IL CAPITALISMO VERSO LA DISSOLUZIONE?

   L’accelerazione del paradigma emergenziale a cui assistiamo dal 2020 ha come scopo il mascheramento del collasso socioeconomico in atto. Nel metaverso[1] le cose sono l’opposto di ciò che sembrano. Inaugurando Davos 2022, Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, ha incolpato Putin per la “confluenza di calamità” che si sta abbattendo sull’economia mondiale.[2] Davos è un megafono di reazioni sempre più disperate a fronte di contraddizioni sistemiche ingestibili. Ai davosiani oggi non resta che nascondersi dietro goffe bugie da ragazzini. L’insistenza con cui ci raccontano che la recessione in arrivo è effetto di avversità globali che hanno colto il mondo di sorpresa (dal Covid 19 al conflitto russo-ucraino), nasconde l’amara consapevolezza dell’esatto contrario: è la crisi economica a causare scientemente queste “disgrazie”. Quelle che vengono vendute come catastrofiche minacce esterne sono in realtà la proiezione ideologica del limite interno della modernità capitalistica, e della sua decomposizione in atto. In termini sistemici la funzione dello stato di emergenza è mantenere artificialmente in vita il corpo comatoso del capitalismo. Il nemico non è più costruito per legittimare l’espansione dell’impero del dollaro, serve a nascondere la bancarotta di un mondo che affonda nei debiti e nella svalutazione monetaria.

   Dalla caduta del muro di Berlino in poi, lo sviluppo della mondializzazione capitalistica ha minato le condizioni di possibilità del capitale stesso. La risposta a questa parabola implosiva è stata lo scatenamento di una serie di emergenze globali a stretto giro di posta, e integrate da iniezioni sempre più massicce di paura, caos e propaganda.

   L’attuale escalation è partita all’inizio del millennio con l’11 settembre, con la la cosiddetta “guerra al terrore”, l’attacco all’Afghanistan e all’Iraq. Di lì si sono succeduti, lo Stato Islamico, la guerra civile in Siria, la crisi dei missili nordcoreani, la guerra commerciale con la Cina, il Russiagate, il Virus la guerra russo-ucraina (che è una maschera del conflitto NATO/Russia). La ragione elementare di questo cambiamento di passo è che più si accentua la crisi del capitalismo, e più il sistema necessita di crisi esogene funzionali a distrarre e manipolare le popolazioni, rinviando al contempo la sua caduta e gettando le basi per una svolta autoritaria.

   La storia ci dice che quando gli imperi stanno per crollare si irrigidiscono in regimi oppressivi che negano la loro fine. Non è certamente un caso che la nostra epoca di emergenze seriali sia iniziata con lo scoppio della bolla delle Dot-com[3] che è stato il primo crollo del mercato globale. Alla fine del 2001 la maggior parte delle aziende tecnologiche era fallita[4] e nell’ottobre 2002 l’indice Nasdaq era crollato del 77%[5], mettendo in luce la fragilità strutturale di una “new economy” alimentata da debito, finanza creativa, e graduale demolizione dell’economia reale. Da allora, la simulazione della crescita attraverso l’espansione delle attività finanziarie è stata accompagnata dalla produzione di minacce globali, debitamente confezionate dai media. In realtà, l’ascesa della “new economy” alla fine degli anni Novanta non riguardava tanto Internet quanto la creazione di un immenso apparato di simulazione di prosperità, che avrebbe dovuto funzionare senza la mediazione del lavoro di massa. Ha trionfato l’ideologia neoliberista della “crescita senza lavoro” – l’illusione abbracciata con entusiasmo dalla sinistra riformista in cerca di idee –  dove si credeva che un’economia che si fonda sulla bolla finanziaria potesse dar vita a un nuovo Eldorado capitalista. Sebbene questa illusione è esplosa in faccia, e nessuno sembra aver voglia di riconoscerlo.

