LO STRAGISMO E’ UNA DELLE FORME DELLA GUERRA NON CONVENZIONALE
La guerra non convenzionale è una strategia militare che ha trovato una propria sistematizzazione nel XX secolo, introdotta dai manuali bellici USA dell’immediato dopoguerra, ed è stata largamente usata nel mondo per contrastare per contrastare l’avanzata delle forze comuniste e progressiste, con scarsa consapevolezza da parte delle popolazioni alle quali è stata inflitta.
Pensata, programmata e perfezionata durante il lungo periodo della cosiddetta guerra fredda, consiste “in uno spettro piuttosto ampio di operazioni militari e paramilitari, generalmente di lunga durata, prevalentemente condotte da forze indigene o surrogate organizzate, addestrate, equipaggiate, sostenute e dirette organizzate, addestrate, equipaggiate, sostenute e dirette da forze esterne. Include la guerriglia e altre operazioni offensive, azioni di bassa visibilità, o coperte o clandestine, così come attività indirette di sovversione, sabotaggio di intelligence”.
In questa definizione ampia ed esauriente fornita dalla Joint Dottrine Encyclopedia[1] troviamo la spiegazione essenziale di cosa è quella che viene definita guerra non convenzionale o “guerra non ortodossa”.
L’evoluzione del pensiero militare del XX secolo normalmente è materia riservata agli specialisti benché, ad onor del vero i militari stessi non lo hanno mai tenuto molto segreto. Anzi dalla metà degli anni ’50 lo hanno propagandato senza eccessivo ritegno, rivendicando a sé stessi quel ruolo di parità (e qualche volta di superiorità) con i politici, che la realtà della cosiddetta guerra fredda aveva imposto come “necessaria” ed “inevitabile”.
Possiamo prendere come spunto, per affrontare quest’argomento, la frase di Clausewitz che “la guerra è continuazione della politica con altri mezzi”, ma soprattutto lo sviluppo che ne fece Mao sulla base delle esperienze fornite dalle guerre rivoluzionarie e dalla Guerra di Resistenza Antigiapponese in Cina, che elaborò la teoria militare marxista, prima di lui sostanzialmente inesistente,[2] se facciamo eccezione per gli abbozzi di Engels e di Lenin su questa materia.
I primi ad attribuire una certa importanza alla teoria di Clausewitz furono i militari tedeschi, che per primi, alla metà del secolo XIX secolo diedero un’interpretazione delle sue teorie coerente con gli interessi delle caste aristocratiche e feudali dei Junker (l’aristocrazia prussiana). La teoria sviluppata in quest’epoca dallo Stato Maggiore tedesco costituisce un’interpretazione reazionaria dei postulati claussewitziani. Per esso si trattava innanzitutto di creare una teoria per l’aggressione ma questa impostazione teorica durante la Prima guerra mondiale si rivelò un clamoroso fiasco.
In seguito, Hitler e i nazisti seguitarono a sviluppare Clausewitz nella medesima direzione dei loro predecessori e il risultato, a tutti noto, fu la totale distruzione dell’esercito tedesco da parte di quello sovietico.
La Germania non poté vincere la guerra contro l’URSS perché i politici e i militari nazisti non tennero conto del primo e più importante dei problemi strategici, vale a dire quello di esercitare l’atto di giudizio più decisivo, mediante i quali lo statista inquadra correttamente la guerra che intraprende rispetto alle relazioni dominanti, per cui non tenta di cambiare la realtà oggettiva in un senso impossibile. Ovvero quando la guerra lampo si era trasformata necessariamente in guerra prolungata poichè i popoli non vollero sottomettersi docilmente. E la guerra prolungata è la più difficile da affrontare, per l’imperialismo.
I militari occidentali partendo dal fatto che in ogni Stato è in atto una conflittualità permanente (credevano – e non poteva essere altrimenti visto l’origine di classe dei militari occidentali – che la lotta di classe che si sviluppava in ogni paese imperialista fossa causata dalla “propaganda comunista”), fra Stati e blocchi di Stati, l’obiettivo strategico non poteva essere più rappresentato dalla conquista del territorio bensì da quella delle menti, dei cuori e delle coscienze delle popolazioni.
La “Guerra non ortodossa” più che di divisioni corazzate, essa prevede l’impiego massiccio e capillare dei mezzi di comunicazione. Diventa più importante usare slogan suggestivi che fucili, creare sogni che aerei da combattimento.
La “Guerra non ortodossa” è una guerra autentica, totale e permanente, che viene condotta con metodi e tecniche militari da Stati Maggiori occulti, composti da militari e da civili, di un potere palese: quello che gli specialisti definiscono Stati maggiori allargati.
Questa teoria deriva dal concetto di guerra che lo Stato Maggiore hitleriano aveva elaborato, in cui si configurava un’attività che non concerneva solamente le forze armate propriamente dette, ma inglobava e monopolizzava tutti gli individui.
La vecchia barriera fra il civile ed il militare viene a cadere. Tutta questa pianificazione militare era semplicemente una conseguenza del regime che si era istituito in Germania.
Come ulteriore aspetto nell’ampia cornice della guerra totale, i nazisti furono i primi a teorizzare e a tradurre in pratica la guerra psicologica, la guerra con armi intellettuali, per formare lo spirito della popolazione.
La guerra psicologia era stata già impegnata durante la Prima guerra mondiale, ma sarà sotto l’impulso del nazismo in Germania che raggiungerà il pieno sviluppo teorico e pratico. Nella guerra psicologica non occorre soltanto tenere conto delle dottrine classiche che indicavano i fattori decisivi più o meno numerosi: la missione, il nemico, i mezzi a disposizione, ma va considerato ed approfondito lo studio del fattore essenziale della guerra moderna ovvero l’essere umano, il modo di manipolarlo e di influenzarlo in armonia con determinati piani concreti.
