IL MOSTRO DI FIRENZE: LA PISTA ESOTERICA

   La vicenda del cosiddetto “Mostro di Firenze “ha rappresentato e rappresenta tuttora il caso più intricato ed oscuro della storia giudiziaria italiana. In quasi cinquant’anni di indagini, si sono succedute ipotesi investigative di ogni genere le quali, in gran parte, sono servite solo a riempire di fascicoli e scartoffie gli uffici giudiziari fiorentini.

   Investigatori e ricercatori di ogni estrazione e metodologia si sono affiancati, alternati, sovrapposti e contrapposti, giungendo a risultati che servivano spesso a difendere posizioni fortemente polemiche tra loro, con ovvie conseguenze sugli esiti delle indagini.

   A ciò si è aggiunto uno stillicidio di rivelazioni, secondo alcuni, sapientemente dosate nel tempo da un fantomatico ed occulto regista.

   Le prime ipotesi fecero ipotizzare il killer come una persona alta di statura e dalla mano precisa a tale punto da fare pensare ad un chirurgo.

   Po si finì per indagare un uomo dai caratteri opposti ovvero il tarchiato e rude contadino Pietro Pacciani, che era già stato pregiudicato per omicidio e violenza sessuale, che fu alla fine condannato come esecutore dei delitti e in seguito assolto.

   Poi Pacciani morì, per alcuni, in un alone di mistero, non prima di avere ricollegato alla vicenda i suoi “compagni di merende”, singolare locuzione per qualificare un gruppo guardoni, usi al bere e per giunta mezzo omossessuali.

   In seguito, “dulcis in fundo”, sorta e poi tramontata l’ipotesi delle sempre ricorrenti frange deviate dei servizi segreti, si è giunti ad ipotizzare l’occulta partecipazione di personaggi noti, adepti di una misteriosa setta segreta satanica.  

   Questi sono stati omicidi inquietanti. I delitti, sicuramente accertati del cosiddetto “Mostro di Firenze”, se escludiamo gli amanti Lo Bianco e Barbara Loci (21 agosto 1968) che, come è stato appurato, non furono sue vittime (il clan sardo sarebbe responsabile dell’assassinio di questa copia) sono 14.

   Intorno a questa orrenda storia ci sono state troppe strane morti: almeno 35.

   Morti strane, sospette, come quella di Renato Malatesta, coniuge di Antonietta Sperduto, che era stata oggetto di violenza da parte di Pacciani e di Vanni, e padre di Milva, bruciata nella sua Panda con il figlio Mirko di 3 anni nel 1993. Malatesta fu trovato impiccato il 24 dicembre 1980 nella stalla della sua casa. Francesco Vinci fu trovato morto, con un pastore, Angelo Vargiu, in un’auto nel 1993, pochi giorni dopo la morte di Milva e del suo bambino. Vinci avrebbe avuto una relazione con la Malatesta. Il figlio di Vinci conviveva con una prostituta, Anna Maria Mattei, trovata anche lei uccisa, con il fuoco, il 25 maggio del 1994. Cinque morti: Vinci, Vargiu, la Malatesta e il bimbo, la Mattei e, forse, il sesto sarebbe Pacciani. Pietro Pacciani, verosimilmente, sarebbe stato assassinato. In seguito la Procura di Firenze aprì un fascicolo contro ignoti sul decesso dell’agricoltore morto nel 1998, mentre era in attesa del secondo processo di appello.

   Una misteriosa scia di morti ammazzati. Gli autori dei delitti di Firenze sono ancora pericolosamente in circolazione? A Firenze sono state uccise dal 1982 al 1994, sette prostitute, con vari modus operandi, fino ad oggi si è creduto che l’autore fosse stato un serial killer, ma la teoria in questione, ha iniziato a indebolirsi nel 1994, anno in cui è stata uccisa Milva Mattei. Per finire vi è pure il misterioso omicidio di una copia uccisa con una calibro 22, provincia di Lucca. La pista potrebbe portare al “Mostro” sebbene la Procura di Firenze abbia sempre negato qualsiasi tipo di collegamento con gli assassini di Firenze. Per concludere, anche Barbarina Steri, moglie di Salvatore Vinci, un sardo che era sospettato di essere il “Mostro di Firenze”, è deceduta il 14 gennaio 1960, in circostanze alquanto sospette[1]. In un articolo a firma B. Gualazzini, su Il Giornale del 19 marzo 2001, che tra l’altro: “… va detto che la scia di morti ammazzati lasciati dietro di sé dal mostro, secondo molti di coloro che si sono interessati, a vario titolo, di questo incubo, tuttora senza colpevoli convincenti, conterebbe tra i fidanzati uccisi, le loro amiche e altri che ne sapevano troppo, omossessuali, lenoni e prostitute almeno 35 vittime…”.

SETTA E 007

   Su Pacciani il presunto “Mostro” rimangono dal mio punto di vista parecchi interrogativi. Aveva parecchi soldi, dei buoni postali e risparmi che sbucavano da ogni piega del suo passato. La spiegazione fu a tale quesito che tutto ciò era che Pacciani era un avaro incallito, uno che era incapace di spendere e sprecare persino le briccole.

   Le vecchie carte raccontavano di un piccolo e grande patrimonio nelle tasche di un uomo rinchiuso, a lungo in galera, lontano da lavori e guadagni. Dal 1979 al 1984 Pacciani acquista a Mercatale due case, a 61 milioni di lire (bisogna vedere il valore della lira dell’epoca), e le ristruttura. Compra una macchina, una Ford da 6 milioni. Tutto pagando in contanti in un periodo in cui lavorava soltanto saltuariamente in campagna mettendosi in tasca non più di cinquemila l’ora. Sempre in contanti, dal 1981 al 1987, acquista buoni postali per un totale di 157 milioni e fra il novembre 1985 e il maggio 1987 versa agli sportelli di tre uffici postali diversi (Mercantale, Cerbaia e Montefiridolfi, tutti vicini a casa) altri 57 milioni. “Rispari di una vita da tirchio” dicono i poliziotti quando scoprono i libretti durante la perquisizioni a casa Pacciani nel 1993[2].