   In effetti, da quando il Virus è intervenuto a alzare l’asticella dell’emergenzialismo, siamo tornati ai soliti escamotage finanziari. Per quanto la nuova infezione dell’Occidente si chiami Russia è fondamentale rendersi conto che questa fretta di crearsi nemici che incutano tremori esistenziali globali è un evidente segno di disperazione, basata com’è sull’aggressiva negazione del fallimento del sistema. Così come il Virus, la guerra in Ucraina serve a schermare l’orrore del crollo sociale totale causa scoppio della bolla del debito e, in rapida successione, del mercato azionario. La perversità di tale situazione può essere superata solo portandola alla sua conclusione dialettica: l’unico modo per porre fine alla crisi da distruzione emergenziale è porre fine alla logica economica autodistruttiva che la alimenta

    Dopo il boom fordista del dopoguerra, il capitalismo ad alta automazione produttiva è entrato nella sua crisi terminale, dove il denaro fittizio è sempre più dissociato dal valore mediato dal lavoro. Già a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, l’erosione irreversibile della sostanza-lavoro del capitale, innescata dalla Terza Rivoluzione Industriale (microelettronica), ha dato vita a un sistema creditizio e speculativo transnazionale che ha rapidamente penetrato tutte le forme del capitale monetario. Questa massa di denaro spettrale ha continuato a crescere per autofecondazione, nella misura in cui la sua espansione artificiale consente la mobilitazione di liquidità nel mondo reale.  La crescita economica degli anni Novanta fu dunque alimentata da un vero e proprio “meccanismo di riciclaggio”, per cui la domanda, il potere d’acquisto, e la produzione di beni e servizi venivano progressivamente sostenuti da quantità sempre maggiori di denaro senza sostanza, proveniente cioè dal settore speculativo. L’economia reale non si fondava più sui redditi da lavoro e sulle entrate tributarie, ma era trainata dalle speculazioni sui prezzi delle attività finanziarie che sono cumuli di denaro fittizio privi di sostanza valoriale. Questo ciclo di pseudo-accumulazione, basato su liquidità finanziaria che rifluisce nella produzione e nel consumo, è oggi lo stesso fondamentale fenomeno monetario che definisce il “capitalismo dell’emergenza”, inflazionistico e dotato di debito. Per necessità, quantità sempre maggiori di capitale fittizio finiscono per sostenere le attività produttive, cosicché a tutti gli effetti una quota crescente di accumulazione reale viene presa in consegna dai processi speculativi. 

   L’attuale sopravvalutazione di tutti gli asset a rischio (azioni, obbligazioni e immobiliare) ci suggerisce che le élite continueranno a usare le loro trame politiche per guadagnare tempo e rimandare la deflagrazione di una bolla di debito che hanno iniziato a gonfiare ben prima che il Covid e Putin diventassero i capri espiatori d’eccellenza. I guardiani del sacro Graal capitalista hanno pianificato per noi uno stato di terrore perenne, nel disperato tentativo di ritardare lo shock da svalutazione monetaria che si sta preparando da decenni. Sebbene lo facciano con metodi sempre più cinici, sembrano essere gli unici a rendersi conto che un tale shock metterebbe in ginocchio il sistema mondiale. Ecco perché l’aristocrazia finanziaria è disposta a fare qualsiasi coca in suo potere per garantire il prolungamento di un modello economico ormai agonizzante. In questo modo, le élite dimostrano una maggiore comprensione della nostra condizione rispetto a coloro che in teoria, dovrebbero essere meglio posizionati per valutarla, la cosiddetta intellighenzia post-marxista, insieme alla sinistra postmoderna in tutte le sue varianti assolutamente nulle se non controproducenti. Gli utili idioti della sinistra hanno da parecchio tempo smesso di fare la critica dell’economia politica e sono dunque direttamente responsabili della catastrofe in corso.

   Non ci sono dubbi che i tecnocrati al timone del Titanic abbino intuito che la nave sta accelerando verso l’iceberg. Avendo da tempo esaurito le cartucce di politica economica (come il dibattito a tratti stucchevole, su “austerità o stimolo”), evidentemente hanno scelto di promuovere un programma fatto di paura e propaganda nel tentativo di disperato di gestire l’ingestibile. In particolare, hanno compreso ciò che alla maggior parte di noi può sembrare controintuitivo, che il crollo del modo di produzione capitalista ormai diventato obsoleto può essere ritardato solo attraverso:

  1. Un flusso costante di emergenze globali;
  2. La demolizione controllata (inflattiva) dell’economia reale;
  3. La trasformazione autoritaria delle democrazie liberali.