I militari dei paesi imperialisti occidentali partivano dal fatto che di fronte ai partiti comunisti e alle forze da loro influenzate, non si aveva a disposizioni nulla che somigliasse a quello che ritenevano (nella loro delirante visione reazionaria e militarista) avessero di fronte: una possente armata ideologica comunista. Non potevano essere considerate un esercito affidabile e disciplinato, le eterogenee forze politiche di estrazione cattolica, liberale, neofascista, socialdemocratica, poiché erano in perenne lotta fra loro (la nozione di pluralismo politico e sociale non era certo ben assimilata tra i militari), avide di denaro e assetate di potere.
Si ha così nell’Occidente imperialista la creazione di una dottrina e di una strategia, che serviranno a dare prospettiva a un’organizzazione che deve diventare uno strumento idoneo in grado di condizionare gli amici, controllare gli alleati e fronteggiare i nemici. Si crea così un esercito segreto, invisibile, schierato a fianco di quello ufficiale, un esercito sovranazionale, disciplinato coordinato da un unico vertice, in sostanza una guardia pretoriana fedele all’imperialismo USA. Un’armata clandestina, selezionata e spietata, in grado di contrastare il Movimento Comunista Internazionale, le forze antimperialiste e i Movimenti di Liberazione Nazionale ovunque e comunque, con il vantaggio di non comparire negli annuari militari. Un armato fantasma capace di combattere quella “guerra camuffata da pace”,[3] che l’imperialismo americano ha istituzionalizzato.
Lo studio delle direttive del National Security Council, il Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, mostra gli adattamenti via via apportati a questa strategia di contenimento di quello che veniva definita “espansione comunista” (in altre parole l’avanzamento delle forze non solo comuniste, ma anche di quelle socialiste non allineate con l’imperialismo, progressiste ecc.) che trovò in due paesi, Grecia e Italia, le due prime e fondamentali applicazioni sul campo. Infatti, tra il 1946 4 il 1948, le forze speciali USA furono usate massicciamente contro il movimento di Resistenza greco,[4] senza aver ricevuto nessuna formale autorizzazione dal Congresso, e furono il perno della controinsorgenza monarchica. La vittoria delle forze reazionarie greche più che all’aiuto da parte degli imperialisti USA fu dovuto agli errori da parte dei comunisti e delle forze che componevano il Movimento di Resistenza. Non si applicò il principio rivoluzionario che scopo della guerriglia non è di vincere le battaglie, ma di evitare le sconfitte, di sviluppare una guerra di lunga durata fino alla vittoria politica, che è più importante più di qualsiasi conquista del campo. Sacrificando i vantaggi della tattica della guerriglia alla strategia militare basata sulle conquiste territoriali, i comunisti greci opposero alla forza delle forze militari, la propria debolezza. Correndo il rischio di un confronto militare, misero in gioco non solamente il proprio potenziale umano disponibile, ma qualcosa di più importante: il loro prestigio quale forza rivoluzionaria in grado di sfidare il colosso militare. Col fatto di avere attuato una linea puramente militarista, venne a mancare la partecipazione popolare. Non ci si deve dimenticare che la rivoluzione è un fenomeno di massa.
Nello stesso tempo, le elezioni politiche italiane del 1948 sono considerate il laboratorio più importante delle operazioni psicologiche coperte: la direttiva 4/A del National Security Council, che utilizzava l’utilizzo di tutti i mezzi della guerra non convenzionale anche in tempo di pace, vide in Italia una messa in opera concreta e vincente.
La direttiva strategica (Nsc-68) del Consiglio, preparata su richiesta del presidente Harry Truman, avrebbe dettato l’atteggiamento americano per molti anni a venire. Essa allargava la contesa egemonica oltre all’Europa e stabilendo che “che una sconfitta delle libere istituzioni in qualsiasi luogo è una sconfitta ovunque”.[5] Nei paesi imperialisti la cosiddetta guerra fredda restava un conflitto essenzialmente psicologico e politico, ma per gli estensori della direttiva strategica (Nsc-68), la forza militare e la vittoria in ogni singola area del pianeta, anche se periferica o puramente simbolica, divenivano essenziali “per frenare le ambizioni del Cremlino”. Quello che non comprendevano (o per via delle loro concezioni non potevano comprendere) che le varie lotte di liberazione sperse per il mondo, non erano un frutto di un “complotto comunista” ma erano parte integrante del grande moto antimperialista di massa dei popoli coloniali e semicoloniali, moto che è sempre stato (a partire dalla rivoluzione messicana 1917-1938, alla tiepida “rivoluzione costituzionale” in Iran 1951-1953) parte costituente e determinante dello scontro di classe internazionale e locale insieme. Dentro questo quadro si è avuto un movimento per le nazionalizzazioni più radicali che è stato tutt’uno con la scesa in campo degli sfruttati arabi (si possono prendere come esempio: la detronizzazione per via insurrezionale della monarchia hashemita in Iraq nel 1958, la stessa guerra di liberazione nazionale algerina, la “rivoluzione dall’alto” in Libia che però era stata preceduta da una forte ondata di lotte anche operaie).
Per fare un esempio i francesi non avevano compreso che la loro sconfitta in Indocina, prima ancora che da fattori militari e che si trovavano contro una guerra popolare che aveva mobilitato le masse popolari indocinesi. Per lo stesso motivo persero in Algeria perché, al contrario del FLN algerino non riuscirono a guadagnare alla loro causa, la massa del popolo algerino.