   Ma la spiegazione, col passare degli anni, rimase appesa al niente diventa un dubbio. Punto oscuro, un tarlo della mente degli investigatori insieme alle parole pronunciate in aula da Giancarlo Lotti, supertestimone più volte ritenuto risolutivo: “Un medico chiedeva a Pacciani di fare dei lavoretti”.

   Soldi sospetti, qualcuno che pagava, “lavoretti”. Tessere di un unico mosaico che lentamente va ricomponendosi che lentamente insieme ad altri indizi verso una nuova, inedita pista investigativa. C’era qualcuno dietro i “compagni di merende”. Un secondo livello, rimasto sempre all’ombra. Qualcuno disposto a pagare, mandanti misteriosi che ordinavano i delitti e riempivano di denaro gli esecutori. Non gente comune come Pacciani il contadino e Mario il postino del paese. Che pretende sangue e feticci, manovrava i “compagni di merende” e la loro facilità di uccidere.

    Giuttari il capo della Squadra Mobile di Firenze assieme e il PM Canessa riprendono le indagini su un ipotesi di lavoro, che in base a un dossier, che rivisita la catena di omicidi assegnando nuovi ruoli ai vecchi protagonisti e aprendo la porta ad altri personaggi. Secondo il nuovo scenario, Pietro Pacciani, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, erano soltanto gli esecutori materiali degli omicidi. Con loro, anzi sopra di loro, avrebbero agito mandanti, gente potente e protetta, insospettabili uniti dal vincolo di una setta. Ordinavano e pagavano. Volevano omicidi, feticci ed in cambio garantivano tanti soldi.

   Il dossier prosegue analizzando le similitudini degli omicidi e descrivendone la ritualità. Notti senza luna, spesso nel fine settimana, mutilazione delle vittime (pube e seno), utilizzo della stessa pistola (la Beretta calibro 22) e dello stesso coltello. Si esclude il primo duplice omicidio del 1968, considerato delitto passionale, e la partenza è datata 1974.

   Giuttari leggendo le carte inerenti le inchieste sui delitti sul Mostro si sofferma, soprattutto, su un fascicolo. È un fascicolo aperto qualche anno prima, mentre era in corso il processo ai “compagni di merende”. Primavera 1997, due donne chiamano la Squadra Mobile. Madre e figlia, Graziella Tacchio e Ajmona Corrado. Dalla loro villa se n’è andato di notte e nascosto un pittore svizzero che hanno ospitato per qualche tempo. È sparito all’improvviso, lasciandosi alle spalle una stanza in disordine. Le due donne raccolgono il materiale e lo consegnano alla polizia. Nelle scatole ci sono una pistola, un blocco Skizzen simile a quello sequestrato a Pacciani, dipinti di donne violenti e inquietanti. La villa si chiama Poggio ai Grilli, ed è sulla strada che da San Casciano conduce a Mercatale. Negli anni Ottanta è stata una residenza per anziani conosciuta come Villa Verde, che in seguito è diventato un albergo ristorante.  

   Sono le due donne a richiamare l’attenzione su di loro, ma nell’inchiesta sul Mostro tutto si ribalta in fetta, e pian piano Squadra Mobile e Procura si convincono che troppi segreti nasconde quella casa. Così Ajmone Corradi e la madre finiscono nel mirino. Il pittore, Claude Falbriard, non si trova, ma lentamente gli investigatori scavano nel passato della villa.  Lì ha lavorato Pietro Pacciani come giardiniere. Le donne confermano che Pacciani aveva lavorato nella villa ma solo per poche ire, negli anni Settanta. Almeno sei anni (dal 1981 al 1987), secondo gli investigatori. E poi, le voci, altri sospetti. Alcune ex infermiere, della casa di riposo vengono rintracciate e rivelano alla polizia: “Dopo le dieci nessuno poteva più mettere piedi fuori le stanze. Arrivano diverse persone e si compivano riti magici, satanici. Messe nere, cose stranissime[3].

   Giuttari interroga le due donne, torna più volte nella villa. Passano gli anni, ma non cambia le sue idee, è convinto che la villa nasconde qualcosa e lui la vuole scoprire. Cerca di rintracciare il pittore seguendone le tracce. Svizzera, Francia, alla fine lo trova in un paesino della Costa Azzurra a pochi chilometri da Cannes: è giusto proseguire su quella pista Falbriard a convincere Giuttari: è giusto proseguire su quella pista: il pittore svizzero ricostruisce un’altra verità. Non se n’è andato per non pagare, ma per paura. Parla di ricatti, cose strane viste nella villa ricordata come un incubo di cui è stato a lungo prigioniero. Racconta che veniva drogato e chiuso in una stanza e che nella villa succedevano cose strane, soprattutto la sera. La posizione del pittore cambia e nella primavera del 2001 da indagato si trasforma in un testimone. Sarà ascoltato a lungo a Cannes e a Firenze.

    Villa Verde, diventa la villa dei Misteri. Ajmona Corrado e la madre non ci stanno, si difendono senza tregua. Querelano giornalisti, dicono che nulla c’entrano con l’inchiesta e ricordano come siano state loro a farsi avanti bussando alla questura.