   Tutto questo è fortemente connesso con l’evoluzione della democrazia borghese.

   L’idea che la democrazia borghese sia un sistema rappresentativo parlamentare coniugato con un ordinamento giuridico garante di un insieme più o meno esteso di libertà formali è un’idea sostanzialmente sbagliata che rimanda a una concezione dello Stato dell’imperialismo che non è marxista. Quest’idea si basa infatti su una concezione idealistica che antepone il concetto di democrazia borghese alla sua base economica e sociale. Ne viene fuori così un problema astratto di definizione di cosa sia e di cosa debba essere la democrazia che, se contribuisce sul piano politico a supportare e legittimare determinati interessi delle classi reazionarie, serve a confondere e oscurare la coscienza di classe del proletariato e delle masse popolari.

   La democrazia borghese non è un’idea astratta, ma una categoria storica, economica e politica. La democrazia borghese era il riflesso di una struttura produttiva e di un tipo di mercato regolati dalla libera concorrenza e caratterizzati da una dinamica sostanzialmente espansiva. Era quindi, conseguentemente, anche un riflesso di una sovrastruttura caratterizzata da una società civile relativamente autonoma dallo Stato borghese, cosa che comportava un livello di pressione degli apparati burocratico-militari relativamente contenuto. Lo Stato era una sorta di “guardiano notturno”, legittimava e sanciva con la sua presenza il capitalismo e gli interessi delle classi dominanti, ma interveniva attivamente con la repressione solo nelle situazioni critiche. Questa era appunto l’epoca deli liberalismo classico borghese che, nei paesi in cui si potuto affermare liberamente, garantiva mediamente condizioni molto più favorevoli di quelle attuali, per lo sviluppo dell’organizzazione e dell’iniziativa indipendente del proletariato. La democrazia borghese e il liberalismo borghese vengono meno con la fine dell’Ottocento.

   Con l’affermazione dell’imperialismo si ha anche, nella prima guerra mondiale, pur a diverse velocità, la formazione del Capitalismo Monopolistico di Stato (CMS) nei vari stati imperialisti.

   In questi paesi il rapporto tra capitalismo e Stato la forma classica del CMS è legata dalla fusione del capitale monopolistico industriale e del capitale monopolistico finanziario (originato principalmente dalle attività industriali e commerciali fiorenti nella fase delle libera concorrenza). Lenin nel suo testo sull’imperialismo, dovendo analizzare in forma pura lo stadio imperialista dello sviluppo del capitalismo, ha trattato la questione sul piano teorico in termini generali ed essenziali. Si tratta di termini che corrispondono direttamente alla forma assunta dall’imperialismo, nei primi decenni del novecento, nei principali paesi imperialisti. Questa forma si è sviluppata ulteriormente dopo la prima guerra mondiale e soprattutto dopo la seconda.

    Sulla base di questo CMS si è via via sviluppato, negli anni successivi, il Sistema del Capitalismo Monopolistico di Stato (SCMS). Quest’ultimo, legando indissolubilmente tra loro sul piano economico-sociale e burocratico-militare la società civile e gli apparati Statali repressivi, ha intrinsecamente assunto una natura reazionaria e corporativa. Il SCMS e quindi il corporativismo a esso organicamente connesso escludono qualsiasi forma di democrazia borghese. Il CMS e il SCMS hanno oggettivamente svuotato e quindi superato la democrazia borghese e sancito la fine del liberalismo classico borghese. Con l’affermazione del SCMS, il corporativismo è diventato la base anche dei sistemi di rappresentanza parlamentare.