Per quanto riguarda gli americani, la guerra del Vietnam vide il fallimento della tradizionale strategia bellica che aveva guidato fino allora gli USA. La strategia di annichilazione, che aveva portato al successo nella Seconda guerra mondiale, partiva dal fatto che avendo gli Stati Uniti a disposizione risorse naturali ed economiche in apparenza senza limiti, i militari statunitensi non sarebbero mai stati parsimoniosi sui messi materiali utilizzati, e avrebbero sviluppato la “guerra di annichilazione”, basata sulla superiorità soverchiante della potenza di fuoco. Si riprodusse sul piano militare ciò che avvenne in tutti i settori dell’economia americana: il risparmio di energia e di mezzi furono considerati secondari.
Il metodo della guerra di annichilimento fu messo a punto dal generale nordista U. Grant durante la Guerra Civile (1861-1865). Invece di seguire la strategia napoleonica della battaglia decisiva, Grant sviluppò il concetto di una successione di mazzate da sferrare con una soverchiante potenza di fuoco contro l’esercito sudista allo scopo di disgregarlo. La realizzazione di questa strategia fu possibile per la soverchiante superiorità industriale del Nord. Grant non si preoccupò dei costi politici di questa strategia (difficoltà di riconciliazione post-bellica con lo sconfitto). Poiché un esercito è sostenuto dalla sua economia e dalla sua popolazione, il passaggio dall’idea dell’annientamento di un esercito a quello del suo retroterra civile è naturale. Questo secondo aspetto della guerra di annientamento fu applicato dal generale Sherman, il secondo per importanza dopo Grant, il quale diede il suo consenso a colpire e terrorizzare la popolazione civile del Sud.
Nel Vietnam questa strategia, contro la guerriglia, non funzionò. In una guerra convenzionale conta la potenza di fuoco contro le postazioni avversarie, ma una guerriglia non è condotta da posizioni fisse, e la potenza di fuoco significa colpire la popolazione, inimicandosela, alimentando in tal modo il reclutamento dei guerriglieri. Una guerra convenzionale è per il controllo del territorio, una guerriglia è per il controllo e la conquista del consenso della popolazione. In Vietnam la guerriglia colpiva i funzionari di governo: colpiva sia i corrotti per avere la simpatia della popolazione, che i migliori per impedire il funzionamento del governo. Entro il 1960 ben 2.500 funzionari del governo sudvietnamita erano uccisi ogni anno. Alla fine, accettavano il rischio di servire il governo di Saigon solo degli avventurieri corrotti. Ciò accresceva lo scollamento tra governo e popolazione.
L’esito del conflitto vietnamita fu determinato non tanto dalla semplice forza delle armi (su questo campo era indubbia la superiorità degli USA) o dalle operazioni militari, ma dall’atteggiamento delle masse popolari vietnamite, del campo civile insomma, insieme a un appoggio al Nord Vietnam da parte dell’URSS e della Cina. In altre parole, l’uomo e il suo vigore psichico furono (e lo sono tuttora) più importanti dei materiali bellici che s’impiegarono.
A nulla servì da parte delle forze armate USA l’impiego contro la guerriglia Da parte delle forze armate americane delle forze speciali. Il generale nordvietnamita Nguyen Van Vinh riteneva nel 1966 di poter constatare il fallimento di queste forze speciali americane: “La special warfare americana nel Vietnam del Sud è sostanzialmente fallita dopo essere stata sperimentata per più di tre anni con strategie e tattiche diverse con nuove armi e nuove tecniche, accompagnate da metodi estremamente crudeli: i loro principali sostegni, le truppe e l’amministrazione del governo fantoccio, sono anch’essi in decadenza; il sistema dei “villaggi strategici”, ch’essi consideravano la loro spina dorsale, è stato in sostanza distrutto; la tattica degli elicotteri e dei mezzi anfibi, che erano stati considerati più agili e più facilmente manovrabili, è stata un fiasco solenne; le città considerati dagli aggressori come le loro più sicure retrovie, sono accerchiate, notevolmente ridotte in estensione, e davanti all’incessante lotta politica e nelle campagne da milioni di uomini del popolo si trovano in pieno scompiglio; il carattere neocolonialista dell’imperialismo USA è stato smascherato agli occhi di tutto il popolo sudvietnamita, e per compiere atti di sabotaggio nel Vietnam del Nord mediante commandos di truppe del sud, sono miseramente falliti”.[6] In sostanza il successo delle forze speciali antiguerriglia era essenzialmente legato dall’appoggio che avrebbero ottenuto delle masse della popolazione vietnamita, ciò che non avvenne.
La guerra non convenzionale prevede una variegata di mezzi per contrastare il nemico in un paese straniero che non ha commesso alcun atto ostile. Infatti, le centrali politiche e belliche che la attuano non sono chiamate a difendere la propria nazione da un’invasione militare o da una qualsiasi minaccia; al contrario operano in Stati in cui si ritiene, secondo le valutazioni dell’establishment, che ci siano forze e movimenti locali pericolosi per la propria “sicurezza nazionale”, alla stregua di enormi e silenziosi serpenti che vanno domati con brutalità e astuzia.
Perciò questo tipo di guerra non ortodossa può essere considerata una sofisticazione della vecchia forma di terrore, inteso come uso da parte del potere di metodi per provocare una paura paralizzante da parte della popolazione civile. Una risorsa politica tra le più antiche e comuni, tant’è vero che nei Discorsi sulla prima deca di Tito Livio Nicolò Machiavelli scrisse, senza tema di smentite, che lo studio della storia insegna come i governanti, al fine di consolidare il loro dominio, non esitarono “mettere quel terrore, e quella paura negli uomini, che vi avevano messo nel pigliarlo”.[7] Se l’uso terroristico della violenza da parte dello Stato, spinto al genocidio, è vecchio quanto lo Stato medesimo.