   Nel settembre 2001 dall’archivio sbuca come un lampo da una nuvola, un elemento che introduce altri scenari, complica e non semplifica, intorbida acque già abbastanza scure. Spunta un vecchio e dimenticato dossier preparato negli anni Ottanta per i servizi segreti del SISDE, redatto dal consulente Francesco Bruno, criminologo, che divenne famoso in quanto ospite fisso nei talk show allestiti a corredo di ogni cronaca nera di grosso richiamo, e già consulente di parte nel processo di appello a Pacciani. Lo Studio era stato commissionato dall’allora capo del SISDE, Vincenzo Parisi, a lungo poi numero uno della polizia. 1984, a Roma si guarda con preoccupazione ed un pizzico quel che accade a Firenze negli ultimi tempi. Siamo in estate, e da pochi giorni in un bosco del Mugello sono stati trovati i corpi di due ragazzi massacrati. Pia Rontini e Claudio Stefanacci. Sono le vittime del settimo duplice omicidio del Mostro (includendo quello, controverso come si diceva prima, del 1968). Stessa pistola, stesso coltello, ma le mutilazioni sono feroci e lasciano intravedere elementi rituali. Le indagini sono in un veicolo cieco: Piero Mucciarini e Giovanni Mele, le persone indicate allora come colpevoli (era la cosiddetta “pista sarda”, sono sempre in cella, ma il ritorno in scena del Mostro li scagiona (saranno subito scarcerati). Dunque, la serie del Mostro si allunga, si complica, e le indagini stagnano. Il SISDE decide di scendere in campo. Silenzioso e nell’ombra. Da copione. L’analisi viene affidata a un consulente dei servizi, Francesco Bruno. Pare un’inchiesta parallela e il dossier viene consegnato a Parisi nel 1985, prima dell’ottavo duplice omicidio del Mostro, come l’ex moglie dei criminologo, che collabora confermerà ai magistrati[4]. Bruno studia i verbali di sopralluogo, la perizia ordinata dalla procura all’altro criminologo, Francesco De Fazio e alla fine tira le conclusioni.

   Nel dossier, si ipotizza la pista esoterica e indica una residenza per anziani non autosufficienti a sud di Firenze come punto di riferimento di una setta in qualche modo collegata agli omicidi del Mostro. In pratica è l’anticipazione del dossier della polizia di 16 anni dopo, il filone imboccato dalle indagini sui presunti mandanti. La casa di cura, fra l’altro, ambra avere punti in contatto con Villa Verde, presa in seguito in considerazione dalle indagini della polizia.    

   Strano. Anche perché lo studio per 16 anni scompare, viene dimenticato. Nessun investigatore lo vede, nessuno dei servizi lo chiede a Bruno. Resta lì, nei cassetti chiusi del criminologo mentre l’inchiesta vive una vita tormentata. Il dossier non viene trasmesso alla procura o alla Squadra Mobile. Lo stesso Francesco Bruno non ne accennerà mai: né quando viene ascoltato in aula durante il primo processo Pacciani (luglio 1994), né quando entra a far parte del pool difensivo che assiste Pacciani nell’appello.

   È un mistero. Uno di tanti, ma non per questo meno indecifrabile e inquietante. Se quello studio fosse stato consegnato, avrebbe permesso una lettura diversa di elementi raccolti nel tempo. 1991, ad esempio, durante una perquisizione nella cella di Pacciani (in carcere per violenza alle figlie e da poco indagato per i delitti del Mostro) vengono sequestrati un libro su Satana e appunti da lui scritti intitolato “magia nera”. Furono accantonati: forse, se gli investigatori avessero saputo del dossier del SISDE, quegli indizi sarebbero stati letti in modo diverso.

   Lo studio insabbiato instilla dei sospetti. Si ipotizza depistaggi per coprire nomi eccellenti, e se da un lato questo complica le indagini, dall’altro fornisce motivi in più per andare avanti e non fermarsi.

   La Squadra Mobile perquisisce l’appartamento romano di Francesco Bruno. Nove poliziotti restano più di quindici ore nelle stanze del criminologo, leggono carte e aprono cassetti, e solo alle quattro di notte se ne vanno.

   Francesco Bruno viene sentito a Firenze nell’ufficio del capo della mobile. Il criminologo non è indagato ed entra stanza da solo, nell’ora di pranzo. Uscirà nove ore più tardi. Fuori ormai è buio da tempo, i giornalisti sono una piccola folla fiaccata dall’attesa. Bruno afferma che “Giuttari mi ha chiesto cose sensate, è molto preparato”. Pochi giorni più tardi, Bruno e Giuttari saranno ospiti nel salotto della stessa trasmissione di RAI Uno dedicata al mostro.

   Argomento centrale del faccia a faccia in questura è il dossier dimenticato. Chi indaga non ne conosceva l’esistenza, a negli ambienti dei servizi segreti circolava nell’ombra. La riprova è un libro, un giallo pubblicato nei primi anni Novanta. L’autore e Aurelio Mattei[5], psicologo del SISDE. Per anni consulente dei servizi e nel 1997 viene accusato di aver ipnotizzato la supertestimone del processo per il delitto di Marta Russo[6]. Il libro racconta di una serie di duplici omicidi che sembrano la fotocopia dei delitti della calibro 22. Solo che la trama anticipa le indagini sulla setta e le coincidenze, si sa, piacciono poco a poliziotti e magistrati. Scrive Mattei nel suo libro: “L’azione era stata compiuta da un pazzo, oppure da un gruppo di fanatici”. “Andai ancora per tre settimane al poligono Vale Verde “.“Per la ragazza, invece, l’omicida, aveva riservato un trattamento privo, apparentemente, di ogni logica: cento pugnalate che avevano risparmiato solo gli arti e il volto, e una misteriosa rosa rossa, deposta sopra il pube[7]. L’ipotesi della setta, il nome della villa al centro delle indagini, il particolare della rosa rossa, nome che qualcuno indica come quello di un misterioso ordine esoterico collegato in qualche modo ai delitti. Allusioni che anticipano gli spunti investigativi di molto tempo dopo, difficile ricondurre tutto a una semplice casualità. Il sospetto è che Mattei abbia letto il dossier del criminologo trasformandolo in spunto per il romanzo. Viene perquisito e ascoltato dalla mobile (anche lui non è indagato), e ormai il filone sui servizi è nel vivo. La replica di Mattei è affidata all’avvocato Dario Imparato, che un’intervista precisa: “Il mio cliente è allibito. Il romanzo è frutto di pura elaborazione intellettuale. Nella casa di Mattei è stato trovato lo studio di Bruno, consegnatoli per la stesura del romanzo[8].