   La democrazia borghese può dunque essere sinteticamente definita come un sistema formale di diritti e libertà democratiche fondato sul capitalismo espansivo e su una sovrastruttura liberale classica; è evidente che questo tipo di sistema di democrazia formale è ben diverso dal sistema delle libertà formali che si può determinare sulla base dell’imperialismo. In quest’ultimo caso è insito che nel CMS un nucleo fascista che, nei casi in cui non dia luogo a una forma apertamente fascista, opera comunque condizionando fortemente in senso regressivo e limitativo lo stesso sistema delle libertà formali.

    Il teatro della guerra ucraina, proprio come la “guerra” al Covid, è quindi conseguenza della crescente consapevolezza di un collasso ormai imminente. Per di più, gli attuali gestori del “capitalismo di crisi” sanno che una dolorosa recessione è necessaria a far emergere un nuovo sistema monetario. E riconoscono che tutto questo deve avvenire come demolizione pianificata del modello attuale, che consentirebbe loro di mantenere e persino di rafforzare la propria posizione di potere in senso alla nuova norma capitalistica che si profila all’orizzonte. Razionamento di cibo, e energia, immiserimento di massa, credito sociale e controllo monetario attraverso le valute digitali delle banche centrali sono da tempo ingredienti fondamentali della ricetta capitalistica del futuro. 

   L’Ucraina ci offre un’immagine letterale di questo meccanismo ideologico, e soprattutto ci mostra il punto in cui è arrivata la putrefazione della fase imperialista del capitalismo.

   Von Clausewitz sosteneva che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Le guerre condotte dall’Occidente imperialista (compreso l’imperialismo italiano) nei Balcani, nell’Afghanistan, in Iraq, in Libia e in Siria sono state in prevalenza la prosecuzione della politica di sfruttamento dell’Occidente imperialista contro i popoli oppressi del Tricontinente (Africa, Asia e America Latina). La guerra a cui assistiamo oggi in Ucraina è, invece, la continuazione della contesa tra le potenze imperialiste. Contesa che negli ultimi due decenni è stata ben evidenziata dall’allargamento a Est della NATO e dalle cosiddette “rivoluzioni” arancioni che sono state delle tappe del piano USA di erosione della storica sfera di influenza russa. Per questo motivo l’operazione militare russa in Ucraina (definita operazione militare) è da intravedere come un contrattacco che ha lo scopo di impedire l’entrata nell’Ucraina nella NATO e, con essa, la penetrazione USA nel cuore dello spazio egemonico russo, con i missili nucleari schierati a qualche centinaia di chilometri da Mosca. 

   Come si diceva prima, l’attuale conflitto ha come lontana origine la crisi di sovraccumulazione di capitale cominciata nella metà degli anni Settanta, che attanaglia tutti i paesi imperialisti. Il capitalismo sotto la spinta della caduta tendenziale del saggio di profitto, perde colpi e non riesce più a garantire la valorizzazione dell’intero capitale. Questo ha determinato la caduta periodica nella condizione di stagnazione e recessione delle formazioni avanzate e ha avuto come conseguenza la spinta alla cosiddetta “globalizzazione”, cioè l’esportazione di capitali in cerca in cerca di valorizzazione a livello globale. Tutto ciò ha prodotto anche la spinta alla finanziarizzazione, cioè l’esportazione virtuale di capitali sovraccumulati in cerca di valorizzazione speculativa in ambito finanziario, con la conseguente crescita abnorme di questa sfera e con il relativo gonfiarsi ed esplodere delle bolle finanziarie.   

    Tutto ciò ha portato la crisi ad un livello più elevato determinando uno sfruttamento maggiore dei proletari e delle masse popolari sia nelle metropoli imperialisti che nei paesi oppressi, fino a provocare rivolte e guerre dal Medioriente all’America Latina. Ma hanno anche esasperato le tensioni attorno alle sfere di influenza dei diversi gruppi imperialisti con le guerre per procura e lo scontro tra monopoli, fino alle guerre commerciali e finanziarie con l’uso sempre più dispiegato di sanzioni e blocchi economici. Tutto ciò per cercare di scaricare la crisi sugli altri con il risultato di esasperare tutte contraddizioni.