Nel teatro europeo devastato dal secondo macello mondiale gli specialisti della guerra non convenzionale si occuparono moltissimo alla teorizzazione e allo studio pratico del terrorismo, in particolare l’ufficio del generale Robert A. McClure capo operativo della guerra psicologica (PsyWar), che, sin dal giugno del 1946, si spese per ottenere una divisione distaccata e dedicata nell’approfondimento di questa disciplina militare. Un memorandum di discussione del maggio 1951 tra la squadra di McClure, l’Operations Research Office (Oro) – una struttura di ricerca all’interno della Johns Hopkins University totalmente a disposizione del Dipartimento della “Difesa” – stabiliva che fosse di massima priorità un’inchiesta sui metodi per suscitare terrore. In effetti, i manuali delle forze armate statunitensi dedicati alle operazioni psicologiche (PsyOps) si soffermarono molto sull’uso del terrore. Ad esempio, la versione del magio 1965[8] indica la selezione delle armi in funzione del loro fear effect, cioè della loro efficacia nel suscitare terrore: “Occorre moltiplicare l’impatto di ogni azione e creare un’atmosfera di paura”. Nella versione del 1962[9] la guerra non convenzionale è concepita essenzialmente in termini di operazioni psicologiche: i civili devono collaborare, altrimenti sono necessari programmi specifici per instillare dubbi e paure. Se falliscono le azioni meno invasive, allora si può ricorrere a forme più aggressive e violente di trattamento. Si ritiene che il generale Edward Lansdale[10] sia stato tra i maggiori esperti nel campo dell’applicazione pratica del terrorismo. A lui è attribuita l’operazione Eye of God (Occhio di Dio) applicata in Vietnam, che prevedeva azioni che variavano dall’invio nei cieli di aerei equipaggiati con altoparlanti dai quali venivano scanditi i nomi di coloro che erano sospettati di simpatizzare con il nemico, al marchio posto di fronte alle loro case a indicare che non avevano più nessuna via di scampo. Il metodo si ispirava all’antica pratica egizia di disegnare sulle tombe dei faraoni grandi occhi minacciosi per scoraggiare eventuali ladri.
L’applicazione del terrorismo venne realizzato anche da gruppi clandestini. Ad esempio, le bande fasciste italiane o i Contras in Nicaragua, o le squadre impiegate nella famigerata Operazione Mangusta contro Cuba rivoluzionaria, o ancora, i mujaheddin in Afghanistan. Gruppi che lavoravano come Secret Teams,[11]le cui azioni sono note solo dai loro membri attivati per realizza cover actions, cioè il lato più sporco del lavoro dei servizi segreti.
In un recente saggio[12] viene ricordato la guerra segreta in Laos.
Guerra segreta poiché sottratta ai passaggi politici e costituzionali di una guerra convenzionale e perché omessa dopo la sua fine, dalla coscienza di buona parte degli USA e dall’attenzione del mondo. L’opacità fu allora la strategia deliberata dalla CIA, che sperimentò in Laos il modello applicato in molti altri conflitti: uso dei mercenari, omicidi mirati e, soprattutto, addestramento di eserciti locali contro i poteri laotiani e nordvietnamita.
Negli anni Settanta una delle metodologie operative più utilizzate per le attività spionistiche all’estero, erano le imprese di import-export di consulenza finanziaria: copertura efficacia per le operazioni dei servizi segreti. Le persone impiegate venivano definite Noc, non-oficial cover, perché prive di immunità in caso di arresto per attività spionistiche. Ma erano al tempo stesso “deep-cover case officerò”, cioè agenti sotto copertura profonda che operavano in un terreno ostile e in nessun caso dovevano entrare in contatto con soggetti o ambienti in grado di identificare il reale datore di lavoro. Per la CIA, erano agenti sotto copertura profonda, anche se privi di immunità. Dall’altro verso, invece il KGB considerava ufficiali tutte le coperture non diplomatiche e non consolari – come gli impieghi presso l’Agenzia Tass (Agenzia telegrafica dell’Unione Sovietica) o Aeroflot – e le delegazioni commerciali, sebbene escluse dai privilegi dell’immunità diplomatica, riservando le coperture profonde per i cosiddetti “illegali” cioè coloro che non avevano apparenti connessioni con i loro datori di lavoro.
Le Forze Speciali sono state essenziali per le guerre non convenzionali la loro espansione in Europa e poi in Asia negli anni Cinquanta e in America Latina nei Sessanta ha coinciso con l’elaborazione stessa della guerra psicologica presso il centro di Fort Bragg del North Carolina. La loro struttura è caratterizzata dall’adattabilità: un nucleo può essere costituito da un pool di uomini o da una combinazione di diverse unità. Il modulo di base è all’incirca composto da dodici-quindici suddivise in cellule molto mobili e agili.
GUERRA PSICOLOGICA
È in questo campo che entrano in campo gli specialisti delle operazioni psicologiche o manovre psicologiche. Che sono un metodo utilizzato non solo dalle istituzioni militari ma anche da quelle politiche e dalle aziende, definibile come un complesso di attività psicologiche messa in atto mediante l’uso programmato delle comunicazioni, pianificate in tempo di pace, di crisi e di guerra, dirette verso gruppi o obiettivi “amici”, neutrali o nemici (governi, organizzazioni, gruppi o individui) al fine di influenzarne i comportamenti che incidono sul conseguimento di obiettivi politici e militari.
E dentro questo quadro che assumono un ruolo sempre più importante per la conquista dei cuori e della psiche dei popoli i miti, che sono da sempre la forza che muove le volontà collettive dei popoli. Sarebbe ingenuo attribuire questo comportamento a scarsa capacità razionale dei popoli, o a naturale limitatezza delle masse o alla propensione dell’opinione pubblica verso le leggende piuttosto che verso la verità e dunque a bere tutto quello che si propinano. Il fatto che la borghesia, che ha alle spalle una lunga storia di rivoluzioni contro il mondo feudale e contro l’oscurantismo religioso ha imparato a sue spese che non è la verità e la coscienza intellettuale a muovere le grandi masse, bensì i miti, quelle vere e proprie leve che s’imprimono profondamente nella psiche collettiva per incarnare speranze e muovere le volontà ad agire.
