemente una conseguenza del regime che si era istituito in Germania.

   Come ulteriore aspetto nell’ampia cornice della guerra totale, i nazisti furono i primi a teorizzare e a tradurre in pratica la guerra psicologica, la guerra con armi intellettuali, per formare lo spirito della popolazione.

   La guerra psicologia era stata già impegnata durante la Prima guerra mondiale, ma sarà sotto l’impulso del nazismo in Germania che raggiungerà il pieno sviluppo teorico e pratico. Nella guerra psicologica non occorre soltanto tenere conto delle dottrine classiche che indicavano i fattori decisivi più o meno numerosi: la missione, il nemico, i mezzi a disposizione, ma va considerato ed approfondito lo studio del fattore essenziale della guerra moderna ovvero l’essere umano, il modo di manipolarlo e di influenzarlo in armonia con determinati piani concreti.

   I militari dei paesi imperialisti occidentali partivano dal fatto che di fronte ai partiti comunisti e alle forze da loro influenzate, non si aveva a disposizioni nulla che somigliasse a quello che ritenevano (nella loro delirante visione reazionaria e militarista) avessero di fronte: una possente armata ideologica comunista. Non potevano essere considerate un esercito affidabile e disciplinato, le eterogenee forze politiche di estrazione cattolica, liberale, neofascista, socialdemocratica, poiché erano in perenne lotta fra loro (la nozione di pluralismo politico e sociale non era certo ben assimilata tra i militari), avide di denaro e assetate di potere.

   Si ha così nell’Occidente imperialista la creazione di una dottrina e di una strategia, che serviranno a dare prospettiva a un’organizzazione che deve diventare uno strumento idoneo in grado di condizionare gli amici, controllare gli alleati e fronteggiare i nemici. Si crea così un esercito segreto, invisibile, schierato a fianco di quello ufficiale, un esercito sovranazionale, disciplinato coordinato da un unico vertice, in sostanza una guardia pretoriana fedele all’imperialismo USA. Un’armata clandestina, selezionata e spietata, in grado di contrastare il Movimento Comunista Internazionale, le forze antimperialiste e i Movimenti di Liberazione Nazionale ovunque e comunque, con il vantaggio di non comparire negli annuari militari. Un armato fantasma capace di combattere quella “guerra camuffata da pace”,[3] che l’imperialismo americano ha istituzionalizzato.

   Lo studio delle direttive del National Security Council, il Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, mostra gli adattamenti via via apportati a questa strategia di contenimento di quello che veniva definita “espansione comunista” (in altre parole l’avanzamento delle forze non solo comuniste, ma anche di quelle socialiste non allineate con l’imperialismo, progressiste ecc.)  che trovò in due paesi, Grecia e Italia, le due prime e fondamentali applicazioni sul campo. Infatti, tra il 1946 4 il 1948, le forze speciali USA furono usate massicciamente contro il movimento di Resistenza greco,[4] senza aver ricevuto nessuna formale autorizzazione dal Congresso, e furono il perno della controinsorgenza monarchica. La vittoria delle forze reazionarie greche più che all’aiuto da parte degli imperialisti USA fu dovuto agli errori da parte dei comunisti e delle forze che componevano il Movimento di Resistenza. Non si applicò il principio rivoluzionario che scopo della guerriglia non è di vincere le battaglie, ma di evitare le sconfitte, di sviluppare una guerra di lunga durata fino alla vittoria politica, che è più importante più di qualsiasi conquista del campo. Sacrificando i vantaggi della tattica della guerriglia alla strategia militare basata sulle conquiste territoriali, i comunisti greci opposero alla forza delle forze militari, la propria debolezza. Correndo il rischio di un confronto militare, misero in gioco non solamente il proprio potenziale umano disponibile, ma qualcosa di più importante: il loro prestigio quale forza rivoluzionaria in grado di sfidare il colosso militare. Col fatto di avere attuato una linea puramente militarista, venne a mancare la partecipazione popolare. Non ci si deve dimenticare che la rivoluzione è un fenomeno di massa.

   Nello stesso tempo, le elezioni politiche italiane del 1948 sono considerate il laboratorio più importante delle operazioni psicologiche coperte: la direttiva 4/A del National Security Council, che utilizzava l’utilizzo di tutti i mezzi della guerra non convenzionale anche in tempo di pace, vide in Italia una messa in opera concreta e vincente.

   La direttiva strategica (Nsc-68) del Consiglio, preparata su richiesta del presidente Harry Truman, avrebbe dettato l’atteggiamento americano per molti anni a venire. Essa allargava la contesa egemonica oltre all’Europa e  stabilendo che “che una sconfitta delle libere istituzioni in qualsiasi luogo è una sconfitta ovunque”.[5] Nei paesi imperialisti la cosiddetta guerra fredda restava un conflitto essenzialmente psicologico e politico, ma per gli estensori  della direttiva strategica (Nsc-68), la forza militare e la vittoria in ogni singola area del pianeta, anche se periferica o puramente simbolica, divenivano essenziali “per frenare le ambizioni del Cremlino”. Quello che non comprendevano (o per via delle loro concezioni non potevano comprendere) che le varie lotte di liberazione sperse per il mondo, non erano un frutto di un “complotto comunista” ma erano parte integrante del grande moto antimperialista di massa dei popoli coloniali e semicoloniali, moto che è sempre stato (a partire dalla rivoluzione messicana 1917-1938, alla tiepida “rivoluzione costituzionale” in Iran 1951-1953) parte costituente e determinante dello scontro di classe internazionale e locale insieme. Dentro questo quadro si è avuto un movimento per le nazionalizzazioni più radicali che è stato tutt’uno con la scesa in campo degli sfruttati arabi (si possono prendere come esempio: la detronizzazione per via insurrezionale della monarchia hashemita in Iraq nel 1958, la stessa guerra di liberazione nazionale algerina, la “rivoluzione dall’alto” in Libia che però era stata preceduta da una forte ondata di lotte anche operaie).

   Per fare un esempio i francesi non avevano compreso che la loro sconfitta in Indocina, prima ancora che da fattori militari e che si trovavano contro una guerra popolare che aveva mobilitato le masse popolari indocinesi. Per lo stesso motivo persero in Algeria perché, al contrario del FLN algerino non riuscirono a guadagnare alla loro causa, la massa del popolo algerino.

   Per quanto riguarda gli americani, la guerra del Vietnam vide il fallimento della tradizionale strategia bellica che aveva guidato fino allora gli USA. La strategia di annichilazione, che aveva portato al successo nella Seconda guerra mondiale, partiva dal fatto che avendo gli Stati Uniti a disposizione risorse naturali ed economiche in apparenza senza limiti, i militari statunitensi non sarebbero mai stati parsimoniosi sui messi materiali utilizzati, e avrebbero sviluppato la “guerra di annichilazione”, basata sulla superiorità soverchiante della potenza di fuoco. Si riprodusse sul piano militare ciò che avvenne in tutti i settori dell’economia americana: il risparmio di energia e di mezzi furono considerati secondari.

   Il metodo della guerra di annichilimento fu messo a punto dal generale nordista U. Grant durante la Guerra Civile (1861-1865). Invece di seguire la strategia napoleonica della battaglia decisiva, Grant sviluppò il concetto di una successione di mazzate da sferrare con una soverchiante potenza di fuoco contro l’esercito sudista allo scopo di disgregarlo. La realizzazione di questa strategia fu possibile per la soverchiante superiorità industriale del Nord. Grant non si preoccupò dei costi politici di questa strategia (difficoltà di riconciliazione post-bellica con lo sconfitto). Poiché un esercito è sostenuto dalla sua economia e dalla sua popolazione, il passaggio dall’idea dell’annientamento di un esercito a quello del suo retroterra civile è naturale. Questo secondo aspetto della guerra di annientamento fu applicato dal generale Sherman, il secondo per importanza dopo Grant, il quale diede il suo consenso a colpire e terrorizzare la popolazione civile del Sud.

   Nel Vietnam questa strategia, contro la guerriglia, non funzionò. In una guerra convenzionale conta la potenza di fuoco contro le postazioni avversarie, ma una guerriglia non è condotta da posizioni fisse, e la potenza di fuoco significa colpire la popolazione, inimicandosela, alimentando in tal modo il reclutamento dei guerriglieri. Una guerra convenzionale è per il controllo del territorio, una guerriglia è per il controllo e la conquista del consenso della popolazione. In Vietnam la guerriglia colpiva i funzionari di governo: colpiva sia i corrotti per avere la simpatia della popolazione, che i migliori per impedire il funzionamento del governo. Entro il 1960 ben 2.500 funzionari del governo sudvietnamita erano uccisi ogni anno. Alla fine, accettavano il rischio di servire il governo di Saigon solo degli avventurieri corrotti. Ciò accresceva lo scollamento tra governo e popolazione.

   L’esito del conflitto vietnamita fu determinato non tanto dalla semplice forza delle armi (su questo campo era indubbia la superiorità degli USA) o dalle operazioni militari, ma dall’atteggiamento delle masse popolari vietnamite, del campo civile insomma, insieme a un appoggio al Nord Vietnam da parte dell’URSS e della Cina. In altre parole, l’uomo e il suo vigore psichico furono (e lo sono tuttora) più importanti dei materiali bellici che s’impiegarono.

   A nulla servì da parte delle forze armate USA l’impiego contro la guerriglia Da parte delle  forze armate americane delle forze speciali. Il generale nordvietnamita Nguyen Van Vinh riteneva nel 1966 di poter constatare il fallimento di queste forze speciali americane: “La special warfare americana nel Vietnam del Sud è sostanzialmente fallita dopo essere stata sperimentata per più di tre anni con strategie e tattiche diverse con nuove armi e nuove tecniche, accompagnate da metodi estremamente crudeli: i loro principali sostegni, le truppe e l’amministrazione del governo fantoccio, sono anch’essi in decadenza; il sistema dei “villaggi strategici”, ch’essi consideravano la loro spina dorsale, è stato in sostanza distrutto; la tattica degli elicotteri e dei mezzi anfibi, che erano stati considerati più agili e più facilmente manovrabili, è stata un fiasco solenne; le città considerati dagli aggressori come le loro più sicure retrovie, sono accerchiate, notevolmente ridotte in estensione, e davanti all’incessante lotta politica e nelle campagne da milioni di uomini del popolo si trovano in pieno scompiglio; il carattere neocolonialista dell’imperialismo USA è stato smascherato agli occhi di tutto il popolo sudvietnamita, e per compiere atti di sabotaggio nel Vietnam del Nord mediante commandos di truppe del sud, sono miseramente falliti”.[6] In sostanza il successo delle forze speciali antiguerriglia era essenzialmente legato dall’appoggio che avrebbero ottenuto delle masse della popolazione vietnamita, ciò che non avvenne.

   La guerra non convenzionale prevede una variegata di mezzi per contrastare il nemico in un paese straniero che non ha commesso alcun atto ostile. Infatti, le centrali politiche e belliche che la attuano non sono chiamate a difendere la propria nazione da un’invasione militare o da una qualsiasi minaccia; al contrario operano in Stati in cui si ritiene, secondo le valutazioni dell’establishment, che ci siano forze e movimenti locali pericolosi per la propria “sicurezza nazionale”, alla stregua di enormi e silenziosi serpenti che vanno domati con brutalità e astuzia.

  Perciò questo tipo di guerra non ortodossa può essere considerata una sofisticazione della vecchia forma di terrore, inteso come uso da parte del potere di metodi per provocare una paura paralizzante da parte della popolazione civile. Una risorsa politica tra le più antiche e comuni, tant’è vero che nei Discorsi sulla prima deca di Tito Livio Nicolò Machiavelli scrisse, senza tema di smentite, che lo studio della storia insegna come i governanti, al fine di consolidare il loro dominio, non esitarono “mettere quel terrore, e quella paura negli uomini, che vi avevano messo nel pigliarlo”.[7]  Se l’uso terroristico della violenza da parte dello Stato, spinto al genocidio, è vecchio quanto lo Stato medesimo.

   Nel teatro europeo devastato dal secondo macello mondiale gli specialisti della guerra non convenzionale si occuparono moltissimo alla teorizzazione e allo studio pratico del terrorismo, in particolare l’ufficio del generale Robert A. McClure capo operativo della guerra psicologica (PsyWar), che, sin dal giugno del 1946, si spese per ottenere una divisione distaccata e dedicata nell’approfondimento di questa disciplina militare. Un memorandum di discussione del maggio 1951 tra la squadra di McClure, l’Operations Research Office (Oro) – una struttura di ricerca all’interno della Johns Hopkins University totalmente a disposizione del Dipartimento della “Difesa” – stabiliva che fosse di massima priorità un’inchiesta sui metodi per suscitare  terrore. In effetti, i manuali delle forze armate statunitensi dedicati alle operazioni psicologiche (PsyOps) si soffermarono molto sull’uso del terrore. Ad esempio, la versione del magio 1965[8] indica la selezione delle armi in funzione del loro fear effect, cioè della loro efficacia nel suscitare terrore: “Occorre moltiplicare l’impatto di ogni azione e creare un’atmosfera di paura”. Nella versione del 1962[9] la guerra non convenzionale è concepita essenzialmente in termini di operazioni psicologiche: i civili devono collaborare, altrimenti sono necessari programmi specifici per instillare dubbi e paure. Se falliscono le azioni meno invasive, allora si può ricorrere a forme più aggressive e violente di trattamento. Si ritiene che il generale Edward Lansdale[10] sia stato tra i maggiori esperti nel campo dell’applicazione pratica del terrorismo. A lui è attribuita l’operazione Eye of God (Occhio di Dio) applicata in Vietnam, che prevedeva azioni che variavano dall’invio nei cieli di aerei equipaggiati con altoparlanti dai quali venivano scanditi i nomi di coloro che erano sospettati di simpatizzare con il nemico, al marchio posto di fronte alle loro case a indicare che non avevano più nessuna via di scampo. Il metodo si ispirava all’antica pratica egizia di disegnare sulle tombe dei faraoni grandi occhi minacciosi per scoraggiare eventuali ladri.

    L’applicazione del terrorismo venne realizzato anche da gruppi clandestini. Ad esempio, le bande fasciste italiane o i Contras in Nicaragua, o le squadre impiegate nella famigerata Operazione Mangusta contro Cuba rivoluzionaria, o ancora, i mujaheddin in Afghanistan. Gruppi che lavoravano come Secret Teams,[11]le cui azioni sono note solo dai loro membri attivati per realizza cover actions, cioè il lato più sporco del lavoro dei servizi segreti.

   In un recente saggio[12] viene ricordato la guerra segreta in Laos.

   Guerra segreta poiché sottratta ai passaggi politici e costituzionali di una guerra convenzionale e perché omessa dopo la sua fine, dalla coscienza di buona parte degli USA e dall’attenzione del mondo. L’opacità fu allora la strategia deliberata dalla CIA, che sperimentò in Laos il modello applicato in molti altri conflitti: uso dei mercenari, omicidi mirati e, soprattutto, addestramento di eserciti locali contro i poteri laotiani e nordvietnamita.

   Negli anni Settanta una delle metodologie operative più utilizzate per le attività spionistiche all’estero, erano le imprese di import-export di consulenza finanziaria: copertura efficacia per le operazioni dei servizi segreti. Le persone impiegate venivano definite Noc, non-oficial cover, perché prive di immunità in caso di arresto per attività spionistiche. Ma erano al tempo stesso “deep-cover case officerò”, cioè agenti sotto copertura profonda che operavano in un terreno ostile e in nessun caso dovevano entrare in contatto con soggetti o ambienti in grado di identificare il reale datore di lavoro. Per la CIA, erano agenti sotto copertura profonda, anche se privi di immunità. Dall’altro verso, invece il KGB considerava ufficiali tutte le coperture non diplomatiche e non consolari – come gli impieghi presso l’Agenzia Tass (Agenzia telegrafica dell’Unione Sovietica) o Aeroflot – e le delegazioni commerciali, sebbene escluse dai privilegi dell’immunità diplomatica, riservando le coperture profonde per i cosiddetti “illegali” cioè coloro che non avevano apparenti connessioni con i loro datori di lavoro.

   Le Forze Speciali sono state essenziali per le guerre non convenzionali la loro espansione in Europa e poi in Asia negli anni Cinquanta e in America Latina nei Sessanta ha coinciso con l’elaborazione stessa della guerra psicologica presso il centro di Fort Bragg del North Carolina. La loro struttura è caratterizzata dall’adattabilità: un nucleo può essere costituito da un pool di uomini o da una combinazione di diverse unità. Il modulo di base è all’incirca composto da dodici-quindici suddivise in cellule molto mobili e agili.

GUERRA PSICOLOGICA

   È in questo campo che entrano in campo gli specialisti delle operazioni psicologiche o manovre psicologiche. Che sono un metodo utilizzato non solo dalle istituzioni militari ma anche da quelle politiche e dalle aziende, definibile come un complesso di attività psicologiche messa in atto mediante l’uso programmato delle comunicazioni, pianificate in tempo di pace, di crisi e di guerra, dirette verso gruppi o obiettivi “amici”, neutrali o nemici (governi, organizzazioni, gruppi o individui) al fine di influenzarne i comportamenti che incidono sul conseguimento di obiettivi politici e militari.

  E dentro questo quadro che assumono un ruolo sempre più importante per la conquista dei cuori e della psiche dei popoli i miti, che sono da sempre la forza che muove le volontà collettive dei popoli. Sarebbe ingenuo attribuire questo comportamento a scarsa capacità razionale dei popoli, o a naturale limitatezza delle masse o alla propensione dell’opinione pubblica verso le leggende piuttosto che verso la verità e dunque a bere tutto quello che si propinano.  Il fatto che la borghesia, che ha alle spalle una lunga storia di rivoluzioni contro il mondo feudale e contro l’oscurantismo religioso ha imparato a sue spese che non è la verità e la coscienza intellettuale a muovere le grandi masse, bensì i miti, quelle vere e proprie leve che s’imprimono profondamente nella psiche collettiva per incarnare speranze e muovere le volontà ad agire.

   I miti sono tali che, una volta penetrati in profondità nelle coscienze, costituiscono una forza difficilmente scardinabile. Quello dell’11 settembre 2001 è a tutti gli effetti, un mito, realizzato con le più sofisticate e tecnologicamente collaudate tecniche di comunicazione mediatica, che ha imbastito menzogne e confusione con briciole di verità, sensazionalismo e paura, esorcismo ed emotività, ripetute fino alla nausea, anche quando i fatti le abbiano smentite. Che, poi, nel tempo, infatti, la costruzione si sia rivelata un colabrodo, non ha più importanza: quel che conta è la prima impressione, quella che muove il consenso e la volontà delle masse. In quella zona della psiche che gli psicologi chiamano inconscio, non si distingue un’idea o un’immagine vera da una falsa. Le impressioni e gli effetti sono ugualmente reali e per lo più sono previsti da chi manipola e trasmette le informazioni e i messaggi. E vale la nota massima behaviorista del ministro nazista della propaganda J. Goebbels: “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”. Che però non è un detto originale, essendo che già in Hegel la sua formulazione filosofica.[13]  E soprattutto dal medico e fisico francese Gustave Le Bon, che ha fatto scuola osservando le tecniche di manipolazione mediatica, già nel 1895, quando di comunicazione di massa non erano neppure all’alba di tale sviluppo: “L’affermazione pure e semplice, svincolata da ogni ragionamento e da ogni prova, costituisce un mezzo sicuro per far penetrare un’idea nello spirito delle folle. Quanto più l’affermazione è concisa, sprovvista di prove e di dimostrazioni, tanto maggiore è la sua autorità (…) Tuttavia (l’affermazione) acquista una reale influenza soltanto se viene ripetuta di continuo, il più possibile, se sempre negli stessi termini. Napoleone diceva che esiste una sola figura retorica seria, la ripetizione. Ciò che si afferma finisce, grazie alla ripetizione, col penetrare nelle menti al punto da essere accettata come verità dimostrata (…) La cosa ripetuta finisce con l’incrostarsi nelle regioni profonde dell’inconscio, in cui si elaborano i moventi delle nostre azioni. Così si spiega la forza straordinaria della pubblicità”.[14]

    Ritornando ai giorni nostri, tutto ciò significa che la plateale distorsione della verità e la sistematica manipolazione delle fonti d’informazione sono parte integrante della pianificazione bellica. In seguito, all’11/9, il Segretario della Difesa Donald Rumsfeld ha creato l’Office of Strategic Influence (OSI), in altre parole l'”Ufficio della Disinformazione”, com’è stato etichettato dai suoi critici: “Il Dipartimento della Difesa ha detto che avevano bisogno di farlo, e stavano realmente per impiantare storie che erano false in paesi stranieri – come sforzo per influenzare l’opinione pubblica mondiale”. [15] Ma, all’improvviso, l’OSI veniva formalmente sciolta sotto la spinta di pressioni politiche e di “fastidiosi” articoli dei media, “i cui scopi erano deliberatamente tendenziosi rispetto alla necessità di portare avanti gli interessi Americani.”

   Pochi mesi dopo che l’OSI fu sciolto tra le polemiche (febbraio 2002) il New York Times confermava che la campagna di disinformazione procedeva a pieno ritmo e che il Pentagono stava: “…considerando di emanare una direttiva segreta ai militari americani per condurre operazioni coperte mirate ad influenzare l’opinione pubblica ed i politici nei paesi amici e nelle nazioni neutrali …”. La proposta ha acceso un’aspra battaglia nell’amministrazione Bush sul fatto se i militari dovessero eseguire missioni segrete di propaganda in nazioni amiche come la Germania… “La lotta – ha dichiarato un funzionario del Pentagono – verte sul sistema di comunicazioni strategiche per la nostra nazione, sul messaggio che noi vogliamo inviare per influenzare a lungo termine, e come costruirlo. Noi possediamo le strutture, le capacità e l’addestramento idonei per influenzare la pubblica opinione delle nazioni amiche e neutrali. Noi possiamo fare questo e farla franca!“.[16]

   Per sostenere l’agenda di guerra queste “realtà fabbricate”, introdotte giorno dopo giorno nella catena dell’informazione di massa, devono diventare verità indelebili, che formano parte di un ampio consenso politico e dei media. A questo riguardo, i media ufficiali, sebbene agiscano indipendentemente dall’apparato militare e d’intelligence, sono uno strumento di questo sistema tendente a un autentico totalitarismo. In stretto collegamento con il Pentagono e la CIA, anche il Dipartimento di Stato ha istituito una sua unità civile di propaganda, guidata diretta dalla Sottosegretaria di Stato per le Relazioni e gli Affari Pubblici Charlotte Beers, una figura potente nell’industria pubblicitaria. Lavorando a stretto contatto con il Pentagono, la Beers è stata nominata a capo dell’unità di propaganda del Dipartimento di Stato immediatamente dopo l’11/9. Il suo mandato consisteva nel “contrapporsi e neutralizzare l’anti-Americanismo esterno.”[17]  Il suo ufficio al Dipartimento di Stato deve: “‘assicurare che le pubbliche relazioni (di coinvolgimento, di informazione e guida, di influenza sulle comunicazioni internazionali importanti), vengano praticate in armonia con gli affari pubblici (con sfera di estensione al di là degli Statunitensi) e con la diplomazia tradizionale, per dare impulso agli interessi e alla sicurezza degli USA e produrre la base morale per la leadership Americana nel mondo.” [18]

   Come si vede l’opinione pubblica diventa centrale. Ma cosa è l’opinione pubblica? Walter Lippmann nel 1922 la definì nel seguente modo: “Le immagini che gli esseri umani hanno nella testa, le immagini di sé stessi, degli altri, dei propri scopi e obiettivi, delle proprie relazioni, rappresentano le loro opinioni pubbliche. Queste immagini, quando vengono gestite da gruppi di persone o da persone che agiscono in nome di gruppi, diventano Opinione Pubblica, con le iniziali maiuscole”.[19] 

   Lippmann, che fu il primo a tradurre in inglese le opere di Sigmund Freud, sarebbe divenuto uno dei più influenti commentatori politici. Aveva trascorso gli anni della Prima guerra mondiale al Quartier Generale di Propaganda e Guerra Psicologica di Wellington House, fuori Londra, in un gruppo di cui faceva parte anche il nipote di Freud, Eduard Bernays.[20] Il libro di Lippmann, L’Opinione Pubblica, pubblicato un anno dopo l’uscita de La psicologia di massa di Freud, che trattava temi simili. È tramite i media, scrive Lippmann, che la maggior parte delle persone elabora quelle “immagini nella testa”, il che garantisce ai media “un potere spaventoso”.

   Il Tavistock Center creato subito dopo la I Guerra Mondiale sotto il patronato del Duca George di Kent (1902-42), diretta da John Rawlings Rees, si mise a studiare gli effetti della psicosi bellica e la sua capacità di produrre il collasso della personalità individuale. Dal loro lavoro emerse una tesi terribile: grazie all’uso del terrore, l’uomo può essere ridotto a uno stato infantile e sottomesso, in cui le sue capacità di ragionamento sono annebbiate e in cui il suo responso emotivo a vari stimoli e situazioni diventa prevedibile o, nei termini usati dal Tavistock, “sagomabile”. Controllando i livelli di ansietà è possibile produrre una condizione similare in ampi gruppi di persone, il cui comportamento potrà così essere controllato e manipolato dalle forze oligarchiche per cui il Tavistock lavorava.[21]

    Partendo dal fatto che i mass media sono in grado di raggiungere grandi quantità di persone con messaggi programmati o controllati, il che rappresenta la chiave per la creazione di “ambienti controllati” per il lavaggio del cervello. Come mostravano le ricerche del Tavistock, la cosa importante era che le vittime del lavaggio del cervello di massa non si rendessero conto di trovarsi in un ambiente controllato; pertanto, doveva esserci un ampio numero di fonti d’informazione, i cui messaggi dovevano essere leggermente diversi, così da mascherare la sensazione di un controllo dall’esterno. Quando possibile, i messaggi dovevano essere offerti e rinforzati attraverso l’” intrattenimento”, che avrebbe potuto essere consumato senza apparente coercizione, in modo da dare alla vittima l’impressione di stare scegliendo di propria volontà tra diverse opzioni e programmi.


   Nel suo libro, Lippmann osserva che la gente è più che disposta a ridurre problemi complessi in formule semplicistiche e a formare la propria opinione secondo ciò che credono che gli altri intorno a loro credano; la verità non ha nulla a che fare con le loro considerazioni. L’apparenza di notizia fornita dai media conferisce un’aura di realtà a queste favole: se non fossero reali, allora perché mai sarebbero state riportate? Pensa l’individuo medio secondo Lippmann. Le persone la cui fama viene costruita dai media, come le star del cinema, possono diventare “opinion leaders”, con il potere di influire sull’opinione pubblica quanto le personalità politiche.

   Se la gente pensasse troppo a questo procedimento, il giocattolo potrebbe rompersi; ma Lippmann scrive: “La massa di individui completamente illetterati, dalla mente debole, rozzamente nevrotici, sottosviluppati e frustrati è assai considerevole; molto più considerevole, vi è ragione di ritenere, di quanto generalmente si creda. Così viene fatto circolare un vasto richiamo al popolo tra persone che, sul piano mentale, sono bambini o selvaggi, le cui vite sono un pantano di menomazioni, persone la cui vitalità è esaurita, gente ammutolita e gente la cui esperienza non ha mai contemplato alcun elemento del problema in discussione”. [22]


   Nell’affermare di scorgere una progressione verso forme mediatiche che riducono sempre più lo spazio di pensiero, Lippmann si meraviglia del potere che la nascente industria di Hollywood manifesta nel forgiare la pubblica opinione. Le parole, o anche un’immagine statica, richiedono che la persona compia uno sforzo per crearsi un’” immagine mentale”. Ma con un film: “Tutto il processo di osservare, descrivere, riportare e poi immaginare è già stato compiuto per voi. Senza compiere una fatica maggiore di quella necessaria per restare svegli, il risultato di cui la vostra immaginazione è alla continua ricerca vi viene srotolato sullo schermo”.  È significativo che, come esempio del potere del cinema egli, utilizzi il film propagandistico Nascita di una nazione, girato da D. W. Griffith a favore del Ku Klux Klan; nessun americano, scrive Lippmann, potrà mai più sentir nominare il Ku Klux Klan “senza vedere quei cavalieri bianchi”.  L’opinione popolare, osserva Lippmann, è determinata in ultima analisi dai desideri e dalle aspirazioni di una “elìte sociale”. Questa élite, egli afferma, è: “Un ambiente sociale potente, socialmente elevato, di successo, ricco, urbano, che ha natura internazionale, è diffuso in tutto l’emisfero occidentale e, per molti versi, ha il proprio centro a Londra. Conta fra i propri membri le persone più influenti del mondo e racchiude in sé gli ambienti diplomatici, quelli dell’alta finanza, i livelli più alti dell’esercito e della marina, alcuni principi della Chiesa, i proprietari dei grandi giornali, le loro mogli, madri e figlie che detengono lo scettro dell’invito. È allo stesso tempo un grande circolo di discussione e un vero e proprio ambiente sociale”. Con un atteggiamento tipicamente elitario, Lippmann conclude che il coordinamento dell’opinione pubblica manca di precisione. Se si vuole raggiungere l’obiettivo di una “Grande Società” in un mondo unitario, allora “la pubblica opinione deve essere creata per la stampa, non dalla stampa”. Non è sufficiente affidarsi ai capricci di “un ambiente sociale superiore” per manipolare le “immagini nella testa delle persone”; questo lavoro “può essere gestito solo da una classe di individui specializzati” che operi attraverso “centrali d’intelligence”.[23]

 Mentre Lippmann scriveva il suo libro, la radio, è il primo mass media tecnologico a entrare nelle case, stava assumendo sempre maggior rilievo. A differenza dei film, che erano visti nei cinema da grandi gruppi di persone, la radio offriva un’esperienza individualizzata all’interno della propria casa, avente per fulcro la famiglia. Nel 1937, su 32 milioni di famiglie americane, 27,5 milioni possedevano un apparecchio radiofonico, più di quante possedessero un’automobile, il telefono o perfino l’elettricità.


   In quello stesso anno la Rockefeller Foundation finanziò un progetto per studiare gli effetti che la radio produceva sulla popolazione. [24] A essere reclutati per quello che sarà poi conosciuto come Radio Research Project, con quartier generale all’Università di Princeton, a lavorare su questo studio ci furono delle personalità come Hadley Cantril e Gordon Allport, che diventeranno elementi chiave delle operazioni del Tavistock americano. A capo del progetto c’era Paul Lazerfeld; i suoi assistenti alla direzione erano Cantril e Allport, con Frank Stanton, che sarebbe poi diventato capo del settore informazione della CBS, e più tardi il suo presidente, e capo del consiglio di amministrazione della Rand Corporation. Il progetto fu preceduto da un lavoro teoretico realizzato in precedenza studiando la psicosi e la propaganda di guerra, e dal lavoro di Walter Benjamin e Theodor Adorno, della Scuola di Francoforte. Questo lavoro preliminare era incentrato sulla tesi che i mass media potessero essere usati per indurre stati mentali regressivi, atomizzare gli individui e generare un incremento dell’instabilità. Queste condizioni mentali indotte furono poi definite dal Tavistock col termine di stati “brainwashed”, e il processo d’induzione che a essi conduceva fu chiamato “brainwashing”, cioè “lavaggio del cervello”.


   Nel 1938, quando era a capo della sezione “musica” del Rand Research Project, Adorno scrisse che gli ascoltatori di programmi musicali radiofonici: “fluttuano tra l’oblio completo e improvvisi tuffi nella coscienza. Ascoltano in modo atomizzato e dissociano ciò che sentono… Non sono bambini, ma sono infantili; il loro stato primitivo non è quello di chi non è sviluppato, ma quello di chi ha subìto un ritardo mentale provocato da un’azione violenta”.  Le scoperte del Radio Research Project, pubblicate nel 1939, confermarono la tesi di Adorno sul “ritardo mentale indotto” e servirono da manuale per i programmi di lavaggio del cervello.  Studiando i drammi radiofonici a puntate, comunemente noti come “soap opera” (poiché molti di essi erano sponsorizzati da ditte produttrici di sapone), Herta Hertzog scoprì che la loro popolarità non poteva essere attribuita a nessuna caratteristica socioeconomica degli ascoltatori, ma piuttosto al format seriale in sé, che induceva ad un ascolto abitudinario. La forza che la serializzazione possiede nel produrre il lavaggio del cervello è stata riconosciuta dai programmatori del cinema e della TV; ancora oggi le “soap” pomeridiane sono quelle che generano maggiore assuefazione televisiva, con il 70% delle donne americane sopra i 18 anni che guardano ogni giorno almeno due di questi programmi.


   Un’altra indagine del Radio Research Project si occupò degli effetti prodotti nel 1938 dalla lettura radiofonica de La guerra dei mondi di H. G. Wells da parte di Orson Welles, in cui si simulava un’invasione marziana. Il 25% degli ascoltatori del programma, che era stato presentato come se si trattasse di un notiziario, credette davvero che fosse in corso un’invasione, generando il panico nazionale; e questo nonostante i chiari e ripetuti avvertimenti che si trattava di un programma di fiction. I ricercatori del Radio Project scoprirono che molte persone non avevano creduto all’invasione marziana, ma avevano pensato che fosse in corso un’invasione da parte della Germania. Questo, come i ricercatori riferirono, dipendeva dal fatto che il programma era stato presentato nel format del “notiziario”, che in precedenza era stato utilizzato per fornire il resoconto della crisi bellica che si prospettava a seguito della Conferenza di Monaco. Gli ascoltatori avevano reagito al format, non al contenuto del programma.


   I ricercatori dimostrarono così che la radio aveva già condizionato a tal punto le menti dei suoi ascoltatori, le aveva rese così frammentate e irriflessive, che nella ripetizione del format stava la chiave della popolarità.

GUERRA SENZA LIMITI

   Nel 2001 uscì un libro dal titolo emblematico Guerra senza limiti edito dalla Libreria editrice goriziana, degli autori Qiao Lang e Wang Xiangsui, due ufficiali dell’esercito cinese che hanno svolto incarichi come Commissari politici presso i Dipartimenti politici dei comandi superiori come addetti alla morale, disciplina supervisione dei Comandanti e delle attività di propaganda. Il termine moderato dei loro incarichi non tragga in inganno: si tratta di due autentici revisionisti di fino. Il libro illustra l’evoluzione dell’arte della guerra, dai primi conflitti armati alla nostra epoca “di terrorismo e globalizzazione”. Quello che è messo ben in luce, è come muti l’approccio dei governi all’idea “fare la guerra”. In questo libro c’è la codificazione delle nuove regole dell’arte militare[25] Nei “nuovi” conflitti, dove le finalità non sono mai completamente interpretabili, si tratta di schiacciare il nemico in un campo di battaglia molteplice e non del tutto definibile, e di conseguenza si progettano le armi adatte ai tipi di guerra che si vuol fare[26]. Attualmente, la guerra imperialista è sempre più veloce ed immediata e “teoricamente” opera col minor spargimento di sangue “possibile” (in relazione agli obiettivi prefissati). In realtà questo è ciò che viene propagandato, il terreno concreto smentisce la teoria, solo che la teoria deve essere sufficientemente indefinita di modo da permettere l’utilizzo di armi e progetti che si traducano in un aumento del potere degli eserciti stessi rispetto alle altre forze del sei paese agente. Una guerra dove si mira più a destabilizzare il nemico che ad eliminarlo.

   La guerra di oggi preferisce agire in misura ben superiore che al passato, anche in campi che teoricamente non hanno nulla a che fare con i conflitti armati. Dietro la scusa di non uccidere nemici in maniera visibilmente ingestibile, si può anche muoversi là dove lo scontro fisico non è necessario, andando a toccare i nervi scoperti del suo apparato statale, sociale ed economico, cercando di ottenere un effetto paralizzante superiore a quello delle armi usuali. Ma poi, ed è Gaza a dimostrarlo, si tratta solo di teorie dal fine recondito, come appunto sosteniamo, un fine secondo: infatti poi, alla fine, prevale l’utilizzo barbaro dei cannoni e dei bombardamenti.