   Da questo deriva un corollario di tensioni che sul piano strutturale ha posto sotto stress le catene del valore fino anche a spezzarle, come è accaduto nel caso dell’alta tecnologia, ad esempio il 5G, e delle materie prime, in primo luogo quelle energetiche, e su quello sovrastrutturale ha consolidato blocchi politici imperialisti contrapposti che mostrano la contraddizione sempre più acuta tra vecchi potenze e nuove potenze che hanno ancora ampi margini di valorizzazione, un esempio è il contrasto USA-Cina.

   Insomma un bel casino, una progressione di destabilizzazione che si riflette sia all’interno delle singole formazioni che nelle relazioni internazionali. Sul fronte interno la pandemia è stata usata, come si diceva prima, come occasione per irreggimentare il corpo sociale, per rinchiudere tutti nella sfera privata e mettere le masse, e in particolare i lavoratori, in ginocchio in un contesto di aggravamento delle loro condizioni economiche, apprestando e imponendo nuovi strumenti di sudditanza e di controllo.

   Sul fronte esterno, appare di nuovo nella storia della fase imperialista la prospettiva della guerra interimperialista, lo scontro diretto tra le potenze imperialiste, con il suo immane portato di distruzione di morte.

   Dopo la caduta del revisionismo in Unione Sovietica (ovvero l’aperta e dichiarata restaurazione del modo di produzione capitalistico) e la conseguente fine della contrapposizione NATO-Patto di Varsavia che aveva caratterizzato tutta la seconda metà del Novecento, si è visto un tentativo da parte degli USA di allargare il proprio dominio e la propria influenza nel mondo.

   Questo tentativo di egemonia mondiale da parte degli USA, nasceva dal fatto, che man mano che aumentano le difficoltà dell’accumulazione del capitale, una frazione della Borghesia Imperialista internazionale ha cercato di imporre un’unica disciplina a tutta al modo intero (compreso alle classi dominanti dei vari paesi), costruendo attorno agli USA il proprio nuovo Stato sovranazionale: quest’ultimo assorbirebbe più strettamente in sé gli altri Stati limitandone ulteriormente l’autonomia.

   Negli anni trascorsi dopo la Seconda guerra mondiale si è formato un vasto strato di Borghesia Imperialista Internazionale, legata alle multinazionali con uno strato di personale cresciuto al suo servizio.

   Già erano stati collaudati numerosi organismi (monetari, finanziari, commerciali) sovrastatali nei quali questo Strato di Borghesia Internazionale esercita una vasta egemonia.

   Parimenti si era formato un personale politico, militare e culturale borghese internazionale. Di conseguenza il disegno della fusione dei maggiori Stati imperialisti in unico Stato aveva maggiori basi materiali di quanto ne avessero gli analoghi disegni perseguiti nella prima metà del secolo scorso, dalla borghesia anglo-francese (Società delle Nazioni), dalla borghesia tedesca (Nuovo Ordine Europeo nazista), dalla borghesia giapponese (Zona di Coprosperità). Ma la realizzazione di un processo del genere, mentre avanza e si accentua la crisi economica, difficilmente si realizzerebbe in maniera pacifica, senza che gli interessi borghesi lesi dal processo si facciano forte di tutte le rivendicazioni e i pregiudizi nazionali e locali.

   Tuttavia, il progetto di un mondo unipolare a guida USA fallì (grazie anche alla lotta che i popoli e i proletari dell’area che va dalla Palestina al Libano all’Iran hanno portato avanti) e si è delineato invece un mondo multipolare, con diverse potenze più o meno grandi, le quali si muovono sullo senario internazionale in maniera non sempre definita da sfere di alleanze chiare e unilaterali. È il caso della Turchia, dell’Iran e talvolta anche della Russia (quest’ultima durante l’amministrazione Trump aveva addirittura visto un avvicinamento con gli USA, i quali volevano evitare la nascita di un fronte Mosca-Pechino). Questa situazione ha fatto sì che si sviluppasse una vera e propria crisi dell’egemonia USA, resa evidente dal caso dell’Afghanistan (che è stato un tentativo fallito di instaurare un baluardo dell’imperialismo in Asia). Dopo quasi vent’anni di impegno militare, con una enorme spesa pubblica e un’opinione pubblica per la maggior parte contraria, ritirarsi dimostrò una scelta strategica obbligata, rivelando al mondo la difficoltà dell’imperialismo USA di espandere i suoi tentacoli a proprio piacimento.