   Del dossier pare sapessero anche un ispettore dei servizi civili, sentito dalla polizia in quei giorni e Gabriella Carlizzi, che era una testimone che aveva ipotizzato della setta e indicato la villa San Casciano come base, con largo, larghissima anticipo sui tempi dell’inchiesta ufficiale.

   Gabriella Carlizzi[9] era una scrittrice romana, bionda e loquace. Chi l’ammirava ricorda il recente passato. La tanta ironia seguita alle sue “intuizioni” sul collegamento Mostro-setta e la successiva riabilitazione al momento del via dell’inchiesta sui mandanti. Che la criticava ribatte l’elenco delle volte, nella quale la Carlizzi si è fatta avanti come testimone decisiva: Moro, via Poma, Gladio, Ustica. In una pagina internet riporta anche un lungo brano nel quale “parla” con la Madonna di Fatima. Senza paura di essere presa per visionaria, a chi le chiede lumi sul brano rispondeva tranquilla: “è la trascrizione di un incontro che ho avuto con lei, ma è un’altra storia”. Quanto al fatto di essere stata supertestimone in tanti misteri d’Italia lei lo spiegava con il fatto di aver lavorato come assistente sociale in molte carceri, anche di massima sicurezza. Lei aveva un carattere e una volontà di ferro, era convinta di quello che sapeva e portava avanti la sua tesi incurante dello scetticismo che la circondava. La sua tesi e che c’è una setta dietro molti dei misteri d’Italia.

LA COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA SI INTERESSA DEL COSIDDETTO “MOSTRO DI FIRENZE”

   Potrebbe apparire strano ma la Commissione Parlamentae Antimafia si è interessata delle vicende del cosiddetto “Mostro di Firenze” facendo riemergere dei fatti che rischiavano di essere messi nel dimenticatoio e di conseguenza rilanciando la “pista esoterica”

   Una delle vicende che si è interessata la Commissione (ed indirettamente collegata alle vicende inerenti al Mostro) è la morte di Rossella Corrazin, una ragazza diciasettenne di San Vito Tagliamento, scomparsa il 21 agosto 1975 a Tal di Cadore (Belluno) mentre era in vacanza insieme ai genitori.

   La Commissione Nazionale è ripartita dalle dichiarazioni rese da Angelo Rizzo, uno dei mostri del Circeo, dalla quale emergerebbe il fatto che la vicenda di Rossella non solo si intreccerebbe con le vicende del cosiddetto “Mostro di Firenze”, ma che la ragazza sequestrata in Veneto fu seviziata e uccisa sul Trasimeno in Umbria[10]. Izzo fu ritenuto inattendibile tanto che il gip di Perugia decise l’archiviazione del caso, ma la Commissione Antimafia lo ha ascoltato nuovamente valutando che suo racconto: “emergono riferimenti che non hanno trovato smentita” e “premesso che anche a proposito della ricostruzione del presunto delitto in danno di Rossella Corazzin, non si può certo dargli credito senza riscontri esterni degni di questo nome, i fatti descritti presentano pur sempre la caratteristica di avere avuto, a distanza di molti anni, una qualche spiegazione verosimile, anche se, almeno per ora, totalmente priva di riscontri[11].

   Di tutte queste vicende in un intervista al Giornale ne ha parlatoGiuliano Mignini[12], ex magistrato perugino, consulente della Commissione d’inchiesta parlamentare che, nel corso della sua attività, si è occupato anche dei delitti del Mostro. Nello specifico, Mignini è stato chiamato per la sua competenza non tanto sulle singole vicende che hanno insanguinato le campagne fiorentine, di cui altri in Commissione se ne sono occupati, quanto piuttosto sul filone perugino della vicenda, quello che vede protagonista indiscusso l’ormai tristemente noto Francesco Narducci, il medico di Perugia, rampollo di una nota famiglia dell’alta borghesia perugina, fortemente legata ad ambienti massonici – nello specifico al Grande Oriente d’Italia che l’8 ottobre del 1985 scompare nel nulla, per poi essere “ritrovato cadavere”. Sul dove e quando non v’è certezza.

  Mignini si è occupato a lungo del caso, come si è occupato anche di altri fatti di sangue che a vario titolo possono essere compresi in una vicenda che, a partire dai delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze”, si amplia, cresce e allunga i propri tentacoli, suggerendo collegamenti all’apparenza assurdi, ma che a scavare bene sembrano aggiungere tasselli importanti a una storia ancora tutta da scrivere.

   Come si diceva prima questa vicenda bisogna tenere conto, ci sono quelle morti che impropriamente sono state definite le “vittime collaterali”: un’altra lunga e inquietante scia di morti non direttamente collegati o collegabili al filone del mostro, ma le cui vicende – se messe in fila – vanno a comporre un mosaico sinistro, con modalità omicidiarie delle più orribili. Al centro di questa ragnatela di misteri fiorentini (escludendo le morti dei Malatesta, e del Vinci), in un modo o nell’altro, c’è sempre lui: Francesco Narducci.