   Riguarda anche noi in Italia. Nel capitolo Il volto del dio della guerra è diventato indistinto gli autori di Guerra senza limiti parlano del terrorismo (pagg. 83-84), dicono che “se tutti i terroristi limitassero le loro attività unicamente all’approccio tradizionale – vale a dire attentati dinamitardi, rapimenti, assassini e dirottamenti aerei – non otterrebbero il massimo terrore. Ciò che realmente scatena il terrore nel cuore della gente è l’incontro di terroristi con vari tipi di nuove tecnologie avanzate che potrebbero trasformarsi in nuove superarmi”, essi citano come esempi di terroristi dotati di superarmi i seguaci di Amu Shinrikyo che hanno cosparso il Sarin, un gas tossico, nella metropolitana di Tokyo e in contrapposizione questi killer che compiono eccidi indiscriminati cita “il gruppo italiano “Falange armata” è una categoria completamente diversa di organizzazione terroristica high-tech. I suoi obiettivi sono espliciti e i mezzi impiegati straordinari. La sua specializzazione consiste nell’irruzione in reti di computer di banche e di mezzi di comunicazione, nel furto di dati archiviati, nella cancellazione di programmi e nella divulgazione di false informazioni, vale a dire operazioni terroristiche classiche dirette contro reti e mass media. Questo tipo di operazione terroristica si serve della tecnologia più avanzata nei settori di studio più moderni e sfida l’umanità nel suo complesso una guerra che potremmo definire ‘nuova guerra terroristica’”. E c’è chi vuol ridurre gli avvenimenti dell’inizio degli anni ’90 nella semplice formuletta “trattativa Stato-Mafia”! In queste nuove guerre i campi di battaglia diventano infiniti, una volta che il bersaglio non è più solamente il corpo fisico da annientare, ma anche la psiche di quello è ritenuto il nemico. Un bersaglio che permette la progressiva erosione dei diritti civili, lo svuotamento dello Stato di diritto, tutto questo dentro un quadro di resa da parte delle persone colte e impegnate, che vede in sostanza un definitivo imbarbarimento della società che non fa che confermare quanto esporta Lenin ne L’imperialismo, aspetto che dopo il nazismo, non cera bisogno di altre conferme.

   Pertanto, perché presto attenzione ad un testo del genere? Non solo perché è stata la CIA a dedicarsi allo studio di questo testo, sin da quasi subito dopo che venne nelle mani degli alti ufficiali dell’esercito cinese e della cricca borghese impadronitasi del Partito un tempo comunista. I campi di battaglia diventano infiniti, una volta che il bersaglio non è il corpo fisico da annientare, ma la psiche del “nemico”, in forma non direttamente evidente “agli altri”. Un bersaglio che permette una progressiva erosione dei diritti civili, uno svuotamento dello stato di diritto, un atteggiamento di resa da parte delle persone colte ed impegnate, un definitivo imbarbarimento che non fa che confermare quanto esposto da Lenin ne L’imperialismo, aspetto di cui tuttavia, dopo il nazismo, non avevamo bisogno di altre conferme. Una guerra segreta quindi, che colpisce attraverso nuove tecnologie e coinvolgimento di specialisti in campo medico e psichiatrico, psicologico, fisiologico, elettronico, informatico, biologico, il cervello, i sentimenti, il clima, il cyberspazio, lo spazio ecc.  Non a caso il vicepremier D’Alema nel 1999 fa divenire corpo d’armata l’Arma dei carabinieri, e questa subito dopo assume in gran numero laureati in scienze biologiche. La pubblicistica pre e post-11 settembre serve allo scopo, antrace, armi biologiche, chip a DNA. Le riviste scientifiche parlano apertamente di queste cose, la politica tace. Chi autenticamente comanda, ha i suoi soldatini. I politici delegano ai ministri, i quali nel divenire ministri, si adeguano ai generali. Quindi non ci può essere una seria lotta alla guerra imperialista senza porre la questione della messa al bando di queste “armi elettroniche-mentali”, ivi compresi i raggi immobilizzanti, ecc. Infatti, evidenziare cosa stia dietro a queste “armi” e alle tecnologie diffusosi di recente (GPS, GPRS, UMTS, Wireless, ecc.), sarebbe dovere non nostro, ma di ogni appartenente alla Sanità, alla Polizia municipale, alle Giunte comunali, provinciali, regionali, ai Parlamenti, alle forze sociali e sindacali. Ma nessuno ne parla, a parte rari e coraggiosi soggetti. Tutti, paiono segretamente entusiasti di poter produrre la morte per tumore di un nemico, senza che nessuno possa loro imputar nulla.

    Vediamo in sintesi la visione della guerra “post-atomica” dei due autori del libro”.

   Per gli autori queste visioni sono infinite e tutte in continua evoluzione. Vediamo quali sono per gli autori le principali.

   La prima è la classica guerra commerciale, che per gli autori però la vedono evoluta: “nelle mani degli americani, che ne hanno fatto un’arte raffinata, può essere utilizzata con grandissima competenza. Tra i vari strumenti impiegati, vi sono l’uso del diritto commerciale interno sulla scena internazionale, l’introduzione e l’abolizione arbitrarie di barriere tariffarie, l’utilizzo di frettolose sanzioni commerciali, l’imposizione di embarghi sulle esportazioni di tecnologie fondamentali, l’applicazione della legge della “Sezione speciale 301”, la concessione del cosiddetto status di nazione favorita (most favored nation), eccetera… “.

   Una seconda forma che viene evidenziata dagli autori è la guerra finanziaria, apprezzata come segue: “Noi riteniamo che presto “la guerra finanziaria” diventerà sicuramente uno dei lemmi dei vari dizionari del gergo militare ufficiale, come pure crediamo che quando, rileggeremo i libri di storia sulla guerra del ventesimo secolo, il capitolo della guerra finanziaria sarà quello che più richiamerà la nostra attenzione. Il principale protagonista di questo capitolo non sarà uno statista o uno stratega militare, bensì George Soros. Naturalmente, Soros non ha il monopolio esclusivo dell’uso dell’arma finanziaria per combattere le guerre. Prima di Soros, Helmut Kohl si è servito del marco tedesco per abbattere il muro di Berlino, un muro che nessuno era mai riuscito a scalfire con le granate dell’artiglieria…Inoltre, non possiamo non citare la miriade di grandi e piccoli speculatori arrivati in massa a questo grande party per ingordi di denaro, tra cui Morgan Stanley e Moody’s, che  sono famose per i rapporti sul grado di solvibilità da loro emessi e che segnalano promettenti obiettivi di attacco agli squali del mondo finanziario”.

    E pensiamo alla all’uso della Pandemia che è stato fatto dai vari governi. Non bisogna essere dei geni, per capire che hanno usato dei metodi da guerra psicologica.

   Grazie a questo uso dei metodi della guerra psicologica, si è installata in gran parte delle popolazioni la paura del Covid-19, la Borghesia Imperialista ha il contesto favorevole per ottenere un risultato importante: la sospensione delle regole.

   Durante gli ultimi mesi dei mandati presidenziali c’è veramente da raccomandare a tutti i santi, perché gli Stati Uniti tradizionalmente sferrano i colpi più pesanti. Ma un’operazione di questa levatura si era mai vista. Del resto, molti osservatori hanno constato che stiamo patendo gli effetti di una guerra tradizionale senza che una volta venga sparato un colpo. Ce lo hanno spiegato i due autori di Guerra senza limiti che stiamo assistendo ad una guerra non militare nell’era atomica. Queste cose le sanno chi negli Stati Uniti ha organizzato una campagna (magari all’insaputa di Trump), enorme e sofisticata, con uno stile da bostoniani di scuola britannica. L’idea era in gestazione da alcuni anni visto che Bill Gates ne parlava pubblicamente già nel 2015.[27] Quando poi si decise di procedere, il 18 ottobre 2019 la John Hopkins Center for Health Security con il World Economic Forum e la Fondazione Bill & Melinda Gates hanno presentato a New York l’Event 201 Pandemic Exercise, un’anticipazione di quanto sarebbe accaduto qualche mese dopo. Quindi chi doveva sapere, sapeva. Non è da escludere che Pechino sapeva vista la prontissima reazione; come non è da escludere che anche da Mosca sapevano vista la sua sostanziale immunità al contagio in Russia almeno fino al mese di maggio, non mi meraviglierei che il Vaticano sapeva.

   In ogni caso il sistema un risultato strategico lo ha raggiunto. La sospensione delle regole: siano esse economiche (quelle dentro l’ortodossia della economia politica borghese), dei diritti costituzionalmente garantiti, dei rapporti fra Stati, dei “casus belli” in ogni momento attivabili. Negli USA questa sospensione è visibile maggiormente che altrove. Il Congresso ha promosso un allargamento del proprio debito senza che nessun sottoscrittore si facesse avanti che non fosse la Federal Reserve; la Casa Bianca sta alzando il livello di scontro con la Cina sulla soglia del conflitto militare; è aumentata  l’oppressione violenta sui proletari e sottoproletari (in particolare afroamericani), che nella strategia dell’Establishment deve pagare silenziosamente in termine di morti e disoccupazione, è sotto gli occhi di tutti a seguito delle ribellione degli afroamericani dopo i fatti di Minneapolis. Ed in questo scenario di sospensione delle regole tutto diventa possibile: negli USA, in Europa ed in Italia, si è avuto la famigerata operazione prendi 6,5 miliardi e scappa a firma John Elkann.


[1] Edizione pubblicata dal Dipartimento della “Difesa” americano nel luglio del 1997.

[2] C’è stato un tentativo di elaborare una strategia militare fu fatto nel 1928 da un gruppo di comunisti, sotto la supervisione e la direzione della Segreteria dell’Internazionale Comunista e dello Stato Maggiore dell’Armata Rossa redasse l’opera intitolata L’insurrezione armata, che fu pubblicata con la firma di A. Neuberg. Con tale opera si cercava di fornire al movimento operaio e comunista una guida per l’organizzazione e la conduzione delle insurrezioni future.

[3] P. Willan, I burattinai, Pironti, Napoli, 1993, p. 37.

[4] Le forze speciali USA entrarono in Grecia il 24 maggio 2947. La controinsorgenza fece ricorso in modo massiccio a una misura che fu poi riutilizzata in altre circostanze, cioè la creazione di “zone franche” in cui venivano deportate la popolazione civile per togliere sostegno alla Resistenza. Michael McClintock, Instruments of Statecraft, Pantheon Books,  New York, 1992, p. 11.

[5] Federico Romero, Storia della Guerra Fredda. L’ultimo conflitto per l’Europa, Einaudi, Torino, 2009, p. 72.

[6] Nguyen Van Vinh, The Vietnamese People on the Road Victory, 1966. 

[7] Luciano Pellicani, Terrorismo, Enciclopedia Trecconi, 1998.

[8] Field Manual, n. 31-1.

[9]  C.s.  n. 33.5.

[10] Edward Lansdale è stato un ufficiale dell’OSS e poi della CIA , oggetto di una famosa lettera scritta dal colonello L. Fletcher Prouty al giudice Jim Garrison – che indagò sul delitto di JFK  – nella quale Prouty denunciava la presenza di Lansdale Dallas, dive fu assassinato il presidente americano. Secondo Prouty era il leader del complotto orchestrato a danno di Kennedy.

[11] The Secret Team è il titolo del libro colonello L. Fletcher Prouty, che fu dal 1955 al 1960 capo di un ufficio delle forze aeree che forniva sostegno alle operazioni coperte della CIA. Uscito per la prima volta negli USA nel 1973 con l’obiettivo di rivelare il funzionamento della CIA, nel volume Prouty vi denuncia l’esistenza di un Secret Team che si poneva al di sopra della CIA, composto da individui interni ed esterni alla compagine di governo, che ricevono dati sensibili, frutto del lavoro di intelligence di CIA e NSA, e li utilizzavano per operazioni di ogni tipo comprese quelle paramilitari (Skyhorse Publishing, New York 2011, p. 3).

[12] Joshua Kurlantzuck, A Great Place to Have War, Simon & Schuster, New York, 2017, recensito da Marco Del Corona per il Corriere della Sera, 19 febbraio 2017.

[13] Attraverso la ripetizione, ciò che inizialmente appariva come un accidente e possibile, diventa qualcosa di reale e consolidato (G.W.F. Hegel).

[14] Gustave Le Bon, Psicologia delle folle, Milano 1982, pp. 111-112; il libro significativamente fu letto da chi aveva a che fare con i fenomeni politici e sociali di massa, da Mussolini a Lenin, oltre che dalle polizie di tutti paesi.

[15] Intervista con Steve Adubato, Fox News, 26 dicembre 2002.

[16] New York Times, 16 dicembre 2002.

[17] Sunday Times, Londra 5 gennaio 2003.

[18] http://www.state.gov/r/

[19] http://www.altrainformazione.it/wp/2009/07/11/come-gli-inglesi-utilizzano-i-media-per-la-guerra-psicologica-di-massa/

[20] Bernays è noto per aver elaborato la pubblicità di Madison Ave sfruttando le teorie freudiane di manipolazione psicologica.

[21] Tutta la teoria psicologica del Tavistock (come anche quella freudiana) muove dalla concezione dell’uomo come bestia dotata di pensiero. Il Tavistock sostiene che la creatività derivi unicamente da impulsi nevrotici o erotici sublimati e vede l’uomo come una lavagna su cui disegnare e ridisegnare le proprie “immagini”.

[22] http://www.altrainformazione.it/wp/2009/07/11/come-gli-inglesi-utilizzano-i-media-per-la-guerra-psicologica-di-massa/

[23] Si tratta di una concezione simile a quella espressa da Rees nel suo libro The Shaping of Psychiatry by War, in cui si parla della creazione di un gruppo elitario di psichiatri che dovranno garantire, a vantaggio dell’oligarchia dominante, la “salute mentale” del mondo.

[24] I nazisti avevano già ampiamente utilizzato la propaganda radiofonica per il lavaggio del cervello come elemento integrante dello Stato fascista. I loro metodi furono osservati e studiati dai ricercatori del Tavistock.

[25] Voglio precisare che parlare del libro in oggetto non significa condividere l’impostazione ideologica degli autori.

[26] Nella guerra che nel libro in oggetto, stampato da una casa editrice reazionaria (del Friuli Venezia Giulia) legata all’esercito ed alle componenti nere dello Stato trascurate dal ministro della giustizia Togliatti all’indomani della Liberazione, ed anzi, ritornate spesso ai propri ruoli originari dopo pochi mesi od anni, è definita assimetrica;  una lettura del termine rimanda ad una guerra dove da una parte possiede moderne tecnologie e l’altra niente o quasi, l’assimetria consiste nell’uso di diverse tipologie d’armi. Semplificando: militare tradizionale contro guerriglia o militare tradizionale contro diversi tipi di guerra. Un’altra lettura, più “tecnica”, più attenta alla ideologia sottesa degli autori, che sono tutt’altro che coerenti al marxismo-leninismo, è quella che rimanda alla metodologia non convenzionale delle guerre, alla loro estensione alla società, alla vita delle masse anche nelle zone non colpite. Una ideologia “globale” e reazionaria insieme, il “summa” delle nefandezze prodotte dal revisionismo nei paesi socialisti, in perfetta coerenza e concordanza strategica con l’imperialismo capitalista, perché espressione della stessa classe, della stessa borghesia, oramai priva di alcuna natura nazionale: la borghesia imperialista.

[27] https://www.ilriformista.it/la-profezia-di-bill-gates-del-2015-un-virus-uccidera-10-milioni-di-persone-61673/

https://www.corriere.it/tecnologia/20_marzo_15/video-bill-gates-che-sembrava-predire-coronavirus-5-anni-fa-e6c0df12-66e6-11ea-a26c-9a66211caeee.shtml

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/03/14/coronavirus-bill-gates-a-una-conferenza-nel-2015-un-virus-altamente-contagioso-uccidera-milioni-di-persone/5736746/

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/lallarme-bill-gates-pandemia-letale-almeno-30-milioni-morti-1521265.html

UNA GUERRA MONDIALE IN FIERI

•febbraio 16, 2023 • Lascia un commento

   Quale è il carattere della presente guerra mondiale in fieri nella quale l’umanità è inesorabilmente trascinata e di cui è parte la guerra al momento localizzata in terra ucraina in quanto scontro armato fra la Nato che è il braccio armato dell’Occidente imperialista e la Russia “ariete” di un nuovo assetto multipolare del capitalismo mondiale?

   Dal nostro punto di vista si tratta di una contesa armata fra Stati per una diversa e “più equa” ripartizione del potere capitalistico globale.

   Sul fronte della guerra ucraino si cammina sull’orlo dell’abisso, del coinvolgimento delle forze della NATO, del possibile scambio di colpi anche nucleari. Il fatto è che anche nel caso di “congelamento” o di de-escalation del conflitto, le conseguenze sono comunque dirompenti da innescare una “feroce tempesta”.

   Cosa intendiamo dire che siamo a rischio di “una feroce tempesta”?

   Riteniamo che siamo alla vigilia di un brusco e violento assestamento del potere capitalistico globale che non corrisponde più a un mondo in cui l’egemonia imperialista degli USA e dell’Occidente collettivo è stata scardinata dall’iniziativa armata russa del 24 febbraio coperta alle spalle dalla potenza dello Stato cinese. I proletari e le masse popolari delle metropoli imperialiste a fronte questi avvenimenti devono prepararsi ai prossimi stati di emergenza repentinamente decretati nel precipitare degli eventi da un giorno all’altro, sperando che il terrorismo pandemico non sia di nuovo seminato in aggiunta al quadro di catastrofe economica e sociale.

   Sul fronte della guerra ucraino si cammina sull’orlo dell’abisso, dal possibile coinvolgimento anche formale e dichiarato delle forze Nato, del possibile scambio di colpi anche nucleare.

   Il fatto che anche nel caso di “congelamento” o di de-escalation del conflitto, le conseguenze sono comunque dirompenti. Il fatto è che la vetrina del controllo occidentale sull’Ucraina è stata sfasciata a colpi di maglio e con essa è definitivamente saltato il precedente equilibrio di potere mondiale.

   Una serie di popoli e di Stati del Sud globale del mondo si dispongono per svincolarsi dallo stesso controllo politico e dal dollaro. Persino alle narici dei satrapi sauditi i profumatissimi dollari cominciano a puzzare e a bruciare fra le mani. E per tentare di farli profumare di nuovo bisogna che ci sia la garanzia, se non dell’oro che non c’è dal 1971, almeno e senz’altro la garanzia della spada gettata sulla bilancia da parte dell’emittente, applicando l’antichissimo metodo Brenno sempre valido finché dura, “multipolare” o meno, il dominio del capitale.

   Il varco si è aperto: abbiamo visto le bandiere russe sventolate nelle dimostrazioni dei diseredati di Haiti[1], ma possiamo immaginare l’effetto di galvanizzazione su vastissime masse del Sud globale (comprese le rispettive borghesie nazionali) indotto dalla requisitoria “antimperialista” pronunciata da Putin il 30 settembre. Le rivolte  di massa come quella dei giovani iraniani contro gli aspetti più reazionari del regime di Teheran che è un pezzo importante del cosiddetto “asse della resistenza” attorno al quale il nuovo equilibrio “multipolare” capitalistico prende forma, non spostano la corrente storica che spinge verso la caduta della egemonia Amerikana e dei suoi vassalli per quanto gli apparati dell’imperialismo “democratico” occidentale si sforzino di cavalcarla se non di dirigerla secondo un copione sperimentato in Libia e in Siria. A proposito di vassalli: tutti avvertono cosa si muove sotto la cresta dei mastini guerrafondai europei alla Von der Leyen, Borrel, Macron, Draghi/Meloni ecc.

   Si muove soprattutto una parte della borghesia tedesca (e a ruota una parte del – fetente e invertebrato – sindacato tedesco) non disposta ad accettare il ricatto letale (con tanto di spudorati atti di guerra come il sabotaggio dei gasdotti) esercitato non da Putin ma “dall’amico americano”. Sotto la crosta si muove il malcontento di una larga parte della popolazione da spennare contraria alla guerra in quanto “pessimo affare” per la stragrande maggioranza dei cittadini e per i bilanci della proprietà privata generale e dello Stato.

   Il denaro per tenere in piedi le strutture del buco nero dell’Ucraina del quisling Zelensky è tanto, non per niente giustifica l’invio dei fondi con la motivazione che egli rappresenta “la sicurezza fisica dell’Europa”.  Quello che vuol far intendere Zelensky è che il crollo del suo regime sarebbe a questo punto il crollo del regime europeo, dei suoi attuali assetti di poteri, delle attuali oligarchie dominanti il capitalismo europeo che poi sono le stesse attualmente prevalenti nell’intero Occidente imperialista a partire dal suo centro USA dove è ancora più forte che in Europa è l’opposizione popolare alla guerra in Ucraina sia per le medesime e solide ragioni contabili che per l’opposizione politica da parte della frazione borghese “patriotica” o meglio patriotica imperialista raccolta dietro a Trump.

   Il movimento storico in atto che nel punto di contatto ucraino scarica la sua tremenda tensione è un calice di cicuta che non piò essere trangugiato pacificamente dal corpo debilitante dell’Occidente imperialista, tanto dalla frazione borghese attualmente preponderante (quella cosiddetta “progressista” quella che propaganda un capitalismo “inclusivo” pitturato green) che da quella patriotica imperialista.

   La frazione attualmente preponderante nell’Occidente imperialista non decide per la guerra di sterminio contro la Russia, poiché insicura di vincere lo scontro bellico diretto. Per questo motivo non gli resta altra scelta che far buon viso a cattiva sorte. Cioè trattare con Mosca (e con Pechino), cioè guadagnare tempo. Guadagnare tempo per rettificare il tiro di una politica dimostratasi avventurista e impraticabile.

   Si tratta di una rettifica di tiro che sostanzialmente registra la sconfitta di una politica avventuristica che ha sbattuto la testa contro il muro russo (e cinese e del sud globale del mondo) senza però che tale registrazione si trasformi in un collasso incontrollato dell’Occidente imperialista; quindi, nel collasso del capitalismo mondiale di cui anche lo stato russo e quello cinese sono parte integrante.

  C’è quindi, dato il livello della posta in gioco in palio, una convergenza di (contingenti) interessi fra i belligeranti (pedine ucraine escluse). Si tratta di trovare una formula di compromesso provvisorio, magari facendo fuori in una maniera o in un’altra e nell’interesse reciproco e “multipolare” delle due parti. Ma, se non si può procedere sulla strada della guerra di sterminio perché il rapporto di forza militare e complessivo al momento lo sconsiglia, il problema non è solo e tanto il burattino Zelensky, il quale deve rassegnarsi ad abbassare decisamente la cresta, in un modo o in un altro. Mascherando il più possibile l’indigeribile fatto compiuto del 24 febbraio cioè la violazione a mano armata russa della sovranità imperialista occidentale dell’Ucraina. Altrettanto delicata la manovra dello “sfidante” Putin il quale deve rassegnarsi ad alcuni pesanti concessioni tipo il ritiro dal territorio appena dichiarato solennemente annesso di Kherson. Ci sembra che il suo sistema di potere abbia le spalle sufficientemente larghe per far digerire il patteggiamento con il nemico ma certo che ulteriori arretramenti lo metterebbero in grandissimo imbarazzo e difficoltà sia sul piano interno che sul piano del “prestigio internazionale” dello Stato russo, perno essenziale del cosiddetto “mondo multipolare” in gestazione.

   Sembra la quadratura di un cerchio ma per la salvezza del capitalismo mondiale i cerchi, ad ogni costo, si quadrano. Ad ogni costo: qualsiasi sia il prezzo in termini di distruzioni, di sofferenza, e di sangue umano richiesto e necessario per la riuscita della manovra, intanto, di “congelamento” e in seguito di “deescalation” (“trattative di pace” alla maniera degli accordi di Monaco del 1938; per “guadagnare tempo” alla maniera degli accordi Molotov-Ribbentrop dell’agosto 1939).

   Il conflitto in terra ucraina è parte di una guerra mondiale in fieri. Come una parte della stessa guerra sono le operazioni di lockdown messe in atto a partire dal 2020 e che continuano tuttora nella principale fabbrica di plusvalore del mondo. Le stesse operazioni di guerra-lockdown che dal punto di vista economico sono operazioni di distruzione di capitale, sono state (e sono) funzionali alla preservazione della vita del capitale stesso, minacciata di collasso nell’estate 2019 (e non certo alla tutela della salute e della vita umana). A sua volta, quel collasso sfiorato/rinviato dell’estate 2019 rinvia alla crisi irrisolta del 2007/2008 che a sua volta ancora rinvia.

   La causa profonda della “crisi permanente” che si trascina/rinvia ormai e che si è trasformata in guerra mondiale in fieri risiede nel venir meno della ragione stessa alla base della vita di Sua Maestà il Capitale, Maestà che domina sulla vita dell’umanità intera. La sua base è minata per ragioni interne, oggettive al meccanismo di valorizzazione del capitale nei suoi due momenti essenziali, inesorabili oggettive al meccanismo di valorizzazione del capitale nei suoi due momenti essenziali:

  1. Estrema difficoltà se non impotenza a generare plusvalore necessario alla vita del capitale (essendo inaridita la sua fonte ossia il lavoro salariato, scalzato – necessariamente e ineluttabilmente scalzato – dal sistema delle macchine, dei robot, dell’automazione che non generano alcun valore in più);
  2. Dall’estrema difficoltà di realizzare il plusvalore sul mercato cioè la necessaria trasformazione della merce prodotta (del valore contenuto nella merce) in denaro. La spaventosa quantità di Denaro-Debito creata dal sistema con mille trucchi per rendere possibile questa necessaria trasformazione (vendita delle merci/compera pagata con una ipoteca in carico lavoro salariato futuro) è un espediente che maschera una spaventosa insostenibile situazione.

   Ciò significa la necessità insita nel meccanismo follemente iper-drogato di procedere ad una spaventosa distruzione di forze produttive e della forza produttiva “per eccellenza” secondo Marx: gli esseri umani in eccesso e senza alcun valore la razionalità del capitale.

   Talune intelligenze “umane” (Yuval Noah Harari è uno di questi personaggi)[2], umane tra virgolette in quanto espressioni antropomorfe del Moloch-Capitale, parlando pubblicamente ed esplicitamente della necessità di procedere alla liquidazione di una massa di esseri umani non più produttiva.

   In ragione di queste impotenze e difficoltà generali ed oggettive che attanagliano la vita del capitale, in ragione cioè del venir meno della sua stessa possibilità di vita (Capitale = Valore in processo nei due momenti di produzione del plusvalore e della sua realizzazione con l’operazione di vendita sul mercato) la lotta per l’accaparramento di ogni goccia di “valore in più” prodotta a scala globale diventa spasmodica fra le diverse e concorrenti concentrazioni di potere capitalistico. In questo senso la molla che spinge verso la guerra non deriva dalla volontà di questo o quel centro di potere, come nella seconda carneficina mondiale non è stata il frutto della volontà di questo o quel dittatore, del dittatore Hitler piuttosto che “democratico” Churchill o del “semi socialista” Roosevelt.

   Intendiamo dire con questo ragionamento che la causa della guerra risiede nella proprietà privata dei mezzi di produzione e nello Stato borghese che si regge su queste basi. Tendiamo a precisare che anche quando la proprietà sia statizzata, la proprietà privata continua sussistere a far valere le sue decisive ragioni nella competizione con le altre “proprietà private” sul mercato mondiale, nella forma del Capitalismo di Stato, il quale coordina e disciplina le diverse unità produttive separate/isolate cioè operanti sulla base mercantile e monetaria delle singole/isolate contabilità dare/avere. Quindi le ragioni delle lotte di competizione e per la sopravvivenza che nel mondo dominato dal Capitale sboccano nella necessità della distruzione generalizzata, nella guerra, non cessano affatto in regime di Capitalismo di Stato.

   Inoltre, altro punto importante da precisare parlando dei “piani complessivi” a scala globale per la preservazione della vita umana e della vita nella sua totalità “cosmica” (animali, piante, pietre ecc.), occorre osservare che le stesse istituzioni della “comunità-Capitale” (pensiamo ad istituzioni quali l’Onu o l’OMS, che sono degli autentici covi di briganti) tentano e attuano “razionali e scientifici piani complessivi”.

   Esempi di “pianificazione” a scala globale della “comunità-Capitale” con cui abbiamo a che fare: l’Agenda 2030 varata dall’Onu “per lo sviluppo sostenibile”, la campagna per la “vaccinazione del mondo” iniziata ben prima del Covid 19 che l’emergenza sanitaria ha accelerata e imposta a miliardi di persone.

   Stiamo parlando, tanto per “il piano complessivo” chiamato Agenda 2030 che per il piano di vaccinazione universale, di aspetti che a nostro modo di vedere sono anch’essi parte della presente guerra mondiale. Essi sono “piani complessivi” v che intendono preservare la vita dell’essere umano solo e unicamente in quanto inserita nella vita del Capitale. Vita umana da curare e preservare in quanto appendice della macchina-Capitale.

   La “comunità-Capitale” (il suo “interesse collettivo”) attraverso le sue istituzioni nazionali e sovranazionali, non difettano di saper progettare ed attuare “piani complessivi”, non difettano di “mancanza di pianificazione”. Essa tende anzi a sistematicamente pianificare degli esseri la vita degli esseri umani.  Ne pianifica anche la morte se è necessario. Non solo: la pianificazione della vita e della morte è attuata per il cosiddetto “bene comune”. In nome dell’interesse “sociale”, “collettivo” dentro il quale “interesse collettivo” può benissimo starci – e ci sta – l’interesse di classe in quanto classe del capitale appunto, e classe per sé (e dunque in quanto classe per sé rappresentante del generale interesse umano, del reale interesse sociale e collettivo).

   Siamo giunti ad una resa dei conti storica – dopo un rinvio di mezzo secolo dal manifestarsi della crisi (iniziata nella metà degli anni Settanta del secolo scorso) reso possibile grazie allo straordinario sviluppo in particolare della Cina, formidabile fabbrica di plusvalore del mondo: “Alla produzione capitalista non resta altro che impadronirsi della Cina. Ora, effettuando infine questa conquista la vita del capitale è impossibile per il proprio movimento nella sua patria d’origine” “Non appena la concorrenza cinese diviene massiccia, spingerà le cose al loro parossismo da voi in America e da noi in Europa. E così la conquista della Cina da parte del capitalismo darà al tempo stesso l’avvio alla caduta del sistema borghese in Europa e in America[3].

   La prospettiva qui tracciata si sta realizzando, dopo aver inserito la Cina nel circuito globale del Capitale, però in condizioni più accidentate, più difficoltose per la vita del Capitale rispetto a quelle che portarono alla Seconda guerra mondiale.

   A fronte della catastrofe in arrivo il Movimento Comunista, rivoluzionario, anarchico e antagonista è decisamente impreparato. Ma sarebbe meglio dire che nessuno lo è veramente.

   Forse gli unici che siano preparati o meno impreparati sono le cerchie dei funzionari addetti alla pianificazione della possibile continuazione della vita del Capitale, per i teorici del “Grande Reset”, della Quarta rivoluzione industriale, non per caso costretti a “progettare” uno sviluppo transumano cioè “oltre l’umano” per come fino ad ora (fino all’attuale fantastico/terrificante livello raggiunto dalle forze produttive, la scienza in primis) l’abbiamo conosciuto e a rivestire i loro sinistri progetti di dittatura del Capitale nei quali la condizione proletaria è generalizzata all’intera società, di una maschera sociale e addirittura “socialista”.

   La distruzione programmata di interi settori produttivi in Europa rientra nel piano di guerra mondiale del Capitale. Dal punto di vista economico operazioni di guerra come il sabotaggio dei gasdotti Nordstream attuati verosimilmente dalla Nato, così come dall’altra parte, per esempio, la distruzione dei giganteschi stabilimenti siderurgici di Mariupol corrispondono al movente capitalistico della presente guerra mondiale.

   L’attuale situazione è caratterizzata dal concentramento di potere USA/Occidente collettivo non è paragonabile a quella dello Stato cinese tanto più a quella dello Stato russo (semi-circondato dalle basi militari Nato) né a quella dei due Stati messi insieme.

   Si potrebbe azzardare, un paradosso storico, l’azione di Bismark fu, suo malgrado, un elemento positivo. Engels il 15 agosto 1870 scriveva a Marx: “Bismark fa un pezzo del nostro lavoro, a modo suo e senza saperlo, ma lo fa”. Infatti, la Rivoluzione si sprigionò. La Comune fu instaurata nel marzo 1871.

   In effetti, la violazione della “legalità internazionale”, la violazione della “sovranità ucraina”, avvenuta a mano armata il 24 febbraio 2022 è, in questo senso, è un atto di portata storica. Putin, come Bismark ha compiuto un’azione dirompente.

   C’è un’altra osservazione da fare. Putin e Xi Jinping hanno coscienza di rappresentare parti nazionali di una rete di interessi globale a cui si è connessi e da cui si dipende, quella del capitalismo mondiale. Sicché essi aggrediti dall’imperialismo USA/Occidente collettivo, avvertono che il crollo dell’aggressore può rappresentare un pericolo mortale anche per il loro stesso sistema di potere. Agisce su di essi. La stessa forza di suprema conservazione borghese che trattenne Hitler (ovvero il capitalismo tedesco) dopo Dunkerque nel maggio del 1940.

   All’epoca gli Stati dell’Asse e soprattutto la Germania, che erano nel 1940 lanciati sulla via del successo, nella realtà puntavano a un compromesso imposto al nemico basato sulla comune base degli schemi dell’imperialismo mondiale, non tentarono di sommergere la Gran Bretagna che era in quel periodo il principale fortilizio avversario, se invece di irradiare puntate centrifughe per tutta Europa, nell’Africa settentrionale poi verso l’Unione Sovietica, lo avessero colpito di fondo  dopo Dunkerque. Il crollo della Gran Bretagna avrebbe sommerso il capitalismo mondiale, per lo meno lo avrebbe travolto in una crisi spaventosa, mettendo in moto le forze di tutte le classi e di tutti i popoli straziati dall’imperialismo e dalla guerra.

   Il cosiddetto “mondo multipolare” ossia la fine della presa egemonica dell’Occidente collettivo sul resto del mondo che sta effettivamente prendendo forma ed anche a ritmi accelerati – ed è un movimento di Stati, di razze e popoli di formidabile portata storica che non preclude però pur attraversando le inevitabili e dolorose doglie del parto, ad una nuova possibile sistemazione del mondo una volta liberato dal giogo americano e dell’Occidente collettivo. Prelude all’incendio generale che avvolgerà l’insieme di questo mondo del Capitale.

   Dopo mezzo secolo di rinvii, l’insieme dell’organismo capitalistico mondiale è irreversibilmente afflitto da impotenza, è in condizione di fine vita e reclama di procedere alla enorme distruzione di forze produttive. Non è decrepita/impotente solo una parte dell’Occidente collettivo mentre ancora esuberanti e vitali sarebbero le altre sue parti a cominciare dalla principale fabbrica di plusvalore del mondo. Nella realtà, la Cina     non è un centometrista il sistema dei BRICS non è una staffetta di velocisti olimpici invece che di zombies arrancati. Cina, BRICS e Occidente collettivo sono tutti concorrenti della stessa gara a ostacoli del Capitale, tutti protesi a battere lo stesso record (di produttività del Capitale) verso l’abisso.  Stesso medesimo il campo di gara: il mercato mondiale, che non può essere spezzato in due o più campi senza che ciò implichi, quasi automaticamente, l’avvio dell’incendio e della devastazione generalizzata.

   Al dollaro (e all’euro) riconosciuto come privo di valore se non “coperto” dalla forza imperialista, non si sostituirà stabilmente alcuna altra valuta (o paniere di valuta) rappresentante di un “capitalismo sano” (si fa per dire ovviamente) in via di sviluppo. Non ci sarà alcuna stabile sistemazione di un mondo “multipolare” di Stati borghesemente “liberi e uguali”.