I miti sono tali che, una volta penetrati in profondità nelle coscienze, costituiscono una forza difficilmente scardinabile. Quello dell’11 settembre 2001 è a tutti gli effetti, un mito, realizzato con le più sofisticate e tecnologicamente collaudate tecniche di comunicazione mediatica, che ha imbastito menzogne e confusione con briciole di verità, sensazionalismo e paura, esorcismo ed emotività, ripetute fino alla nausea, anche quando i fatti le abbiano smentite. Che, poi, nel tempo, infatti, la costruzione si sia rivelata un colabrodo, non ha più importanza: quel che conta è la prima impressione, quella che muove il consenso e la volontà delle masse. In quella zona della psiche che gli psicologi chiamano inconscio, non si distingue un’idea o un’immagine vera da una falsa. Le impressioni e gli effetti sono ugualmente reali e per lo più sono previsti da chi manipola e trasmette le informazioni e i messaggi. E vale la nota massima behaviorista del ministro nazista della propaganda J. Goebbels: “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”. Che però non è un detto originale, essendo che già in Hegel la sua formulazione filosofica.[13] E soprattutto dal medico e fisico francese Gustave Le Bon, che ha fatto scuola osservando le tecniche di manipolazione mediatica, già nel 1895, quando di comunicazione di massa non erano neppure all’alba di tale sviluppo: “L’affermazione pure e semplice, svincolata da ogni ragionamento e da ogni prova, costituisce un mezzo sicuro per far penetrare un’idea nello spirito delle folle. Quanto più l’affermazione è concisa, sprovvista di prove e di dimostrazioni, tanto maggiore è la sua autorità (…) Tuttavia (l’affermazione) acquista una reale influenza soltanto se viene ripetuta di continuo, il più possibile, se sempre negli stessi termini. Napoleone diceva che esiste una sola figura retorica seria, la ripetizione. Ciò che si afferma finisce, grazie alla ripetizione, col penetrare nelle menti al punto da essere accettata come verità dimostrata (…) La cosa ripetuta finisce con l’incrostarsi nelle regioni profonde dell’inconscio, in cui si elaborano i moventi delle nostre azioni. Così si spiega la forza straordinaria della pubblicità”.[14]
Ritornando ai giorni nostri, tutto ciò significa che la plateale distorsione della verità e la sistematica manipolazione delle fonti d’informazione sono parte integrante della pianificazione bellica. In seguito, all’11/9, il Segretario della Difesa Donald Rumsfeld ha creato l’Office of Strategic Influence (OSI), in altre parole l'”Ufficio della Disinformazione”, com’è stato etichettato dai suoi critici: “Il Dipartimento della Difesa ha detto che avevano bisogno di farlo, e stavano realmente per impiantare storie che erano false in paesi stranieri – come sforzo per influenzare l’opinione pubblica mondiale”. [15] Ma, all’improvviso, l’OSI veniva formalmente sciolta sotto la spinta di pressioni politiche e di “fastidiosi” articoli dei media, “i cui scopi erano deliberatamente tendenziosi rispetto alla necessità di portare avanti gli interessi Americani.”
Pochi mesi dopo che l’OSI fu sciolto tra le polemiche (febbraio 2002) il New York Times confermava che la campagna di disinformazione procedeva a pieno ritmo e che il Pentagono stava: “…considerando di emanare una direttiva segreta ai militari americani per condurre operazioni coperte mirate ad influenzare l’opinione pubblica ed i politici nei paesi amici e nelle nazioni neutrali …”. La proposta ha acceso un’aspra battaglia nell’amministrazione Bush sul fatto se i militari dovessero eseguire missioni segrete di propaganda in nazioni amiche come la Germania… “La lotta – ha dichiarato un funzionario del Pentagono – verte sul sistema di comunicazioni strategiche per la nostra nazione, sul messaggio che noi vogliamo inviare per influenzare a lungo termine, e come costruirlo. Noi possediamo le strutture, le capacità e l’addestramento idonei per influenzare la pubblica opinione delle nazioni amiche e neutrali. Noi possiamo fare questo e farla franca!“.[16]
Per sostenere l’agenda di guerra queste “realtà fabbricate”, introdotte giorno dopo giorno nella catena dell’informazione di massa, devono diventare verità indelebili, che formano parte di un ampio consenso politico e dei media. A questo riguardo, i media ufficiali, sebbene agiscano indipendentemente dall’apparato militare e d’intelligence, sono uno strumento di questo sistema tendente a un autentico totalitarismo. In stretto collegamento con il Pentagono e la CIA, anche il Dipartimento di Stato ha istituito una sua unità civile di propaganda, guidata diretta dalla Sottosegretaria di Stato per le Relazioni e gli Affari Pubblici Charlotte Beers, una figura potente nell’industria pubblicitaria. Lavorando a stretto contatto con il Pentagono, la Beers è stata nominata a capo dell’unità di propaganda del Dipartimento di Stato immediatamente dopo l’11/9. Il suo mandato consisteva nel “contrapporsi e neutralizzare l’anti-Americanismo esterno.”[17] Il suo ufficio al Dipartimento di Stato deve: “‘assicurare che le pubbliche relazioni (di coinvolgimento, di informazione e guida, di influenza sulle comunicazioni internazionali importanti), vengano praticate in armonia con gli affari pubblici (con sfera di estensione al di là degli Statunitensi) e con la diplomazia tradizionale, per dare impulso agli interessi e alla sicurezza degli USA e produrre la base morale per la leadership Americana nel mondo.” [18]
Come si vede l’opinione pubblica diventa centrale. Ma cosa è l’opinione pubblica? Walter Lippmann nel 1922 la definì nel seguente modo: “Le immagini che gli esseri umani hanno nella testa, le immagini di sé stessi, degli altri, dei propri scopi e obiettivi, delle proprie relazioni, rappresentano le loro opinioni pubbliche. Queste immagini, quando vengono gestite da gruppi di persone o da persone che agiscono in nome di gruppi, diventano Opinione Pubblica, con le iniziali maiuscole”.[19]
Lippmann, che fu il primo a tradurre in inglese le opere di Sigmund Freud, sarebbe divenuto uno dei più influenti commentatori politici. Aveva trascorso gli anni della Prima guerra mondiale al Quartier Generale di Propaganda e Guerra Psicologica di Wellington House, fuori Londra, in un gruppo di cui faceva parte anche il nipote di Freud, Eduard Bernays.[20] Il libro di Lippmann, L’Opinione Pubblica, pubblicato un anno dopo l’uscita de La psicologia di massa di Freud, che trattava temi simili. È tramite i media, scrive Lippmann, che la maggior parte delle persone elabora quelle “immagini nella testa”, il che garantisce ai media “un potere spaventoso”.