   Racconta Mignini: “Lo conoscevo bene lo conoscevano tutti. Era un personaggio molto noto qui a Perugia. Eravamo quasi coetanei e abbiamo frequentato la stessa scuola. A quell’epoca[13], io vivevo accanto alla sede della Rai e, tornando a casa, stavo passando per Piazza Partigiani e incontrai Narducci, che stava armeggiando attorno alla sua moto. Ricordo che mi stupì il suo aspetto. Era sofferente, non l’avevo mai visto così. Lo conoscevo come un personaggio che teneva molto all’aspetto fisico e quel giorno lo vidi malissimo. Pensai che stesse male, anzi, devo essere sincero, pensai che soffrisse di un qualche male incurabile. Aveva degli occhiali scuri, ma ricordo che si vedeva sull’occhio destro una ferita, probabilmente alla palpebra, ma che proseguiva anche sotto. Ci salutammo, poi io proseguii e lui restò lì ad armeggiare sulla moto[14].

   Di lì a pochi giorni, Narducci fa perdere le sue tracce e sin da subito si comincia a parlare – prima sottovoce, poi sempre più apertamente – di un suo coinvolgimento nelle vicende del mostro di Firenze. L’ultimo duplice omicidio, quello avvenuto in località Scopeti a danno dei due turisti francesi Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot, era avvenuto solamente un mese prima, l’8 settembre del 1985. In realtà, già prima della sua misteriosa scomparsa girava voce che il brillante medico perugino fosse in qualche misura coinvolto in quella brutta storia, ma Mignini dice di non averlo saputo se non dopo la sparizione: “A Perugia se ne parlava come di un fatto risaputo. Non era una diceria. Io invece restai molto stupito, sulle prime anzi mi arrabbiavo. Poi dovetti arrendermi di fronte all’evidenza, perché dovunque andassi, specialmente nei primissimi mesi, anche al Palazzo di Giustizia, se ne parlava come di un fatto notorio, assodato[15].

   Poi – cinque giorni dopo, il 13 ottobre – un corpo viene ripescato dal lago Trasimeno. Immediatamente – anche troppo – circola la voce che si tratti di Francesco Narducci. Il ricordo di Giuliano Mignini, che anni dopo si sarebbe occupato del caso in veste di magistrato, è vivo: “Quella mattina accadde qualcosa di strano e, ancora oggi, non spiegato. Su quel pontile c’erano tutti. A parte i giornalisti (e verrebbe da chiedersi chi li avesse avvertiti con tanto tempismo), c’era il questore di Perugia e c’era la squadra mobile, che non erano titolati ad essere lì. La competenza di svolgere le attività di recupero del cadavere e i primi accertamenti sarebbe spettata ai carabinieri di due stazioni locali. Ma tolto questo, non vennero fatti accertamenti. C’è stata un’omissione di accertamenti di una gravità incredibile, questo va detto. Mai successa in Italia una cosa simile: non è stata fatta l’autopsia, non è stata fatta una visita esterna completa del cadavere, il quale non è stato portato in obitorio: c’è stato l’ordine di una parente, la moglie del fratello, di portarlo nella villa di San Feliciano[16] prima ancora che ci fosse il provvedimento del giudice di consegna ai familiari, che sarebbe intervenuto il giorno prima dei funerali, ossia più di una settimana dopo. Ma giusto per continuare a elencare le stranezze: non fu misurata la temperatura rettale, non sono state fatte le foto. Quelle che abbiamo sono state fatte da un giornalista de La Nazione e sono state molto utili, anche perché le mattonelle del pontile sono rimaste invariate e ciò ha consentito una misurazione abbastanza precisa dell’altezza del cadavere ripescato[17].

   Ed è questa misurazione – unita ad altri elementi come la misura dei pantaloni indossati dal cadavere (ne parla approfonditamente il giornalista Alvaro Fiorucci nel suo libro 48 Small, interamente dedicato alla vicenda Narducci) – a far emergere un elemento tanto inquietante, quanto ormai acclarato: quel corpo restituito dalle acque del lago non era di Francesco Narducci. E allora? A chi apparteneva?

   Dice Mignini: “Forse l’avevamo identificato poteva trattarsi di un messicano, un corriere della droga. Certo non era Narducci“.

   A questo punto, però, interviene un cortocircuito inquietante. Sulla figura di Narducci l’interesse degli inquirenti si riaccende 15 anni dopo. Nell’ottobre del 2001, infatti, la Procura di Perugia riapre l’inchiesta sulla sua morte dopo che, in diverse intercettazioni telefoniche, era stata affermata da interlocutori anonimi – autodefinitisi appartenenti ad una congrega di tipo satanistico– la natura omicidiaria delle morti di Pacciani e Narducci, da costoro rivendicate poiché entrambi “traditori di satana”. Le indagini passano a Giuliano Mignini, che nel 2002 dispone la riesumazione del cadavere. In quella bara effettivamente c’è il corpo di Narducci, sul quale risultano evidenti segni di strangolamento: “C’era una frattura del Corno superiore sinistro della cartilagine tiroidea. Dunque questo significa che l’assassino era mancino. E molto forte. Nel 1985, invece, si era parlato di annegamento ‘da probabile episodio sincopale’. Il tutto senza un’autopsia[18].

   Su chi potesse essere questo assassino e da quali motivazioni fosse mosso, Mignini ha sempre mantenuto il massimo riserbo.

   Sulle tempistiche della morte, a distanza di tanti anni, non si sono raggiunte certezze. Mignini ritiene che sia sopravvenuta in prossimità della sparizione, ma quello che si sa è che la Commissione ha indagato anche su una possibile – e vociferata – fuga all’estero di Narducci: “Si parlava di Santo Domingo… e pur non essendoci riscontri, non è un’ipotesi peregrina. Che a disposizione degli appartenenti alla massoneria ci fosse una rete di supporto informale pronta anche a garantire una fuga all’estero ce l’ha confermato un pezzo da novanta della massoneria italiana e internazionale[19].