   “Multipolare” cioè mondialmente interconnesso e intercomunicante, sarà il processo della Rivoluzione, sarà la serie di esplosioni rivoluzionarie di cui saranno protagoniste masse di esseri umani senza riserva e schiavi del Capitale (per quanto del tutto incoscienti o quasi di esserlo), oppure dovranno perire in massa e da schiavi.

   La prossima scossa tellurica di cui siamo alla vigilia metterà in discussione, gli attuali governi, le attuali intese e alleanze interne agli Stati e fra gli Stati. Specie in Europa è prevedibile che le varie correnti politiche “antiglobaliste”, “sovraniste”, “nazionalpopolari”, già ampiamente dispiegate nelle società si gonfieranno di sostegno proletario e popolare.

   Sarà un potente reazione da parte delle masse popolari contro l’incalzante “rivoluzione dall’alto” diretta dalle centrali mondiali del cosiddetto stakeholder[4] capitalism di quello che si potrebbe definire pure “capitalismo inclusivo”, il cui contenuto economico è la feroce concentrazione del Capitale in pochissime mani ed una altrettanto feroce e totalitaria concentrazione del potere sul piano politico. Si tratta del contenuto del fascismo realizzato su scala globale dentro la forma democratica e supportato, per giunta e per ironia della storia, da una vasta manica di progressisti e di “antifascisti”. L’esperienza fatta nel laboratorio-Italia in questi anni di “emergenza sanitaria” è emblematica di questo passaggio.

   La prospettiva politica delle varie correnti sovraniste si può riassumere in uno slogan: “10-100-1000 liberazioni nazionali” (persino negli USA cioè nel cuore dell’imperialismo mondiale si tratterebbe di una questione di “liberazione nazionale”!). Questa prospettiva è del tutto illusoria, destituita di ogni fondamento: l’aggressività devastante del Capitale, delle sue centrali “globaliste” giunto alla sua fase terminale di vita che può essere prolungata solo, attraverso un terrificante falò di carne umana e di cose ormai senza valore che sono ormai di intralcio per la vita del Capitale, può essere affrontata-fermata- battura attraverso un processo mondiale di Rivoluzione dal basso. Significa abbattere le attuali strutture statali e non la loro conversione o conquista in vista di un loro utilizzo in funzione “sociale”. L’unica vera “sovranità nazionale” possibile, realmente in grado di spezzare il giogo imposto dal potere del Capitale sulle masse e sull’intera società risiede nell’instaurazione della Comune sulle ceneri dello Stato distrutto dall’azione rivoluzionaria.


[1] https://www.facebook.com/watch/?v=457298569825288

[2] Harari sostiene che la “la natura non è né buona né cattiva, è semplicemente al di fuori della moralitàhttp://www.conquistedellavoro.it/attualit%C3%A0/le-persone-inutili-di-yuval-harari-e-la-negazione-del-libero-arbitrio-1.2922373#:~:text=Per%20Harari%20e%20Zizek%20la,%E2%80%9Cnaturali%E2%80%9D%20pu%C3%B2%20suonare%20strano.

[3] Engels a Kautsky, 22/09/1894 e Engels a Fr. a. Sorge, 10/11/1894.

[4] Tutti i soggetti, individui od organizzazioni, attivamente coinvolti in un’iniziativa economica (progetto, azienda), il cui interesse è negativamente o positivamente influenzato dal risultato dell’esecuzione, o dall’andamento, dell’iniziativa e la cui azione o reazione a sua volta influenza le fasi o il completamento di un progetto o il destino di un’organizzazione

LE NOTTI A CASA BERLUSCONI

•febbraio 13, 2023 • 1 commento

   Iman Fadil modella di origine marocchina, nel 2011 aveva poco più di 25anni quando venne invitata per la prima volta ad Arcore a casa di Berlusconi allora Presidente del Consiglio[1]. Partecipò a ben otto “cene eleganti” e durante alcune di queste, a suo dire, vide di tutto: ragazze disponibili, spogliarelli, palpeggiamenti, vide insomma in che cosa consisteva il Bunga Bunga. Fadil disse che dopo l’ennesima cena alzò i tacchi e se ne andò.

   Iman Fadil qualche tempo dopo si presentò in Procura per raccontare tutto quello che aveva visto, con tanto di nomi e cognomi. Risultato? Fotografi, interviste, titoli sui giornali, querele. In seguito si costituì parte civile nel processo “Ruby bis” e “Ruby ter”. Inoltre, aveva deciso di scrivere un libro nel quale racconterà tutto ciò che sapeva.

 Nell’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano rilasciata il 24 aprile 2018 fece le seguenti affermazioni:

D.   Oggi, dopo qualche anno, come ricorda tutta quella vicenda?
R.   È stata una cosa devastante, impossibile descriverla. All’inizio ero sola contro tutti, nessuno credeva alla mia versione.

D.   Cosa pensavano tutti?
R. Che io avessi raccontato quelle cose solo perché non avevo ottenuto soldi e successo. Ma non era così, poi è emerso.

D. E com’era?
R. Io andavo ad Arcore perché speravo bastasse entrare in quel giro per ottenere un lavoro. Solo dopo ho capito. E ho parlato.

D. È stata diffamata in quel periodo?
R. Sì, da tutti. Il primo è stato Emilio Fede. Però poi l’ho querelato e in primo grado l’hanno condannato, ora c’è l’appello. Anche lui mi ha querelata, ma la sua è stata archiviata. Quindi io ho detto il vero, lui no.

D. Torniamo alla sua vita dopo che ha raccontato il Bunga Bunga.
R. Non riuscivo neanche a uscire di casa, mi è stata fatta terra bruciata intorno: la gente pensava fossi una prostituta, ho perso gli amici e quei pochi lavoretti che avevo, come fare l’hostess. Ho vissuto un periodo di forte depressione, piangevo sempre, ho anche perso i capelli a causa del forte stress.

D. Come si è curata?
R. Con un po’ di tranquillanti, non riuscivo più a dormire.

D. Lei di quelle cene ha raccontato cose forti…
R. Sì, le cose che ho raccontato, il Bunga Bunga, Emilio Fede, la Minetti, le ragazze nude che ballavano, è tutta la verità.

D. Il ricordo più brutto?
R. Ricordo bene l’ultima sera che sono andata là, c’erano tutte queste ragazze nude che ballavano: una di queste, svaccata per terra, con solo il perizoma addosso, si agitava in modo disperato fissandomi. Con gli occhi sembra dirmi “non giudicarmi, aiutami!”. Come un grido, un ricordo terrificante.

D. Spieghi.
R. Non è facile da raccontare, è la prima volta che lo faccio, però è giunto il momento.

D. Prego.
R. Questo signore fa parte di una setta che invoca il demonio. Sì lo so che sto dicendo una cosa forte, ma è così. E non lo so solo io, lo sanno tanti altri.

D. Sanno cosa?
R. Che in quella casa accadevano oscenità continue. Una sorta di setta, fatta di sole donne, decine e decine di femmine complici.

D. Parla perché ha visto dei riti particolari?
R. Diciamo che ho molti indizi. In quella saletta dove si faceva il Bunga Bunga c’era uno stanzino con degli abiti, tutti uguali, come delle tuniche, circa venti o trenta: a cosa servivano? E poi c’era un’altra stanzetta sotterranea con una piscina, con a fianco un’altra saletta, totalmente buia, senza nessuna luce. Una piscina sotterranea e una stanza senza luci? Perché?

D. Indizi deboli, potrebbe essere una zona relax. Sta di fatto che lei non ha visto riti satanici o cose del genere?
R. Senta, io ho visto di peggio. Cose difficili da raccontare in poche parole.

D. Ci provi.
R. Ho visto presenze strane, sinistre. Io sono sensitiva fin da bambina: da parte di mio padre discendo da una persona che è stata santificata e le dico che in quella casa ci sono presenze inquietanti. Là dentro c’è il Male, io l’ho visto, c’è Lucifero.

D. Lo sa che raccontando cose di questo tipo potrebbe essere presa per pazza?
R. Certo che lo so, ma non mi importa niente di cosa dirà la gente. Non l’ho mai raccontato perché non avevo prove, mentre ora le ho, inequivocabili.

D. Ha le prove? Ce le mostri.
R. No, non ancora, lo farò più avanti. Ma non manca molto, devo solo finire questo libro. E poi il mondo saprà.

   Iman Fadil non riuscì a finire il libro. Il 29 gennaio 2019 fu ricoverata in ospedale dove è morta il 1° marzo dopo un mese di agonia. Prima di morire ha telefonato al fratello e all’avvocato, dicendo loro di essere stata avvelenata[2].

   Secondo Gianfranco Carpeoro, avvocato, saggista e massone, quella delle “sostanze radioattive” rintracciate nel corpo della ragazza sarebbe una voce solo giornalistica: la stranezza, semmai – dice Carpeoro – sta nel fatto che Imane Fadil avrebbe agonizzato per un mese, senza diagnosi né cure, in un centro sanitario di assoluta eccellenza come l’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

   Quella di Imane Fadil, è la terza strana morte collegata al caso Ruby, dopo quelle di Egidio Verzini, ex legale di “Ruby Rubacuori”, e del giornalista Emilio Randacio, che si stava occupando del caso. Altro dettaglio: come si diceva prima la ragazza stava per pubblicare, in un libro, le famose “notti di Arcore[3]


[1] http://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola-/articoli/2018/24/le-notti-di-arcore-una-setta-del-male-con-tuniche-e-riti/4312178/

[2] https://petalidiloto.com/2019/03/caso-ruby-e-morta-avvelenata-la-testimone-chiave-imane-fadil.html

[3] https://laveritadininconaco.altervista.org/imane-fadil-terza-morte-sul-caso-ruby-evoco-il-satanismo/#:~:text=Quella%20di%20Imane%20Fadil%2C%20osserva%20Stefania%20Nicoletti%2C%20%C3%A8,Emilio%20Randacio%2C%20che%20si%20stava%20occupando%20del%20caso.

SERVIZI SEGRETI NELLE CARCERI

•febbraio 3, 2023 • Lascia un commento

   I servizi segreti sono degli elefanti fuori controllo. Possiedono armi, soldi, perfino delle flotte aeree, il tutto fuori da ogni controllo pubblico.

   In Italia, prima il Copaco e dal 2007 il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica avrebbero  dovuto esercita tale controllo. Di fatto, tali strutture si sono limitate di dare una copertura “democratica” a politiche e operazioni illecite e arbitrarie.

   Ma non c’è solo questo. Sorgono strutture clandestine in ambienti particolari come le carceri.

   Nel quotidiano Il Manifesto del 31 maggio 2006 c’è la notizia che nel settore carcerario è stato varato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) un ordine di servizio che istituisce una rete d’intelligence interna alle carceri per sorvegliare i detenuti, i loro rapporti con l’esterno e gli agenti.

   In sostanza, si tratta di una sorta di superservizio segreto carcerario, una rete che opera al di là d’ogni gerarchia interna, senza un atto pubblico che ne regoli finalità, modus operandi, organismi di e quantità di forze assegnate.

IL PROTOCOLLO FARFALLA

   Quasi contemporaneamente alla diffusione di questa notizia, a San Giovanni Vesuviano avviene un’esplosione in una farmacia.

   C’è qualcosa di strano in quest’esplosione. Il clan predominante, quello dei Fabbrocino, è così potente che non aveva bisogno di fare la guerra ai farmacisti, tanto a uno di loro.

   Dalle intercettazioni del telefono del farmacista emerge che l’attentatore è un vecchio appartenente alla Nuova Camorra Organizzata, Antonio Cutolo, parente alla lontana del più famoso Raffaele. 

   La Nuova Camorra Organizzata era nata nelle carceri (e legata a doppio filo con i servizi segreti) negli anni ’70 e ’80. Vincenzo Casillo, il numero due di Cutolo, aveva in tasca la tessera dei servizi quando accendendo il motore d’avviamento della sua macchina, accese senza accorgersene anche l’esplosivo che aveva sotto il seggiolino.

   Quando viene perquisita l’abitazione di Antonio Cutolo, accanto a lui, si trova suo fratello, che avrebbe dovuto essere all’ospedale moribondo. Ma c’è una cosa molto strana, Antonio Cutolo era stato condannato all’ergastolo e avrebbe dovuto essere in prigione; invece, è a San Giuliano Vesuviano a mettere bombe ai farmacisti e a condurre summit di Camorra.

   Ma le sorprese non sono finite. Si presenta al magistrato che sta conducendo le indagini, la Di Monte, il colonnello Raffaele Del Sole, il capo del SISDE della Campania[1]. Egli afferma che Antonio Cutolo è uno che tramite il DAP passa delle informazioni confidenziali. Inoltre, fa parlare la Di Monte con un altro magistrato, Salvatore Leopardi, che viene presentato come un dirigente di un ufficio investigativo, di polizia giudiziaria che opera dentro il circuito carcerario. Quest’ufficio era stato voluto da Giovanni Tinebra. Tinebra e Leopardi avevano lavorato alla Procura di Caltanissetta durante gli anni del grande falso: l’inchiesta della strage di Via D’Amelio che ha portato in carcere undici innocenti, di cui sette condannati all’ergastolo. Tinebra quei tempi aveva il ruolo chiave di procuratore capo e Leopardi quello di sostituto procuratore.

   C’è un altro aspetto strano di questa faccenda, Leopardi che è un magistrato, non va dal Procuratore capo della Direzione distrettuale antimafia di Napoli ma va dai servizi e si presenta solo quando viene arrestato un suo informatore.

   Ricapitoliamo, c’è un ergastolano libero fa il bombarolo, che per liberarlo si muovono un ufficiale dei servizi e un dirigente di una struttura misteriosa del DAP.

   Il termine protocollo Farfalla viene per la prima volta usato nel 2012 da Nino Di Matteo, il sostituto procuratore palermitano, durante l’interrogatorio dell’ex dirigente del DAP Sebastiano Ardita, nel processo contro Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu per il mancato arresto di Provenzano. È il magistrato a pronunciare questo termine, egli conferma di sapere dell’esistenza di un protocollo chiamato in quel modo, ma essendo coperto dal segreto di Stato non ne ha mai preso visione.

   Quello che si sa è che si tratta di un protocollo di poche cartelle su carta intestata del SISDE firmato da Salvatore Leopardi, poco dopo il suo arrivo alla direzione dell’Ufficio ispettivo, e dal direttore del SISDE di allora, il prefetto Mario Mori. Questo protocollo dovrebbe disciplinare l’attività di cooperazione tra il DAP e il SISDE.

  I punti salienti di questo protocollo sono preceduti da una serie di premesse che ricordano le funzioni legalmente attribuite al SIDE e al DAP, e preannunciano vaghe iniziative comuni che potrebbero essere prese in futuro come la condivisione all’accesso delle rispettive banche dati, iniziative reciproche di formazione del personale ecc., tutte attività generiche. Poi il documento alluderà, in modo più o meno esplicito, a iniziative comuni per l’analisi e il monitoraggio della situazione carceraria, il che significa la creazione di una centrale di ascolto che dovrà operare, sia dentro che fuori le carceri, con finalità che non si limitano più all’attività carceraria, ma si allargarono a possibili attività “terroristiche” (in sostanza quello che è spacciato per terrorismo) o anarco-insurrezionalistiche.

   Quello che si sa di questo protocollo, lo è, come si diceva prima,  grazie ad un articolo dell’Il Manifestoe dai documenti allegati a un’interrogazione parlamentare con i deputati Mascia e Migliore.

   Da questi documenti emerge che nel Protocollo Farfalla c’è una clausola molto particolare che estende il segreto non solo alle strutture del SISDE (che essendo un servizio segreto potrebbe apparire logico)[2] ma anche alle strutture del DAP coinvolte in quest’accordo. In sostanza tutte le informazioni che passano dalle carceri e che sono raccolte dalla struttura delle intercettazioni che opera al DAP non saranno mai trasmesse all’autorità giudiziaria.

   In questo comma si annida un’oggettiva violazione all’obbligo che la polizia giudiziaria ha di trasmettere all’autorità competente il più rapidamente possibile ogni notizia di reati in cui venga in possesso. La polizia penitenziaria e il GOM fanno parte a tutti gli effetti della polizia giudiziaria. Quale ragione di Stato può imporre l’esclusione dei magistrati dalle carceri? Teniamo conto che questo protocollo dovrebbe essere seguito dai diversi soggetti che operano nelle carceri: direttori del carcere, educatori, ispettori penitenziari, personale del GOM, ecc.

 Se un detenuto (comune o in 41bis) avesse l’intenzione di collaborare con la magistratura o in ogni modo volesse, trasmette delle informazioni significative ai magistrati, in tutti questi casi il protocollo prevede che siano aggirate le strutture e le gerarchie amministrative istituzionali e che sia attivata immediatamente una comunicazione diretta con il capo dell’Ufficio ispettivo, mantenendo la segretezza ed evitando, nel modo più assoluto, di informare i terminali dell’autorità giudiziaria dirottando invece il flusso delle informazioni al DAP che a sua volta le comunicherà al vertice del SISDE (ora AISI). Dunque il carcere sarebbe sottratto al controllo dell’autorità giudiziaria e finirebbe nelle mani del SISDE che in questo modo opererebbe in maniera segreta e senza controllo.

   Non bisogna essere dei dotti giuristi per capire che tutto ciò è anticostituzionale. La Costituzione non afferma che le carceri debbano essere consegnate ai servizi segreti.

   Ma non è tutto. Le competenze di questa struttura e conseguentemente delle intercettazioni, non sarebbero limitate alle carceri ma potrebbero estendersi fuori di esse in qualsiasi settore della vita civile (quello sindacale per esempio).

   C’è da chiedersi qual è l’oggetto di questo segreto e di questa rete di spionaggio, qual è la sua necessità.

   Non potrebbe che l’oggetto del segreto possa essere la cosiddetta trattativa Stato-Mafia ma soprattutto la gestione del carcere nei confronti dei detenuti sottoposti a 41 bis?

   Che quest’ipotesi non sia sballata, lo rende evidente l’ostacolo che i GOM fecero a un’inchiesta, che ha visto indagati alti magistrati e agenti, aperta dalla Procura di Roma.

   Queste indagini nascevano da un’inchiesta precedente su mafiosi incarcerati (guarda caso). In quest’inchiesta si era scoperto il tentativo di orientare le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia da parte di “strani personaggi”. Tra gli avvicinati c’era il pentito Nino Giuffrè che aveva fatto il nome di politici importanti e del loro collegamento con Cosa Nostra.

   Ora i magistrati vogliono sapere se gli uomini del GOM abbiano segnalato i nomi di chi stava pensando di pentirsi. Anche l’ufficio di Pio Pompa (il personaggio che fu coinvolto in diversi scandali inerenti il SISMI)[3],redige per il SISMI un appunto su Giuffrè[4]. Stando al SISMI attorno a Giuffrè si stava organizzando “la verosimile predisposizione di un ulteriore iniziativa mediatico-giudiziaria in pregiudizio del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi e dell’Onorevole Dell’Utri”.

   Per questo motivo l’ufficio di Pompa comincia a monitorare i magistrati che avevano a che fare con i mafiosi che si dissociavano. Nel 1996 tre senatori meridionali del CCD avevano presentato un progetto di legge sulla dissociazione dei mafiosi, che consisteva che dopo un periodo di “riabilitazione” il mafioso riacquistava la libertà e conservava il patrimonio (in sostanza faceva bingo).

   Uno degli aspetti chiave di quest’inchiesta è la genesi del pentimento di Giuffrè, essa punta a capire gli scopi dell’ufficio ispettivo.

   Sull’operato di quest’ufficio Alessandro Margara, uno “storico” della magistratura di sorveglianza in un’intervista dice:

D. Procedure di quel tipo le sembrano legali?

R. Assolutamente no. Ci sono sempre stati forti sospetti, se non timori, che controlli e intercettazioni di qualche genere si estendessero a tutto l’ambito penitenziario, compresa l’alta sorveglianza dove ci sono molti reclusi per reati mafiosi. Ma il controllo dei detenuti o di determinati ambienti già oggi è possibile con strumenti che possono ben prescindere da quelli descritti negli ordini di servizio da voi resi noti. E comunque usare strumenti tecnologici di tipo “americano” ha bisogno di una giustificazione che venga da fonti ben più alte di quella di un particolare dirigente di un determinato ufficio[5].

   C’è da chiedersi, cosa intende Margara quando parla di strumenti tecnologici di tipo “americano”? E cosa ne sa del possibile utilizzo? E perché tace?

   Una cosa sottintende, che dietro ci sia un’operazione politica molto più vasta di quanto si possa intendere.

    E che questa struttura sia tuttora operante nelle carceri si può dedurre dall’esposto denuncia fatto da Paolo Dorigo contro Alberto Fragomeni + altri e ignoti, scritto tra marzo e maggio del 2004, mandato al Dr. Guariniello Sost. Procuratore della Repubblica di Torino, dove si denuncia la presenza nelle carceri dei servizi quali la DIA, il SISDE, il SISMI, il CESIS e altri, attraverso personale con doppio stipendio, trasformando così le carceri, in particolare quelle del circuito di massima sicurezza 41bis, in strutture di regime dipendenti dai ministeri degli interni e della difesa, stile “segrete[6].

   Un’altra prova dell’esistenza di una Gladio carceraria è emersa dall’inchiesta sulla Dssa: una polizia parallela operante “ufficialmente” su più fronti: monitoraggio degli ambienti extracomunitari per individuare gli eventuali estremisti

islamici, caccia ai militanti (e anche agli ex militanti) della sinistra rivoluzionaria (come Cesare Battisti) fino ad arrivare a occuparsi della protezione del Papa.

   A capo di questo servizio, è Gaetano Saya, fondatore del nuovo MSI. Si dichiara agente coperto e quando lo arrestano a Firenze per associazione per delinquere, rifiuta di rispondere all’interrogatorio con la motivazione di non tradire “il segreto Nato”. Infatti, tra il “personale professionista fidato e selezionato”

vantato dalla Dssa, è risultato che oltre che dalle forze di polizia (sia agenti in servizio che in congedo).

   La fretta con cui il ministro degli interni quando annunciò da Roma che era stata liquidata una “banda di pataccari”, tradiva le reali intenzioni di coprire tutto.

   E’ risultato che gli uomini della Dssa avevano le chiavi per entrare liberamente nel centro elaborazione del Viminale, oltre a disporre di placche e pass che davano loro libero accesso in questura come in altre sedi, usando auto di servizio. Non solo: il

materiale illustrativo della Dssa circolava liberamente all’interno dei vari corpi, dove avveniva il reclutamento, specialmente tra i GOM della penitenziaria.

   Il grado di operatività della Dssa, si può rilevare in un servizio del 20 maggio 2004 comparso su News Settimanale[7] originato dalla pubblicazione di diversi fotogrammi di un video girato a Baghdad, dove Fabrizio Quattrocchi era ritratto nella sua attività non di “body guard da discoteca”, ma di “agente contractor” nel

corso di “missione coperta” volta a “combattere i terroristi”, si è presentato la Dssa come “una rete invisibile contro il terrore”, definita nel gergo dei mercenari come la Dottoressa, presente in Iraq in operazioni ad alto rischio con “mezzi in dotazione alle

forze militari presenti in quel teatro” e “permessi governativi” rilasciati dal “dipartimento della Difesa degli Stati Uniti”.

  Che ci troviamo di fronte alla stessa struttura, lo si può dedurre dalle testimonianze di Fabio Piselli ex parà della Folgore e come si diceva prima di Paolo Dorigo. Fabio Piselli in un suo articolo rintracciabile nel Link http://fabiopiselli.com/2008/01/11-spionaggio-elettronico-e-falange.htm  racconta che la Falange Armata  è stata tutta una serie di operazioni, che gli operatori della Falange Armata avevano competenze nelle attività di captazione elettronica, di mascheramento, di intercettazione e di penetrazione di sistemi elettronici, oltre alla specifica competenza nel terreno dell’azione psicologica. Interessante quando racconta la storia di un giovane paracadutista di carriera accusato di rapina e perciò finito in galera: “C’è stato, nell’autunno del 1986, un giovane paracadutista di carriera che aveva compreso che alcune efferate rapine compiute da una banda in Emilia Romagna (formata da ex parà e non quella della uno bianca che sarebbe stata attivata poco dopo)[8] avevano caratteristiche militari comuni al suo addestramento, il quale si è rifiutato di partecipare a talune attività, il quale nel 1986 denunciato da un transessuale, povero soggetto debole gestito e manipolato da un operatore istituzionale. Quest’ultimo ha sviluppato in oltre un anno, una informativa, non inviata immediatamente alla AG ma utilizzata ai fini di pressione contro il giovane parà che una volta preso atto della sua inutilità è stata inoltrata causandone l’arresto nel 1988, accusato di rapina è finito perciò in galera, rovinato socialmente e professionalmente e soprattutto screditato di fronte ai propri colleghi eventualmente capaci di rendere testimonianza, perché l’isolamento all’interno di un reparto d’azione avviene non per cause legate a fatti violenti, ma per il timore di essere accumunati ad un collega che “dicono” di essere mezzo “frocio”, amante di transessuali oppure mezzo pazzo, descrizione che è stata applicata in ogni fatto di cronaca che ha riguardato un paracadutista. Il paradosso e la magnificenza dell’operazione falange armata è stato proprio quello di utilizzare quello stesso paracadutista, posto in un supercarcere per 77 giorni, come un operatore idoneo per penetrare le celle di terroristi e trafficanti di armi e piazzare i sistemi di captazione dei colloqui ambientali, il quale pur se sottoposto a continue vessazioni all’interno di una gabbia, sia dalle guardie che dai detenuti, posto in un carcere civile e non militare perché chirurgicamente a posto poche settimane prima, pur se ingiustamente arrestato proprio a causa dei colleghi , pur se cosciente di essere stato sostanzialmente depersonalizzato ha comunque condotto positivamente il proprio lavoro, accettandone gli elevati rischi di ritorsione da parte di questi soggetti attenzionati, con i quali condivideva la prigionia”.

   Personalmente non credo molto che il giovane paracadutista sia stato incastrato, ma che abbia fatto parte di un’operazione d’infiltrazione all’interno del carcere. Infiltrazione che riguardava soprattutto gli ambienti politici.

   L’infiltrazione in carcere negli ambienti politici non è certamente una novità: Ronald Stark, cittadino statunitense, arrestato a Bologna nel 1975 con l’accusa di traffico internazionale di stupefacenti. Durante la detenzione Stark entra in rapporto con militanti delle Brigate Rosse tra i quali Curcio (che non denunciò mai questa situazione) conquistandone la fiducia e di altre formazioni politiche. Ebbene, durante la prigionia tenne continui rapporti con il consolato USA, con funzionari della polizia

italiana e con un funzionario libico.

   In seguito Stark si mise in contatto un militante di Azione Rivoluzionaria, una formazione anarcosituazionista, Enrico Paghera. Ebbene sarà questo Paghera, che si “pentì” e collaborando permise l’arresto dei militanti di Azione Rivoluzionaria.

   Paghera in un’intervista a Panorama del giugno 1988[9] sostenne di essere stato arruolato da Stark in carcere e di avere avuto dall’amerikano l’indicazione di  un numero del Viminale cui fare riferimento. Quando nel 1978 alcuni militanti di Azione Rivoluzionaria furono arrestati, furono trovate alcune piantine di un campo di addestramento sito in località Ball Beck, nei pressi del villaggio libanese di Taibe, corredate con indirizzi di funzionari libici con cui prendere contatto in caso di bisogno. Autore di questo prontuario era proprio Stark. Poche settimane dopo Stark

fu scarcerato con provvedimento dell’11 aprile 1979, effettuato da Giorgio Floridia, giudice istruttore del tribunale di Bologna, con la motivazione, basata su un’impressionante serie di prove scrupolosamente elencate, che il medesimo era un agente della CIA e che in tale veste aveva operato[10].

   Ora parliamo di quella che si potrebbe definire “l’operazione Sacchetti”.

   Marino Sacchetti ex carabiniere[11], cittadino italo – svizzero e capo delle guardie del “principe di Seborga” e amico della famiglia antesignana dei Savoia, i conti di Aosta e in seguito

divenne il capo della Legione Brenno.

   La Legione Brenno, il cui nome si rifà al leggendario capo dei Galli e che s’ispira ai cavalieri templari, era stata fondata da alcuni ex carabinieri nei primi anni ’90 per sostenere le formazioni croate dell’Hos, ossia, il Partito fascista al potere in Croazia.

   La Croazia con l’esplodere della guerra civile nella Repubblica Federale Jugoslava (che divenne un terreno di scontro dei vari imperialismi) divenne il luogo dove s’intrecciarono il traffico di stupefacenti, che arrivavano attraverso la rotta

balcanica controllata dalla mafia turca e quello delle armi. In Croazia arrivarono combattenti da paesi diversi. Secondo il Corriere della sera del 24.11.1997[12] Fiore il capo di Forza Nuova sarebbe uno dei coordinatori della rete nera che converge intorno a un misterioso “Gruppo dei quaranta”: una sorta di “soccorso nero” che raccoglie i resti di formazioni come i Nar, Ordine nuovo, Terza posizione. Scrive G: Olimpio in quest’articolo: “I neofascisti puntano all’ampliamento di una rete europea di sostegno all’eversione di destra con agganci nel mondo nel mondo dei Servizi segreti occidentali, quello tenebroso dei mercenari e delle formazioni paramilitari[13]. Sempre secondo il Corriere il gruppo ha operato in scenari di guerra come quello dell’ex Repubblica Federale Jugoslava. Perciò Sacchetti e la Legione Brenno operavano dentro il quadro dell’Internazionale nera e dei servizi segreti.

   Sacchetti, pur classificato detenuto EIV nel 2001, recandosi per l’appello a Venezia, fu assegnato ad una sezione di transito del carcere di Verona, luogo di non massima sorveglianza, anziché degli istituti deputati a questo genere di assegnazioni

temporanee, Belluno (dotato di braccetto speciale) e Vicenza (dotato di sezione AS).

   Paolo Dorigo di questo periodo ha un ricordo (che è anche una denuncia) molto pesante, nell’aprile 2001 in un volantino da un detenuto politico molto noto fece circolare nel movimento dove Sacchetti e Giuseppe Mastini (conclamato collaboratore di giustizia) furono spacciati come compagni. Questo detenuto (come altri) protegge Sacchetti (giunto a Biella da Nuoro, dove direttore, era guarda caso Fragomeni), per questo Paolo lo rimprovera perché lui sapeva e taceva. Qui comincia un aspetto inquietante, dopo che Paolo durante la socialità pensa a un’aggressione verso Sacchetti (che per altro l’avrebbe rivendicata come azione proletaria contro i collaborazionisti nelle galere) comincia la tortura. Una tortura che da anni denuncia.

   Le denunce di Paolo significa che questa gladio carceraria usa gli strumenti per la tortura elettronica. Tutto ciò è illegale e anticostituzionale. A tutti quelli che appaiono increduli su questa forma di tortura, bisognerebbe che chiedano come mai

tutte le carceri sono interconnesse via satellitare al Ministero di Giustizia.

   Questo sistema torturatorio si è sviluppato ed esteso dopo l’11 settembre, pensiamo solamente a Guantanamo.

L’UFFICIO PER LA GARANZIA PENITENZIARIA

   Centrale per questo discorso è l’Ufficio per la garanzia Penitenziaria (U.Ga.P).

   Con l’ordine di servizio n. 610 del 6 luglio 1993, a firma del Direttore Generale dell’Amministrazione Penitenziaria Adalberto Capriotti, si ristruttura il servizio di Segreteria Generale del Dipartimento, considerando, tra le altre, la necessità di istituire una sezione per il coordinamento delle attività operative di Polizia penitenziaria.

   Si è trattato, di fatto, di istituzionalizzare (in altre parole di rendere evidente e ufficiale qualcosa è già operativo) una specificità operativa particolare, la cui peculiarità è stata la gestione detentiva di appartenenti alle organizzazioni mafiose (Cosa Nostra, Sacra Corona Unita, Camorra, ‘Ndrangheta e relativi gruppi contrapposti), quella dei primi collaboratori di giustizia, la collaborazione sinergica con le varie autorità giudiziarie e le forze di polizia, il monitoraggio delle problematiche attinenti la sicurezza delle sedi penitenziarie sparse in tutto il territorio nazionale.

   Il funzionario responsabile della istituenda Sezione V^ (Servizio Coordinamento Operativo) è stato il colonello Enrico Ragosa.

   Ragosa non è un personaggio da niente. Genovese, classe ’45, è un alto ufficiale del disciolto corpo militare degli agenti di custodia. È sempre stato l’uomo chiave per svolgere missioni “delicate” e risolvere situazioni di “emergenza” nelle carceri. Collaboratore di Giovanni Falcone, durante il maxiprocesso. E proprio in quegli anni che Ragosa costruì le prime squadre speciali, gli Scop (quelli che oggi sono i GOM), incaricati sia della sorveglianza dei condannati per mafia, che per i momenti critici: rivolte, sequestri, proteste.

  Lo SCOP, diretto dal genovese Enrico Ragosa, nel corso degli anni Novanta fu al centro delle inchieste per maltrattamenti avvenuti nelle carceri di Secondigliano (1993) e nell’isola di Pianosa (1992). Dopo questi avvenimenti nel 1997 Ragosa fu stato trasferito (guarda caso) al SISDE. Quando nel febbraio del 1999 il Guardasigilli Oliviero Diliberto istituisce l’U.Ga.P, Ragosa fu chiamato a dirigerla. L’U.Ga.P ha alle sue dipendenze i GOM (gli stessi che nel 2001 si “distinsero” nelle torture a Bolzaneto).

   Ragosa è un personaggio che per il ruolo svolto all’interno delle carceri ha sempre suscitato polemiche. “Il generale Ragosa ha una lunga permanenza nell’amministrazione dovuta ai metodi utilizzati dalle squadre speciali da lui dirette negli ann’80 e ‘90” ha protestato la senatrice diessina Ersilia Salvato. “La sua missione ha un unico scopo: gestire i pentiti, organizzando un tam tam all’interno delle carceri” ha dichiarato a Panorama il deputato forzista Franco Frattini. L’ex radicale Francesca Scopelliti attacca “E’ stata adattata una politica di rigore e pressione nei confronti dei detenuti disposti a collaborare per formulare una <certa verità>”.

   Ragosa in trent’anni di servizio nella polizia penitenziaria, non ha quasi mai rilasciato interviste. In un’intervista a Panorama risponde a tutte le accuse:

D. A cosa serve l’Ugap?

 R. Ad analizzare i fenomeni e problemi che minano il carcere.

 D. Per esempio?

 R. Da otto mesi stiamo studiando come impiegare al meglio le forze di polizia penitenziaria. Il lavoro dell’agente è il più ingrato del mondo, perché deve  essere allo stesso tempo un educatore, un infermiere e un custode della sicurezza. Passa tutto il tempo rinchiuso in una sezione e ottiene pochi  riconoscimenti del proprio sacrificio.

D.  Cos’altro avete scoperto in carcere?

R. Molti problemi come l’introduzione e il traffico degli stupefacenti, ci vorrebbero delle unità specializzate e soluzioni tecnologiche più avanzate.

D. Teme che scoppieranno delle rivolte?.

R. In carcere ci sono 17 mila detenuti extracomunitari. Non sappiamo chi sono e,  soprattutto, non sappiamo chi siano i Totò Riina fra i cinesi, gli albanesi o gli  slavi. Fra loro ci sono elementi legati alle mafie dell’Est. Dobbiamo individuarli e applicare lo stesso regime riservato ai nostri mafiosi: il 41 bis.

D. Fra i vostri compiti c’è anche quello di prevenire attentati delle BR?

R. Raccogliamo ogni segnale per l’eventualità di un nuovo fronte delle carceri.

D. Che cosa intende fare per il sovraffollamento?.

R. Non abbiamo carceri sovraffollate, ma solo sottostrutturate, infatti la nostra  popolazione di detenuti è sulla media europea. Faccio un esempio: se ci sono due topi in una gabbia grande, è probabile che non si azzanneranno. Perciò stiamo costruendo nuove carceri.