Il Tavistock Center creato subito dopo la I Guerra Mondiale sotto il patronato del Duca George di Kent (1902-42), diretta da John Rawlings Rees, si mise a studiare gli effetti della psicosi bellica e la sua capacità di produrre il collasso della personalità individuale. Dal loro lavoro emerse una tesi terribile: grazie all’uso del terrore, l’uomo può essere ridotto a uno stato infantile e sottomesso, in cui le sue capacità di ragionamento sono annebbiate e in cui il suo responso emotivo a vari stimoli e situazioni diventa prevedibile o, nei termini usati dal Tavistock, “sagomabile”. Controllando i livelli di ansietà è possibile produrre una condizione similare in ampi gruppi di persone, il cui comportamento potrà così essere controllato e manipolato dalle forze oligarchiche per cui il Tavistock lavorava.[21]
Partendo dal fatto che i mass media sono in grado di raggiungere grandi quantità di persone con messaggi programmati o controllati, il che rappresenta la chiave per la creazione di “ambienti controllati” per il lavaggio del cervello. Come mostravano le ricerche del Tavistock, la cosa importante era che le vittime del lavaggio del cervello di massa non si rendessero conto di trovarsi in un ambiente controllato; pertanto, doveva esserci un ampio numero di fonti d’informazione, i cui messaggi dovevano essere leggermente diversi, così da mascherare la sensazione di un controllo dall’esterno. Quando possibile, i messaggi dovevano essere offerti e rinforzati attraverso l’” intrattenimento”, che avrebbe potuto essere consumato senza apparente coercizione, in modo da dare alla vittima l’impressione di stare scegliendo di propria volontà tra diverse opzioni e programmi.
Nel suo libro, Lippmann osserva che la gente è più che disposta a ridurre problemi complessi in formule semplicistiche e a formare la propria opinione secondo ciò che credono che gli altri intorno a loro credano; la verità non ha nulla a che fare con le loro considerazioni. L’apparenza di notizia fornita dai media conferisce un’aura di realtà a queste favole: se non fossero reali, allora perché mai sarebbero state riportate? Pensa l’individuo medio secondo Lippmann. Le persone la cui fama viene costruita dai media, come le star del cinema, possono diventare “opinion leaders”, con il potere di influire sull’opinione pubblica quanto le personalità politiche.
Se la gente pensasse troppo a questo procedimento, il giocattolo potrebbe rompersi; ma Lippmann scrive: “La massa di individui completamente illetterati, dalla mente debole, rozzamente nevrotici, sottosviluppati e frustrati è assai considerevole; molto più considerevole, vi è ragione di ritenere, di quanto generalmente si creda. Così viene fatto circolare un vasto richiamo al popolo tra persone che, sul piano mentale, sono bambini o selvaggi, le cui vite sono un pantano di menomazioni, persone la cui vitalità è esaurita, gente ammutolita e gente la cui esperienza non ha mai contemplato alcun elemento del problema in discussione”. [22]
Nell’affermare di scorgere una progressione verso forme mediatiche che riducono sempre più lo spazio di pensiero, Lippmann si meraviglia del potere che la nascente industria di Hollywood manifesta nel forgiare la pubblica opinione. Le parole, o anche un’immagine statica, richiedono che la persona compia uno sforzo per crearsi un’” immagine mentale”. Ma con un film: “Tutto il processo di osservare, descrivere, riportare e poi immaginare è già stato compiuto per voi. Senza compiere una fatica maggiore di quella necessaria per restare svegli, il risultato di cui la vostra immaginazione è alla continua ricerca vi viene srotolato sullo schermo”. È significativo che, come esempio del potere del cinema egli, utilizzi il film propagandistico Nascita di una nazione, girato da D. W. Griffith a favore del Ku Klux Klan; nessun americano, scrive Lippmann, potrà mai più sentir nominare il Ku Klux Klan “senza vedere quei cavalieri bianchi”. L’opinione popolare, osserva Lippmann, è determinata in ultima analisi dai desideri e dalle aspirazioni di una “elìte sociale”. Questa élite, egli afferma, è: “Un ambiente sociale potente, socialmente elevato, di successo, ricco, urbano, che ha natura internazionale, è diffuso in tutto l’emisfero occidentale e, per molti versi, ha il proprio centro a Londra. Conta fra i propri membri le persone più influenti del mondo e racchiude in sé gli ambienti diplomatici, quelli dell’alta finanza, i livelli più alti dell’esercito e della marina, alcuni principi della Chiesa, i proprietari dei grandi giornali, le loro mogli, madri e figlie che detengono lo scettro dell’invito. È allo stesso tempo un grande circolo di discussione e un vero e proprio ambiente sociale”. Con un atteggiamento tipicamente elitario, Lippmann conclude che il coordinamento dell’opinione pubblica manca di precisione. Se si vuole raggiungere l’obiettivo di una “Grande Società” in un mondo unitario, allora “la pubblica opinione deve essere creata per la stampa, non dalla stampa”. Non è sufficiente affidarsi ai capricci di “un ambiente sociale superiore” per manipolare le “immagini nella testa delle persone”; questo lavoro “può essere gestito solo da una classe di individui specializzati” che operi attraverso “centrali d’intelligence”.[23]
Mentre Lippmann scriveva il suo libro, la radio, è il primo mass media tecnologico a entrare nelle case, stava assumendo sempre maggior rilievo. A differenza dei film, che erano visti nei cinema da grandi gruppi di persone, la radio offriva un’esperienza individualizzata all’interno della propria casa, avente per fulcro la famiglia. Nel 1937, su 32 milioni di famiglie americane, 27,5 milioni possedevano un apparecchio radiofonico, più di quante possedessero un’automobile, il telefono o perfino l’elettricità.