   Giuliano Mignini si riferisce a Giuliano Di Bernardo, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia dal 1990 al 1993, famoso per aver rotto con il Goi per una profonda differenza di vedute e per le pesanti ombre che sul Goi si addensavano in quegli anni. Una delle principali novità emerse durante i lavori della Commissione è proprio questa, sebbene la notizia sia passata piuttosto in sordina: Il 14 luglio 2022, Giuliano Di Bernardo è stato sentito dalla Commissione Parlamentare Antimafia in relazione alla vicenda Narducci. L’ex Gran Maestro non solo avrebbe confermato che effettivamente sarebbe stato possibile garantire una fuga all’estero di un fratello massone ma avrebbe anche confermato che negli stessi ambienti massonici circolasse voce che Narducci fosse coinvolto nella vicenda del mostro di Firenze, ma che lui è venuto a saperlo solamente al principio degli anni Novanta, quando appunto venne eletto Gran Maestro[20].

   Sul punto interpellato telefonicamente da un giornalista Di Bernardo, afferma che: “Di Narducci avevo già sentito parlare nell’85, quando quel corpo venne ripescato dal lago. All’epoca ero affiliato alla loggia Zamboni – De Rolandis di Bologna e in quell’ambiente c’erano alcuni membri che conoscevano il medico perugino. Alcuni erano suoi amici e ricordo che uno di essi, commentando la notizia dell’annegamento, espresse dubbi del tipo “ma come, era un ragazzo sportivo, come ha fatto ad annegare?”. Insomma, la cosa appariva strana, ma poi non ne sentii più parlare. Il caso mi si ripropose quando sono stato eletto Gran Maestro del Grande Oriente. Le informazioni sui casi più scabrosi non mi venivano date in maniera ufficiale, non seguivano l’iter gerarchico. A informarmi era il mio segretario personale. Fu lui, un giorno, a parlarmi delle voci che circolavano intorno alla vicenda Narducci[21].

   Le voci – ormai in giro da così tanti anni da aver preso consistenza – parlavano di omicidio. Ma non solo: “Il mio segretario mi disse che nella vicenda c’entrava in qualche modo la famiglia, ma non solo. Disse che dovevamo fare attenzione e monitorare la situazione, perché le informazioni che arrivavano da più parti sembravano far trapelare la possibilità che, attraverso il padre di Narducci, fosse coinvolta la loggia di Perugia. Insomma, poteva diventare un problema rilevante non solo a livello locale, ma per tutta la massoneria[22].

   La morte di un medico perugino ha davvero rischiato di mettere in pericolo la massoneria italiana? Così sostiene Di Bernardo. Ormai è impossibile fare questa domanda al suo segretario personale, essendo venuto a mancare diversi anni fa. Sarebbe stato interessante approfondire l’origine di quelle informazioni.

   Certamente Narducci, era un personaggio al crocevia di tante, forse troppe vicende oscure, abbastanza per collegarlo alla vicenda del mostro di Firenze. Addirittura Mignini accenna a un possibile ritrovamento, in una delle case del medico sparse tra Umbria e Toscana, di feticci umani. Impossibile non pensare alle parti del corpo asportate dalle vittime femminili del mostro. Sul punto ci parla di testimonianze da parte di uomini delle forze dell’ordine che, al momento di dover confermare quanto affermato in precedenza, si sono tirati indietro, ma sono stati smentiti da altri testimoni che avevano sentito direttamente quelle rivelazioni. E sempre riguardo la presenza di feticci umani in una delle case di Francesco Narducci, Giuliano Mignini ci racconta una storia di cui non avevamo mai sentito parlare prima: “Tempo fa ho avuto modo di parlare con una persona. Questa persona era in rapporti di amicizia con Emanuele Petri[23].

   Emanuele Petri è il poliziotto ucciso il 2 marzo del 2003 in uno scontro a fuoco con i brigatisti Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce. Cosa c’entra in questa vicenda? “La persona in questione sostiene che Petri gli avesse confidato che, pochi giorni prima della scomparsa di Narducci, era entrato in un’abitazione del medico perugino e aveva trovato i famosi feticci. Gli disse anche di aver inseguito il Narducci sulla vecchia strada che collega Arezzo con Perugia, ma che il medico l’aveva seminato con la moto[24]. La domanda viene spontanea. Se questo inseguimento effettivamente c’è stato, stiamo parlando del 1985. Petri è morto nel 2003, perché – ufficialmente – non è stata trovata traccia di questo evento? Ma soprattutto, come è possibile che non si sia trovata traccia ufficiale della presenza del Petri in una casa nella disponibilità di Narducci in cui erano stati rinvenuti da esponenti delle forze dell’ordine dei resti umani, rinvenimento anche questo ricostruito solo attraverso testimonianze? Lo scenario è inquietante.

   Afferma Mignini ha proposito delle indagini portate avanti da Petri: “Beh, non è detto che Petri fosse titolato per fare quelle indagini. Magari si era mosso per sua iniziativa“.

   Troppi buchi. Eppure Mignini ha avuto un ulteriore riscontro indiretto a questa confidenza fattagli: “L’anno dopo aver ricevuto questa informazione, vado a sentire l’ex moglie di Francesco Calamandrei[25]. La donna era ricoverata presso una clinica, le feci vedere una foto di Narducci. Lei mi disse “ma questa me l’ha fatta vedere Lele”. Per “Lele” intendeva Emanuele Petri. Due persone che non si conoscevano che, a distanza di un anno, mi parlano di un collegamento tra Petri e Narducci. Ne parlai anche con la vedova del poliziotto, lei di questa storia non sapeva nulla. Recentemente, però, durante l’inaugurazione di una caserma a Spoleto, l’ho re-incontrata. Mi è venuta a salutare e, in relazione a questa storia, mi ha detto “Dottore, aveva ragione lei”.