D. La delegazione del Consiglio europeo del Comitato di prevenzione della tortura     pensa che il regime detentivo del 41 bis sia troppo punitivo. È d’accordo?

R.  Rispetto il lavoro di un organo autorevole come il Comitato, ma non possiamo  sottovalutare la forza della mafia. La sua capacità genetica di trasformarsi, simile a quella dei topi, fa sì che riemerga sempre. Perciò non possiamo abbassare la guardia. Dobbiamo riuscire a eliminare le norme inutilmente afflittive, ma anche creare un cordone sanitario intorno ai detenuti pericolosi.

D. In che modo?

R. Con l’impiego permanente dei Gom, che non sono dei piccoli rambo ma solo  ma operai specializzati nella sorveglianza dei mafiosi e in situazione di emergenza.

D. State studiando la possibilità di adottare il braccialetto elettronico per detenuti agli domiciliari?

R. Per ciò che ci riguarda, stiamo conducendo uno studio tecnico per valutare  tutte le possibilità. Abbiamo chiesto anche un parere dell’Agenzia spaziale  italiana, però ho una perplessità.

D. Quale?

R. Non so se sia giusto pedinare un detenuto che non ha commesso un nuovo reato.

   In questa intervista Ragosa fa delle importanti ammissioni, quali la richiesta di avere delle unità speciali tecnologicamente avanzate (molto probabilmente dietro c’era una richiesta di ufficializzare e di rendere legale unità che erano già operative) e soprattutto la richiesta di parere all’Agenzia spaziale italiana, che vuol dire non solo i controlli satellitari dei detenuti semiliberi o agli arresti domiciliari, ma collegamento satellitare tra le varie carceri.

STRANE MORTI

   Ci sono morti, che se non si sa delle loro storie e di cosa si stavano occupando, sarebbe difficili da decifrare.

   Parliamo di Gabriele Chelazzi, il sostituto procuratore di Firenze che stava continuando l’inchiesta sulla trattativa tra mafia e Stato e stava indagando sugli uomini dei servizi segreti che illegalmente entravano nelle carceri, egli muore nella notte tra il 16 e il 17 aprile 2003. Esattamente quattro giorni dopo aver indagato il capo del SISDE di allora il prefetto Mario Mori, e solo poche ore prima di un nuovo interrogatorio sempre con il capo del SISDE, questa volta come indagato e dopo aver scritto una lettera al procuratore capo Nannucci, nella quale denunciava la situazione di isolamento in cui era stato lasciato.

   Mario Mori è un personaggio importante e inquietante. È stato un generale dei Carabinieri. Ebbe due incarichi importanti quello di comandante dei ROS e quello di prefetto e di Direttore del SISDE.

   Mori è stato uno dei fondatori del ROS, nel 1992 ne diventa vice comandante e nel 1998 comandante.

 Tra quello che è definito i suoi “successi”, fu la “cattura” di Riina nel 1993. Ora Mori e De Caprio (meglio noto come capitano Ultimo che era a capo di una squadra di carabinieri che aveva come compito la caccia ai latitanti) saranno processati per favoreggiamento nei confronti di Cosa Nostra, per avere omesso alla Procura di Palermo (procuratore era all’epoca Caselli) che il servizio di osservazione era sospeso. Il dibattimento terminò con un’assoluzione.

   Che il ROS operi come una polizia politica a difesa di certi equilibri esistenti è evidente dal suo operato in Sicilia: dalla mancata perquisizione dell’abitazione di Riina, al mancato arresto di Provenzano nel 1995, fino alla vicenda del pentito Di Maggio che accusava Andreotti di avere dei rapporti con Cosa Nostra.

   Di Maggio viene arrestato nel 1997 con l’accusa di aver partecipato a una faida nel suo paese. I dubbi nascono dal fatto che Di Maggio era sotto la protezione dei carabinieri ai quali era “sfuggito” per ordire omicidi ed estorsioni. Il bello (o il brutto ha secondo dei punti di vista) sta nel fatto che due dei suoi complici erano confidenti del ROS. È chiaro che con un “accusatore” l’intero processo si smonta.

   Dal 2001 al 2006 Mori fu prefetto e Direttore del SISDE. Contribuisce in maniera determinante all’Operazione Tramonto, che si svolse l’anno dopo la sua uscita dal SISDE, in altre parole all’arresto dei militanti per la costruzione del P.C.P.M. avvenuta il 12 febbraio 2007. Ebbe un ruolo nell’arresto di Rita Algranati ex militante BR che si era rifugiata in Algeria.

   La faccenda più inquietante e misteriosa di quando era a capo del SISDE fu la creazione del Raggruppamento Operativo Centrale (ROC), sorto nella primavera del 2002. Questo reparto risponde direttamente al Direttore ed è formato da personale da lui stesso selezionato e strutturato in tre sezioni: uno per il contrasto al terrorismo internazionale, uno per quello interno e il terzo contro le mafie. Attraverso il ROC Mori ha plasmato il SISDE a sua immagine e somiglianza.

   Il ROC non ha solo una funzione di analisi ma interviene con funzioni di polizia giudiziaria avendo come referente il servizio segreto civile (il che è al di fuori e contro la legge che prevede di avere le strutture abbino come riferimento un’arma come i Carabinieri dei ROS). Inoltre il ROC ha un legame molto forte se non una vera e propria dipendenza dal ROS dei Carabinieri (il ROC dipende dal ROS sembra un gioco di parole). Insomma un super servizio sganciato da tutto e con poteri enormi.

   Quando il successore di Mori, Gabrieli decide di smantellare due centrali di ascolto clandestino del servizio, scopre che queste centrali erano gestite dal ROC. Tutte e due erano a Roma. Le centrali clandestine, molto probabilmente servivano a prendere informazioni su una persona, su un’azienda, su un’organizzazione. E’ venuto fuori che al ROC facevano riferimento molte “fonti esterne” che erano regolarmente retribuite. E venuto fuori un panorama squallido su come sono

spesi i soldi dei contribuenti: giornalisti pagati per raccogliere notizie, finanziamento di scuole di giornalismo, centri di ascolto clandestini sbaraccati in tutta fretta. Il ROC ha una sua unità ancora più clandestina l’A2 che porta guarda caso alla Telecom.

   Dopo che è uscito dal SISDE, Mori svolse dal 2008 attività di consulenza nel settore della sicurezza pubblica per conto del sindaco di Roma Alemanno.

   Il ruolo politico del ROS nasce dal fatto che esso sorgeva dalle ceneri del Nucleo Speciale Antiterrorismo creato da Carlo Alberto Dalla Chiesa (che aveva sedi per quanto se ne sa a Genova, Napoli, Milano, Padova, Bologna, Roma e Torino). Uno dei metodi d’indagine del nucleo, che suscitò diverse critiche, fu l’utilizzo dei pentiti e degli agenti infiltrati ai quali era consentito, per esempio, compiere attentati incendiari contro autovetture[14]. Nel 1975 i carabinieri di questo reparto furono trasferiti alle dirette dipendenze delle divisioni di Milano, Roma e Napoli che istituirono al loro interno delle Sezioni speciali di polizia giudiziaria con il compito di coordinare le Sottosezioni speciali anticrimine dislocate in varie città. Nel 1977 sia le sezioni che le sottosezioni furono rinominate in Sezioni speciali anticrimine e inquadrate nei nuclei investigativi (ora denominati Reparti Operativi) quindi poste alle dipendenze dei Comandi Provinciali. Nel 1978 con un decreto interministeriale il Presidente del Consiglio Andreotti di concerto con il Ministro dell’Interno Rognoni e il Ministro della difesa Ruffini, nominarono il generale Dalla Chiesa Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti Informativi per la lotta contro il terrorismo a decorrere dal 10 settembre 1978 fino al 9 settembre 1979. Fu questo reparto (assieme alla magistratura antiterrorismo) a gestire il “pentimento” e il suo uso politico controrivoluzionario, di Patrizio Peci.

      Non ci si deve meravigliare sul ruolo preponderante dei carabinieri, hanno nella formazione di corpi specializzati, poiché essi sono, l’apparato ideale per la guerra civile e per il colpo di Stato in Italia (prendiamo come Piano Solo di De Lorenzo nel 1964) per tre ragioni:

1° Sono una struttura da esercito professionale col D.L. 05/10/2000 n. 297    l’arma dei carabinieri è elevata a rango di forza armata.

2° Anno compiti di ordine pubblico e di polizia militare.

3° La loro collocazione all’interno dell’esercito con funzioni specifiche integrate nella NATO.

  Come si diceva prima in Italia rimangono in piedi le strutture create negli anni ’70 e ’80 nel periodo della lotta armata da parte delle B.R. e delle altre O.C.C (il ROS è una di queste), in funzione antiguerriglia. Queste sono strutture integrate, dove il magistrato antiguerriglia ha più rapporti con i poliziotti e i carabinieri dei reparti antiguerriglia che con gli altri magistrati, lo stesso discorso vale per gli agenti di P.S. e i C.C. di questi reparti. E in questo periodo che la guerra psicologica fu centralizzata negli uffici stampa. Perciò non c’è da meravigliarsi (che non significa accettazione passiva e mancanza di lotta) l’operare di magistrati come Giovagnoli (continuazione della magistratura emergenzialista) e di ufficiali di carabinieri come Ganzer. Queste strutture non solo si mantengono, ma dopo l’11 settembre con la scusa della “lotta al terrorismo” sono rafforzate.

   L’idea forza che ispira questi corpi è che il cittadino diventa il nemico nel momento in cui manifesta contro i poteri dominanti.

   L’11 aprile 2003, Chelazzi interroga il generale Mori, in due ore avviene un duello senza sosta, dove Mori che è il capo di un servizio segreto (ed ex capo del ROS) afferma di non essere a conoscenza delle lettere anonime mandate a due quotidiani come il Messaggero e il Corriere della Sera nelle quali veniva annunciato che i prossimi attentati sarebbero avvenuti di giorno e in mezzo alla folla se il 41 bis non fosse stato modificato.    Teniamo conto che non è mai stata una consuetudine di Cosa Nostra mandare messaggi anonimi. E se non è stata Cosa Nostra chi può essere stato allora? Chelazzi aveva studiato nei dettagli i processi inerenti, le stragi e aveva capito che c’era stata una trattativa tra da una parte il ROS e dall’altra Cosa Nostra. C’è da domandarsi come questa trattativa proseguì. Quando Mori divenne direttore del SISDE è possibile che la trattativa proseguisse non alla luce del sole, ma sotto terra come un fiume carsico.

   Negli interrogatori che Chelazzi svolse nelle carceri ai cappellani, ai carcerati, ai direttori, molto probabilmente qualcuno gli deve aver parlato delle “anomalie” che avvenivano.

   Chelazzi fu trovato morto il 17 aprile 2003. Venne trovato dai due poliziotti che erano passati a prenderlo e non vedendolo salirono e sfondarono la porta. Secondo il medico legale Chelazzi morì alle 3 del mattino per blackout elettrico. Vigna si oppose all’autopsia perché disse essere a conoscenza di una manifestazione cardiaca genetica, che aveva portato alla morte il fratello di Gabriele, Pier. Gabriele è stato seppellito il giorno dopo a sua mortequando generalmente per morte ci vogliono 48 ore.

   Non è da escludere che Chelazzi nell’ambito degli interrogatori che svolse con il personale carcerario incontrò Armida Miserere, la direttrice del carcere di Sulmona che fu definita la “fimmina bestia” per la durezza e l’inflessibilità con cui aveva diretto i penitenziari dell’Ucciardone, di Parma, di Voghera e di Pianosa.  

   A Parma la Miserere si lega in profondo rapporto con l’educatore Umberto Mormile.

   Mercoledì 11 aprile 1990, alle 8,20 del mattino, mentre si trova incolonnato nel traffico, Umberto Mormile viene affiancato da due individui su un’Honda 600. Il passeggero della moto impugna una 38 special e gli spara sei proiettili che colpiscono il volto e le braccia. Mormile muore immediatamente

   Dopo poche ore dall’omicidio arriva all’ispettorato del Ministero di Grazia e Giustizia una telefonata anonima. Una voce con forte accento calabrese dice: “Così trattate i detenuti buoni figurarsi quelli cattivi”. Successivamente al centralino dell’agenzia Ansa di Bologna ricevono la seguente telefonata: “Ha carta e penna? A proposito di quanto avvenuto a Milano, il terrorismo non è morto. Vogliamo che l’amnistia sia estesa anche ai detenuti politici, non importa chi sono io. Ci conoscerete in seguito”.

   Dopo arrivano in continuazione telefonate ne arrivano in continuazione  alla caserma dei carabinieri di Lodi, a Napoli, a Palermo.

   Il 16 aprile 1990, a soli 5 giorni dell’omicidio di Mormile, Armida scrive al sostituto procuratore di Lodi tratteggiando i due profili di detenuti che possono avere a che fare con la morte di Umberto, ma soprattutto traccia una motivazione su questo omicidio: “L’ipotesi più logica è che Umberto sia stato ucciso perché da ostacolo a un <grande> progetto”.

   Il 27 ottobre 1990 dopo mesi di silenzio, un uomo con accentro straniero telefona all’ANSA di Bologna: “All’inizio di quest’anno abbiamo individuato due fronti di lotta armata, uno politico-finanziario e uno all’interno della carceri; rispetto a quest’ultimo abbiamo individuato cinque educatori che sono elementi operativi, i cervelli della legge Gozzini. Mormile a Milano è stato giustiziato, gli altri saranno colpiti al momento opportuno”. Poi l’uomo fa i nomi di 4 educatori che lavorano rispettivamente nelle carceri di Porto Azzurro, Ancona, Pavia, Messina. E rivendica tutto come Falange Armata.

   Il 5 novembre all’ANSA di Torino un’altra volta la Falange Armata rivendica gli omicidi degli industriali Vecchio e Rovetta, uccisi pochi giorni prima a Catania e ricorda di nuovo Mormile.

   Il 10 gennaio 1991. Ogni notte il telefono di casa squilla. Mentre Armida sta lavando i piatti, suona il telefono: Elisa, sua madre, si alza per rispondere, Armida finisce di sparecchiare, chiama sua madre, non sente risposta, la trova per terra con in mano la cornetta del telefono la bocca piegata in una maschera di dolore.

La madre di Armida muore così, al telefono con un interlocutore misterioso.

   Armida nei suoi continui spostamenti torna a Parma e ritrova in quel carcere, nel registro dei detenuti, il nome di Antonio Papalia di cui aveva scritto al sostituto procuratore di Lodi. Antonio Papalia, Franco Coco Trovato e Pepe Flachi sono i capi dei tre clan calabresi che comandano la ‘ndrangheta lombarda.

   Su un foglietto che invia a un suo amico fidato, dichiara di essere in pericolo.

   Il 24 novembre 1995 Leonardo Cassaniello evidenzia il ruolo di Franco Coco Trovato nella decisione e organizzazione dell’omicidio.

   Il 30 novembre 1995 Vittorio Foschini dichiara che il vero mandante dell’omicidio Mormile era Domenico Papalia, convinto che l’educatore avesse delle responsabilità nella mancata concessione di benefici in suo favore.

   Il 19 novembre 1995 Antonio Schettini ribadisce le sue responsabilità dell’omicidio. Le ragioni dell’omicidio erano così spiegate: Mormile aveva ricevuto personalmente da Antonio Papalia 30 milioni di lire per aiutare Domenico Papalia fratello di Antonio, a ottenere i benefici dell’ordinamento penitenziario[15], benefici che aveva goduto a Parma. Mormile aveva deciso di restituire la somma ricevuta perché non voleva rimanere compromesso. La cosa non era piaciuta ad Antonio Papalia che aveva deciso di ucciderlo.

   La verità avrà un ulteriore approfondimento quasi un anno dopo la morte di Armida.

   Il 26 marzo 2004 Nino Cuzzola decide di collaborare e racconta che fu reclutato a Buccinasco quando era già latitante. La partecipazione all’omicidio gli fu proposta da Antonio Papalia e da Franco Coco Trovato. E racconta la vera ragione dell’omicidio di quell’esecuzione: egli aveva saputo da Antonio Papalia che Umberto Mormile, aveva confidato a un detenuto amico di Papalia che il fratello, Domenico quando era detenuto a Parma dove aveva lavorato lo stesso Mormile, aveva avuto incontri con uomini sospetti, a suo dire facenti pare dei servizi segreti e usufruiva di colloqui di permessi che non gli spettavano. Seppe che durante alcuni permessi Domenico Papalia era stato controllato assieme a pregiudicati e disse che Domenico, a Parma, faceva colloqui con persone che avevano falsi documenti d’identità. In altre parole, Mormile, fu punito per avere sparso queste notizie.

   Fu proprio Antonio Papalia a fare la telefonata all’ANSA di Bologna con la quale rivendicava la morte di Mormile in nome della Falange Armata.

   Ora la sigla Falange Armata che avrebbe usato Papalia nella rivendicazione non poteva certo essere una personale invenzione, ma verosimilmente la prova di un suo coinvolgimento in operazioni dei servizi segreti.

   Torniamo ad Armida. Palermo, marzo 1999, Armida, durante una notte di pioggia e fulmini si sveglia. Ha sentito qualcuno in casa, poi si riaddormenta, e si sveglia di nuovo altre due volte. Ma poi, tornato il silenzio, si riaddormenta. La mattina, quando si sveglia, si rende conto che nella serratura della porta della sua camera è stata versata della ceralacca come in tutte le altre serrature della casa, i suoi cani sono spariti, non troverà mai più nemmeno traccia dei loro corpi. Qualcuno si è introdotto in casa; è arrivato fino alla sua stanza, avrebbe potuto ucciderla e non l’ha fatto, ma ha lasciato inequivocabili segni del suo passaggio e ha ucciso e fatto sparire i cani lupo che erano nell’appartamento.

   La sua ultima lettera porta la data del 18 aprile 2003 ed è stata scritta nel carcere Sulmona. I suo familiari rilevano che la calligrafia cambia a metà della lettera e stentano a riconoscerla come sua. Il numero di telefono del fratello appuntato su un pezzo di carta è sbagliato, una frase è incomprensibile.

   La scena presenta il corpo di Armida sul letto con un cuscino che copre la testa da un lato e il cane accucciato accanto al letto. Un cuscino che avvolge la testa sembra essere l’ultimo problema per un suicida, sicuramente il primo per un omicida che vuole attutire il rumore.

   Ufficialmente suicidio, certamente nelle carceri ci sono tanti suicidi e poi il carcere di Sulmona ha un triste record: 11 suicidi (quelli ufficialmente accertati) dal 2000 al 2010. Il sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, trovato nella cella il 16 agosto 2004 con un sacchetto di plastica in testa stretto alla gola da lacci per le scarpe (questi suicidi sono dei forzuti indubbiamente) mentre in tutti gli altri detenuti si sono impiccati.

   Dunque Armida si è suicidata, perché nelle carceri è facile, essere indotti a suicidarsi e perché non una direttrice? Oppure suicidi come quell’Antonino Gioè, l’uomo d’onore con il passato da parà che gli valse l’onere di infilarsi a pancia sotto scorrendo su uno skateboard lungo il tunnel che passava l’autostrada di Capaci per piazzare il tritolo.

   Il 30 luglio 1993 Gioè fu trovato impiccato alle sbarre della sua cella. Lasciò un biglietto che c’era scritto “Io rappresento la fine di tutto”.

   O come il boss di Monreale Salvatore Damiani, che (ufficialmente) si è ucciso nel 2002 a Spoleto. Come all’Ucciardone, dove nello stesso anno si è ammazzato Michelangelo Pedone e nel 1995 era stato indotto al suicidio il vecchio padrino di Caccamo Francesco Intile. Infine a San Vittore, dove nel 1996 si è tolto la vita Giuseppe Gambino Giacomo, come a Pianosa dove si è ucciso Francesco Di Pizza, gregario del clan Brusca e dove a gennaio è morto Guido Cercola, il braccio destro di Pippo Calò.

   Una bella gamma di suicidi. Teniamo conto che molte di questi “suicidi” che hanno attraversato la storia dell’Italia e soprattutto a partire dagli anni ’70 e precisamente il periodo che fu definito “strategia delle tensione”, sono avvenuti poco prima, che molti di questi “suicidi”, fossero ascoltati dai PM o minacciavano rivelazioni (o lo facevano capire). Il risultato di queste morti improvvise è sempre stata la mancata individuazione dei mandanti e degli autori dei vari delitti o stragi.

   I modi in cui questi testimoni sono morti sono stati i più vari:

– incidenti stradali;

– rapine finite male;

– pallottole vaganti;

– suicidi (e nelle carceri c’è ne sono molti come si è visto);

– complicazioni postoperatorie;

–         infarti, ecc..

I referti autoptici confermano spesso e volentieri, magari, l’infarto o il cancro.

   Adesso vediamo come, secondo L’enciclopedia dello spionaggio (edizioni Attualità del Parlamento, Roma), scritta da Giuseppe Muratori, Presidente dell’Istituto Ricerche Comunicazioni Sociali (IRCS) nel 1993, (e la prefazione di Flaminio Piccoli) si può uccidere una persona facendo credere che sia deceduta per cause naturali.

   E’ appena il caso di sottolineare come i metodi qui elencati siano stati resi pubblici nel 1993 e quindi, con buona probabilità, già all’epoca superati da tecniche molto più sofisticate ed ancora sconosciute (altrimenti non li avrebbero pubblicati).

   Ecco alcuni metodi:

1°ACIDO CIANIDRICO, comunemente detto acido prussico. Sostanza letale ad effetto rapido e sicuro usato da agenti dei servizi segreti militari per assassinare i nemici. Nell’industria è usato come disinfettante gassoso. 

2° ACIDO OSSALICO, usato nell’analisi chimica, come sbiancante nell’industria della stampa e nella produzione di tinture, detersivi, carta, gomma, ecc.. Anche questo usato come sostanza letale da agenti di certi servizi segreti militari per assassinare i nemici.

3° CELLULE CANCEROGENE VIVE, utilizzate con iniezioni da agenti di certi servizi segreti militari per assassinare avversari e agenti nemici. Il reperimento delle cellule cancerogene vive avviene, clandestinamente, nelle facoltà universitarie di medicina e in certi laboratori che le tengono di scorta per gli scienziati impegnati nella ricerca sulla cura del cancro (se una persona muore di cancro come sospettare che sia stata uccisa?).

4° CIANURO, è un’arma di alluminio con silenziatore azionata da una pila da 1,5 volt. Spara proiettili formati da piccole fiale contenenti un veleno a base di cianuro che, dopo 5 minuti, non lascia alcuna traccia nell’organismo umano. E’ formata da tre cilindri, l’uno dentro l’altro. Il primo cilindro contiene una molla e un pistone. La molla mossa da una leva spinge il pistone nel secondo cilindro. A quel momento la fialetta contenente il liquido si spezza e il veleno è spruzzato verso il volto del nemico. La morte sopravviene in pochi istanti. Quando il medico esegue l’autopsia, costata l’arresto cardiaco e diagnostica una crisi cardiaca;

5°TALLIO, sostanza priva di sapore a effetto lento sul sistema nervoso usata dalle spie per avvelenare gli agenti nemici e i traditori.

   Ma ancora non basta.

   Se queste tecniche sono state rese note nel 1993 e, come abbiamo detto, probabilmente, erano utilizzate nei decenni precedenti, un’altra tecnica, ancora più incredibile, la ricaviamo dagli atti della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, presieduta da Pellegrino[16].

   Il 18 ottobre del 2000, quando, nel corso della 74° seduta, Arrigo Molinari, ex questore che morirà nella notte del 27 settembre 2005 con 10 coltellate infertili nella sua casa di Audora[18] in una cosiddetta “rapina finita male”, dichiara:

MOLINARI “Prima del 1978 a San Martino, o nei pressi di San Martino, venne istituito un centro diagnostico (che adesso è presente in tutte le città d’Italia, in tutti gli ospedali), il cosiddetto TAC. Il primo di questi impianti ad essere installato in Italia. Ad installare questo impianto fu fittiziamente Rosati, che aveva la gestione di questa TAC. Ma in realtà la TAC era una struttura della P2 che doveva servire…

PRESIDENTE “ Mi scusi avvocato Molinari, per comprendere meglio, lei sta parlando della tomografia assiale computerizzata, cioè un modo di indagine radiografica. La P2 quindi importava per prima questo tipo di macchinario”.

MOLINARI “Come la P2 frequentava la pellicceria di Pavia “Annabella”, gestiva anche questa struttura, perché doveva utilizzarla, non come ha ritenuto la magistratura per compiere truffe alla regione, ma per avere uno strumento, e avere in mano tutti i medici di San Martino e d’Italia che dovevano servirsi di esso quando avevano dei malati da curare. Dico di più. Quando capitava qualche politico o qualcuno che volevano disturbare o molestare, o che sapevano che stava poco bene, effettuavano anche una diagnosi falsa, dicendo che aveva un tumore. I malati poi, magari, si recavano in Inghilterra e scoprivano che il tumore non esisteva. Per cui questa TAC era una struttura della P2, non di Rosati, lo si sapeva, lo sapevano praticamente tutti. La P2 doveva impadronirsi della presidenza della facoltà di medicina; al riguardo c’è una mia relazione, non so se è stata acquisita”.

   Secondo la dichiarazione di Molinari la P2, nel 1978, grazie alla complicità di medici “fratelli”, usava le strumentazioni Ospedaliere per diagnosticare falsi tumori a persone “scomode”.

   Dopo eliminarli, doveva essere facile, avvelenandoli con iniezioni che venivano fatte passare per cura.

   Ma la cosa più strana, almeno per me, è stata la reazione della Commissione a una dichiarazione così atroce: NESSUNA!

   Certo questa tecnica richiede tempo e, se il personaggio scomodo deve essere eliminato velocemente, si può sempre ricorrere ai metodi elencati prima.

   E la mente non può che tornare al Generale dei Carabiniere Manes, morto pochi minuti prima di deporre davanti alla Commissione parlamentare d’Inchiesta sullo scandalo del SIFAR – Piano Solo per arresto cardiaco.

   O ancora al colonnello Bonaventura, direttore dell’Ufficio analisi controspionaggio, terrorismo internazionale e criminalità organizzata transazionale del SISMI, un personaggio chiave nel caso del dossier Mitrokhin (era che per primo aveva materialmente ricevuto il dossier Mitrokhin, quindi chi più di altri poteva attestarne l’autenticità), morto per infarto pochi giorni prima della sua audizione davanti alla Commissione Parlamentare chiamata a indagare sul dossier.

   E ancora al Colonnello Stefano Giovannone, iscritto ai Cavalieri di Malta e alla P2, che aveva ricoperto l’incarico di capocentro del SISMI a Beirut dal 1972 al 1981 che, arrestato nel corso dell’indagine per il traffico di armi tra OLP e Br, muore agli arresti domiciliari per “morte naturale”.

   E perché no, in ultimo al capo del Corpo dei Vigili, l’ingegner Giorgio Mazzini che muore nel palazzo di giustizia di Torino dove si era recato per incontrare i magistrati che si occupa del rogo alla ThyssenKrupp. Aveva 67 anni e sarebbe andato in pensione due mesi dopo.

   Perciò la morte di Armida (come quella di Mormile) potrebbe essere benissimo ricondotto a quello che stava accadendo dentro le carceri, da quel miscuglio di servizi segreti e criminalità organizzata che aveva avuto ampie libertà a partire dalla cosiddetta trattativa.

   In sostanza il formarsi all’interno delle carceri di una struttura segreta, che assomiglia a una Gladio, utilizzata per scopi politici.

   Intervistato dal settimanale Oggi nel febbraio del 2010, Licio Gelli con dieci sole parole spiega molte cose: “Io avevo la P2, Cossiga la Gladio e Andreotti l’Anello”.

   Con questa frase Gelli mette l’operato dei servizi segreti al centro di tutto e mostra come i “nostri” (nostri si fa per dire) servizi sono stati protagonisti attivi dei tentativi di colpi di Stato degli anni ’60, ’70 e ’90, della strategia della tensione degli anni ’70, delle compromissioni con logge massoniche e altre associazioni segrete, del dialogo e talvolta della collaborazione con network criminali. 

   E riemerge ancora il rapporto tra Stato e Mafia. Per capire il ruolo e l’importanza nella vita politica in Italia si tratta di capire il peso economico della Mafia, che è crescente.

   Nel 1992 i guadagni inerenti, il traffico mondiale della droga erano 300 miliardi di dollari, cioè circa 350 miliardi di lire. Se si calcola che almeno metà siano profitti netti (esentasse naturalmente), il traffico mondiale rende a chi lo gestisce circa 150 miliardi di lire[17]. 150 miliardi nel 1992 corrispondevano a un decimo del PIL ed era,  pressappoco, il disavanzo annuale dello Stato italiano. Con questa montagna di denaro si ha una capacità di corruzione quasi infinita.

   Quale è lo stato attuale? Una ricerca realizzata dall’Università Cattolica e commissionata dal Ministero dell’Interno, ha rilevato che le organizzazioni criminali italiane generebbero profitti intorno ai 13 miliardi annui[18], secondo linee più ottimistiche. La cifra è comunque sicuramente al di sotto di altre stime, molto più allarmanti, che vedevano in 150 miliardi annui l’ammontare delle ricchezza prodotta dalle mafie.

   Sempre dalla ricerca dell’Università Cattolica, si mette in evidenza che il PIL nero della Lombardia vale 3,7 miliari di euro. E questo è il valore medio. Perché secondo la stima più elevata i ricavi dell’economia illegale potrebbero essere superiori ai 52 miliardi[19]. Per avere un termine di paragone: il bilancio dell’intera sanità lombarda, capitolo di spesa che assorbe gran parte del bilancio della Regione Lombardia, ammonta a 16 miliardi. Significa che le organizzazioni criminali italiane e straniere in Lombardia 10 milioni di euro al giorno. Teniamo conto che la provincia di Milano è la terza in Italia per numero di aziende confiscate alle mafie.


[1] Maurizio Torrealta Giorgo Mottola, Processo allo stato, BUR.

[2] Dico potrebbe, poiché sia chiaro da quale punto di vista si parla. Dal punto di vista dello Stato della Borghesia Imperialista certamente lo è, altro discorso lo è per il proletariato che lotta per l‘abolizione dello stato di cose esistente.

[3] Il compito ufficiale di Pio Pompa era quello di preparare analisi, descrivere scenari, segnalare per tempo eventuali pericoli per la sicurezza nazionale e soprattutto tenere i rapporti con televisioni e giornali. Egli era stato assunto per chiamata diretta da Niccolò Pollari, il generale della Guardia di finanza scelto nell’autunno del 2001 dal neopremier Silvio Berlusconi come capo del servizio segreto militare al posto dell’ammiraglio Gianfranco Battelli. Pompa e Pollari si sono conosciuti nella primavera del 2001. A fare da tramite è stato un comune amico: don Luigi Verzè, il prete che ha fondato a Segrate, ai confini con Milano 2, l’impero sanitario multinazionale San Raffaele ed è da sempre legato a Silvio Berlusconi. Pollari, che in quel momento è solo il numero due del Cesis, l’organismo di coordinamento tra Sismi e Sisde, sceglie subito Pompa come consulente. Pompa, legge i giornali, naviga in Internet, raccoglie notizie e pettegolezzi, poi mette tutto nero su bianco. Notizie a volte vere. A volte fasulle, inventate di sana pianta. Ma, tra le carte archiviate nell’Ufficio Disinformatija del Sismi, c’è di peggio. L’attenzione degli investigatori si concentra su un altro appunto anonimo: 23 pagine, nove delle quali scritte a macchina e datate 24 agosto 2001, in cui si propone di “disarticolare con mezzi traumatici” l’opposizione al governo Berlusconi. A una prima lettura, l’elaborato ha tutto l’aspetto di un piano d’azione redatto per punti; letto col senno di poi, presenta straordinarie analogie con il programma in materia di giustizia, libertà e sicurezza poi in seguito dal governo Berlusconi. Vi sono indicate le iniziative da assumere per proteggere l’esecutivo e le informazioni ricevute da fonti (cioè spie) piazzate in vari tribunali della Repubblica al ministero della Giustizia. Chi legge ha la sensazione che tutto quello che è accaduto nei cinque anni del centrodestra fosse stato pianificato a tavolino: dalla guerra ai magistrati e ai giornalisti scomodi, alle leggi ad personam per bloccare i processi a Berlusconi, fino alle calunnie contro l’opposizione a colpi di commissioni, come la Telekom Serbia e la Mitrokhin. 

[4] Nicola Biondo Sigfrido Ranucci, Il patto, Chiarelettere.

[5] Maurizio Torrealta Giorgo Mottola, Processo allo stato, BUR, pp. 41-42.

[6] Nella controinchiesta di Paolo Dorigo come esempio evidente del funzionamento di questa struttura c’è uno schema ampiamente illustrativo delle connessioni della banda Maniero affiliata alla mafia siciliana e turca e ai servizi segreti americani tramite il SISMI e ufficiali dei ROS, dei collegamenti che aveva con la Questura veneziana per via della sua collaborazione nella liquidazione delle altre bande di rapinatori che davano fastidio nel territorio, con spiate mirate, che servivano a ucciderne o arrestarne i membri da parte della polizia.

[7] http://www.osservatoriodemocratico.org/page.asp 

[8] La banda era guidata da Damiano Bechis ex carabiniere paracadutista.

[9] http://ricercarepubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/05/01/bomba-milano 

[10] Ci furono interrogazioni parlamentari in merito. Si possono leggere nel resoconto stenografico della seduta della Camera dei Deputati del 29 giugno 1982.

[11] Da carabiniere aveva lavorato prima come scorta e poi per 4 anni sui Monti Berici di stanza in una caserma NATO di radio controllo.

[12] Guido Olimpio, Stop al villaggio dei neofascisti, in Corriere della sera 24 novembre 1997.

[13] Nella relazione pubblicata dalla Commissione d’inchiesta del Parlamento Europeo su razzismo e la xenofobia, Roberto Fiore è indicato quale agente del MI6, una branca dell’Intelligence Service britannico, fin dai primi anni ’80, infiltrato nel movimento di destra britannico National Front. Denuncia riportata successivamente nella Commissione stragi nel 2001 dal deputato di AN Fragalà (vedere link http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/11/denuncia_Fiore_Morsello_agenti ). Non solo ma già nel questa notizia era stata precedentemente riportata dal Guardian (vedere Link http://www.repubblica.it/online/fatti/bologna/bologna.html ). Secondo Fragalà “Ci sono delle informazioni provenienti dalla Gran Bretagna e dell’Irlanda, che allego in fotocopia, in cui sostiene non solo che i due soggetti (Fiore e Morsello) continuano ad essere in forza ad un settore del Secret intelligence service inglese, ma addirittura che l’avventura politica rappresentata dal movimento denominato Forza Nuova abbia quale referenti occulti gruppi nazionalcomunisti attivi prevalentemente all’estero, in paesi come la Russia, la Bulgaria, la Romania e la Serbia. Hanno fondato un villaggio nazionalcomunitarista – c’è un documento qui che lo dimostra – nella Penisola iberica e altre strutture similari stanno nascendo con il loro supporto e finanziamento nell’Europa dell’ex blocco sovietico in appoggio alle formazioni nazionalcomuniste. L’attività politica di Roberto Fiore e Massimo Morsello può ragionevolmente rappresentare per la comunità di intelligence d’oltre manica una sorta di cavallo di Troia negli ambienti più prossimi agli apparati di sicurezza dell’ex Patto di Varsavia”.