In quello stesso anno la Rockefeller Foundation finanziò un progetto per studiare gli effetti che la radio produceva sulla popolazione. [24] A essere reclutati per quello che sarà poi conosciuto come Radio Research Project, con quartier generale all’Università di Princeton, a lavorare su questo studio ci furono delle personalità come Hadley Cantril e Gordon Allport, che diventeranno elementi chiave delle operazioni del Tavistock americano. A capo del progetto c’era Paul Lazerfeld; i suoi assistenti alla direzione erano Cantril e Allport, con Frank Stanton, che sarebbe poi diventato capo del settore informazione della CBS, e più tardi il suo presidente, e capo del consiglio di amministrazione della Rand Corporation. Il progetto fu preceduto da un lavoro teoretico realizzato in precedenza studiando la psicosi e la propaganda di guerra, e dal lavoro di Walter Benjamin e Theodor Adorno, della Scuola di Francoforte. Questo lavoro preliminare era incentrato sulla tesi che i mass media potessero essere usati per indurre stati mentali regressivi, atomizzare gli individui e generare un incremento dell’instabilità. Queste condizioni mentali indotte furono poi definite dal Tavistock col termine di stati “brainwashed”, e il processo d’induzione che a essi conduceva fu chiamato “brainwashing”, cioè “lavaggio del cervello”.
Nel 1938, quando era a capo della sezione “musica” del Rand Research Project, Adorno scrisse che gli ascoltatori di programmi musicali radiofonici: “fluttuano tra l’oblio completo e improvvisi tuffi nella coscienza. Ascoltano in modo atomizzato e dissociano ciò che sentono… Non sono bambini, ma sono infantili; il loro stato primitivo non è quello di chi non è sviluppato, ma quello di chi ha subìto un ritardo mentale provocato da un’azione violenta”. Le scoperte del Radio Research Project, pubblicate nel 1939, confermarono la tesi di Adorno sul “ritardo mentale indotto” e servirono da manuale per i programmi di lavaggio del cervello. Studiando i drammi radiofonici a puntate, comunemente noti come “soap opera” (poiché molti di essi erano sponsorizzati da ditte produttrici di sapone), Herta Hertzog scoprì che la loro popolarità non poteva essere attribuita a nessuna caratteristica socioeconomica degli ascoltatori, ma piuttosto al format seriale in sé, che induceva ad un ascolto abitudinario. La forza che la serializzazione possiede nel produrre il lavaggio del cervello è stata riconosciuta dai programmatori del cinema e della TV; ancora oggi le “soap” pomeridiane sono quelle che generano maggiore assuefazione televisiva, con il 70% delle donne americane sopra i 18 anni che guardano ogni giorno almeno due di questi programmi.
Un’altra indagine del Radio Research Project si occupò degli effetti prodotti nel 1938 dalla lettura radiofonica de La guerra dei mondi di H. G. Wells da parte di Orson Welles, in cui si simulava un’invasione marziana. Il 25% degli ascoltatori del programma, che era stato presentato come se si trattasse di un notiziario, credette davvero che fosse in corso un’invasione, generando il panico nazionale; e questo nonostante i chiari e ripetuti avvertimenti che si trattava di un programma di fiction. I ricercatori del Radio Project scoprirono che molte persone non avevano creduto all’invasione marziana, ma avevano pensato che fosse in corso un’invasione da parte della Germania. Questo, come i ricercatori riferirono, dipendeva dal fatto che il programma era stato presentato nel format del “notiziario”, che in precedenza era stato utilizzato per fornire il resoconto della crisi bellica che si prospettava a seguito della Conferenza di Monaco. Gli ascoltatori avevano reagito al format, non al contenuto del programma.
I ricercatori dimostrarono così che la radio aveva già condizionato a tal punto le menti dei suoi ascoltatori, le aveva rese così frammentate e irriflessive, che nella ripetizione del format stava la chiave della popolarità.