   Cosa significasse questo interessamento da parte di Petri nei confronti di Narducci – sempre se la cosa sarà confermata – non lo sappiamo. Certo, il quadro non fa che allargarsi a dismisura e, nonostante per quanto riguarda l’omicidio di Narducci a livello giudiziario tutto si sia risolto in un’ordinanza non impugnabile di archiviazione (nonostante il Gip di Perugia De Robertis abbia appurato per certo lo scambio di cadavere e il suo coinvolgimento nei delitti del mostro di Firenze), Giuliano Mignini di una cosa è sicuro: “Quello che è emerso in relazione alla vicenda Narducci, soprattutto, ma anche a quella fiorentina, è che questa storia si sia svolta in un contesto massonico. La vittima era affiliata al Goi, ma forse anche a qualche altra realtà. Lo vediamo anche nella strategia della tensione: queste realtà vanno di pari passo. Parlo di massoneria e servizi segretistrutture e logge deviate che vanno di pari passo e purtroppo sembra che questo incrocio, questa connessione che è tipica della strategia della tensione, in piccolo si sia verificata anche in questo caso. Soprattutto nel filone perugino, dove Narducci era un personaggio centrale. Tutto questo, purtroppo, è emerso dopo la fine delle indagini[26].

   Come si diceva prima le affermazioni di Izzo sono ritenute da molti non plausibili e con chiaro intento depistatorio.

   Se però, ad una prima e superficiale lettura potrebbe in effetti sembrare tutto una mera invenzione, i punti di contatto in realtà sono suffragati da diversi elementi provati. Elementi che non confermano la veridicità delle dichiarazioni di Izzo ma che regalano eventualmente spunti degni di valutazione da parte di chi magari anche solo per diletto si interessa alla vicenda.

   A un’analisi approfondita si dovrebbe notare che è esistita e sviluppata una connessione nell’asse Roma – Perugia – Prato – Firenze[27].

   Adriano Tilgher nei primi anni Settanta fu uno dei fondatori dell’organizzazione neofascista Avanguardia Nazionale che insieme agli altri gruppi di estrema destra come Ordine Nuovo, Nuclei Armati Rivoluzionari e Terza Posizione avevano sede operativa nel quartiere Trieste di Roma. Nello stesso palazzo erano ubicati gli uffici di società finanziarie ed assicurative gestite dallo stesso Tilgher e comunque legate ai suddetti gruppi fascisti ed utilizzate per amministrare operazioni economiche di vario tipo.


   Sin dalla costituzione di Avanguardia Nazionale, Angelo Izzo risulta tra i fautori dell’organizzazione ed allo stesso tempo persona gravitante anche nelle altre bande succitate.


   Tilgher frequentava la città di Perugia essendo membro di una sorta di loggia massonica connessa ad una Chiesa Gnostica, quella creata da un altro medico perugino, Francesco Brunelli. La Chiesa Gnostica del dottor Brunelli si rifaceva all’Ordine dei Martinisti, che è un obbedienza iniziativa similare a un’obbedienza massonica. La legge aveva abolito le società segrete ma per un buco legislativo la lista delle associazioni da doversi sciogliere non comprendeva tre piccoli gruppi: l’Ordine del Tempio, il Rito di Memphis-Misraim e proprio l’Ordine Martinista.

   Non è questo l’ambito per entrare nei dettagli, nella filosofia e nei rituali di questa particolare congregamassonica dall’origine antica ed internazionale, ma ai nostri fini serve sapere che dopo Franco Brunelli, a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta, uno dei successivi Maestri fu Loris Carlesi di Prato.


   Carlesi si muoveva tra le attigue Prato, dove annoverava diversi adepti operanti in ambienti di vario tipo e classe sociale e Firenze, città dove il gruppo raccolto intorno alla Venerabile Associazione Cenacolo di Prometeo professava gli insegnamenti della loggia gnostica ed esoterica.


   Loris Carlesi con lo pseudonimo di Tau Johannes fondò a Firenze l’Accademia di Studi Gnostici, punto di riferimento, sembra, di diversi personaggi spazianti in differenti ambiti sia cittadini che della provincia.


   Francesco Narducci aveva numerose amicizie nell’area fiorentina, una delle quali corrispondeva a Stefano Mingrone, il rappresentante locale di Avanguardia Nazionale.

   Avanguardia Nazionale, frequentata da Izzo e guidata da Adriano Tilgher e Stefano Delle Chiaie, una delle principali organizzazioni di estrema destra coinvolta in numerose drammatiche vicende di cronaca avvenuti nei cosiddetti “anni di piombo”, aveva alla base una marcata impronta esoterica ben visibile sin dal suo simbolo, la ventiquattresima lettera dell’alfabeto runico: l’Odal.


   L’organizzazione oltre ad una struttura ritualistica-esoterica ed una più politica né annoverava anche un’altra dedita alle infiltrazioni nelle antagoniste organizzazioni di estrema sinistra.

 
   Tra i dirigenti di Avanguardia Nazionale figurava anche Serafino Di Luia secondo Angelo Izzo partecipante insieme a lui e Narducci al rapimento ed all’uccisione di Rossella Corazzin ed additato da alcuni suoi ex compagni come “un funzionario del Ministero degli Interni[28]. In seguito Di Luia continuerà ad operare in ambito esoterico come editore[29].

   Ma tra i presunti insider al Ministero ed all’Ufficio Affari Riservati figuravano anche altri dirigenti del gruppo neofascista come Giorgio Crescenzi e Stefano Delle Chiaie, il leader del gruppo e collaboratore della DINA, il servizio segreto cileno che a quanto pare aveva attivo un loro agente anche nella città di Perugia. Proprio in Cile Delle Chiaie trascorse in seguito una parte della sua latitanza.