   Fragalà fu massacrato a colpi di bastone nel centro di Palermo il 23 febbraio 2010. Secondo Sebastiano Ardita ex capo del DAP (guarda caso c’è sempre di mezzo il DAP), sentito il 15 maggio 2012 dalla Commissione parlamentare antimafia, l’uccisione di Fragalà darebbe riconducibile alla cosiddetta trattativa Stato-mafia e sul ruolo del 41bis nel patto tra pezzi dello Stato e mafia. Certo nel 2002 fu approvato un d.d.l. per estendere all’intera legislatura la durata del 41bis. E anche vero che i detenuti di mafia mandarono messaggi equivoci, soprattutto parlarono di promesse non mantenute da parte dei politici e di essere lasciati soli da “alcuni avvocati meridionali passati in Parlamento”. Un messaggio indirizzato non solo a Fragalà, infatti, il parlamento brulica di penalisti, eletti a destra, centro e sinistra. Ma nel 2010 Fragalà non era più deputato, e quindi non lo si poteva accusare dell’ulteriore inasprimento del regime. Bisognerebbe invece chiedersi chi nelle file di AN chiese nel 2008 l’estromissione dalle candidature di Fragalà per far posto nelle liste di Nicola Di Girolamo, risultato poi uomo di ‘ndrangheta. O forse non era andato troppo oltre nel denunciare l’esistenza di un Internazionale Nera (nel 2009 a Budapest si è costituito un coordinamento di formazioni fasciste, naziste e xenofobe).

[14] http://www.ciresola.com/public/Allegati/DALLA_CHIESA_Carlo_Alberto.pdf

[15] Benefici concessi per buona condotta che permettono l‘uscita dal carcere a vari livelli, dai permessi al lavoro esterno in orario diurno.

[16] http://paolofranceschetti.blogspot.it/2009/01/come-uccidere-un-uomo-senza-lasciare.html

[17] http://archiviostorico.corriere.it/1992/marzo/15/guadagni_della_Mafia_spa_super.

[18] http://it.ibtimes.com/art/services/print.php?articlesid=41287

[19] http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/13

LA REGIONE PUGLIA PRODURRA’ DRONI CON AZIENDE ISTRAELIANE

•febbraio 2, 2023 • Lascia un commento

Antonio Mazzeo, militante ecopacifista ed antimilitarista, ha pubblicato alcuni saggi sui temi della pace e della militarizzazione del territorio, sulla presenza mafiosa in Sicilia e sulle lotte internazionali a difesa dell’ambiente e dei diritti umani.

Ha inoltre scritto numerose inchieste sull’interesse suscitato dal Ponte in Cosa Nostra, ricostruendo pure i gravi conflitti d’interesse che hanno caratterizzato l’intero iter progettuale.

Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa).

Ha pubblicato, nel 2010, I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina (Edizioni Alegre), con una prefazione di Umberto Santino.

In questo articolo denuncia la produzione di Droni in Puglia

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Scatta in Puglia la “caccia” dei droni alle discariche abusive di rifiuti: i velivoli senza pilota saranno prodotti da un’inedita partnership tra università pugliesi, centri di ricerca nazionali, enti locali, grandi industrie militari e aziende di tecnologie avanzate ed intelligence di Israele. Il tutto grazie ai finanziamenti del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale.

Il progetto ha il nome di “Drone-Tech” e sarà incentrato sull’impiego a uso commerciale dei droni e dell’intelligenza artificiale per individuare e “ridurre” la dispersione illegale di rifiuti nell’ambiente (Building a commercial solution for reducing illegal waste dumping based on drones and artificial intelligence technologies). In un comunicato il Ministero degli esteri fa sapere di avere ammesso “Drone-Tech” tra i programmi che riceveranno un sostegno finanziario per l’anno 2022 a seguito di quanto deliberato dalla Commissione mista italo-israeliana in merito al bando per la raccolta di progetti congiunti di ricerca (track industriale) sulla base dell’Accordo di Cooperazione nel campo dello Sviluppo Industriale, Scientifico e Tecnologico tra Italia e Israele.

Partner del progetto sull’impiego dei droni per il monitoraggio delle discariche il Distretto Tecnologico Aerospaziale pugliese (tra i soci le Università del Salento-Lecce e “Aldo Moro” di Bari, il Politecnico di Bari, l’ENEA, il CNR, Leonardo SpA, Avio Aereo, IDS – Ingegneria dei Sistemi, ecc.) e High Lander Aviation Ltd, società con sede nella cittadina israeliana di Ra’anana, nei pressi di Tel Aviv, specializzata nella progettazione di software e programmi di controllo voli dei velivoli senza pilota per uso civile, sanitario e di ordine pubblico e vigilanza. Quest’ultima azienda – fondata e diretta da ex militari preposti al controllo dello spazio aereo – si avvarrà della collaborazione del gruppo Sightec di Tel Aviv, attivo nel campo della ricerca delle tecnologie aerospaziali automatizzate. Sigtech vanta “oltre 30 anni di background accademico sotto la guida del prof. Joseph Francos, docente di Ingegneria elettronica e informatica della Ben Gurion University”; lo scorso anno ha fornito al colosso industriale IAI – Israel Aerospace Industries le tecnologie di scansione impiegate a bordo di “MultiFlyer”, il nuovo piccolo drone-elicottero immesso nel mercato per svolgere un largo numero di operazioni dual, civili e militari-securitarie (monitoraggio di aree disastrate, guida delle unità di ricerca in missioni di salvataggio, controllo aereo durante eventi di massa, protezione di infrastrutture “sensibili” e dell’ordine pubblico, sorveglianza di grandi aree agricole e marittime, ecc.).

“Grazie al progetto Drone-Tech si potranno monitorare automaticamente, in tempi molto più brevi e con costi molto minori, ampie aree territoriali, comprese quelle più nascoste e difficili da perlustrare”, riporta il sito specializzato droneblog.news. “Secondo i tecnici che si occupano del progetto, le immagini acquisite tramite l’intelligenza artificiale, che sfrutta i dati raccolti con speciali sensori aviotrasportati, permetterà di individuare e riconoscere la tipologia degli accumuli, rendendo più efficaci ed efficienti le operazioni di rimozione”.

Le prove di volo dei droni italo-israeliani caccia-rifiuti si svolgeranno nell’aeroporto di Grottaglie (Taranto), presso l’Airport Test Bed sorto grazie a un accordo di collaborazione tra il Distretto Tecnologico Aerospaziale, ENAC e il Comune di Bari e che punta a trasformare lo scalo pugliese nel “principale centro mediterraneo” della sperimentazione dei servizi e della tecnologica dei velivoli a pilotaggio remoto e dei satelliti in ambiente urbano e della verifica di nuove procedure per l’interoperabilità tra diverse tipologie di traffico aereo. L’Airport Test Bed opera presso il grande polo industriale e militare di Grottaglie dove sorgono pure gli stabilimenti del gruppo Leonardo che producono le fusoliere in fibra di carbonio per gli aerei da trasporto Boeing 787 e la Stazione Aeromobili della Marina Militare (Maristaer) con l’unico reparto di volo ad ala fissa della forza armata, dotato dei velivoli aerotattici a decollo e atterraggio verticale AV-8B Plus Harrier II e che farà da base di supporto dei cacciabombardieri F-35B di quinta generazione assegnati alla Marina.

“Drone-Tech è un progetto sperimentale che si presenta come un ulteriore sviluppo del Drone Living Lab di Bari e delle attività realizzate nell’Airport Test Bed di Grottaglie”, ha spiegato all’agenzia Ansa il presidente del Distretto Aerospaziale Giuseppe Acierno. “Siamo contenti di essere stati ritenuti idonei al programma di cooperazione industriale italo-israeliano sostenuto dal ministero degli Esteri. Il consolidamento della nostra collaborazione con i partner israeliani ci aiuta a stare vicino ai livelli più alti di innovazione e ci permette di rafforzare collaborazioni con un Paese che rappresenta l’eccellenza mondiale nel campo dei droni. Il progetto continua nello sforzo di rafforzare ed internazionalizzare le conoscenze e le capacità che il Distretto Tecnologico sta capitalizzando nella sperimentazione di servizi innovativi con droni per Bari Smart City e avvicina il sistema aerospaziale israeliano, tra i più avanzati e dinamici, a quello pugliese, per generare nuove opportunità per lo sviluppo di competenze e nuove forme di imprenditorialità”.

Drone Tech “premia” la collaborazione avviata da un paio di anni dal Distretto Tecnologico Aerospaziale e il Comune di Bari con la Israel National Drone Initiative (INDI) per “promuovere congiuntamente l’integrazione dei droni nelle città intelligenti”. INDI è il programma promosso dall’Autorità per l’Innovazione di Israele, Ayalon Highways Co LTD, l’Autorità di aviazione, il Ministero dei trasporti e l’Israel Center for the Fourth Industrial Revolution (C4IR) con il sostegno del Forum economico mondiale per “potenziare la catena di fornitura” di nuove tecnologie aerospaziali per l’utilizzo in ambiente urbano e creare un network per l’impiego in Israele di droni a fini economici-commerciali. Nell’ambito della partnership, a fine marzo 2022, Antonio Zilli e Uri Bornstein del Distretto Tecnologico Pugliese si sono recati in visita alle aziende israeliane socie INDI e al “centro di controllo” della rete che ha sede nella città di Be’er Sheva, nel deserto del Negev.

Le iniziative di ricerca del Drone Living Lab di Grottaglie sono state presentate ufficialmente nel corso dell’evento internazionale denominato “Drones Beyond” (17 e 18 novembre 2002), organizzato nel capoluogo pugliese dal Distretto Tecnologico Aerospaziale in collaborazione con il Comune di Bari, Regione Puglia e Anci. “Il Drones Beyond è stata l’occasione per la presentazione di sfide, prodotti e soluzioni della Urban Air Mobility”, hanno spiegato i promotori. “L’iniziativa è inserita nel disegno di medio lungo periodo di valorizzazione e sviluppo di un range/infrastruttura unica tra Grottaglie e Bari senza escludere la possibilità di generare nel tempo un collegamento tra i due nodi attraverso una futura autostrada sperimentale per droni”. Il meeting ha posto particolare enfasi alle tecnologie preposte alla guida autonoma e semiautonoma e alla comunicazione/navigazione di nuova generazione (5G, multilaterazione, satellite), e di acquisizione e “manipolazione dei dati” (IoT, Cloud, A/I, Deep Learning). Inoltre sono state effettuate dimostrazioni in volo dei droni dual, per il controllo urbano territoriale, la consegna di oggetti, il pattugliamento e l’osservazione navale e costiera, i rilievi di patrimonio architettonico. “Hanno partecipato all’evento oltre 300 studenti delle scuole pugliesi che si sono cimentati in gare di volo a ostacoli con i droni”, aggiungono le cronache locali.

In vista dello sviluppo della ricerca industriale e tecnologica nello scalo di Taranto-Grottaglie, il 25 febbraio 2019 fu tenuto nell’Università “Aldo Moro” di Bari un incontro ufficiale tra i dirigenti del Distretto Aerospaziale, il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano e l’allora ambasciatore di Israele in Italia Ofer Sachs. “Importante per il futuro dello scalo è l’intesa istituzionale con le autorità israeliane: gli accordi e le collaborazioni con enti e imprese di quel paese dove sono molte avanzate le ricerche e le applicazioni su quelle tecnologie potranno dare una spinta significativa al progetto del Distretto Pugliese”, dichiarò il presidente Giuseppe Acierno. Altrettanto ottimistiche le parole espresse dal diplomatico israeliano. “Guardiamo con interesse alle concrete possibilità di cooperazione strategica con le realtà presenti nell’aeroporto di Taranto-Grottaglie; l’integrazione del sistema industriale ed accademico al servizio del comparto aeronautico e aerospaziale fa del Distretto Tecnologico un esempio di respiro internazionale”, spiegava Ofer Sachs. All’incontro di Bari erano presenti anche i manager di diverse industrie (Leonardo, Avio, ecc.) e i ricercatori italiani e israeliani impegnati nel progetto Apulia Israel Joint Accelerator, coordinato dal Distretto Aerospaziale, il Politecnico di Bari e l’Israel Institute of Technlogy – Technion di Haifa, punta di diamante nella sperimentazione e produzione di sistemi avanzati per il comparto industriale-militare.

Sempre nell’ottica progettuale dell’autostrada dei droni Bari-Grottaglie dal 22 al 24 settembre 2021 si è tenuto nello scalo aereo tarantino il MAM – Mediterranean Aerospace Matching. Al centro dell’iniziativa la presentazione e promozione delle nuove tecnologie aerospaziali e dei progetti delle grandi aziende e delle start up sull’uso e la “sicurezza” dei droni. Tra gli espositori di punta al MAM alcune aziende specializzate israeliane, tra cui SpacePharma, la startup che ha sviluppato il laboratorio per la conduzione di “esperimenti medici” in condizioni di microgravità (lanciato nel settembre 2020 con il satellite Dido III nell’ambito di un programma di cooperazione scientifica tra Italia e Israele); e Starburst Aerospace Israel, l’acceleratore aerospaziale che mette in rete startup, aziende, investitori e istituzioni israeliani. Presenti, inoltre, i rappresentanti della Naama Initiative, l’iniziativa per la mobilità aerea urbana di Israele creata per stabilire una rete di rotte aree nazionali per i droni da trasporto e consegna di prodotti e merci leggere. Coincidenza vuole che i promotori di Naama siano gli stessi di INDI con in più la presenza della segreteria per la smart mobility del Primo ministro, “in collaborazione con l’Aeronautica Militare di Israele”.

Sulla base dell’Accordo di Cooperazione nel campo della Ricerca e dello Sviluppo Industriale, Scientifico e Tecnologico tra Italia e Israele, nel corso del 2022 sono stati individuati i seguenti progetti ammessi a ricevere un sostegno finanziario da parte del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale:

    Drone Tech – partner: Distretto Tecnologico Aerospaziale e High Lander Aviation Ltd.

    ASTI – Auto System THA Insertion – partner: Politecnico di Torino/Intrauma S.p.A. e Value Forces Ltd.

    We –CAT – partner: Università di Milano Bicocca e Bar Ilan University.

    GreenH2 – partner: Politecnico di Milano e The Hebrew University of Jerusalem.

    Hydrogen Sensors – partner: Università degli Studi dell’Aquila e Università degli Studi dell’Aquila.

    IVANHOE – partner: Università degli Studi dell’Aquila e Ben Gurion University of the Negev.

    Bio-SoRo – partner: Sapienza Università di Roma e Ben Gurion University of the Negev.

    F2SMP – partner: Università degli Studi di Pavia e Technion Israel Institute of Technology.

    C-IGrip – partner: Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia e The Hebrew University of Jerusalem.

    BIONiCS – partner: Università degli Studi di Genova e Tel Aviv University.

IL PENTAGONO STUDIA IL PARANORMALE COME ARMA

•gennaio 28, 2023 • Lascia un commento

   Scrisse il New York Times del 1984: “Secondo tre nuovi rapporti, il Pentagono ha speso milioni di dollari in progetti segreti per indagare sui fenomeni extrasensoriali e per verificare se il puro potere della mente umana possa essere sfruttato per compiere vari atti di spionaggio e di guerra: penetrare in archivi segreti, ad esempio, localizzare sottomarini o far esplodere missili guidati in volo”[1].


   Nel 1977, secondo questo resoconto, il Presidente Carter ordinò alla CIA un’indagine sulla ricerca psichica dietro la cortina di ferro, nel tentativo di valutare una possibile minaccia sovietica.

   Dagli anni Cinquanta agli anni Novanta, ormai è noto che l’esercito USA e i servizi segreti americani hanno indagato sui fenomeni psichici, condotto missioni clandestine basate su soggetti ritenuti di avere poteri “soprannaturali” e gareggiato con l’Unione Sovietica in una corsa agli armamenti psichici[2].

   Nel 1945, con il regime nazista sconfitto, dei membri dell’Operazione[3] Alsos si diressero a Berlino per raccogliere quante più informazioni possibili sui progetti militari tedeschi. Nei resti bombardati di una villa in un quartiere benestante di Berlino sud-occidentale, scoprirono un nascondiglio di documenti e manufatti che facevano parte dell’Ahnenerbe, l’organizzazione scientifica di Heinrich Himmler, che era ben finanziata e aveva vaste dimensioni. Aveva persino un’intera sezione dedicata alla Indagine sulle cosiddette scienze occulte.

   L’alto dirigente nazista era ossessionato dall’occulto. Su ordine di Himmler, gli ufficiali delle SS fecero incursioni nei territori occupati dalla Germania alla ricerca di artefatti legati alla magia, saccheggiando persino musei in Polonia, Ucraina e Crimea alla ricerca di testi mistici. Gli scienziati nazisti di Ahnenerbe setacciarono il mondo alla ricerca di oggetti come il Santo Graal e la Lancia del Destino, la lancia che si pensa abbia ucciso Cristo.

   Nell’Ahnenerbe ESP, c’era un ampia documentazione inerente: psicocinesi, radiestesia, in ogni di ciò che si potrebbe definire soprannaturale o paranormale[4].

. Nel seminterrato della villa, i ricercatori hanno trovato resti di simboli e riti teutonici, nonché il teschio di un bambino in una fossa angolare di cenere. Anche i sovietici avevano sequestrato una quantità equivalente di informazioni su questo stesso argomento[5].

   Sia la CIA che il KGB effettuavano esperimenti simili, sostenendo che il programma dell’altra parte richiedeva contromisure per difendersi.

   L’intervento del governo USA sui fenomeni psichici è iniziata ufficialmente come parte del programma MK Ultra. Mentre si occupavano di ricerca sulla mente e di come interferire sul comportamento, è diventato significativo il sottoprogetto 58 di MK Ultra[6], che è il programma per l’uso di droghe, che chiamano psicofarmacologia, per migliorare il funzionamento psichico nelle persone psichiche.

   Si raccontava che gli americani avessero messo delle persone telepatiche sui sottomarini nucleari, e che i sovietici avessero dei raggi per il controllo mentale e che una sensitiva russa fosse così potente da poter fermare una rana solo con la mente. Con ogni nuova voce, alcune basate su esperimenti reali, altre basate su campagne di disinformazione, la corsa agli armamenti psichici si intensificava[7].

  La ricerca governativa sui fenomeni psichici faceva spesso la spola tra il Dipartimento della “Difesa” e la CIA, con un programma che veniva chiuso dopo risultati inconcludenti, per poi essere riaperto con un nuovo nome. Negli anni Settanta, il programma di remote Viewing era di proprietà del Dipartimento della “Difesa”. La visione a distanza è essenzialmente l’idea che qualcuno possa visualizzare dettagli di persone e oggetti lontani attraverso la telecinesi.

   Una piccola operazione era gestita dalla base aerea di Wright Patterson, in Ohio, e il suo capo aveva una segretaria, Rosemary Smith, che credeva di avere poteri psichici. Questa operazione aveva un budget molto ridotto, perché la maggior parte delle persone pensava che fosse una cosa da pazzi. Le cose cambiarono nei momenti di emergenza, come nel 1976, quando al team di remote Viewing fu affidata una missione che aveva dell’incredibile.

    Un bombardiere sovietico era caduto nelle giungle dell’Africa e la CIA e l’intelligence militare dell’Esercito avevano utilizzato tutti i mezzi di raccolta di informazioni a loro disposizione, dalla tecnologia satellitare, all’intelligence umana, ma non trovarono assolutamente nulla.

   Non avendo nulla da perdere, l’Esercito contattò il servizio di remote Viewing di Patterson, che mise al lavoro la segretaria Rosemary Smith, la quale fu in grado di disegnare mappe che indicavano con precisione dove si trovava l’aereo, nel raggio di poche miglia.  Il cablogramma è stato inviato alla CIA, che ha inviato una squadra paramilitare nella giungla e, vicino all’area in cui Rosemary Smith aveva detto che si trovava, ha visto un abitante del villaggio che trasportava un pezzo di aereo fuori dalla giungla, e questo li ha portati al sito dell’incidente.

   Un’unità dell’Esercito fu istituita da ufficiali di alto rango che non vedevano di buon occhio l’idea di assumere dei “sensitivi” per la ricerca, e per questo motivo crearono il programma all’interno dei ranghi dell’Esercito. Uno dei compiti dell’unità era la visione a distanza e, nel settembre 1979, il Consiglio di Sicurezza Nazionale chiese al Detachment G. di usare i suoi poteri di visione a distanza per indagare su una base navale sovietica.

   Mentre si concentrava su una foto in una busta chiusa, uno dei membri dell’unità ha descritto la visione di un edificio sulla costa, che odorava di gas e prodotti industriali. All’interno dell’edificio c’era un grande oggetto simile a una bara – un’arma – con le pinne, come uno squalo.

   Pochi mesi dopo, la CIA ricevette immagini satellitari che mostravano che i sovietici avevano costruito un nuovo sottomarino con missili balistici. Reso famoso dalla designazione NATO, la classe Typhoon, il mastodontico sottomarino nucleare era noto in URSS come Akula. In russo significa “squalo”.

   Attualmente, l’Office of Naval Research chiama questo programma Anomalous Mental Cognition, riferendosi a un programma da 3,9 milioni di dollari fondato dall’ONR nel 2014 per indagare sull’esistenza della precognizione, che viene definita “senso di ragno”. Sì, come nei fumetti.

   Nel 2006, il sergente maggiore dell’esercito Martin Richburg percepì qualcosa di strano in un uomo in un bar in Iraq. Dopo aver fatto sgomberare il locale, scoprì un ordigno esplosivo improvvisato che l’uomo aveva lasciato dietro di sé. Che si tratti di istinto o di qualcosa di più, i ricercatori sono comprensibilmente curiosi di vedere se esiste un meccanismo per attivare questo tipo di intuizione.


[1] https://www.nytimes.com/1984/01/10/science/pentagon-is-said-to-focus-on-esp-for-wartime-use.html

[2] http://www.ansuitalia.it/Portale/privacy-e-cookies.html

[3] L’operazione Alsos fu un tentativo di spionaggio sullo stato del progetto nucleare tedesco compiuto dalle forze alleate durante la seconda guerra mondiale

https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Alsos

https://segretidellastoria.wordpress.com/2018/06/18/operazione-alsos-a-caccia-dellatomica-tedesca/ ù

[4] https://marcos61.wordpress.com/2014/01/20/il-nazismo-occulto/

[5] http://www.sogliaoscura.org/par-psicortinaferro.html

[6] https://www.degruyter.com/document/doi/10.1515/9783110416411-014/html

[7] https://www.rai.it/dl/televideo/Esp_Anticipazioni_Web/Esp/Sussidi/Paral_8.htm

https://www.army.mil/article/229265/the_supernatural_side_of_u_s_military_academy_at_west_point

LA MENTE COME ARMA SUPREMA

•gennaio 27, 2023 • Lascia un commento

   La mente è sempre stata l’arma migliore a disposizione dell’uomo fin dall’alba dei tempi, sia per l’elaborazione di strategie che per la creazione di nuovi sistemi offensivi e difensivi da adoperare in battaglia. 

   Nel 2019, la  famigerata DARPA[1] ha deciso di rendere tale metafora una realtà con il lancio del programma N3, ossia Next-generation Non-surgical Neurotechnology (Neurotecnologia non chirurgica di nuova generazione)[2].

   Il programma N3 mira alla creazione un’interfaccia di collegamento neurale diretto tra uomo e macchina, permettendo al cervello del pilota umano di inviare istruzioni ai sistemi connessi senza ausilio di consolle esterne.

   Pur non trattandosi del primo sistema di guida neurale in assoluto, N3 presenta una sostanziale e ambiziosa differenza rispetto ai progetti condotti finora: l’operabilità non chirurgica. In sintesi, N3 consentirebbe la creazione di un’interfaccia neurale  uomo-macchina senza ricorrere a interventi o a modifiche invasive nel cranio dell’operatore come, ad esempio, l’applicazione di elettrodi.

   Per quanto riguarda gli aspetti economici e organizzativi, lo sviluppo del progetto lanciato dalla Darpa è stato ripartito tra sei diversi enti di ricerca, che hanno a disposizione quattro anni per mettere a punto i loro prototipi seguendo tre diverse fasi di sviluppo (un anno è previsto per la prima fase e 18 mesi per ciascuna delle altre due).


   Quando si parla di comunicazione tra uomo e macchina il principale problema è dato dalla lettura degli impulsi elettrici che il cervello usa per trasmettere (di norma, con il resto del corpo umano). Entra qui in gioco la necessità di una lettura in “alta definizione” dell’attività neurale dell’operatore, al fine di poter impartire ordini chiari alla macchina.

   A tal riguardo, il programma N3 si pone un target  scientifico decisamente ambizioso: lo sviluppo di un’interfaccia in grado di leggere l’attività delle cellule presenti in un millimetro cubo di tessuto cerebrale e interagire con esse in un arco di tempo di appena 50 millisecondi, coinvolgendo nel processo 16 aree diverse del cervello. Anche tenendo conto dei notevoli progressi fatti nel campo delle neuroscienze e della robotica in questi ultimi anni, bisogna considerare alcuni aspetti alla base della relazione uomo-macchina.

   La principale motivazione che ha mosso la Darpa ad avviare un progetto come N3 è facilmente intuibile: in un mondo dove automazione e droni si stanno diffondendo in maniera rapida e visibile tra le forze armate delle nazioni, chi controlla le forze robotiche in maniera più efficace e reattiva controlla facilmente anche il campo di battaglia.

   Ciononostante, tale osservazione non si limita solo a un efficace controllo sulle unità senza pilota aeree o terrestri (Uav, Ugv). Come spiegato dal direttore del programma Al Emondi, una tecnologia come N3 trova applicazione anche nel campo della cybersecutity  e potrebbe verosimilmente essere impiegata anche nella gestione di infrastrutture strategiche. Ma il Pentagono non è necessariamente destinato a essere l’unico beneficiario (così come non è stato l’unico finanziatore) di questa tecnologia.

   Per definizione stessa di dual-use, le applicazioni ‘pacifiche’ del sistema N3 sono molteplici. Ad esempio, un sistema come N3 potrebbe aiutare le persone rimaste invalide o mutilate a riacquistare in parte o totalmente le funzioni motorie, collegando i pazienti a degli arti protesici oppure a degli esoscheletri di supporto. Anche il settore spaziale potrebbe beneficiare di N3 in maniera decisiva nello sviluppo dei robonauts e altri progetti di ricerca o esplorazione extraterrestre.

   Tuttavia, nessuno può affermare con certezza che le riflessioni etico-morali prevarranno di fatto su interessi economici più grandi, specie considerando il budget  astronomico (718 miliardi di dollari previsti per il 2020) di un apparato militare-industriale come quello statunitense, al quale la Darpa non avrebbe troppi problemi ad attingere.


   Sebbene N3 costituisca – per il momento ancora in linea teorica – un assottigliamento senza precedenti della già stretta relazione uomo-macchina, esso rappresenta niente più che un tassello di un mosaico ancora incompleto dal quale emerge un unico dato realmente chiaro: ancora una volta, la macchina è chiamata a prendere il posto dell’uomo.


[1] https://www.darpa.mil/

[2] https://www.darpa.mil/program/next-generation-nonsurgical-neurotechnology

ZODIAC IL SERIAL KILLER AMERICANO E IL COSIDDETTO MOSTRO DI FIRENZE SONO LA STESSA PERSONA?

•gennaio 22, 2023 • Lascia un commento

   Sono passati più di cinquant’anni dal primo delitto del cosiddetto “Mostro di Firenze” ma la verità a livello giudiziario non è ancora emersa.

   All’inizio sembrava che questi delitti fossero opera di uno sbandato schizofrenico ma dal delitto del 22 ottobre 1981[1] gli abitanti di Firenze e soprattutto le forze dell’ordine si resero conto che ci si trovava di fronte un maniaco omicida che va a caccia di coppiette appartate nelle notti senza luna. E stavolta l’opinione pubblica toscana è spaventata, poiché si trovava di fronte a una persona organizzata, le cui turbe, per quanto gravi, gli permettono di agire in maniera fredda e lucida. È un pazzo ma non uno schizofrenico. Gli inquirenti hanno ora di fronte qualcosa che in Italia prima di allora, si era visto soltanto al cinema. Un serial killer “all’americana”.

   Il primo a pagare con la galera una parola di troppo fu Enzo Spalletti[2], guidatore di autoambulanze. Spalletti praticava uno “sport” molto in voga nella provincia di Firenze degli anni Ottanta: il guardone, che consisteva nello spiare le coppiette appartate in auto. Durante la notte i guardoni andavano nei boschi a caccia, armate di binocolo a infrarossi e microfoni, per osservare le coppiette che facevano l’amore in auto. Molti di loro, l’indomani, si trovavano nelle taverne per scambiarsi fotografie e registrazioni audio.

   Spalletti la mattina del 7 giugno 1981 prima zappetta l’orto, poi va al bar, dove dice agli avventori di avere visto i corpi delle due vittime. Viene subito arrestato. Tre mesi dopo il “Mostro” colpisce di nuovo a Calenzano. Questo fatto di sangue porta alla liberazione di Spalletti.

   Per sette anni gli investigatori avevano seguito le tracce del “Mostro” a partire dai bossoli trovati nel 1982 in un faldone di un processo per un duplice omicidio maturato in ambiente sardo (quello inerente l’assassinio di Barbara Locci e di Antonio Lo Bianco compiuto il 22 agosto 1968). I bossoli erano identici a quelli rinvenuti sulle scene del crimini del “Mostro” dal 1974 in poi. Ma per il delitto del 1968 esisteva già un colpevole, che era in carcere: il marito di Barbara Locci, Stefano Mele.

   Si pensò che il “Mostro” avuto potesse in qualche modo avere avuto accesso alla pistola usata nell’omicidio del 1968 e averla usata successivamente. Furono arrestati uno a uno tutte le persone che potevano avere partecipato al delitto del 1968: Francesco Vinci, Piero Mucciarini, Giovanni Mele. Fu arrestato anche Salvatore Vinci. Non si trovò nulla.

   Quando i fiorentini scoprono che l’indagato principale della Procura di Firenze è Pierino Pacciani, di mestiere contadino, la gente scuote il capo. Ci vorrà tutto l’impegno dei mass-media per fare accettare ai fiorentini che il Vampa – come era soprannominato in paese – sia l’assassino che aveva terrorizzato la città per un lustro e dal quale i cittadini si sentono ancora minacciati. Ma la Procura della Repubblica guidata da Pier Luigia Vigna ne è certa: il “Mostro” è lui.

   C’è stata una selezione nella ricerca di chi era il “Mostro”. Prima era toccato al guardone, in seguito ai Sardi e adesso a un contadino. L’accusa si mise di impegno per trovare qualcuno che raccontasse qualcosa di compatibile con il quadro accusatorio (un assassino seriale, calmo, lucido e soprattutto sobrio)[3]. Forse Pacciani terrorizzava qualcuno a San Casciano? Nemmeno questo. Si scoprì che il Vampa non le aveva soltanto date le botte ma ne aveva prese e tante: una bastonata nel 1951 da Giampiero Vigilanti un ex della Legione Straniera; molte borsettate da “Cinzia”, prostituta che batteva tra la Via Scopeti e la Cassia; qualche schiaffone dal guardiacaccia Gino Bruni, che Pacciani aveva minacciato con un forcone. Storie di paese, queste, che però appaiono più autentiche delle analisi “scientifiche” sulla “personalità segreta” di Pacciani che giravano sui giornali in epoca processuale.

   L’ex Procuratore generale di Firenze, Piero Tony – che rappresentava l’accusa al processo d’appello sul mostro – chiese l’assoluzione di Pacciani, e l’ottenne.

   L’ex Pg di Firenze ha sempre criticato il metodo che la Procura decise di utilizzare per arrivare all’identità del “Mostro”. Egli sostiene che il meccanismo per il quale si era rivolta l’attenzione su Pacciani fu il seguente: fra le tante cose, si presumeva che il serial killer avesse attirato l’attenzione di qualcuno. Pacciani era stato segnalato da una lettera anonima, egli aveva dei precedenti penali (aveva ammazzato un uomo nel 1951 e aveva abusato per anni delle proprie figlie), abitava a San Casciano e non era in galera quando il “Mostro” aveva ucciso. Si dedusse quindi che Pacciani potesse essere il serial killer.

   Se si stava ai parametri che gli inquirenti si erano dati il nome di Pacciani doveva essere fuori dalla lista dei sospetti. Non rispettava per niente il profilo stilato dai criminologi e al tempo dei delitti non era in salute (aveva avuto un infarto).

   Agli inizi del 1993 nemmeno Ruggero Perugini della Squadra Anti Mostro sembrava essere certo della colpevolezza di Pacciani. Perugini si era appellato pubblicamente al “Mostro” ancora senza volto. Perugini gli aveva offerto una mano per “uscire dall’incubo”. Come reagì all’appello il “Mostro”? Pochi mesi dopo, in aprile, gli investigatori durante una perquisizione trovarono un proiettile calibro 22 nell’orto di Pacciani.

   Durante il processo d’appello, la Corte e la Procura furono avvertite informalmente dal perito della difesa Enrico Manieri, che quel proiettile era un falso poiché era stato caricato su un’arma diversa da quella del killer. La conclusione era ovvia: qualcuno aveva voluto incastrare Pacciani.

   Il quadro accusatorio che il Pm Canessa aveva portato in tribunale crollò pezzo dopo pezzo al processo d’appello. Le testimonianze chiave vennero demolite. La più importante era stata quella di Giuseppe “Joe” Bevilacqua, ex sergente dell’esercito USA con 20 anni di carriera e un turno di servizio in Vietnam, nonché ex agente del Criminal Investigation (CID) dell’esercito e funzionario del cimitero americano di Firenze dal 1974 al 1988.

   Risulta che era presente in California quando indagò sul caso “Khaki Mafia”. Nel 2017, Bevilacqua conservava ancora il libro su questa inchiesta scritto da June Collins e Robin Moore. La vicenda esplose sulla stampa americana l’1 ottobre 1969, in concomitanza con il caso Zodiac. L’indagato di rango più elevato di una sorta di “mafia militare” era il Sergente Maggiore dell’Esercito William O. Wooldridge. I rapporti investigativi della Criminal Investigation Division riportano che le indagini si focalizzarono in Vietnam e California, dove aveva sede Maredem, la società con cui i soldati indagati, fra cui Wooldridge, facevano affari con club e mense militari amministrati da personale corrotto[4].

   Nell’inchiesta furono coinvolti decine di agenti CID in tutto il mondo, fra cui Bevilacqua. Almeno tre indagini si svolsero a San Francisco, a partire dal 1 luglio 1969 fino alla fine del 1970, nell’epoca in cui Zodiac colpì o inviò lettere. Una testimonianza risalente al gennaio 2019 al vaglio degli investigatori conferma che Bevilacqua abbia svolto attività d’indagine sotto copertura mentre era nell’esercito.

   Altre testimonianze potrebbero aggiungersi, se le autorità statunitensi, che finora hanno negato l’esistenza di un dossier investigativo su Bevilacqua nel caso Zodiac, decidessero di verificare la sua presenza a San Francisco tra il 1968 e il 1971. Bevilacqua, nel 1968, era in turno di servizio in Vietnam. Questo però non gli impedì di volare con un’autorizzazione a San Francisco nel dicembre di quell’anno, quando nella vicina Vallejo una coppia di teenager appartati in auto venne uccisa da Zodiac con una pistola calibro 22. Un dettaglio che si aggiunge al fatto che uno dei colleghi di Bevilacqua abbia messo su casa a Santa Rosa, California, fra il 1973 e il 1974, quando Zodiac spedì una lettera dopo un’assenza di diversi anni, citando un delitto avvenuto proprio a Santa Rosa. Inoltre, la madre del genero di Bevilacqua (di San Francisco) abitava a 15 minuti d’auto da dove venne ucciso da Zodiac il taxista Paul Stine, nel 1969. Sul fronte Mostro, non c’è solo il fatto che, nel periodo degli omicidi a Firenze, Bevilacqua abitasse a 10 minuti di cammino dall’ultima scena del crimine del maniaco e a meno di mezz’ ora dalla maggior parte degli altri delitti. Ci sarebbe una prova che frequentasse il quartiere dove risiedeva Susanna Cambi, una delle vittime del Mostro, nei giorni in cui venne uccisa a Calenzano. Per qualcuno, Bevilacqua è un uomo vessato da molte coincidenze sfortunate. A breve, però, rischiano di diventare troppe.