   In questo mondo multilaterale, se da un lato gli USA con la NATO erano riusciti ad allargare l’influenza in Europa, dall’altra avevano rischiato di perdere presa su altre nazioni, per esempio la Germania che aveva iniziato a sviluppare rapporti con la Russia tramite Nord Stream 2[6], oppure l’Italia che è entrata in Belt and Road Initiative (la nuova via della seta cinese[7]). L’accanimento USA contro queste due iniziative – manifestatosi anche con il sabotaggio di qualsiasi tentativo di mediazione rispetto alla crisi ucraina – dimostra l’importanza per gli USA di mantenere l’Europa sotto il proprio dominio. In questo senso gli unici attuali reali beneficiari della situazione in Ucraina, sono proprio gli USA, che fomentano la guerra per ricompattare il fronte europeo in funzione antirussa.

   Negli ultimi anni la NATO ha esteso la propria sfera di influenza verso Est, in funzione chiaramente anti-russa, accogliendo nella propria alleanza molti paesi dell’area ex-sovietica. Nel 1999 ha inglobato i primi tre paesi dell’ex Patto di Varsavia: Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria. Quindi, nel 2004, si è estesa altri sette: Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Romania, Slovacchia, Slovenia. Nel 2009 è il momento dell’Albania e della Croazia; nel 2017, il Montenegro, nel 2020 la Macedonia. In vent’anni, la NATO si è estesa da 16 a 30 paesi. L’obiettivo lampante della dottrina elaborata dall’ex Segretario di Stato Brzezinski, e fortemente perseguita dagli USA, è l’allargamento ad a Est e l’isolamento della Russia e della Cina attraverso il controllo delle fonti energetiche. È uno dei perni di questa politica è il dominio dell’Ucraina.

   È quindi evidente che il ritratto di un mondo che si trova in guerra per l’iniziativa sconsiderata di Putin è totalmente falso: questa guerra è solo un tassello del conflitto mondiale in cui ci troviamo da tempo, conflitto fra Stati e borghesie imperialiste per estendere le proprie aree di influenza ed accaparrarsi le risorse e i mercati.

   Dietro il loro ipocrita moralismo, i politici occidentali telecomandati dall’alto, continuano a sabotare la diplomazia sanzionando la Russia e pompando tonnellate di armi in Ucraina, oltre a miliardi di aiuti finanziari. A parte la convenienza parallela di loschi traffici di armi e di denaro, l’obiettivo, come si diceva prima è quello di prolungare deliberatamente il conflitto. L’Unione Europea, inoltre, continua ad acquistare gas e petrolio russi, essenziali per mantenere un’apparenza di benessere.

    Proviamo a unire due punti. Da una parte, abbiamo un’economia in caduta libera, la cui agonia è a malapena dissimulata dalla dipendenza del debito e dalle astronomiche “bolle di tutto” (ovvero la somma delle varie bolle, come la bolla finanziaria, la bolla immobiliare ecc.). Dall’altra, lo spettacolo voyeuristico dei massacri ucraini, intenzionalmente privati di contesto storico-sociale e alimentati da una propaganda a senso unico. Unire i punti significa capire che lo scopo dell’emergenza ucraina è quello di tenere accesa la stampante del denaro incolpando Putin della crisi economica mondiale. L’obiettivo vero della guerra è opposto a quello dichiarato: non difendere l’Ucraina (e di conseguenza la “democrazia”, la civiltà liberale ecc.), ma prolungare le ostilità e alimentare l’inflazione nel tentativo di disinnescare il rischio catastrofico nel mercato del debito, che si diffonderebbe a macchia d’olio su tutto il mercato finanziario. Non dimentichiamo che il mercato finanziario è una sorta di derivato del mercato del debito, che quindi deve essere gestito con estrema attenzione. Mentre il “suicidio assistito” dell’economia reale attraverso shock negativi dell’offerta aggrava l’inflazione dei prezzi al consumo, quest’ultima fornisce un temporaneo sollievo alla mega bolla del debito, rinviandone così la deflagrazione.