   In stretti rapporti con Avanguardia Nazionale, seppur appartenente ufficialmente ad Ordine Nuovo, era il perugino Graziano Gubbini, gravitante anche esso insieme a Tilgher nell’ambiente della loggia martinista di Brunelli e Carlesi e protagonista di vari eventi di quegli anni che lo portano ad avere legami anche con ambienti vicini a Gelli ed alla loggia P2.


   E proprio alla sfera gelliana era contiguo l’ordine martinista e neotemplare presente tra Perugia e Prato il quale oltre ai già visti punti di collegamento con il mondo dell’eversione neofascista, presentava vicinanza finanche con ambienti mafiosi siciliani. Con l’associazione segreta tosco-umbra che si ispirava ai princìpi dei Templari e del Santo Graal entrò infatti in contatto il pentito Angelo Siino, lo stesso che nei primi anni duemila affermò che la Mercedes sulla quale trovò la morte in un incidente stradale la figlia del Venerabile Gelli era una auto in uso alla mafia stessa e ad altri personaggi a metà tra affari e massoneria.


   A Perugia a stretto contatto con Gubbini operava il suo amico Luciano Laffranco esponente del Fuan prima e del MSI dopo. Movimento Sociale Italiano che al suo interno aveva proprio una corrente martinista guidata da Francesco Mangiameli, altro nome caldo dell’eversione di quegli anni ed appartenente appunto all’Ordine Iniziatico di Brunelli e Tau Johannes.

   Mostro di Firenze, estremismo nero ed ordini neotemplari. L’ordine Martinista come altre Fratellanze massoniche meno esoteriche e più alla luce del sole nelle città di Perugia e Firenze, attingevano soprattutto ad alte sfere pubbliche arrivando a toccare Corti di Appello, Comuni, Procure, imprenditoria, forze dell’ordine e sanità convergendo, in alcuni casi, in rapporti relazionali con Arezzo, la P2 ed il Sismi fiorentino.


   Queste diramazioni portano però ad altre vicende che attanagliarono la Toscana, l’Umbria, le Marche in quegli anni con la città di Firenze protagonista con vari depositi di armi, attentati, rapine che coinvolsero appartenenti alle forze dell’ordine, semplici cittadini, istituzioni straniere, ex legionari sconosciuti al grande pubblico.


   Tornando alla relazione della Commissione Antimafia ed alle dichiarazioni di Angelo Izzo, da questo quadro appena esposto, molto generalizzato e nel quale non vengono affrontate le tentacolari diramazioni che si dipanano per poi comunque sovrapporsi tra di loro verso un’unica direzione, si evince come Angelo Izzo, membro della cosiddetta manovalanza di Avanguardia Nazionale ma non solo di quella, era ben dentro le vicende che racconta. Magari con qualche elemento inventato ma di certo con una cognizione di causa. Parlando a scopo beffardo sapendo di non avere comunque oramai più nulla da perdere o forse con l’intento di lanciare segnali che qualcuno potrebbe esser in grado di comprendere.

 

 


[1] https://www.mostrodifirenze.com/1960/01/14/14-gennaio-1960-morte-di-barbarina-steri/#:~:text=14%20Gennaio%201960%20Morte%20di%20Barbarina%20Steri%20Nel,nasce%20un%20figlio%20che%20viene%20chiamato%20Antonio%20Vinci.

[2] Alessandro Cecioni, Gianluca Monastra, il mostro di Firenze, NUTRIMENTI, Roma, 2002, 167.

[3]                                                                  C.s.  p. 173

[4]                                                                  C.s.   p. 175

[5] https://www.youtube.com/watch?v=FbCky_yIhf8

https://doctor-parker.blogspot.com/2020/08/coniglio-il-martedi-aurelio-mattei.html

[6] http://insufficienzadiprove.blogspot.com/2009/02/aurelio-mattei.html

[7] Alessandro Cecioni, Gianluca Monastra, il mostro di Firenze, NUTRIMENTI, Roma, 2002, p.177.

[8]                                                                                      C.s.

[9] https://petalidiloto.com/2010/08/chi-era-gabriella-carlizzi/

https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/2010/08/12/369641-morta_gabriella_carlizzi_suggeri_piste_investigative_caso_mostro.shtml

[10] https://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/22_settembre_20/mostro-firenze-rivelazioni-killer-circeo-messinscena-la-fuga-dell-assassino-22b9f578-38ac-11ed-8da2-74484731b064.shtml

[11] https://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/22_novembre_25/mostro-firenze-commissione-emerse-novita-che-devono-essere-approfondite-9dcd9f40-6ce0-11ed-b2b3-34bd2abe53df.shtml.

[12] https://www.ilgiornale.it/news/cronache/lenigma-narducci-mostro-firenze-massoneria-deviata-chi-era-2081686.html

[13] Ottobre 1985.

[14] https://www.ilgiornale.it/news/cronache/lenigma-narducci-mostro-firenze-massoneria-deviata-chi-era-2081686.html

[15]                                                             C.s.

[16] Località affacciata sul lago Trasimeno

[17] https://www.ilgiornale.it/news/cronache/lenigma-narducci-mostro-firenze-massoneria-deviata-chi-era-2081686.html

[18]                                           C.s.

[19]                                           C.s.

[20]                                          C.s.

[21]                                          C.s.

[22]                                         C.s.

[23]                                        C.s.

[24]                                      C.s.

[25]  Calamandrei era il farmacista di San Casciano finito nella vicenda del mostro per poi venire assolto da ogni accusa.

[26] https://www.ilgiornale.it/news/cronache/lenigma-narducci-mostro-firenze-massoneria-deviata-chi-era-2081686.html

[27] https://ilquotidianoditalia.it/cronaca/mostro-di-firenze-estremismo-nero-ed-ordini-neotemplari/

[28]                                          C.s.

[29] http://www.fascinazione.info/2018/03/serafino-di-luia-il-mio-voto.html

~ di marcos61 su dicembre 29, 2023.

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