   Dopo la prima condanna, Pacciani fu assolto, scrive a proposito il giudice Ferri: “Pacciani viene condannato in primo grado senza le necessarie prove, sulla base di artifici dialettici, di palesi illogicità, di illazioni e di mere invettive[5].

   Ferri si dimise da giudice in polemica con la magistratura, definendo l’intero processo Pacciani “una colonna infame”. L’assoluzione sarà annullata dalla Cassazione, ma il contadino morirà prima di un secondo processo d’appello, il 22 febbraio 1997.

   Giancarlo Lotti, detto “Katanga” è uno che è abituato a non tornare indietro, nemmeno quando sbaglia. Il fatto di non avere nemmeno la licenza elementare è uno dei motivi per cui deve elemosinare quotidianamente vitto e alloggio. Lotti non tornerà mai indietro sulle sue decisioni, nemmeno sulla testimonianza sui presunti “mostri” di Firenze.

   All’inizio del 1996, mente Pacciani sta per essere assolto, lo Stato – di solito assente – arriva a casa di Lotti (cioè dal prete che lo ospita) gli offre un vero alloggio e uno stipendio. In cambio, Katanga deve fare una sola cosa: diventare il famoso testimone che ha sconfitto il “Mostro di Firenze”. Lotti conosce Pacciani. Sa che è una persona violenta. E poi è avaro: non gli ha mai dato un quattrino in vita sua. È così che Lotti, il quale non ha un soldo né per la benzina né per il vino, accetta e inizia a “cantare”.

  C’è una ragione per cui Katanga è il testimone Beta e non Alfa: la sua testimonianza è successiva a quella del suo amico di “girate”, Fernando Pucci. Il testimone Alfa, Pucci, è l’origine della teoria accusatoria dei “compagni di merende”. Nel gennaio del 1996, Pucci aveva riferito alla squadra anti-Mostro guidata allora da Michele Giuttari che lui e il suo amico Lotti avevano visto Pacciani agli Scopeti, l’8 settembre 1985. Viaggiavano sull’auto (non assicurata) di Lotti. Si erano fermati alla piazzola dove erano i francesi per orinare, poi – racconta Pucci a processo – “si sentì uno, due spari, e s’andò a vedere che c’era”.Nel video girato al processo, le immagini successive al momento in cui Pucci racconta questa storia, si soffermano sul suo amico Katanga, in Aula, che alza la mano e dice: “Quelle cose, le ho raccontate io a Fernando”. La storia che Pucci ha appena raccontato è inventata: non era a Scopeti. E Pucci stesso conferma subito le parole dell’amico: “Sì, queste cose me le ha raccontate Lotti”. Ormai è chiaro a tutta la Corte che il certificato di oligofrenia (ovvero demenza) della Regione Toscana che Pucci aveva esibito prima di testimoniare gli era stato dato per un motivo.

   L’ex procuratore Tony commenta la decisione di portare a processo Alfa e Beta così: “Lasciamo perdere Pucci, che – poveretto – aveva una malattia mentale. Rammento però che quando venne fuori il nome di Lotti, il prete che lo aveva in carico chiamò in Procura per avvertirci di non ascoltarlo”. Eppure sarà proprio lui, Beta, il pilastro (l’unico rimasto, dopo l’exploit di Alfa) della teoria dei cosiddetti “Compagni di merende”. Un gruppo composto dal contadino Pacciani, l’analfabeta Lotti e il postino Mario Vanni, detto Torsolo.

   Osserva Tony che: “Né Torsolo, né Katanga sapevano sparare», e nessuno di loro aveva il fisico o la mente del serial killer. Nemmeno Pacciani”. Nessuno di loro, il 9 settembre 1983, con una damigiana di vino rosso sullo stomaco e un cuore infartato, sarebbe mai riuscito con un solo caricatore a colpire a morte i due giovani tedeschi Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch al buio, e attraverso le lamiere di un pullmino Volkswagen.

   Conclude Tony che “Lotti ha sbagliato più volte a ricostruire le dinamiche degli omicidi Talvolta le sue menzogne sono odiosissime. Come quando sul delitto di Vicchio del 1984, nel quale persero la vita Pia Rontini e Claudio Stefanacci, racconta che la ragazza sia morta urlando e gemendo. Ma tutte le perizie dei medici legali dicono che Pia ha immediatamente perso conoscenza”.

   Racconta Nino Filastò all’epoca avvocato di Mario Vanni: “È un dato storico il fatto che nel processo ai “Compagni di merende” non ci fu una sola prova di colpevolezza che suffragasse le testimonianze. Anzi. Semmai ci sono le prove scientifiche del contrario. Una di queste, fu trovata da un certo “De Gothia”. Dietro a questo nickname si nascondeva un brillante “mostrologo” che per anni si è dedicato allo studio dei delitti del Mostro, divulgando le proprie indagini in pubblicazioni semi-clandestine sul web. De Gothia demolisce la testimonianza di Lotti partendo da un’immagine scattata da Ennio Macconi, fotografo de La Nazione, il 22 giugno 1982, all’indomani del delitto “numero 4” del Mostro. La fotografia immortala l’auto delle vittime, sotto sequestro nel parcheggio dei Carabinieri di Signa, e dimostra scientificamente che Lotti ha semplicemente “copiato” la versione degli inquirenti. Ma non ha visto nulla.

   La Fiat 147 nella quale Paolo Mainardi e Antonella Migliorini furono uccisi nel 1982 era stata trovata dai soccorritori e dalle forze dell’ordine pochi minuti dopo il delitto, in un canaletto di scolo che fiancheggiava la strada, nella parte opposta a quella dove le vittime l’avevano parcheggiata. Lo sportello del guidatore era bloccato.

   Gli inquirenti, la stampa e Lotti hanno sempre sostenuto che i “Compagni di merende” abbiano aggredito la coppia e, quindi, che Paolo, nel tentativo di fuggire, sia finito fuori strada in retromarcia con l’auto. Le cose non andarono così. De Gothia smonta puntualmente la ricostruzione ufficiale del delitto, sulla base della legge di gravità. Nella fotografia scattata da Macconi all’auto delle vittime appare nitidamente una colatura di sangue perpendicolare al terreno sulla parte inferiore dello sportello del guidatore, all’altezza della guarnizione. Il sangue è colato sulla carena mentre l’auto era in piano e lo sportello era aperto. L’auto però fu ritrovata in posizione obliqua e con lo sportello chiuso e bloccato. Siccome il sangue rapprende in sei lunghi minuti, le vittime non potevano che essere già ferite a morte quando il killer aveva richiuso la portiera dell’auto. Evidentemente, conclude De Gothia, era stato il “Mostro”, non Mainardi, a guidare l’auto fuori dalla piazzola, sbagliando manovra e finendo nel canaletto. Lanciare con rabbia le chiavi dell’auto e sprecare tre proiettili – come il “Mostro” fece uno per fanale e uno sul parabrezza, dopo un simile scivolone, era sicuramente più logico che farlo prima di avere ammazzato i due ragazzi.

   Lotti ha mentito. Questa è una prova scientifica. Non opinabile come lo erano, a parere della Corte, le altre sei testimonianze di quella sera che contraddicono la versione del testimone Beta.

 

   Stando alle parole di Lotti, lui e i suoi conoscenti si spostavano per le stradine del Mugello e del Chianti con un intero parco macchine, per pianificare e portare a termine i loro delitti. “Secondo Lotti, la sera del 19 giugno del 1982 avrebbero parcheggiato due automobili lungo il rettilineo di Via Virginio Nuova», racconta Francesco Cappelletti, scrittore e specialista del caso Mostro, «ma nessuno le ha viste. Come è possibile?”.

   Via Virginio è una striscia d’asfalto che si snoda per chilometri nelle campagne del Chianti. Il punto dove fu ritrovata l’auto di Mainardi è al centro di un tratto lungo centinaia di metri e senza traverse, a parte una vicolo chiuso. Commenta Cappelletti: “Eppure furono ben cinque i testimoni oculari che, quella sera, non videro né “Compagni di merende””. Prosegue lo scrittore: “I testimoni procedevano sulle loro automobili in direzione opposta lungo il rettilineo. Notarono la Fiat 147 delle vittime prima e dopo che fosse finita nel canaletto, ma non i due veicoli citati da Lotti. L’intervallo delle testimonianze è di pochi minuti. Se nessuno di loro ha visto uno dei Compagni di merende, né ha mai incrociato una delle loro automobili, è perché Lotti ha mentito”.

   A suffragare il fatto che Lotti abbia raccontato una grossa frottola, oltre alla forza di gravità e agli occhi dei cinque ragazzi che quella sera videro la scena del crimine prima e dopo lo “spostamento”, c’è un sesto testimone, Lorenzo Allegranti, il barelliere che quella notte soccorse le due vittime. Allegranti ha sempre sostenuto che il ragazzo agonizzante si trovasse sul sedile posteriore e non su quello anteriore dell’auto, dove invece avrebbe dovuto trovarsi, secondo il racconto di Lotti. La testimonianza di Allegranti fu ignorata dalla Corte. Contro il parere della Procura generale guidata da Piero Tony (cioè l’accusa), la sentenza definitiva del Tribunale di Firenze trasformò il serial killer delle coppie, solitario, freddo e calcolatore, che sfidava con successo la polizia, in una grottesca combinazione fra l’” anima nera”, colta e secolare di Firenze, e una combriccola di avventori della Taverna del Diavolo di Scandicci che uccideva su commissione di una corrente deviata di una loggia massonica.

   Dal singolo assassino su cui tutta la scienza criminologica puntava (e punta) il dito, si era passati via via a una comunità di peccatori più grande, senza mai arrivare al colpevole. Non è un caso che l’unica verità processuale esistente – ad oggi – è che non esiste alcun colpevole materiale dei delitti addebitati al “Mostro di Firenze”.


  Vanni e Lotti, complici del sospetto “Mostro” Pacciani, non vennero condannati per tutti i delitti. Per questa ragione, l’inchiesta non si è mai conclusa. Nel 2017, un esposto in Procura dell’avvocato di parte civile Vieri Adriani aveva portato gli investigatori guidati prima dal Pm Canessa e, poi, dal Procuratore Aggiunto di Firenze Luca Turco a mettere sott’occhio l’ex legionario Vigilanti e alcune sue amicizie.


   Cappelletti elenca una serie di circostanze che portano a riflettere sugli errori di Carabinieri e polizia e sulla reale identità del serial killer: “L’ultimo delitto del Mostro è importantissimo per le indagini. Oltre ad essere l’ultimo delitto “ufficiale” del serial killer, è anche l’unico duplice omicidio in cui l’assassino ha nascosto le vittime, invece di ostentarle. Perché?”. Non è l’unica domanda che riguarda le anomalie del delitto degli Scopeti. “Nadine Mauriot era una donna sulla trentina, benestante. Jean-Michel un ragazzo più giovane di lei, che amava l’avventura e suonare la batteria. Quando arrivarono a Scopeti il 6 settembre 1985, decisero di piantare la tenda lì. Per quale motivo? Avevano incontrato qualcuno? Cosa avrebbero potuto visitare, lì?”. Le uniche due attrazioni accessibili velocemente usando l’automobile dalla piazzola dove i francesi avevano piantato la tenda erano il Cimitero monumentale americano e la casa dove Machiavelli scrisse il Principe. Per visitarle sarebbe bastato loro un giorno. Commenta Cappelletti: “Senza alcun motivo apparente Nadine e Jean-Michel, sono rimasti per ben tre giorni in una piazzola sporca, di fianco a una strada trafficata e distante svariati chilometri da Firenze. Perché?”. La risposta a questo quesito potrebbe essere la chiave della soluzione del caso.

   Cappelletti nota che non fu trovato nessuno degli oggetti per la toilette delle vittime, nella tenda e nell’auto: commenta Cappelletti: “Dai verbali non risultano repertate né bottiglie d’acqua né cibo. Nessun dentifricio o spazzolino. Non avevano né sapone né deodorante”.

   Che Nadine fosse una persona pulita lo dimostrano le sette mutandine che i Carabinieri elencano fra i suoi effetti personali. Più di una per ogni giorno del suo viaggio in Italia con Jean-Michel. Possibile che si fosse dimenticata il necessaire per lavarsi e non l’avesse comprato? A meno di una svista clamorosa dei Carabinieri (o di un segreto investigativo) il killer portò via ogni possibile elemento che potesse far risalire con certezza al giorno dell’omicidio. Spiega Cappelletti: “Collima con l’occultamento dei corpi delle vittime”.

   A conferma dell’astuzia del “Mostro” c’è il fatto che nonostante sulla scena del crimine del 1985 per la prima volta fosse intervenuto uno specialista, il professor Francesco De Fazio, l’assassino riuscì effettivamente nell’intento di ingannare gli inquirenti (e il “testimone” Lotti). “Una recente inchiesta del giornalista Paolo Cochi, basata sulle osservazioni di esperti entomologici, ha dimostrato tramite lo studio delle larve di mosca carnaria fotografate sui cadaveri delle vittime a pochi giorni dal ritrovamento che la data dell’omicidio di Scopeti è quasi sicuramente sbagliata. Nadine e Jean-Michel non furono uccisi l’8 settembre – come sostenevano l’accusa e Lotti nel processo ai “Compagni di merende” – ma uno o addirittura due giorni prima”.

   Conclude Cappelletti: “L’ipotesi è suffragata dagli scontrini ritrovati fra gli effetti personali dei francesi. Ne sono stati ritrovati molti, uno per ogni giorno del loro viaggio in Italia. I più recenti attestano la loro presenza la mattina del venerdì a Tirrenia, al ristorante La Terrazza, e poi a Pisa. Non è stato trovato alcuno scontrino risalente a sabato e a domenica”. Forse perché, la mattina di sabato 7 settembre, Nadine e Jean-Michel erano già morti.

   Le bugie del testimone Beta sono arrivate a toccare il farmacista di San Casciano Francesco Calamandrei, che in quei giorni è sotto inchiesta come fantomatico “mandante” dei Compagni di merende. Cadranno tutte le accuse, ma l’assoluzione definitiva non farà molto rumore.

   Vanni non ha mai parlato del “Mostro”, in un’aula di tribunale. Al processo, si era limitato a professare la propria innocenza e a mandare a quel paese i giudici e i Pm, appellandosi prima a Mussolini e poi a Gesù Cristo. Quando conversa con Nesi, l’ex impiegato delle Poste di San Casciano è già condannato in via definitiva. Non ha alcuna ragione per mentire. Parlando con il suo amico (il quale cerca di fargli ammettere che il “Mostro” è Pacciani) Vanni a un certo punto esplode con un: “Ma non è stato Pacciani!”.  Torsolo difende con decisione il Vampa. Nesi è sorpreso. Poi al postino sfugge un’informazione che non si era mai sentita prima di allora. Dice: “È stato il nero, Ulisse, l’americano. È stato lui che li ha ammazzati tutti e 16, quella belva feroce”. Nesi è sconcertato: “Storie da grand’hotel”. Ma Vanni rincara: “È vero: veniva dall’America”.

   Il pm Paolo Canessa dovrebbe fare un salto sulla sedia quando sente questa registrazione. La memoria degli inquirenti torna in un lampo al delitto di Calenzano del 22 ottobre 1981, a quei giorni in cui per la prima volta le cronache italiane sono contraddistinte dal vocabolo “serial killer”. Ricordano l’esclamazione di un anonimo detective: “Questa è un’americanata!”. Canessa chiede a Nesi di approfondire. Il postino non aggiunge nulla di più. Se ha accusato Ulisse, lo ha fatto perché non sapeva di essere intercettato. Quando al processo a Calamandrei l’accusa gli domanderà del misterioso americano, Vanni ripeterà la stessa storia, senza dire altro. All’indomani delle intercettazioni, la squadra di polizia capitanata da Michele Giuttari aveva interrogato una conoscente di Lotti, Patrizia Ghiribelli, e aveva ritenuto che l’americano di cui parlava Vanni fosse Mario Parker, uno stilista gay di colore residente in Via dei Giogoli a Villa “La Sfacciata”. “Lo chiamavano “Uly”aveva raccontato la ben poco attendibile Ghiribelli.

   Nel 2016 la Radford University ha calcolato che la maggior parte dei serial killer ha un’intelligenza sopra la media e che il 67,58 per cento di loro ha un passaporto statunitense[6]. È un fatto che il Mostro sia uno dei pochi serial killer che abbia preso di mira le coppie appartate, un caso raro, se non unico, in un Paese mediterraneo. E fu proprio questo il principale problema posto agli investigatori dai delitti del serial killer. Un’anomalia enorme, sottolinearono all’unisono i criminologi che si occuparono per primi del caso. L’antropologo Tullio Seppilli, intervistato poco dopo il secondo duplice omicidio, ascrisse il delitto a una matrice “anglosassone”. Notizie sui maniaci delle coppiette si incontrano scorrendo le cronache degli Stati Uniti e dei Paesi nordici europei. Non quelle italiane, a eccezione del “Mostro di Firenze”. Che cosa c’entra un “lovers’ lane killer” con Firenze? Vanni aveva raccontato qualcosa di inedito, ma coerente con l’anomalia riscontrata. Chi poteva essere “l’uomo del bosco” che si presentò a Pacciani come Ulisse?

   Il mito racconta che l’eroe dell’Odissea di Omero, re dell’isola di Itaca, abbia portato le truppe greche alla vittoria contro la città di Troia grazie a un trucco. Con l’aiuto della dea Atena, lo “scaltro Odisseo” aveva ideato e fatto costruire – racconta Omero – un enorme cavallo di legno in onore dei nemici troiani. I greci avevano simulato una resa. Gli abitanti della città rallegrandosi dell’apparente vittoria, portarono all’interno delle mura il cavallo, non sapendo che nascondesse all’interno i soldati greci. Troia fu distrutta. Vinta la guerra – nel secondo volume dedicato alle sue gesta – l’eroe di Itaca affronta insieme ai suoi uomini un lungo viaggio costellato di disavventure per tornare in patria, perseguitato dall’ira di Poseidone, fratello di Zeus e dio degli abissi marini. Giunto a casa, Ulisse massacra i “proci” che insidiavano l’amata moglie Penelope. Finalmente la famiglia è riunita.

   Non è spiegabile come l’opera di Omero possa essere entrata a far parte delle cronache dei “Compagni di merende”, se non perché l’episodio narrato da Vanni è vero. Quello che sconcerta del suo racconto, oltre al fatto che sia congruo con le prime impressioni degli investigatori e con le deduzioni dei criminologi, è che fra i nomignoli dei semi-analfabeti che componevano il gruppetto dei compagni di “girate” (e non solo di “merende”) di San Casciano – Vampa, Torsolo e Katanga – il nome di Ulisse spicca come un cuculo in un nido di passeri. Non può essere una loro invenzione.

   Nella storia apparentemente sconclusionata di Vanni, Ulisse, dopo avere incontrato Pacciani nel bosco e avergli confessato di essere l’autentico serial killer di Firenze, avrebbe consegnato la pistola – la famosa Beretta – al «Procuratore che conta» e poi si sarebbe suicidato. Riascoltando le intercettazioni, le domande che negli anni si sono fatti gli inquirenti sono pressappoco le seguenti: perché Pacciani non aveva mai parlato di questa storia? Per paura? Di cosa? Se Ulisse era morto, perché nessuno aveva mai raccontato nulla agli inquirenti?

   La verità è che in quel bosco di San Casciano, alla periferia di Firenze, il Vampa doveva essersi reso conto di avere fatto la conoscenza con l’uomo più terribile, folle e astuto che avesse mai incontrato nella sua esistenza. Un uomo che incarnava il “Male” con la maiuscola, secondo il contadino. Nessuno avrebbe mai creduto al Vampa, se avesse raccontato quella storia, a parte il suo amico Torsolo, a cui forse non disse tutta la verità. Quale poteva essere l’obiettivo di Pacciani? Se si pensa che per scagionare Pacciani sarebbe bastato un bossolo firmato dalla pistola del Mostro spedito alla Procura, è possibile ipotizzare che questo fosse l’obiettivo del contadino, chiedere aiuto a Ulisse in cambio del suo silenzio.

   Sarebbe tutto filato liscio, per Ulisse, se alla fine il postino di San Casciano non avesse cantato e se non fosse stato individuato. Ma nemmeno l’americano – con la sua intelligenza – avrebbe potuto sapere quarant’anni fa che una legge del suo Governo avrebbe obbligato l’Fbi e gli uffici di polizia americani a rendere pubblici migliaia di documenti, pagine e pagine di investigazioni che risalivano fino ai suoi primi anni di attività negli anni Sessanta. Non poteva prevedere nemmeno l’avvento di Internet, grazie al quale quelle informazioni sarebbero state rese immediatamente disponibili a milioni di persone. Ulisse non poteva sapere che dagli inizi degli anni 2000, decine di siti web avrebbero iniziato a condividere documenti, a pubblicare verbali e atti processuali, come, per esempio, da anni fa il sito insufficienzadiprove.blogspot.com sul caso Mostro.

   Ulisse se lo augurava, ma non poteva saperlo, che la sua fama sarebbe diventata mondiale e che il libro che nel 1986 rese celebre un quasi anonimo vignettista del San Francisco Chronicle, Robert Graysmith, sarebbe diventato vent’anni più tardi l’ispiratore di un film mondiale di successo. Una pellicola diretta dal Golden Globe David Fincher che avrebbe portato migliaia di persone ad appassionarsi ai suoi enigmi e a mettersi sulle sue tracce.

   Del Killer dello Zodiaco – come è impropriamente chiamato in Italia – si possono dire molte cose, tranne che non avesse fatto l’inimmaginabile per la fama. A partire dal 1969, l’assassino seriale che aveva copiato la sua firma comprensiva di croce celtica da una marca di orologi per subacquei, la Zodiac, inviò un diluvio di lettere cupe e sarcastiche, terrorizzando gli abitanti della Bay Area di San Francisco con minacce e indovinelli sinistri pubblicati sulle gazzette locali. This is the Zodiac speaking (Qui è Zodiac che parla) si annuncia in tutte le sue lettere ufficiali, ad esclusione della prima e dell’ultima. Errori grammaticali facevano parte del suo stile letterario, sarcastico e cupo. “L’ho sempre detto che sono crack-proof” ironizzava il criminale nel 1971, quando nessuno era ancora riuscito a decifrare la sua identità. All’epoca, sosteneva di avere già ucciso 17 persone. Sicuramente aveva aggredito tre coppie di giovani, una ragazza e un tassista. Sei erano i morti accertati.

   Quando tutto ebbe inizio, il 31 luglio 1969, ai giornalisti del San Francisco Chronicle, del San Francisco Examiner e del Vallejo Times Herald appariva poco credibile quell’assassino che nelle sue lettere minacciava di uccidere qualcuno se non gli avessero dato la prima pagina. Per provare di avere ucciso “la coppia di ragazzi al Lake Herman il 20 dicembre scorso e la ragazza al Golf Club a Vallejo il 4 luglio”, l’autore della lettera aveva riportato “alcune cose che solo io e la polizia sappiamo…”. Il killer pretendeva che i quotidiani pubblicassero anche un suo testo cifrato, altrimenti sarebbe andato «in giro a togliere di mezzo i vagabondi o le coppie appartate, poi proseguirò ammazzando altri, sino a quando non avrò ucciso una dozzina di persone

   Alla fine, si dimostrò che l’autore delle lettere non mentiva sulle rivendicazioni. Era veramente l’autore dei due agguati alle coppie di teenager a Vallejo. Nelle tre parti di codice inviate ai tre quotidiani – decifrate da due insegnanti, i coniugi Donald e Bettye Harden – il killer sosteneva che fosse «molto divertente» uccidere essere umani e sosteneva che le sue vittime lo avrebbero servito in «paradiso». Gli ultimi 18 caratteri del testo non furono decifrati.  

   L’apice del confronto fra Zodiac e chi gli dava la caccia fu raggiunto l’11 ottobre del 1969, quando in una ricca zona residenziale in pieno centro di San Francisco, dopo avere ucciso con un colpo di pistola alla nuca il tassista Paul Stine, il killer si prese del tempo per tagliare la camicia della vittima e allontanarsi lentamente dalla scena del crimine, in Washington Street. Non passarono nemmeno due minuti. Un uomo con la corporatura robusta, lo stomaco prominente e una faccia sulla quale spiccavano occhiali a montatura spessa – una faccia che, in seguito, fu definita “normale” dai testimoni – venne fermato da una volante della polizia a sirene spiegate.

   Un agente di polizia gli chiese se avesse visto una persona dall’apparenza sospetta, armata, correre da qualche parte negli ultimi cinque minuti. L’uomo rispose qualcosa come: “Certo, è andato di là”. Accadde quello che di norma si vede nei film: i poliziotti ringraziarono il serial killer per le indicazioni e si lanciarono all’inseguimento di un fantasma. L’uomo “normale” continuò a camminare lentamente, scomparendo nel parco della base militare del Presidio, “per non essere più visto”.

   Per guadagnare la prima pagina, Zodiac si spinge ancora più in là, minacciando di far saltare uno scuolabus con una bomba. Poi, attorno al 20 dicembre, qualcuno che dice di essere Zodiac telefona a casa dell’avvocato Melvin Belli chiedendo di lui, ma non lo trova. Spiega l’assassino alla segretaria di Bell “Non posso aspettare oggi è il mio compleanno”. Alza il livello della sfida sino a invitare i “maiali” dell’Sfpd (il Dipartimento di Polizia di San Francisco) a decifrare i 13 simboli con cui era composto il suo nome. Le sue uniche “impronte digitali” lasciate sulla corrispondenza sono il suo sarcasmo, la sua perfidia, gli errori ortografici strani, come “cid” al posto di “kid” (bambino), e le parole in cui è contestuale la presenza del trattino e di una doppia consonante mancante (disap-eared, dif-icult, discon-ect).

   Per trovare Zodiac, molte agenzie sono chiamate a collaborare al caso, vengono scandagliate le vite di centinaia di persone. Di concreto i detective hanno i suoi identikit, le sue lettere e, forse, alcune impronte parziali di palmi di mano. È molto probabile che Zodiac abbia trascorsi militari. I suoi messaggi cifrati? Eccetto il primo, non hanno trovato alcuna soluzione. Il killer non ha lasciato tracce o indizi sulle scene del crimine che possano portare alla sua identificazione, a parte le impronte parziali di una mano, di uno scarpone militare con suola lunga 30 cm. A Vallejo, San Francisco, sul Lake Berryessa, è stato visto. I testimoni oculari divergono solo sul colore dei capelli: castano quasi biondi, castano scuri, rossi. Viene descritto come un uomo sul metro e 72 centimetri, con un grosso stomaco. A San Francisco e soprattutto sul Lake Berryessa, dove ha agito in pieno giorno, però ci sono le testimonianze oculari. In entrambi gli identikit corrispondono, fatta eccezione per i capelli. A Napa lo descrivevano come una persona robusta, alto circa 1 metro e 80 centimetri, con un grosso stomaco e con i capelli scuri, con una riga sul lato sinistro.

   Nel 1974, sulle tracce di Zodiac ci sono gli sceriffi di tre contee e i dipartimenti di polizia di due città, il Dipartimento di Giustizia, il giornalista del Chronicle Paul Avery e il vignettista Robert Graysmith. Zodiac ha ottenuto quello che vuole: la fama.

   Nel 1971 il killer della Bay Area era già diventato “Scorpio”, in un film dell’ispettore Callaghan, Dirty Harry[7]. Hollywood già lo aveva ad archetipo del serial killer enigmatico. Scaltrezza, intelligenza e sangue freddo facevano in lui da contraltare alla vigliaccheria e alla malvagità dei suoi crimini. Era il “malvagio” perfetto.

   Una personalità fitta di aculei velenosi, quella di Zodiac, che aveva mostrato poche sfumature di umanità: la passione per le sfide e per i libri, per esempio. Il suo ultimo “conteggio dei morti” si attesta a 37 vittime rivendicate. Nella primavera del 1974, manda ancora due lettere sarcastiche, firmate come anonimo “cittadino” e “amico”. È un super-ricercato. Sparisce. Non è morto. Non è in galera. Non si è pentito. Probabilmente ha cambiato nazione.

   Quando la mattina del 15 settembre 1974, alle Fontanine di Rabatta, una piazzola a migliaia di chilometri di distanza dalla west coast americana, i Carabinieri si trovano di fronte ai corpi di Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore, nessuno sa ancora che l’autore del delitto è un serial killer. I fori della calibro 22 che l’uomo ha usato per esplodere i colpi sui teenager sono così piccoli da far pensare a un punteruolo. La ragazza, sopravvissuta ai proiettili, è stata uccisa con quattro coltellate. Il suo corpo, poi, è stato martoriato novanta volte con la punta della lama. La violenza usata nei suoi confronti è tale da far pensare in un primo momento a un delitto passionale. Poi però si scopre che, di quelle coltellate, la maggior parte sono superficiali. Non è ira. È in uno stato di psicosi acuta che il killer, dopo avere ucciso Stefania, l’ha spogliata, ha trafitto più volte il suo corpo con la lama e lo ha lasciato nudo sul prato, con le gambe divaricate e un tralcio di vite nella vagina. Il maniaco ha ripiegato i suoi vestiti, come se fossero gli abiti apparentemente ritirati in lavanderia quel giorno da Pasquale, e li ha lasciati a qualche metro di distanza dal corpo di Stefania.

  Quel killer sette anni più tardi diventerà il “Mostro di Firenze”.

   Dal 1981 il Mostro inizierà a mutilare il corpo delle ragazze. Non si sa se Zodiac, in quanto tale, abbia mai mutilato una vittima. Non si sa. È vero semmai che il Mostro abbia portato a compimento la minaccia che fece Zodiac, a Riverside, in una lettera del 29 novembre 1966 inviata al giornale locale e al capo della Polizia: “Taglierò le sue parti femminili e le lascerò per tutta la città”.

   Infine Zodiac e il Mostro prediligono usare nei propri delitti scarponi militari. Niente di che, ma quando si scopre che la taglia delle impronte degli scarponi Wing Walker repertate sul Lake Beryessa, il 27 settembre 1969, e quella degli anonimi scarponi tecnici trovata a Calenzano, in Italia, dodici anni più tardi è quasi la stessa (44), si va ben oltre le analogie. Forse però nessuno avrebbe mai sospettato che il “Mostro” fosse qualcosa di più di un perfetto imitatore di un serial killer americano, se Ulisse fosse riuscito a resistere alla tentazione di comunicare a tutti che il “Mostro” è davvero lui, Zodiac.

   Se fosse vera, la teoria dell’uomo in divisa con una “doppia personalità” giustificherebbe in parte come questo serial killer sia stato in grado di raggirare per mezzo secolo due intere nazioni. Da solo è riuscito a beffare gli sceriffi e i dipartimenti di polizia di mezza California, i Carabinieri, la polizia, la Procura di Firenze, i servizi segreti, la Cia, l’Nsa, l’Fbi, e –naturalmente – i suoi colleghi di lavoro e la sua famiglia. Personalmente ho dei dubbi.

   Il coinvolgimento del militare americano nei delitti inerenti al cosiddetto “Mostro di Firenze” nasce bel maggio del 2018, quando il giornalista freelance Francesco Amicone pubblicò sulla rivista Tempi, fondata e diretta dal padre Luigi, una propria inchiesta tesa a dimostrare che il serial killer americano Zodiac e il Mostro di Firenze” fossero la stessa persona[8].

   Ma la “pista americana “non è andata avanti, in procura a Firenze. Ed è invece arrivata alla conclusione quella per diffamazione a carico del giornalista, che è stato querelato da Bevilacqua (assistito dall’avvocato Elena Benucci) per i contenuti di una trentina di articoli scritti direttamente da Amicone o redatti riportando le sue tesi, pubblicati fino al maggio del 2021.

   C’è da chiedersi se questa storia (molto cinematografica) che farebbe coincidere il serial killer Zodiac con il “Mostro di Firenze” sia l’ennesimo depistaggio (fatto da un esperto di guerra psicologica che mette assieme verità e menzogne utilizzando persone inconsapevoli).

   Questa pista rimuove il fatto che il 3 agosto 1993 in Via Sant’Agostino 3 a Firenze, il proprietario dell’immobile, il marchese Bernardo Lotteringhi Della Stufa, era appena tornato in possesso dei locali che il padre, morto da poco, aveva concesso in uso ad una persona a cui era molto legato: Federigo Mannucci Benincasa, un colonello dei carabinieri che per oltre vent’anni è stato capocentro del SISMI (servizi segreti militari) a Firenze. Mentre con un falegname, stilava l’elenco dei lavori da fare per ammodernare un monolocale posto esattamente sotto l’alloggio dato a Federigo Mannucci, il marchese incuriosito per degli scatoloni pesantissimi infilati nel ripostiglio. Dentro, avvolti nella carta di giornali datati tra gli anni Cinquanta e Ottanta, c’erano munizioni e armi ben oliate, un vero e proprio arsenale.

   Oltre alle armi e alle munizioni trovate negli scatoloni, furono rivenuti due barattoli di latta con un buco al centro del coperchio. Contenitori identici erano stati fatti trovare in una valigia sul treno Taranto-Milano, in quella che era stata definita l’operazione “Terrore sui treni” che sarebbe dovuta servire a costruire unna falsa pista investigativa per non arrivare ai colpevoli della strage del 1980.

  Nella valigia c’era anche un mitragliatore Mab.   Il pentito della banda della Magliana Maurizio Abbatino, dopo il suo arresto a Caracas nel gennaio 1992, riferirà che un’arma di quel tipo era stata consegnata a Massimo Carminati e questi non l’ha più restituita. E pure nel deposito della banda, c’erano gli stessi barattoli da conserva con il buco sul tappo per farci passare la miccia. Nella sentenza Cavallini, si raffigura la figura di Federigo Mannucci Benincasa e del suo ruolo depistante e assai oscuro che tenne nel corso delle indagini inerenti alla strage di Bologna.

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   Analizzando la lista del sequestro delle armi del 1993, i carabinieri si sono accorti che negli scatoloni nel ripristino c’era anche una scatola con dentro 25 colpi di proiettili Winchester serie H, stesso modello e calibro (il 22) di quelli usati negli otto duplici omicidi avvenuti nella campagna toscana tra il 1968 e il 1985.

   E’ anche vero, però, che proiettili di quel genere era possibile trovarli in uso a diversi personaggi, militari, frequentatori di poligoni di tiro anche della zona. Come, d’altronde, potevano essere corrispondenti quelli che vennero ritrovati a casa di Giampiero Vigilanti a Prato. Vigilanti, già appartenente alla Legione Straniera francese, che è stato uno dei vari sospettati del compimento degli omicidi.

   Gli ultimi tre duplici delitti del “Mostro” avvennero nel 1983 nella frazione di Galluzzo appena fuori Firenze, nel 1984 alla Boschetta di Vicchio di Mugello e nel 1985 a Scopeti di San Casciano Val di Pesa. Qualcuno lega a questi omicidi anche quello della coppia uccisa nel 1984 nella Valle del Serchio a Sant’Alessio vicino Lucca. Ma non è questa la sede per ripercorrere le migliaia di dettagli che compongono la vicenda del “Mostro” e le sue ingarbugliate diramazioni e teorie, ci limiteremo per questo a toccare solo gli elementi più inerenti la nostra ricerca. E non ci dipaneremo neanche nelle decine di assassinii avvenuti a Firenze fino ancora a pochi anni fa, molti dei quali considerati come “morti collaterali” del caso del Mostro.

  Alcuni dei delitti attribuiti al cosiddetto “Mostro di Firenze” avvennero nelle adiacenze di grandi e chiacchierate ville nobiliari. Secondo testimonianze ed ipotesi di indagine, indicibili festini a sfondo esoterico, sacrificale, sessuale pare si svolgessero in queste tenute alla presenza di personaggi aristocratici e borghesi ed in conseguenza di ciò avvenivano quindi i duplici delitti nella campagna fiorentina. La zona incriminata era quella della Val di Pesa dove, soprattutto a San Casciano, si incrociano vari personaggi legati ai fatti. Per alcune tesi investigative entrano in scena medici, farmacisti, nobili, come mandanti degli omicidi mentre un fitto sottobosco di guardoni rientrerebbero nella vicenda come autori materiali. 