   Nel recente passato, la preoccupazione principale della politica monetaria è stata la stabilizzazione del debito, finalizzata a ridurre il rischio di un evento che polverizzerebbe l’economia e con essa le nostre società. La pressione sempre crescente del debito dev’essere periodicamente allievata, e l’inflazione dei prezzi in questo senso può essere d’aiuto. Come? Facendo da decompressore alla bolla del mercato obbligazionario visto che l’inflazione riduce il valore reale del debito stesso. Naturalmente il pericolo, è che la dinamica inflazionistica assuma una vita propria (iperinflazione). Il punto, tuttavia, è che i padroni del vapore non hanno più conigli da estrarre dal cilindro: non hanno cioè altra scelta se non quella di deprimere l’economia reale per allungare l’aspettativa di vita della bolla speculativa. Nell’attuale contesto, qualsiasi crescita artificiale della bolla obbligazionaria necessita di un certo grado di deflazione, che oggi è garantita dal combinato di guerra e aumento dell’inflazione dei prezzi. Questa logica perversa può essere compresa considerando il debito a margine degli USA, ovvero il capitale preso in prestito e utilizzato per operare sul mercato azionario USA. Dall’ottobre 2021, il margin debt[8] è sceso del 14,5%, mentre il Nasdaq[9] ha perso il 17,6%. Ecco perché l’Ucraina non è che un danno collaterale, per giunta corredato da un catartico lavaggio di coscienza collettiva.

   La triste verità è che la “guerra di Putin” (come la “guerra al Covid”) ritarda e in qualche modo ammortizza il trauma del crollo (ed è per questo motivo che l’Ucraina viene sacrificata sull’altare di un prolungato massacro per la “libertà”). Il vero obbiettivo, ripetiamo, non è aiutare gli ucraini (e nemmeno spezzare le reni alla Russia), ma esorcizzare il “fantasma Lehman”[10] che oggi spazzerebbe in pochi secondi la sottile patina di benessere monetario che ancora ci impedisce di dirigere lo sguardo verso l’abisso. Tenere liquido il mercato è l’unico obiettivo che conta per la finanza dopata. Sgonfiando una porzione della bolla del debito attraverso l’erosione del potere d’acquisto e la comprensione della domanda, le élite si preparano infatti a inondare nuovamente il sistema di liquidità immediata, ovvero di denaro creato con il clic del mouse del computer. Presto potrebbero addirittura essere annunciati nuovi programmi di Quantitative Easing[11], forse con nome diverso e grazie alla spinta di un incidente controllato, ma abbastanza grave da garantire l’azione immediata della stampante.


[1] Nella letteratura futurista e nella fantascienza, il metaverso è un’ipotetica iterazione di Internet come un unico mondo virtuale universale e immersivo, facilitato dall’uso di cuffie per la realtà virtuale e la realtà aumentata. https://it.wikipedia.org/wiki/Metaverso

[2] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2022/05/23/zelensky-striglia-davos-basta-affari-con-la-russia_21828145-e909-4d3c-beb4-fe6f7d077502.html 

https://www.corriere.it/economia/opinioni/22_giugno_06/ciao-globalizzazione-la-guerra-forum-davos-rifare-o-dimenticare-sempre-01fe8ee0-e0cb-11ec-a138-4bfa3d154041.shtml

[3] La Bolla delle Dot-com è stata una bolla speculativa sviluppatasi tra il 1997 e il 2000 quando l’indice NASDAQ, il 10 marzo 2000, raggiunse il suo punto massimo a 5132.52 punti nel trading intraday prima di chiudere a 5048.62 punti https://it.wikipedia.org/wiki/Bolla_delle_dot-com