   Secondo alcune ipotesi di indagine, almeno un paio di rampolli di queste famiglie furono considerati esser compromessi negli omicidi seriali. Uno dei segni che contraddistingueva i delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze” era il furto di feticci, parti dei corpi femminili asportati in alcuni delitti e mai più ritrovati, considerati materiale imprescindibile per poter svolgere i rituali di queste cerimonie mascherate da ricevimenti di gala. Alcune voci davano questi feticci conservati, a seconda delle diverse memorie delle comparse testimoniali, in due location differenti, entrambi però riconducibili ad un medico appartenente ad una nota famiglia perugina, Francesco Narducci.

   I pedinamenti effettuati, non si sa a quale titolo essendo appartenente ad un’altra unità territoriale, dal Capo della Squadra Mobile di Perugia Luigi Napoleoni nei confronti del medico portarono ad un appartamento in via dei Serragli a Firenze. Immobile, tra l’altro, ubicato a meno di cinque minuti a piedi dal covo Sismi di via Sant’Agostino ed inoltre, secondo alcune voci, location di una violenza sessuale commessa da un certo Paolo Poli. Collega di Napoleoni sulle indagini sul medico perugino fu Emanuele Petri, Sovrintendente di Polizia che nel 2003 fu poi ucciso sul treno Roma – Firenze all’altezza di Castiglion Fiorentino durante uno scontro a fuoco con le BR PCC, le stesse che uccisero Massimo D’Antona e Marco Biagi in precedenza. L’altro luogo dove risulterebbero esser stati visti i feticci umani conservati nella formaldeide, sarebbe una vecchia casa colonica nei dintorni di Sambuca Val Di Pesa. Proprio nella zona dove il suocero del dottor Narducci, Gianni Spagnoli, possedeva una azienda dolciaria. La famiglia Spagnoli oltre la fabbrica di caramelle “Fruttosello” in Val di Pesa era anche titolare di un impero finanziario del quale erano parte integrante la ben più nota fabbrica di cioccolata “Perugina”, la casa di moda “Luisa Spagnoli”, il parco divertimenti per ragazzi “Città della Domenica”, il “Perugia calcio” senza tralasciare gli stretti collegamenti parentali con l’azienda alimentare “Buitoni”.

   Francesco Narducci pare frequentasse la Val di Pesa sia per le numerose amicizie che aveva nei dintorni, nate magari durante i mesi trascorsi a Firenze nel 1974 come militare di leva prima di esser riformato, sia anche per far visita all’azienda appena citata appartenente alla famiglia della moglie. A San Casciano sembra che uno dei suoi migliori amici fosse il patrizio don Roberto Corsini, il latifondista ucciso nel 1984, secondo la versione acclarata, dal figlio del suo fattore dopo esser stato scambiato per un bracconiere dal Conte stesso. Secondo alcune opinioni diffuse, proprio il nobiluomo era invischiato nella serie di omicidi delle coppiette. Delitti che cessano definitivamente l’anno dopo la sua morte ed un mese prima di quella del medico Narducci avvenuta nel 1985, ufficialmente annegato al largo del lago Trasimeno nel triangolo tra Sant’Arcangelo, l’isola Polvese e San Feliciano dove la sua famiglia era proprietaria di una villa. Sono numerose le versioni che ritengono il ritrovamento del corpo del medico perugino un falso storico dedito a nascondere i veri motivi del decesso, considerando questo scambiato con quello di uno sconosciuto, presumibilmente di un messicano senza famiglia conservato a Perugia in attesa di esser sbloccato burocraticamente dalla Procura. L’autopsia effettuata anni dopo, sul vero corpo di Narducci tumulato poi in seguito ed in gran segreto, confermerebbe le supposizioni addotte. Particolare lo scherzo del destino che si riversò sui due cognati pescatori che avvistarono il corpo e sul Poliziotto Provinciale delle Acque che ritrovò la piccola imbarcazione del dottore sull’isola Polvese, tutti e tre infatti morirono annegati nelle stesse acque a distanza di anni uno dall’altro. Secondo molti il medico di Perugia sarebbe l’autore o comunque un componente del gruppo che uccideva e praticava le escissioni sui corpi dei delitti del Mostro e, data la sua appartenenza ad una potente e conosciuta famiglia perugina, ad un certo punto fu ucciso egli stesso forse per porre fine allo scempio ed evitare lo scoppio di un grosso scandalo che avrebbe colpito anche varie istituzioni. Perugia era ed è una delle sedi massoniche più influenti in Italia.

   Augusto De Megni, Maestro Venerabile, al quale l’Anonima sarda rapì l’omonimo nipote nel 1990. De Megni era collega di Loggia di Ugo Narducci, padre del dottor Francesco.

   Un ipotesi sostiene, che il padre del dottore insieme al consuocero Spagnoli e con l’aiuto del Gran Maestro avvocato e di altri Fratelli della “Perugia bene” presero la triste decisione di eliminare il medico e provare a depistare la sua morte ma soprattutto ad insabbiare il ruolo che questi teneva nel gruppo degli assassini seriali.

   In questo gruppo che in realtà sarebbe stato una vera e propria confraternita della quale, secondo una diramazione di questa tesi, sarebbero stati membri anche Angelo Izzo e Gianni Guido “i massacratori del Circeo”, Andrea Ghira arruolatosi poi nella Legione Straniera facendo perdere le sue tracce, il già citato Serafino Di Luia l’esponente di Avanguardia Nazionale implicato in alcuni attentati sui treni e presente a Fiumicino il giorno dell’attentato del 1973, Gianluigi Esposito personaggio a metà tra la malavita e l’eversione, celebre per la sua fuga dal carcere di Rebibbia in elicottero e che nel 2006 morì proprio a Firenze dove si nascondeva sotto falso nome.

   Angelo Izzo accusò egli stesso e la sua confraternita di aver rapito Rossella Corazzin, scomparsa nel 1975 dalla Valle di Cadore in Veneto e mai più ritrovata, ed averla sacrificata ed uccisa proprio nella villa di Francesco Narducci sul lago Trasimeno.


[1]  La notte del 22 ottobre 1981, Susanna Cambi e Stefano Bandi, furono uccisi da un colpo di pistola calibro 22.

[2] https://www.mostrodifirenze.com/1981/06/11/enzo-spalletti/ 

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/04/29/firenze-non-puo-parlare-uomo-che.html

[3] uno dei testimoni al processo, dirà di averlo scambiato per il dio Bacco, mentre serviva vino a una festa dell’Unità degli anni Ottanta.

[4] https://www.liberoquotidiano.it/news/italia/26994266/mostro-di-firenze-pista-porta-cimitero-usa-clamorosa-svolta-chi-killer.html

[5] https://ostellovolante.com/2018/05/23/mostro-di-firenze-zodiac/.

[6]                                                               C.s.

[7] Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! (Dirty Harry) è un film del 1971 diretto da Don Siegel. È il primo capitolo della serie dedicata all’ispettore della polizia di San Francisco Harry Callaghan, interpretato da Clint Eastwood. Il film è considerato una pietra miliare del poliziesco ed è liberamente tratto dalla vicenda del serial killer Zodiac. https://it.wikipedia.org/wiki/Ispettore_Callaghan:_il_caso_Scorpio_%C3%A8_tuo!

[8] https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/zodiac-inchiesta-1.7392777

DELITTI RITUALI

•gennaio 18, 2023 • Lascia un commento

   Spesso alcuni delitti moderni possono presentare aspetti simbolici che sono riscontrabili nelle uccisioni a carattere sacro- magico, ma prima di tutto occorre definire il termine “Omicidio

Rituale”. Per omicidio rituale si intende un’azione volta ad uccidere un essere vivente in nome di una entità superiore oppure inerente a una credenza religioso-magica. Per essere annoverato nella categoria degli omicidi rituali il fatto deve presentare delle caratteristiche costanti, funzionali al raggiungimento dello scopo finale. Nelle civiltà più primitive queste azioni vengono largamente condivise secondo il principio che il sacrificio sia necessario per purificare l’intera comunità. Nelle culture moderne e postmoderne l’omicidio rituale rimane circoscritto ad ambienti di tipo settario (a carattere satanico, mafioso, massonico ecc.). Nei sacrifici rituali

vengono offerte vittime sia umane che animali per soddisfare varie esigenze:

  • Scopi animistici: viene sacrificato un essere vivente per propiziare la costruzione di un’ opera architettonica. In genere per questo tipo di rito le vittime preferite sono i neonati o i cuccioli di animale. Una simile cerimonia serve per allontanare gli spiriti maligni, per cui la vittima una volta sacrificata viene sepolta alla base delle fondamenta dell’opera che si deve edificare. Questo veniva praticato dagli Antichi Romani e lo ritroviamo ai giorni nostri anche presso  alcune popolazioni dell’Africa;
  • Scopi divinatori: il sacrificio di un essere vivente è necessario al sacerdote per ottenere le viscere con cui predire il futuro;
  • Scopi propiziatori: servono ad ottenere dalla divinità la sua grazia, magari in occasione di situazioni difficili quali guerra, carestia o calamità;
  • Scopi espiatori: si compiono omicidi per placare la divinità che si suppone adirata con gli uomini, o per espiare il peccato degli stessi;
  • Scopi adoratori: consistono nel rendere omaggio alla divinità attraverso l’uccisione di un’anima incorrotta (vengono usati quasi esclusivamente bambini) che procuri il cibo preferito al dio antropofago. Questo omicidio viene usato ancora in alcune tribù indigene del sud America[1] e se ne sono trovati resti sull’Himalaya, quando il ghiaccio ha restituito incorrotti diversi corpi di bambini sacrificati appunto con questo scopo[2];
  • Scopi funerari: consistono in omicidi per poter onorare i defunti, sia dimostrando un’assoluta devozione di coniugio o sudditanza, sia per dare al trapassato un conveniente accompagnatore nell’altro mondo. Questi riti sono in voga tuttora in molte regioni e gruppi etnici dell’India;
  • Scopi magici: servono a preparare pozioni miracolose, filtri amatori o altre fattucchierie. Si tratta più propriamente di azioni superstiziose e non tipicamente religiose, ma esse vengono compiuti attraverso “riti”, ovvero atti racchiusi in una credenza religiosa;
  • Scopi sanzionatori: vengono compiuti omicidi (più spesso lesioni personali) per sanzionare un’alleanza, un patto, un giuramento, mediante l’uso del sangue umano.

Uccidere o Sacrificare : esame di alcuni casi

   Il termine sacrificare sottolinea un’ operazione che permette di creare un ponte tra il mondo umano e quello divino. Per cui il sacrificio di esseri viventi, umani o animali, si distingue dal

semplice omicidio solo per quanto riguarda la cornice di sacralità in cui esso viene perpetrato e non per l’atto in sé. In molte culture del passato il termine sacrificare è connesso con un

significato di rinascita; tale significato potrebbe essere riscontrato, come effetto espressivo,  anche nei delitti moderni perpetrati da assassini seriali o legati ad ambienti dell’occultismo e della malavita. In alcuni di questi omicidi a volte sembra riproporsi un senso del delitto come espressione di uno psichismo popolato da elementi arcaici e magici.

   A tal proposito è interessante il caso di Alfonso De Martino soprannominato “l’ infermiere satanico”[3] ; fu lui che agli inizi degli anni Novanta uccise 4 pazienti nell’ospedale di Albano

somministrando loro flebo al Pavulon , un medicinale anestetizzante a base di curaro. Nella vicenda emergono degli aspetti di tipo simbolico e rituale che fanno da cornice alla personalità di questo assassino seriale , come il fatto che vestisse sempre di nero, indossasse un anello d’argento a forma di teschio e un medaglione con l’effigie del diavolo e si vantava di riuscire a predire l’ora esatta della morte dei pazienti. Gli oggetti indossati dall’uomo sono tutti elementi espressivi che probabilmente avevano la funzione ‘rituale’ di far sentire De Martino una sorta di “gran sacerdote della morte”, “discepolo del diavolo”, perché è lui che al posto di Dio amministrava la vita e la morte facendo cessare la sofferenza, come emerge da una sua dichiarazione: “ho fatto questo mestiere per amore e non per uccidere …”.

   Gli omicidi di Elisa Claps[4] e quello di Heather Barnett[5], presentano delle analogie che fanno pensare si tratti di due omicidi con caratteristiche rituali facenti riferimento ad una

numerologia cabalistica. In questi delitti ricorre la presenza del numero 12 oltre che alla vicinanza ambientale del presunto autore Danilo Restivo. Non sappiamo se Danilo Restivo,

che risulta essere il maggior indiziato, sia colpevole o meno, ma di certo ci si trova di fronte a delle coincidenze rituali molto significative. Il 12 settembre 1993 fu la data dell’ omicidio di

Elisa Claps, mentre il 12 novembre 2002 è la data dell’omicidio di Heather Barnett nel Bournemouth. Il 12 rappresenta nella cabala, oltre all’Arcano dell’Appeso, una combinazione ermetica che sta ad indicare la trinità : 1+2 = 3. Si tratta di uno dei numeri magici largamente utilizzati da coloro che si rifanno alla cultura massonica e il fatto che le vicende Claps e Barnett, siano state oggetto di diversi depistaggi, renderebbe verosimile il coinvolgimento di personaggi vicini a questa realtà, come tra l’altro è emerso da alcune indiscrezione sulla vicenda. Un altro aspetto rituale è legato in particolare alla mutilazione dei seni che la Barnett avrebbe subito dall’aggressore dopo essere stata massacrata a martellate: la mutilazione dei seni richiama al culto di Sant’Agata[6], una santa molto venerata nel sud Italia che sarebbe stata privata dei seni e arsa viva a Catania nel 251 sotto l’imperatore Decio.

   I casi Claps e Barnett riportano alla mente altri episodi di morti ammantate di mistero dove compaiono indizi che sembrerebbero far riferimento alla simbologia rituale massonica, come ad esempio il caso del principe sovrano Ludovico di Baviera[7], i delitti dell’ 11 Luglio e la strage di  Piazza Fontana. Il principe consorte Ludovico di Baviera, morto il 13 giugno 1886 per presunto annegamento, in realtà fu vittima di un complotto accertato solo in epoca moderna[8]. La data della morte avrebbe il valore numerico di 33 (1+3+6+1+8+8+6 = 33), che rappresenta il

massimo grado di iniziazione del rito massonico scozzese antico ed accettato. Analizzando tutta la data e prendendo in esame il numero del giorno e del mese (giorno13 e mese 6), emerge il 13 che indica la morte e la trasformazione, mentre il 6 (mese di giugno) rappresenta l’empietà e l’imperfezione. La somma di tutta la data, ovvero 33, indicherebbe una “morte

organizzata secondo una logica magico- esoterica”.

   I delitti dell’11 Luglio riguardano due personaggi che hanno indagato nei rapporti tra esoterismo massonico, finanza e criminalità. Si tratta dell’ avvocato Giorgio Ambrosoli e

dell’antropologa Cecilia Gatto Trocchi. Entrambi i personaggi hanno trovato la morte l’ 11 Luglio, data molto significativa per l’ occultismo cabalistico, in quanto il numero 11 (nel rito

rosacrociano ) rappresenta il numero della giustizia. L’ 11 indica fare giustizia. Il 7 che indica il mese di Luglio sta a simboleggiare il numero perfetto, il sigillo di Salomone, ma anche il

numero della Rosa Rossa dei Rosacroce, insomma si tratterebbe anche in questo caso di un numero magico largamente utilizzato da ambienti vicini all’esoterismo cabalistico e massonico.

   Giorgio Ambrosoli fu un avvocato italiano esperto in liquidazione coatte amministrative e negli anni Settanta si trovò al centro di uno dei più grossi scandali finanziari della storia

d’Italia. Si trovò ad indagare su Michele Sindona e su banchieri legati alla loggia massonica P2, alla banca vaticana dello IOR. Egli dichiarò che: “E’ indubbio che in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di far qualcosa per il Paese”[9]. L’11 Luglio 1979, mentre rincasava dopo una serata trascorsa con gli amici, fu avvicinato sotto il portone da un certo William J. Aricò[10], un killer venuto appositamente dagli USA, che come in un romanzo noir, dopo essersi scusato con la vittima gli sparò quattro colpi di 357 magnum uccidendolo.

   Per il delitto vennero condannati all’ergastolo il banchiere Michele Sindona e Roberto Venetucci, un trafficante d’armi.

   Cecilia Gatto Trocchi fu un’antropologa tra le maggiori esperte di esoterismo, satanismo e massoneria deviata. In una delle sue ultime interviste dichiara: “Quando ho iniziato a studiare l’esoterismo e l’occultismo … ho scoperto tutta una lunga corrente di persone che sono passate dal marxismo All’esoterismo, da una visione positivista e materialista della vita

ad una spiritualistico energetica … cercando di evocare dalle forze del male ulteriori poteri di conoscenza di sapienza e di intervento sul mondo … patti con il diavolo che nascono nell’ambito della massoneria deviata … La massoneria è la prima che ha sdoganato Satana e nelle logge dove io sono stata , quelle miste (cioè in cui sono ammessi uomini e donne) che si chiamano androgine si legge l’inno a Satana di Carducci … si pensa che il diavolo ha fatto un grande favore agli esseri umani perché gli ha dato da mangiare il frutto della conoscenza (questa è)… una visione contrognostica che si contrappone a quella cristiana”[11].

   Il tema del satanismo dei cosiddetti “colletti bianchi” è stato uno degli argomenti sostenuti dalla Trocchi che l’11/ 7/ 2005 trovò la morte in un misteriosa circostanza archiviata come “suicidio”[12].

   Restando sempre sulla correlazione tra numeri di significato cabalistico e eventi delittuosi, il 12 dicembre del 1969 avvenne in Italia una delle stragi che segnarono l’inizio della cosiddetta

Strategia della Tensione’, quella di Piazza Fontana, cui seguirono ben 13 morti sospette tra i testimoni (4 suicidi e 9 morti per infortunio). La situazione fu così grave da indurre l’allora

Presidente della Corte d’ Assise di  Roma a sollecitare con una lettera al Presidente del Tribunale, la fissazione del processo. Nel caso della strage di Piazza Fontana ciò che colpisce sono i due 12, quello relativo al giorno e quello relativo al mese di dicembre. Il numero 12 come già sottolineato rappresenta sia l’arcano maggiore dell’Appeso che la Trinità, ovvero 1+2= 3, quindi il triangolo.

Il carattere simbolico di alcune tecniche assassine

   Morte per soffocamento: la morte per soffocamento rappresenta una tecnica assassina che nasconde un profondo significato ermetico-rituale. Ritroviamo questa tecnica in alcune culture distanti tra loro nella storia, in quella dei Thugs dell’India e in quella di numerose popolazioni indoeuropee, Celti, Vichinghi, Sassoni ecc. La morte per soffocamento impedirebbe all’ anima

di uscire dal corpo e con questa credenza veniva praticata in particolare dagli “adoratori di un dio che riveste una funzione sacerdotale o giuridica[13] per esempio i germani impiccavano coloro che venivano sacrificati al dio Odino. Questa tradizione in seguito si è insinuata nella cultura angloamericana fino ai primi del Novecento. La cosiddetta forca era la fine che spettava ai

fuorilegge secondo il principio inconscio di un “sacrificio riparatorio” da perpetrare nei riguardi di una Giustizia intesa quasi in senso divino.

   Presso i Thugs, una setta di assassini originaria dell’ India, la tecnica dello strangolamento raggiunse livelli di eccellenza. C. Wilson scrisse che “i Thugs si impongono all’ attenzione

degli europei dopo che, sul finire del XVIII secolo, gli inglesi si annettono l’ India. Da principio, i conquistatori notano semplicemente che le strade dell’ India sembrano infestate da

bande di grassatori che strangolano le loro vittime … Sherwood afferma che i Thugs perpetrano l’omicidio come un dovere religioso e che il loro movente è piuttosto l’omicidio

non il furto[14]. Dopo aver strangolato la vittima designata i Thugs ne squartano e mutilano il cadavere per poi seppellirlo. Scrive Wilson “a questo punto… ha luogo la parte più importante del rituale, detta cerimonia del Tuponee. Normalmente , si è provveduto a erigere una tenda per nascondere i Thugs alla vista dei passanti. Accanto al tumulo si depone la kusee, una scure bipede che è per loro un simbolo (come la croce per i cristiani) e i Thugs siedono intorno, raccolti in un cerchio. Il capo, invocando Kalì (la dea protettrice della setta), chiede dovizie e successi; si

inscena un simbolico strangolamento e poi tutti coloro che hanno preso parte attiva all’omicidio si cibano dello’ zucchero della comunione’, mentre il capo versa sulla tomba ’acqua benedetta[15].

   Verso la fine del 1800 la setta dei Thugs ha cessato di esistere, ma la loro vocazione assassina ci dà la possibilità di comprendere come l’ omicidio rituale, in genere, abbia sia una funzione “celebrativo- religiosa” che una funzione marcatamente psicologica, secondo un principio che C. Wilson ha descritto molto bene: “commettere il crimine per il senso di determinazione che l’atto in sé gli procura[16].

 Ma aggiunge Wilson: “Criminali nell’accezione comune i Thugs non lo erano … i Thugs si sentivano infatti costretti a uccidere e la partita emozionante in cui la creatura umana era braccata e quindi uccisa agiva infine come una droga, che li soggiogava. Ciò

turbava gli investigatori … i quali avvertivano che gli omicidi perpetrati dai Thugs erano un’ inversione dell’atto creativo, capace di dare una particolare e intima soddisfazione e questo

pensiero li faceva rabbrividire … la loro vocazione ossessiva derivava dall’essere al servizio della dea Kalì tanto che uno di loro confessò … ‘La famiglia di mia madre era ricchissima e

aveva conoscenze altolocate. Io stesso ho ricoperto una carica di grado molto elevato ed ero così apprezzato da poter contare su una sicura promozione. Ma la lontananza dalla mia banda

mi rendeva infelicissimo e mi costringeva a tornare al thughismo[17] .

   Queste testimonianze possono forse spiegare come un “delitto rituale” sia fortemente connotato da costruzioni fantastiche relative non solo ad un senso mistico dell’ operazione, ma

anche da un feedback di natura psicologica legato al senso di potenza, di potere e determinazione che l’atto in sé produce.

Tanto da divenire una ossessione, verso cui si è disposti ad ogni rinuncia. Nella storia del crimine assistiamo a come lo strangolamento sia perpetrato, in ambienti mafiosi, per sistemare i cosiddetti “infami” o i loro parenti, secondo la logica delle vendette trasversali. Ciò accadde per esempio al piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto

nell’ acido come ritorsione nei confronti del padre, ex mafioso e collaboratore della polizia.

   Di maggior rilievo è senza dubbio l’omicidio del banchiere del Banco Ambrosiano Roberto Calvi trovato impiccato il 17 giugno 1982 sotto il ponte dei Frati Neri a Londra. In questo caso

possiamo forse parlare di una vera e propria esecuzione rituale compiuta probabilmente sotto l’ impulso di ambienti massonici ? Lo stesso Calvi era appartenente alla P2, e si dice che abbia sottratto dei fondi proprio ad ambienti vicini alla massoneria.

Satanismo Criminale 

   Sono delitti rituali anche quelli commessi da Organizzazioni sataniche. Contrariamente a quanto si crede il Satanismo ha un’ origine molto antica nonostante siamo abituati a sentirne

parlare solo in epoca contemporanea. Il Satanismo implica l’adorazione del diavolo per scopi pragmatici, ovvero ottenere vantaggi materiali, potere personale, morte dei nemici, etc.

Alcuni esempi storici riferiscono che Salomone, patriarca del popolo ebreo, per innalzare un tempio a Dio fece un patto con Asmodeo, il demone dell’ira, affinché questo lo aiutasse nella

realizzazione. Ma una volta terminata la costruzione del tempio, Salomone fece un esorcismo bruciando in un braciere delle interiora di pesce ed Asmodeo, nauseato da quell’odore, sparì

rinunciando al patto che aveva stipulato poco prima con l’uomo.

Da questo mito carico di simbologia si può passare ad esempi più concreti, come quello relativo al profeta Sabbatai Zevi[18] (nato a Smirne nel 1616), il quale autoproclamatosi messia nel 1665 sosteneva che “il Messia deve salvare il mondo per mezzo del peccato sperimentando l’abisso della perdizione per poter in seguito risalire nelle vette della salvezza”.  Zevi e i suoi seguaci furono gli ideatori di una religiosità alternativa o contrognostica che si contrappone alle dottrine ufficiali delle varie fedi e che viene definita la “Via della mano sinistra”.

   La “Via della mano sinistra” sostiene il rovesciamento di ogni valore morale, propagandando l’idea che attraverso la dissoluzione di ogni virtù etica, il disordine e la pratica del peccato si possa giungere alla luce e all’armonia. Questa eresia fu potenziata e portata negli ambienti illuministi da Jakob Frank[19], nato 1726 nel villaggio polacco di Korolowka. Egli fu discepolo di

Zevi e iniziò a proclamare in ambienti ebraici “la purificazione attraverso il peccato”.

   Ripudiato dagli ambienti ebraici trovò accoglienza all’interno della Chiesa cattolica. Frank, in seguito, entrò negli ambienti massonici tedeschi ed è molto probabile che si trovano ancora oggi tracce in alcune logge massoniche (per esempio quella di Salonicco di cui fece parte il banchiere Enrico Cuccia)[20] e

naturalmente in quello che genericamente viene bollato come ‘Satanismo’. Secondo l’antropologa Cecilia Gatto Trocchi: “ In Italia oltre le cosiddette chiese di Torino abbiamo delle chiese luciferine nelle quali la visione del Principe delle Tenebre è sostanzialmente positiva. Lucifero non è visto come il male, bensì come principio di ribellione verso Dio e come erede delle divinità pagane[21].

Secondo gli studiosi del fenomeno, il Satanismo va distinto in tre correnti:

  1. Quella Razionalista, che vede in Satana il simbolo di una visione anticristiana del mondo, dove solo il piacere privato ha importanza e dove ogni convenzione morale va respinta;
  2. Quella occultista, dove si crede realmente all’esistenza del maligno e lo si adora come una divinità; essi sono anche chiamati luciferini;
  3. La corrente Acida, dove durante i rituali si consumano droghe e alcol. Il Satanismo Acido sarebbe quello più pericoloso in quanto può portare anche alla commissione di reati quali lo stupro e l’omicidio.

ESAME DI ALCUNI CASI

   Nel luglio 1991 in Messico vennero arrestati i capi di una setta dedita alla coltivazione e allo spaccio di marjuana, con l’accusa di aver sacrificato bambini e animali ad una divinità demoniaca dalle fattezze di scimmia. Questo allo scopo di assicurarsi una protezione magica alle loro coltivazioni di droga. Sempre in Messico nel paesino di Matamoros[22] vi fu il caso del

boss narcotrafficante Adolfo de Jesùs Costanzo, responsabile insieme alla sua compagna, definita la strega Villareal, “di aver sacrificato ritualmente una ventina di esseri umani per

ottenere la protezione di Satana sul suo gruppo di spacciatori[23].

Tutti i membri della banda di Adolfo de Jesus Costanzo venivano iniziati dal medesimo con una cerimonia in cui i loro corpi venivano marchiati con la punta di un coltello fino a formare delle cicatrici rituali di simboli mistici, nel culmine della funzione Adolfo proclamava frasi deliranti tipo: “ la mia anima è morta”… “ io

non ho Dio”. In Brasile invece, la setta Lineamneto Universal Superior, fu sospettata di aver sacrificato nei suoi rituali ben 10 bambini[24].

  Anche l’Italia è stata interessata da omicidi compiuti in una cornice satanica o satanista: l’omicidio di Nadia Roccia[25], il delitto di Maria Laura Mainetti[26], suora di Chiavenna e le Bestie di Satana.

   Nadia Roccia venne strangolata il 14 marzo 1998, a Castelluccio dei Sauri, ad opera di due compagne di studio; Maria Filomena Sica e Anna Maria Botticelli. Le due, dopo aver compiuto il fatto, simularono un suicidio facendo credere che la vittima si fosse impiccata e lasciando una falsa lettera di addio scritta a macchina. Il delitto di Nadia è un delitto apparentemente senza movente, ma le due assassine intercettate in questura, hanno usato espressioni deliranti facenti riferimento a Satana: “Lucifero è bello, sono stata col demonio ”.

   Anche il delitto di Maria Laura Mainetti, la suora di Chiavenna (Sondrio), avvenuto il 6 giugno 2000 ad opera di tre ragazze minorenni, ha come sfondo il satanismo. Le tre ragazze, Ambra,

Milena e Veronica, volevano “sacrificare a Satana una vittima innocente” (come diranno in tribunale), con lo scopo di incontrare Satana e avere dallo stesso una dimostrazione della sua potenza. Pur non appartenendo ad alcun gruppo satanico o setta, le stesse avevano adempiuto ad una sorta di ‘patto di sangue’ bevendo dell’acqua benedetta e gocce del proprio sangue.

   La dinamica del delitto è avvenuta nella premeditazione: una di loro, Milena, chiamò al telefono la suora presentandosi come una ragazza violentata che chiedeva di essere aiutata ad abortire. Dopo un primo contatto la suora venne successivamente condotta con l’inganno in una viuzza deserta e lì aggredita dal gruppo. L’aggressione avvenne il 6 giugno, una data

significativa per i satanisti perché il 6 è il numero dell’empietà e dell’imperfezione (giorno 6 e il mese di Giungo che corrisponde al sesto mese dell’anno ).

   Le Bestie di Satana sono inquadrabili all’interno del cosiddetto Satanismo Acido, ovvero clandestino e ha rappresentato uno dei casi più inquietanti di criminalità ad ispirazione occulta.

  Tra i leader spiccano Andrea Volpe e Nicola Sapone, che possono essere considerati le menti del gruppo. La setta ha incrementato la sua ferocia a piccoli passi proprio come fanno spesso i serial killer, inizialmente era infatti una semplice congrega che condivideva gli stessi gusti musicali per l’heavy metal, per poi passare ai rituali di magia nera con abuso di sostanze stupefacenti, con sacrificio di animali ed in seguito a quello di esseri umani. Alla setta sono attribuiti diversi reati: violenza psicologica, sevizie, induzione al suicidio, omicidio. Tra gli omicidi ci sono quelli di Mariangela Pezzotta avvenuto nel 2004 , ex fidanzata di Andrea Volpe, di cui sarà accusato lo stesso Volpe. Le indagini però hanno portato alla luce altri omicidi come quelli di Fabio Tollis e Chiara Marino, i quali furono uccisi e sepolti nel 1998 perché volevano abbandonare il gruppo. La collaborazione di Volpe ha dichiarato che l’omicidio della Pezzotta era stato voluto da Nicola Sapone (dipinto come il vero leader delle bestie di Satana), perché “sapeva troppo” circa la sparizione di Tollis e della Marino. Tra i reati contestati alla setta vi è anche l’istigazione al suicidio di altri adepti della setta, rei di voler lasciare il gruppo.

   Significativo è anche il caso di Oystein Aarseth (22 marzo 1968 – 10 agosto 1993)[27] conosciuto con il nome d’arte di Euronymous. Egli fu un musicista norvegese di genere black metal, fondatore di molti gruppi musicali, ma anche di una setta anticristiana di ispirazione satanista, la Inner Circle[28] che in Scandinavia si rese responsabile dell’incendio di una cinquantina di chiese, profanazione di tombe e omicidio. Lo stesso Euronymous fu assassinato nel 1993 dal bassista di uno dei gruppi da lui fondato, i Mayhem.

   L’ossessione per l’occulto e le fantasie di potere legate alla celebrazione del male estremo e del nichilismo, sono probabilmente tra i fattori psicologici alla base di questi gruppi, i quali finiscono con il crederci a tal punto da agire tali fantasie e arrivando perfino all’omicidio.

SATANISTI NELL’ESERCITO USA

   Alla fine del giugno 2020 il Dipartimento di “Giustizia” USA riferì[29] che il soldato ventiduenne dell’esercito americano Ethan Melzeraveva in programma di uccidere i suoi compagni di servizio[30]. Mentre era nella sua unità militare, aveva inviato informazioni sensibili ai suoi co-cospiratori sulla sua posizione, i movimenti e le misure di sicurezza. È accusato di attività terroristiche e minacciato di reclusione a vita. La cospirazione è stata scoperta nel maggio 2020 e, il 10 giugno, Melzer è stato arrestato dall’FBI.

   A differenza di storie simili, che in passato sono state riferite esclusivamente ad estremisti islamici e simpatizzanti dell’ISIS, il sospetto era un membro di un gruppo diverso. Si chiama Ordine dei nove angoli (O9A), un’organizzazione neonazista con un’ideologia occultista[31].

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   Secondo l’accusa, nel frattempo, Melzerera motivato dall’odio razziale e l’informazione è stata inviata a numerose organizzazioni estremiste, tra cui al-Qaeda.

   L’O9A ha la forma di un’organizzazione segreta, ha provato ad intorbidire le acque sulle proprie origini allo scopo di aumentare la fascinazione e l’enigmaticità emanate. Si attribuisce la fondazione dell’O9A ad un certo Anton Long[32], che per alcuni non sarebbe che lo pseudonimo di David Myatt – un eterodosso predicatore crowleyano successivamente convertitosi all’Islam radicale – ed è certo che sia avvenuta a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta in Inghilterra.

   Entro la seconda metà degli anni Settanta, complice il clima permeato dalla controcultura dell’epoca, l’O9A estende il proprio circuito di templi in tutta l’Inghilterra ed è una fabbrica di testi iniziatici. Ma l’acme della produzione divulgativa avviene durante gli anni Ottanta: nascita di pubblicazioni proprie, comparsa nella stampa nazionale ed ingresso nel black metal. Nello stesso decennio avviene anche il salto di qualità: l’internazionalizzazione.

   Sarà proprio nel corso degli anni Ottanta che l’O9A finirà nel mirino degli investigatori di diversi paesi, dall’Australia agli Stati Uniti. Un po’ perché le polizie dei vari paesi (in particolare dei dipartimenti che si occupano dei fenomeni settari) iniziano a leggerne i testi, restando sbalorditi della violenza dei contenuti – dall’incitamento ai sacrifici umani alla cristofobia radicale. Un po’ perché non passa inosservato il tentativo di stabilire alleanze transnazionali con le sigle più estremistiche del neonazismo, del suprematismo bianco e del nazisatanismo – da Combat 18 ad Ordine nero. Preludio di ciò che sarebbe accaduto negli anni a venire.

   L’O9A, in quanto organizzazione segreta, non rende pubblici numeri e nominativi dei membri. Sulla sua composizione esistono soltanto delle stime a cura di investigatori e scienziati sociali. Nel 1998, secondo Jeffrey Kaplan e Leonard Weinberg, l’O9A sarebbe stato un circolo quasi esclusivamente virtuale e con un pugno di membri – forse nell’ordine delle decine. Ma nel 2013 gli appartenenti alla setta sarebbero cresciuti fino a contare un minimo di duemila membri – cosa che farebbe di essa, secondo Massimo Introvigne, la più grande organizzazione satanista del mondo[33].

  Per quanto riguarda la demografia dell’O9A, ricavata attraverso analisi induttive realizzate a partire da ricerche open source, l’identikit del seguace medio sarebbe il seguente: uomo/donna di classe media, elettore di partiti di destra/estrema destra, giovane età. Più donne che maschi. E una curiosa sovrappresentazione delle minoranze sessuali: più donne lesbiche che eterosessuali.

   L’O9A si distingue dal resto del panorama satanista anche per l’atipicità della propria struttura. Non presenta né logge né templi, ma si conforma come una sorta di banda orizzontale, denominata il collettivo, composta da cellule autonome dal nome suggestivo: i nexion. I nexion sono oggi presenti in ogni continente, incluse Asia – Mosca – e Africa – Cairo, Città del Capo –, col nexion primigenio, basato a Shropshire – cuore dell’Inghilterra – ancora attivo.

   I seguaci più atipici di Satana che il mondo conosca vantano anche un record di propensione al crimine. Ben incuneati nell’Internazionale del suprematismo bianco, in quanto alleati ferruginosi di gruppi come Atomwaffen, Azione nazionale, Combat 18 e Movimento di resistenza nordica, membri dell’O9A sono stati indiziati, accusati e condannati per gravi reati, omicidio incluso, in diversi paesi.

   L’elenco dei crimini di cui si sono resi responsabili membri o soggetti ispirati dai testi dell’O9A è piuttosto lungo e copre persino l’Italia:

  • Göteborg (Svezia), 1997. Un uomo di nazionalità algerina, Josef ben Meddour, viene ucciso nel corso di un sacrificio umano da due satanisti, che, ispirati dalla filosofia dell’O9A, hanno fondato una loro setta: l’Ordine luciferiano misantropico. Il caso fa scalpore, essendo uno dei due rei confessi un cantante conosciuto – fondatore dei Dissection –, ed è rimasto circondato da ombre – una pista legava Meddour al Gruppo Islamico Armato.
  • Fort Riley (USA), 2019. Jarrett William Smith, legato sia all’O9A sia all’Atomwaffen, viene arrestato e condannato per la distribuzione di opuscoli sulla costruzione di esplosivi artigianali e armi di distruzione di massa.
  • Londra, 2020. Dania Hussein, personaggio molto attivo nei forum online all’O9A, uccide due sorelle in quello che descriverà come un duplice omicidio necessario al compimento di un patto col Demonio.
  • Toronto, 2020. Guilherme Von Neutegem, affiliato dell’O9A, uccide a coltellate un rappresentante della comunità islamica cittadina. È inoltre sospettato di un omicidio a sfondo razziale avvenuto nella stessa area.
  • Vicenza, 2020. Il già citato Ethan Melzer, paracadutista assegnato al 1° Battaglione del 503° Reggimento di Fanteria, viene arrestato a seguito di un’indagine interna[34]. Gravi le accuse mossegli: cospirazione per omicidio – dei commilitoni – e diffusione di informazioni classificate – relative all’unità e alla sicurezza delle strutture militari. Gli accertamenti lo collegheranno ad uno dei nexion più radicali dell’O9A, il RapeWaffen, portando alla scoperta di altri militari affiliati all’organizzazione.
  • Kankaanpää (Finlandia), 2021. Un’operazione di polizia smantella una cellula di cinque persone, pesantemente armata – nel raid vengono sequestrate armi d’assalto e decine di chilogrammi di esplosivi – e ideologicamente ispirata ad Atomwaffen e O9A, accusata di pianificazione di attentati terroristici.
  • Mosca, 2021. Un’operazione antidroga che conduce all’arresto di due persone evolve in maniera imprevista[35]: i detenuti, spinti dai sensi di colpa, ammettono di essere membri di una setta legata all’O9A e di essere gli autori di un omicidio rituale di cinque anni prima, nelle foreste di San Pietroburgo, sino ad allora rimasto insoluto

   Satanisti di questo tipo sono presenti anche in Ucraina.

  È stata segnalata la presenza di combattenti di ideologia satanista nelle milizie irregolari che combattono a fianco delle forze armate ucraine. Non è dato sapere quanti volontari satanisti siano presenti nelle trincee ucraine, ci sono delle prove  (tutte da verificare ovviamente) raccolte da RIA Novosti e Komsomolskaya Pravda sul ritrovamento di templi neri fai-da-te e oggettistica satanica nelle postazioni paramilitari ucraine del Donbas[36], mentre assodati e di dominio pubblico sono i trascorsi tra l’ora defunto Battaglione Azov[37] e il duo Atomwaffen-O9A.

   Combattenti provenienti dai nexion finnici sono stati segnalati sul campo di battaglia[38], alcuni elementi dei nexion statunitensi sono stati intercettati prima che partissero al fronte – ed è legittimo chiedersi se qualcuno sia riuscito nell’impresa – ed altri, invece, sono stati ospiti agli eventi del Battaglione Azov sin dal dopo 2014 (lo stand del duo Atomwaffen-O9A è stato una presenza fissa al controverso Asgardsrei dell’estrema destra ucraina).

   Non si può parlare della presenza di satanisti nell’esercito USA senza parlare di Michael Aquino.

   Michael Aquino conobbe il satanismo quando andò a fare una visita alla Chiesa di Satana, dopo aver potuto osservare La Vey e il suo entourage satanico alle prove del film Rosemary’s Baby, nel 1968. Indubbiamente rimase affascinato dalla sua filosofia e cominciò a scrivergli…dal suo posto di ufficiale del controspionaggio dell’Esercito americano ed esperto della guerra psicologica in Vietnam.

   Gli Stati Uniti stavano, in quel periodo,  sperimentando dei sistemi d’arma ad alta tecnologia, utilizzando delle basse frequenze. Il famigerato Delgado nell’ambito del programma MK-ULTRA determinò che il “il controllo fisico di molte funzioni cerebrali è un dato di fatto dimostrato…è anche possibile creare e gestire le intenzioni…con la stimolazione elettronica di strutture cerebrali specifiche, i movimenti possono essere indotti da comando radio…con il telecomando[39].  Secondo un documento scritto dai colonnello Paul Valley e …il maggiore Aquino, intitolato From PSYOP to Mindwar: The Psychology of Victory, l’esercito statunitense aveva utilizzato un sistema d’arma operativo per mappare le menti di individui neutrali e nemici, e quindi modificarli secondo gli interessi dell’imperialismo USA. Questa tecnica sarebbe stata la causa della resa di 29.276 vietcong e soldati dell’esercito del Vietnam del Nord, tra il 1967 e il 1968. La marina degli Stati Uniti era anch’essa pesantemente coinvolta nella ricerca psicotronica[40]. Molti soldati statunitensi che prestavano servizio nella zona che divideva il Sud dal Nord Vietnam, affermarono di vedere UFO regolarmente. I Pentagon Papers rivelarono che una barriera elettronica fu posta lungo la zona di confine dalla società JASON[41].Il maggiore Aquino era uno specialista, come si diceva prima, della guerra psicologica in Vietnam, dove la sua unità era specializzata nella stimolazione via droghe, lavaggio del cervello, iniezioni di virus, impianti cerebrali, ipnosi, uso dei campi elettromagnetici ed onde radio a frequenza estremamente bassa.

   Nel 1970, Aquino fu trasferito in Kentucky, dove inaugurò una “grotta” della Chiesa di Satana e prese a tenere una fitta corrispondenza con seguaci presenti e futuri. La Vey lo autorizzò a scrivere il rituale lovecraftiano Richiamo di Ctuhilhu, cui riconobbe una valenza liturgica, e Aquino e Aquino tornò poi più volte sul pantheon di Lovercraft, a riprova di quanto il Necronomicon avesse assunto di culto sia tra i satanisti sia tra i seguaci della “luce bianca”.

   Aquino terminò un master in Scienza politiche e in seguito un dottorato presso l’University of California, a Santa Barbara. Da qui momento cominciò a trattare direttamente con il Joint Chiefs of Staff (Comitato composto dai superiori dei vari corpi militari: Esercito, Marina, Aviazione) come tenente colonnello con accesso a questioni della massima segretezza. Nel frattempo – stanco degli atteggiamenti istrioneschi e dei pregiudizi antintelluattistici di La Vey – aveva organizzato un gruppo scismatico basato su  basato su una sua personale rivelazione: il Tempio di Set.

   Per Aquino, Set rappresenta una forza della natura, non necessariamente identica al Satana della dottrina cristiana. Vale a dire che considerava Set come la personificazione non del male, bensì delle idee contrapposte a quelle della cristianità: una teologia separata, personale, che trascende la metafisica giudaica- cristiana e arriva a includere questo Principe delle Tenebre. Quindi, se anche per i cristiani rappresenta il male a causa del suo essere diverso e contrapposto, Set non ha in sé oggettivi elementi di malignità.

   Egli adottò un approccio decisamente intellettualistico al satanismo e rese noto un elenco “letture raccomandate” lungo una cinquantina di pagine. Organizzò la sua chiesa in una struttura fortemente centralizzata e chiamò alcuni ex membri della Chiesa di Satana a comporre la sua Cerchia del Nove. Conobbe sua moglie, Lilith Sinclair[42] nel periodo in cui la donna gestiva una libreria esoterica in West Fourth Street a Manhattan.

  L’interesse per l’occultismo nazista è perfettamente compatibile con la decisione di Aquino di esplorare il lato oscuro dell’esperienza umana[43]. Egli era convinto di poter “separare” agli aspetti occulti del Terzo Reich da quelli sociali, politici e criminali. A questo scopo eseguì la cosiddetta Wewelsburg Working, opera magica finalizzata a “distillare l’esperienza occulta di Wewelsburg – e quindi del centro di culto di Himmler, con tutti i suoi echi mistici – in un “generatore” di potere che, opportunamente attivato da lui stesso, potesse produrre una rinascita satanica”.

   Aquino visitò il castello delle SS in Germania nei primi anni ’80 e sicuramente restò colpito dalla fantasia occulta di Himmler, che per certi aspetti era ancora intatta e palpabile. Durante una delle visite eseguì nella torre nord un rito magico per liberare i potere di Wewelsburg sul resto del mondo: sarebbe servito ad innescare la fase successiva dell’evoluzione umana.

   Se per il razionalista La Vey Satana rappresentava “il carnale, il materiale, e gli aspetti mondani della vita”, per Aquino, invece Satana era un vero e proprio essere personale che andava adorato al posto del Dio biblico. Dopo aver invocato Satana e aver ricevuto come risposta il messaggio che trascrisse inThe Book of the Coming Forth By Night e che divenne il testo fondamentale del credo (nel quale il Diavolo dichiarava di chiamarsi Set e che Satana fosse soltanto il suo epiteto ebraico), Aquino, memore della sua esperienza nei servizi segreti militari e del progetto Monarch inerente al controllo mentale, estremizzò il concetto di “egoismo animale” teorizzato da La Vey codificandolo nella cosiddetta “piccola magia nera”. La piccola magia nera, intesa a manipolare gli altri e l’universo in generale, “consiste nel far accadere qualcosa senza spendere il tempo e l’energia necessaria per farlo accadere attraverso un processo diretto di causa ed effetto”, ove Aquino intendeva l’arte della manipolazione “grazie a semplici trucchi di disinformazione fino a una manipolazione estremamente sottile e complessa dei fattori psicologici nella personalità”. A questa aggiunge una “grande magia nera” (che trae gli incantesimi dalla Golden Dawn e dagli insegnamenti di A. Crowley) legata invece a una rivisitazione del mito gnostico secondo cui il Principe delle Tenebre sarebbe un Portatore di Luce (come indica il nome Lucifero), una sorte di ribelle Prometeo che avrebbe consegnato la conoscenza agli uomini nonostante il divieto del geloso e sanguinario Dio biblico.    In questo senso il “peccato originale” assume un significato opposto a quello cristiano cattolico. L’uscita dall’Eden e dall’alveo del malvagio dio biblico andrebbe interpretato come una presa di coscienza e di conoscenza dell’uomo primigenio che, grazie all’intervento del Serpente, scopre il modo per divenire egli stesso un dio, attraverso la legge Fa’ ciò che Vuoi di Crowley, intensa nel senso più alto come conseguimento della propria autentica volontà (da non confondere con i bassi istinti). In questo senso l’emancipazione dalla legge jahvista conduce l’uomo primo verso un cammino della sua stessa deificazione: ecco che l’Uomo si fa Dio.

   La filosofia setiana aspira, infatti, a conseguire un supremo autocontrollo e a ottenere il controllo della natura e degli altri mediante la piccola magia – che risente come abbiamo visto della metodologia acquisita da Aquino come appartenente dei servizi segreti militari. Il Tempio di Set rifiuta il nichilismo e l’edonismo superficiale della società moderna per privilegiare un sentiero di conoscenza: il suo ideale è “Essere è Conoscere”, che è l’opposto della filosofia orientale che ricerca invece la liberazione nei dettami mistici della Via della Mano Destra partendo dal presupposto che “Essere è Sofferenza”.

   I Setiani, sebbene credano in una divinità nel senso letterale, non adorano però Set nello stesso modo in cui i Cristiani adorano Dio: si venera Set poiché rappresenta per loro una coscienza in più profonda e la forza individuale sprigionata può renderli simili a un dio. Il fine più ultimo dei Setiani è, infatti, quello di raggiungere questa più alta consapevolezza spirituale e più profonda conoscenza del sé. Tale processo d’attualizzazione del sé è chiamato Xeper, un termine egizio che significherebbe secondo Aquino “venire alla luce”: anche per questo Lucifero come abbiamo visto, è il portatore di Luce. Così la messa nera ha varie modalità di celebrazione, mentre gli altri riti sono rigidamente definiti.

   Altri due membri del Tempio di Set erano Willie Browning e Dennis Mann, entrambi (guarda caso) anche loro ufficiali dei servizi segreti militari. 

   Il Tempio di Set non è presente solo negli Stati Uniti ma anche in Italia e precisamente a Napoli. Leo Zagami collega la soluzione del caso dell’omicidio inerente a Melania Rea al fatto che il marito Salvatore Parolisi era legato alla filiale italiana del Tempio di Set[44]. In sostanza Parolisi era un sottufficiale che si occupava dell’addestramento delle reclute del 235° Reggimento di Fanteria Piceno di Ascoli, dove lavorava Parolisi (e a Roma Cecchignola) si occupava dell’addestramento delle reclute… in particolare di donne, che a quanto sembra le serbava un addestramento davvero particolare, secondo una metodologia che sfociava nella manipolazione mentale, seguendo un protocollo molto, troppo simile al Monarch: droghe, violenze, sesso, abusi. Una testimone parlò agli inquirenti di una specie di rituale che prevedeva l’uso delle candele nere mentre la vittima era legata a letto. Se Parolisi fosse stato anche affiliato al culto satanico fondato dal colonnello Aquino, la faccenda assumerebbe dei connotati più precisi e drammaticamente più inquietanti. Se così fosse, in altre parole, sarebbe confermata la pista rituale per l’omicidio di Melania Rea, non solo per l’addestramento che era svolto nella caserma, ma anche dell’omicidio di Melania. Bisogna ricordarsi che la filiale napoletana del Tempio di Set è l’unica ufficiale presente in Italia e i suoi proseliti furono già accusati di aver organizzato una messa nera nei sotterranei dello stadio San Paolo.

   Nel mondo ci sono fin troppi nazisti (per sfortuna) che hanno approcci di tipo satanico. Per esempio, l’Universal Order di James Mason esibisce una svastica d’orientamento “contrario” che sovrasta una bilancia a due bracci. Ricordiamoci che Manson si era inciso una svastica sulla fronte, ma siccome ci aveva lavorato guardandosi allo specchio n’era venuto fuori un senso di rotazione contrario a quello voluto. James Mason (che si vanta di essere entrato nell’American Nazi Party all’età di 14 anni) utilizzò quel particolare tipo di svastica anche quando esaltò Manson come futuro Hitler e il più grande filosofo vivente. La raccolta di scritti di Manson – come i suoi pensieri su George Lincoln Rockwell e su National Socialist Liberation Front, movimento analogo all’American Nazi Party ma se possibile ancor più fanatico – s’intitola Siege. Gli inserti pubblicitari su The Black Flame la salutano come “Il Mein Kamps degli  anni Novanta”.

 Un ex membro del Tempio di Set, Ronald Barrett, ha affermato che Aquino ha incorporato nella sua organizzazione dei rituali “con forti sfumature di occultismo nazista nazionalsocialista tedesco[45]. Nel 1987 Aquino è stato accusato di pedofilia[46], abusi sui minori e pornografia infantile, ma, a causa della mancanza di prove (o, più probabilmente, della protezione di alti funzionari a Washington), la polizia ha archiviato il caso.

   Oltre alle sue attività inerenti al satanismo, Aquino continuò il servizio militare (nel 1994 gli fu persino conferita la Medaglia al merito)[47] e lavorò come professore in un’università della California. Ad un certo punto, divenne un barone scozzese[48]  e un membro onorario di un certo numero di società occulte e logge massoniche.

   Aquino è stato coinvolto nella creazione di un libretto di orientamento per i cappellani militari statunitensi, che, oltre alle denominazioni tradizionali, includeva sette sataniche e occultiste.

OMICIDI OCCULTI

   Secondo “L’ Enciclopedia dello spionaggio[49], scritta da

Giuseppe Muratori, Presidente dell’Istituto Ricerche Comunicazioni Sociali (IRCS) nel 1993, si può uccidere una persona facendo credere che sia deceduta per cause naturali (suicidi, pallottole vaganti, rapine finite male, incidenti stradali, etc.).

   Un’ altra tecnica di eliminazione dei testimoni, ancora più incredibile, la ritroviamo negli atti della Commissione Parlamentare d’ inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, quando era presieduta dall’on. Pellegrino[50]

   E’ il 18 ottobre del 2000, quando, nel corso della 74° seduta, Arrigo Molinari, ex questore che morirà nella notte del 27 settembre 2005 con 10 coltellate infertegli nella sua casa di Audora in una “rapina finita male”, dichiara:

– MOLINARI Prima del 1978 a San Martino, o nei pressi di San Martino, venne istituito un centro diagnostico (che adesso è presente in tutte le città d’Italia, in tutti gli ospedali), il

cosiddetto TAC. Il primo di questi impianti ad essere installato in Italia. Ad installare questo impianto fu fittiziamente Rosati, che aveva la gestione di questa TAC. Ma in realtà la TAC era

una struttura della P2 che doveva servire …

-PRESIDENTE: “Mi scusi avvocato Molinari, per comprendere meglio, lei sta parlando della tomografia assiale computerizzata, cioè un modo di indagine radiografica. La P2 quindi

importava per prima questo tipo di macchinario”.

-MOLINARI: Come la P2 frequentava la pellicceria di Pavia “Annabella”, gestiva anche questa struttura, perché doveva utilizzarla, non come ha ritenuto la magistratura per compiere

truffe alla regione, ma per avere uno strumento, e avere in mano tutti i medici di San Martino e d’Italia che dovevano servirsi di esso quando avevano dei malati da curare. Dico di più.

Quando capitava qualche politico o qualcuno che volevano disturbare o molestare, o che sapevano che stava poco bene, effettuavano anche una diagnosi falsa, dicendo che aveva un

tumore. I malati poi, magari, si recavano in Inghilterra e scoprivano che il tumore non esisteva. Per cui questa TAC era una struttura della P2, non di Rosati, lo si sapeva, lo sapevano praticamente tutti. La P2 doveva impadronirsi della presidenza della facoltà di medicina; al riguardo c’è una mia relazione, non so se è stata acquisita”.

  Secondo la dichiarazione di Molinari la P2, nel 1978, grazie alla

complicità di medici “massoni”, usava le strumentazioni ospedaliere per diagnosticare falsi tumori a persone “scomode”. Eliminare queste persone “scomode” dopo doveva essere facile,

avvelenandoli con iniezioni che venivano fatte passare per cura (Ma la cosa più strana è stata la reazione della Commissione ad una dichiarazione così atroce: Nessuna!).

   Ora la mente non può che tornare al Generale dei Carabinieri Manes[51], morto pochi minuti prima di deporre davanti alla Commissione parlamentare d’Inchiesta sullo scandalo del

Sifar – Piano Solo per arresto cardiaco, o ancora al colonnello Bonaventura[52], direttore dell’Ufficio analisi controspionaggio, terrorismo internazionale e criminalità organizzata transnazionale del SISMI, un personaggio-chiave nel caso del dossier Mitrokhin (per primo aveva materialmente ricevuto il dossier Mitrokhin, quindi colui che più di altri poteva attestarne l’autenticità), morto per infarto pochi giorni prima della sua audizione davanti alla

Commissione Parlamentare chiamata ad indagare sul dossier. Ed ancora al Colonnello Stefano Giovannone[53], iscritto ai Cavalieri di Malta, aveva ricoperto l’incarico di capocentro del SISMI

a Beirut dal 1972 al 1981 che, arrestato nel corso dell’indagine per il traffico di armi tra OLP e Br, muore agli arresti domiciliari per “morte naturale”. Lo stesso vale per Roberto Boemio[54], una vita trascorsa nell’ Aeronautica militare italiana, generale in pensione e consulente della società Alenia del gruppo Iri, uomo chiave nel giallo di Ustica, ucciso con tre coltellate a

Bruxelles. “Omicidio per rapina“, titolano i giornali belgi. “Un brutto furto conclusosi tragicamente“, come si ostina a ripetere il giudice istruttore Luc Laffiner, titolare delle indagini. Ma ora si scopre che al Generale non è stato neppure rubato il portafoglio. “Sapeva troppo il generale Boemio” scrisse il giornalista Daniele Mastrogia come nel suo articolo apparso su La Repubblica del  15 gennaio 1993. “Ai tempi della strage del DC-9 Itavia, era

capo di stato maggiore della Terza regione aerea, quella incaricata di vigilare lungo il fronte sud-est dei nostri confini. Il giudice Priore lo aveva sentito, come testimone, nel ‘ 91. Lui aveva sostenuto di non essere stato informato su quello che era accaduto nei cieli di Ustica la notte del 27 giugno 1980. Il magistrato lo aveva lasciato andare, riservandosi di sentirlo di nuovo.

   Da un paio d’ anni Boemio si era trasferito a Bruxelles. Faceva il consulente per l’ Alenia, una sorta di manager per uno dei clienti più importanti della società del gruppo Iri: la Nato. Si

occupava di radar. La polizia criminale di Bruxelles tende a relegare il caso ad un semplice omicidio per rapina, ma i particolari emersi dalle indagini finiscono per alimentare il giallo

infinito della strage del DC-9 Itavia”.

   Tra le strane morti per cause naturali o incidenti possiamo ricordare anche quella del capo del Corpo dei Vigili, l’ingegner Giorgio Mazzini[55] che muore nel Palazzo di Giustizia di Torino dove si era recato per incontrare i magistrati che si occupano del rogo alla Thyssen Krupp. Aveva 67 anni e sarebbe andato in pensione due mesi dopo.


[1] https://www.rainews.it/archivio-rainews/articoli/peru-scoperta-una-enorme-fossa-comune-forse-il-piu-grande-sacrificio-di-bambini-della-storia-6edf7fb4-6299-4382-8530-8a1d21b15a38.html

[2] https://aipgitalia.org/wp-content/uploads/2010/02/Cameli_Alessandra_Tesina_AIPG10.pdf

[3] https://www.ogismcv.it/l-infermiere-di-satana.html

https://www.corriere.it/cronache/cards/infermieri-killer-daniela-poggiali-sonya-caleffi-storia-angeli-morte/alfonso-de-martino.shtml

[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Omicidio_di_Elisa_Claps

[5] https://m.facebook.com/adipinews/photos/a.116841443078810/463517048411246/?type=3&_rdr

[6] https://it.wikipedia.org/wiki/Sant%27Agata#La_morte

[7] https://it.wikipedia.org/wiki/Ludovico_II_di_Baviera

[8] Nöhbauer, Hans F. (1998). Ludwig II. : Ludwig II of Bavaria = Louis II de Bavière. Taschen. ISBN 9783822874301, p. 88

   Da analisi fatte in seguito è risultato che nel cadavere non c’era acqua nei polmoni.

[9] https://aipgitalia.org/wp-content/uploads/2010/02/Cameli_Alessandra_Tesina_AIPG10.pdf 

[10] William J. Aricò in un tentativo di fuga dal carcere mai chiarito  http://www.sironieditore.it/sezioni/articolo.php?ID_articolo=808&ID_libro=978-88-518-0240-0

[11] https://aipgitalia.org/wp-content/uploads/2010/02/Cameli_Alessandra_Tesina_AIPG10.pdf 

[12] https://www.azionecollettiva.org/verita-apparente-lo-strano-suicidio-di-cecilia-gatto-trocchi/

[13] Ward Rutherford Tradizioni celtiche ed. Neri Pozza Vicenza pag.116

[14] Colin Wilson, La filosofia degli assassini,  Longanesi 1972 pag. 31

[15]                                       C.s. p. 32

[16]                                      C.s.  p.  63

[17]                                     C.s.   p. 32

[18] https://it.wikipedia.org/wiki/Sabbatai_Zevi

Bibliografia

  • Marc D. Baer,”The double bind of race and religion: The conversion of the Dönme to Turkish secular nationalism, in Comparative Studies in Society and History, 46 (2004), pp. 682–708.
  • John Freely, Il Messia perduto: la storia di Sabbatai Sevi e il misticismo della Qabbalah, Il Saggiatore, Milano 2007.
  • Matt Goldish, The Sabbatean Prophets, Harvard University Press, Cambridge 2004.
  • Moshe Idel, Gli ebrei di Saturno. Shabbat, sabba e sabbatianesimo, Giuntina, Firenze, 2012
  • Arthur Mandel, Le Messie Militant ou La Fuite du Ghetto. Histoire de Jacob Frank et du mouvement frankiste, Archè, Milano, 1989.
  • Leyla Neyzi, Remembering to forget: sabbateanism, national identity, and subjectivity in Turkey, in Comparative Studies in Society and History, 44 (2002), pp. 137–158.
  • Gershom Scholem, Ŝabetay Şevi – Il Messia mistico, 1626-1676, Einaudi, Torino 2000.
  • Stefano Villani, Between Information and Proselytism: Seventeenth-Century Italian Texts on Sabbatai Zevi, their Various Editions and their Circulation, in Print and Manuscript in DAAT: A Journal of Jewish Philosophy & Kabbalah 82 (2016), pp. LXXXVII-CIII.

[19] Jacob Joseph Frank era un leader religioso ebreo polacco che sosteneva di essere la reincarnazione dell’autoproclamato messia Sabbatai Zevi e anche del patriarca biblico Jacob.  https://en.wikipedia.org/wiki/Jacob_Frank

[20] http://www.30giorni.it/articoli_id_2637_l1.htm

http://media.regesta.com/dm_0/INTESA/Digital-Library/allegati/ods-ISP/2015/01/20/017-324.pdf

https://marcorundo.wordpress.com/tag/enrico-cuccia/

[21] Cecilia Gatto Trocchi, Le Sette in Italia, ed. Newton Compton ,1994, pag.81

[22] https://madfreemind.wordpress.com/2018/11/03/il-culto-satanico-degli-spacciatori-messicani-adolfo-constanzo/

[23] Cecilia Gatto Trocchi, Le Sette in Italia ed. Newton Compton, 1994, pag.82.

[24] https://www.unimondo.org/Guide/Politica/Partecipazione/Brasile-impuniti-i-delitti-nelle-zone-rurali-70943

https://www.gris-imola.it/ultime_notizie/Duesatanistibrasilianicondannatipercheuccisero5bambini.php

[25] https://www.ilgiornale.it/news/cronache/lucifero-nelle-mie-mutandine-cos-amiche-uccisero-l-angelo-1970702.html

[26] https://it.wikipedia.org/wiki/Maria_Laura_Mainetti

[27] https://it.wikipedia.org/wiki/Euronymous

[28] https://www.lascimmiapensa.com/2017/12/10/lato-oscuro-della-musica-linner-circle/

[29] https://www.justice.gov/opa/pr/us-army-soldier-charged-terrorism-offenses-planning-deadly-ambush-service-members-his-unit

[30] https://www.repubblica.it/esteri/2020/06/23/news/usa_soldato_neonazista_stava_preparando

[31] L’Ordine dei Nove angoli è un gruppo occulto Satanico e della Via della Mano Sinistra con sede nel Regno Unito, ma con gruppi affiliati in varie altre parti del mondo. https://it.wikipedia.org/wiki/Ordine_dei_Nove_Angoli

[32] https://insideover.ilgiornale.it/schede/criminalita/alla-scoperta-dei-nazi-satanisti-dell-ordine-dei-nove-angoli.html

[33] https://insideover.ilgiornale.it/schede/criminalita/alla-scoperta-dei-nazi-satanisti-dell-ordine-dei-nove-angoli.html

[34] https://www.coffeeordie.com/soldier-satanic-neo-nazi-plot

[35] https://insideover.ilgiornale.it/schede/criminalita/alla-scoperta-dei-nazi-satanisti-dell-ordine-dei-nove-angoli.html

[36] https://web.archive.org/web/20220919122219/https://ria.ru/20220603/satanizm-1792956737.html

[37] https://insideover.ilgiornale.it/schede/guerra/che-cos-e-il-battaglione-azov.html 

[38] https://www.haaretz.com/world-news/europe/2019-12-12/ty-article/.premium/most-neo-nazi-music-festivals-are-closely-guarded-secrets-not-this-one/0000017f-e5e0-d97e-a37f-f7e5f4b80000

[39] http://aurorasito.wordpress.com/2013/10/26/lagenda-dello-spopolamento

[40] Behold a Pale Horse, William Cooper, Light Tecnology Press. Sedona, AZ. 1991 p. 166.

[41] Nel 1971 apparvero sulla stampa americana i testi chiamati Le Carte del Pentagono (Pentagon Papers), documenti segreti resi pubblici da Daniel Ellsberg, un vecchio analista della Rand Corporation (la lobby militare del Pentagono). In quel periodo venne anche pubblicato il libro ”The Jasons: The Secret History of Science’s Postwar Elite (La Storia Segreta della Scienza nella Guerra Fredda) di Ann Finkbeiner. Mentre i primi testi evidenziavano le macchinazioni del governo statunitense durante la guerra in Vietnam, il secondo rivelava l’esistenza di un’equipe segreta di scienziati che collaborarono con varie amministrazioni passate per Washington. Questo gruppo era conosciuto come “Jason”.

   L’origine di questo nome viene dalla mitologia greca, dalla storia di Jason (Giasone) e gli Argonauti alla ricerca del vello d’oro, oggetto che gli avrebbe dato vittoria e gloria. Ma nulla lega i nostri scienziati del Pentagono con i cercatori della leggenda greca, né con il vero Jason, che scoprì la pelle di montone dorata appesa ad un albero di Dodona, il luogo denominato Iperborea al Polo Nord. Jason era quindi un’equipe segreta di scienziati che collaboravano col potere, e come ci racconta il professore di matematica catalano Salvador López Arnal, nel 1971, Jason rappresentava un chiaro impegno politico di un gruppo di scienziati che includeva le eccellenze della scienza fisica e biologica, compresi alcuni premi Nobel nella propria disciplina. Link http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=print&sid=5934

[42] Sarà un caso, ma in questo mondo esoterico alla fine non ci deve stupire nulla, Sinclair è anche un‘antica famiglia scozzese molto collegata con i Templari, che si rifugiarono in Scozia quando il loro Ordine du soppresso in Francia. In Scozia, da Robert Bruce in poi, ogni sovrano fu Cavaliere Templare ed in quella terra si sono intrecciate le vicende di Rosslyn, la famiglia Sinclair e l’Ordine Templare da cui sono venute letture culturali del templarismo. Proprio vicino a Rosslyn, sulla piccolissima isola di May, nel Firth of Forth, la profonda insenatura creata nella costa orientale scozzese dall’estuario del fiume Forth, secondo una tradizione massonica francese, sarebbe stata inizialmente trasferita, a bordo di nove navi, i documenti e le ricchezze degli ultimi Templari in fuga dal porto di La Rochelle. A Rosslyn, secondo molti studiosi, abita il segreto di William Sinclair e l’enigma di misteriosa pietra rossa avvolta da una forte energia, all’interno della cripta inferiore della Cappella scozzese che racconta la storia dei Cavalieri Templari.

   In Italia nel 2012 è nato il Clan Sinclair Italia. La sede è a Parma ma conta iscritti in tutto il Paese, in particolare nelle Marche. L’Associazione culturale ha lo scopo di approfondire la ricerca, lo studio e la diffusione dei valori del templarismo originario, che appartiene alla famiglia scozzese dei Sinclair e dei Rex Deus. Sino ad oggi l’unica sede, al pari di quella italiana, era a Wick, in Scozia. Presidente del Clan Sinclair Italia è stato nominato Tiziano Busca, vice presidente Massimo Agostini, tesoriere Davide Bertola, segretario Sven Boheme. Ian Siclair è presidente onorario, Lord Malcom Sinclair è Patron.

 “Con questo atto – spiega il presidente Busca – la famiglia Sinclair, testimone di un passato straordinario, ha voluto segnare il forte legame con l’Italia. La nascita di questa nuova associazione di ricerca è però anche una testimonianza di stima tra il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Gustavo Raffi, e la famiglia Sinclair, in particolare con Lord Malcom Sinclair, Lord d’Inghilterra, e Ian Sinclair archivista e bibliotecario della famiglia“.

http://www.grandeoriente.it/rassegna-stampa/2012/07/(adnkronos)-templari-e-ricerca-iniziatica,-nasce-il-clan-sinclair-italia.aspx#sthash.chlR5y56.dpuf

[43] Sara sempre un caso, ma nel film Vallanzasca – Gli angeli del male, Kim Rossi Stuart che interpreta Vallanzasca dice “non sono un cattivo è che ho il lato oscuro un po’ sviluppato“. Sarà sempre un caso che Angela Corradi, una delle “pupe“ della banda in seguito diventata suora aveva una croce uncinata tatuata, pare sul seno. Guarda caso a Turatello il boss di Milano Francis Turatello andava in giro con una svastica d’oro appesa al collo e che, in carcere divenne il testimone di nozze di Vallanzasca, gli regalò un ciondolo a forma di svastica. E sarà sempre un caso, che nel 1976, Vallanzasca quando era uno dei latitanti più braccati d’Italia, vola in Cile e si sistema tra gli spalti per vedere la Coppa Davis. Afferma  Mario Campanella, giornalista, portavoce del Pdl Calabria, che nel 2004 realizzò, insieme a Maria Rita Parsi, una serie di interviste in carcere, a Voghera, all’ex bandito dagli occhi azzurri: “Renato Vallanzasca assistette alla finale di Coppa Davis Cile-Italia nel 1976. Imbarcandosi da Parigi sotto falso nome, andando a trattare con il regime cileno una latitanza che poi non si concretizzò: possibile che nessuno se ne accorse?“ Continua Campanella “Vallanzasca e la sua banda  avevano diversi miliardi di lire dell’epoca in tasca, frutto di sequestri che si erano chiusi a cifre ben diverse da quelle diffuse. Il regime cileno offrì loro una protezione, un ranch intero in cambio dell’arrivo dei soldi a Santiago del Cile, ma Vallanzasca mi disse che ebbe paura di essere successivamente scaricato e non se ne fece nulla“, conclude Campanella “Capisco che Panatta non possa sapere una cosa del genere ma mi chiedo come sia stato possibile a Vallanzasca raggiungere e contattare le autorità cilene, arrivare allo stadio di Santiago e passare del tutto inosservato. Misteri dell’Italia anni 70“. Non misteri degli anni ’70, ma il famoso lato oscuro del potere quello che è nascosto alla maggior parte delle persone.

[44] http://www.newnotizie.it/2011/06/27/melania-pm-sospeso-legale-ferraro-minacciato-militari/

[45] https://www.auricmedia.net/satanic-subversion-u-s-military/  

[46] https://fionabarnett.org/2018/09/04/michael-aquinos-last-desperate-attempt-to-silence-his-victims/

[47] https://comedonchisciotte.org/al-servizio-militare-degli-stati-uniti-e-satana/

[48] https://xeper.org/maquino/nm/AquinoVitae.pdf

[49]  Ed. del Parlamento, Roma

[50] http://testo.camera.it/_dati/leg13/lavori/bollet/200010/1018/pdf/26.pdf

[51] https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/11/17/cosi-uccisero-il-generale-manes.html

http://www.misteriditalia.it/cn/wp-content/uploads/2014/03/18-Gen.-Manes.pdf

[52] https://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000000015194

[53] https://it.wikipedia.org/wiki/Stefano_Giovannone

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/07/18/morto-il-colonnello-giovannone.html

[54] https://www.stragi80.it/rassegna/purgatori/ap140193.pdf

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/01/15/boemio-incrina-la-tesi-della-rapina.html

[55] https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/01/04/thyssen-muore-il-capo-dei-pompieri-malore.html