[4] https://urbrick.com/materiale/la-crisi-post-11-settembre-2001/

http://www.vita.it/it/article/2001/07/27/il-fallimento-dei-grandi-punto-per-punto/3917/

https://www.pocket-lint.com/it-it/app/notizie/143315-marchi-tecnologici-che-sono-falliti-in-modo-spettacolare-o-sono-scomparsi-dallesistenza

[5] https://it.frwiki.wiki/wiki/Krach_boursier_de_2001-2002

https://notizie.tiscali.it/economia/articoli/wall-street-crolla-dj-2-77-nasdaq-4-17-record-negativo-2008-00001/?chn

[6] Il Nord Stream 2 è un gasdotto non attivo, realizzato per trasportare il gas proveniente dalla Russia in Europa occidentale, attraverso il Mar Baltico. https://it.wikipedia.org/wiki/Nord_Stream_2

[7] La Nuova via della seta è un’iniziativa strategica della Repubblica Popolare Cinese per il miglioramento dei suoi collegamenti commerciali con i paesi nell’Eurasia. Comprende le direttrici terrestri della “zona economica della via della seta” e la “via della seta marittima del XXI secolo” https://it.wikipedia.org/wiki/Nuova_via_della_seta

[8] Il margin debt è un indicatore il cui valore esprime l’ammontare di denaro che gli investitori hanno preso in prestito dalla propria banca. Questa prestito viene tipicamente utilizzato per acquistare azioni. https://www.educazionefinanziaria.com/mercati-finanziari/margin-debt-cose-scopri-significato-e-rischi-mercati-finanziari/#:~:text=Il%20margin%20debt%20%C3%A8%20un,tipicamente%20utilizzato%20per%20acquistare%20azioni.

[9] NASDAQ, acronimo di National Association of Securities Dealers Automated Quotation è il primo esempio al mondo di mercato borsistico elettronico, cioè di un mercato costituito da una rete di computer. https://it.wikipedia.org/wiki/Nasdaq

[10] La Lehman Brothers è stata Una delle principali banche d’affari statunitensi, con attività e interessi in tutto il mondo. Fondata nel 1850 a Montgomery, in Alabama, la sua storia è stata caratterizzata da importanti successi ma anche da momenti di difficoltà, fusioni (per es. con l’American Express) e successivi scorpori: ha preso il nome di L. B. Holding nel 1994. Manifestando l’intenzione di avvalersi del Chapter 11 della legge fallimentare statunitense, ha dichiarato bancarotta il 15 settembre 2008, in seguito allo scoppio della crisi finanziaria legata ai mutui subprime. Le sue principali aree operative erano legate all’attività di banca d’investimento e di asset management, con interessi nel settore del private equity. Era, inoltre, uno dei maggiori operatori mondiali del mercato di strumenti derivati e di titoli di Stato statunitensi e stranieri.

   Il fallimento di L. B. è stato il più grande default della storia nordamericana con reazioni a catena su tutti i mercati finanziari del mondo, e con conseguenze destinate a durare per anni. Al momento della dichiarazione di bancarotta la banca aveva globalmente oltre 28.000 dipendenti e debiti finanziari per più di 700 miliardi di dollari, a fronte di attività prevalentemente finanziarie il cui valore, a causa della crisi, continuava a registrare costanti perdite. Il mancato salvataggio del colosso statunitense da parte del governo federale ha avviato un intenso dibattito sull’opportunità, e secondo alcuni sulla futura necessità, di un intervento statale in casi simili. https://www.treccani.it/enciclopedia/lehman-brothers_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/ https://www.treccani.it/enciclopedia/lehman-brothers_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/

[11] In politica monetaria, con allentamento quantitativo si designa una delle modalità non convenzionali eterodosse e ultraespansive con cui una banca centrale interviene sul sistema finanziario ed economico di uno Stato, per aumentare la moneta a debito in circolazione https://it.wikipedia.org/wiki/Allentamento_quantitativo

~ di marcos61 su marzo 25, 2024.

Una Risposta to “IL CAPITALISMO VERSO LA DISSOLUZIONE?”

  1. Lettura a voce alta su YT e TikTok dei tuoi articoli, lò farò…not bad idea

Lascia un commento