GUERRA SENZA LIMITI
Nel 2001 uscì un libro dal titolo emblematico Guerra senza limiti edito dalla Libreria editrice goriziana, degli autori Qiao Lang e Wang Xiangsui, due ufficiali dell’esercito cinese che hanno svolto incarichi come Commissari politici presso i Dipartimenti politici dei comandi superiori come addetti alla morale, disciplina supervisione dei Comandanti e delle attività di propaganda. Il termine moderato dei loro incarichi non tragga in inganno: si tratta di due autentici revisionisti di fino. Il libro illustra l’evoluzione dell’arte della guerra, dai primi conflitti armati alla nostra epoca “di terrorismo e globalizzazione”. Quello che è messo ben in luce, è come muti l’approccio dei governi all’idea “fare la guerra”. In questo libro c’è la codificazione delle nuove regole dell’arte militare[25] Nei “nuovi” conflitti, dove le finalità non sono mai completamente interpretabili, si tratta di schiacciare il nemico in un campo di battaglia molteplice e non del tutto definibile, e di conseguenza si progettano le armi adatte ai tipi di guerra che si vuol fare[26]. Attualmente, la guerra imperialista è sempre più veloce ed immediata e “teoricamente” opera col minor spargimento di sangue “possibile” (in relazione agli obiettivi prefissati). In realtà questo è ciò che viene propagandato, il terreno concreto smentisce la teoria, solo che la teoria deve essere sufficientemente indefinita di modo da permettere l’utilizzo di armi e progetti che si traducano in un aumento del potere degli eserciti stessi rispetto alle altre forze del sei paese agente. Una guerra dove si mira più a destabilizzare il nemico che ad eliminarlo.
La guerra di oggi preferisce agire in misura ben superiore che al passato, anche in campi che teoricamente non hanno nulla a che fare con i conflitti armati. Dietro la scusa di non uccidere nemici in maniera visibilmente ingestibile, si può anche muoversi là dove lo scontro fisico non è necessario, andando a toccare i nervi scoperti del suo apparato statale, sociale ed economico, cercando di ottenere un effetto paralizzante superiore a quello delle armi usuali. Ma poi, ed è Gaza a dimostrarlo, si tratta solo di teorie dal fine recondito, come appunto sosteniamo, un fine secondo: infatti poi, alla fine, prevale l’utilizzo barbaro dei cannoni e dei bombardamenti.
Riguarda anche noi in Italia. Nel capitolo Il volto del dio della guerra è diventato indistinto gli autori di Guerra senza limiti parlano del terrorismo (pagg. 83-84), dicono che “se tutti i terroristi limitassero le loro attività unicamente all’approccio tradizionale – vale a dire attentati dinamitardi, rapimenti, assassini e dirottamenti aerei – non otterrebbero il massimo terrore. Ciò che realmente scatena il terrore nel cuore della gente è l’incontro di terroristi con vari tipi di nuove tecnologie avanzate che potrebbero trasformarsi in nuove superarmi”, essi citano come esempi di terroristi dotati di superarmi i seguaci di Amu Shinrikyo che hanno cosparso il Sarin, un gas tossico, nella metropolitana di Tokyo e in contrapposizione questi killer che compiono eccidi indiscriminati cita “il gruppo italiano “Falange armata” è una categoria completamente diversa di organizzazione terroristica high-tech. I suoi obiettivi sono espliciti e i mezzi impiegati straordinari. La sua specializzazione consiste nell’irruzione in reti di computer di banche e di mezzi di comunicazione, nel furto di dati archiviati, nella cancellazione di programmi e nella divulgazione di false informazioni, vale a dire operazioni terroristiche classiche dirette contro reti e mass media. Questo tipo di operazione terroristica si serve della tecnologia più avanzata nei settori di studio più moderni e sfida l’umanità nel suo complesso una guerra che potremmo definire ‘nuova guerra terroristica’”. E c’è chi vuol ridurre gli avvenimenti dell’inizio degli anni ’90 nella semplice formuletta “trattativa Stato-Mafia”! In queste nuove guerre i campi di battaglia diventano infiniti, una volta che il bersaglio non è più solamente il corpo fisico da annientare, ma anche la psiche di quello è ritenuto il nemico. Un bersaglio che permette la progressiva erosione dei diritti civili, lo svuotamento dello Stato di diritto, tutto questo dentro un quadro di resa da parte delle persone colte e impegnate, che vede in sostanza un definitivo imbarbarimento della società che non fa che confermare quanto esporta Lenin ne L’imperialismo, aspetto che dopo il nazismo, non cera bisogno di altre conferme.
Pertanto, perché presto attenzione ad un testo del genere? Non solo perché è stata la CIA a dedicarsi allo studio di questo testo, sin da quasi subito dopo che venne nelle mani degli alti ufficiali dell’esercito cinese e della cricca borghese impadronitasi del Partito un tempo comunista. I campi di battaglia diventano infiniti, una volta che il bersaglio non è il corpo fisico da annientare, ma la psiche del “nemico”, in forma non direttamente evidente “agli altri”. Un bersaglio che permette una progressiva erosione dei diritti civili, uno svuotamento dello stato di diritto, un atteggiamento di resa da parte delle persone colte ed impegnate, un definitivo imbarbarimento che non fa che confermare quanto esposto da Lenin ne L’imperialismo, aspetto di cui tuttavia, dopo il nazismo, non avevamo bisogno di altre conferme. Una guerra segreta quindi, che colpisce attraverso nuove tecnologie e coinvolgimento di specialisti in campo medico e psichiatrico, psicologico, fisiologico, elettronico, informatico, biologico, il cervello, i sentimenti, il clima, il cyberspazio, lo spazio ecc. Non a caso il vicepremier D’Alema nel 1999 fa divenire corpo d’armata l’Arma dei carabinieri, e questa subito dopo assume in gran numero laureati in scienze biologiche. La pubblicistica pre e post-11 settembre serve allo scopo, antrace, armi biologiche, chip a DNA. Le riviste scientifiche parlano apertamente di queste cose, la politica tace. Chi autenticamente comanda, ha i suoi soldatini. I politici delegano ai ministri, i quali nel divenire ministri, si adeguano ai generali. Quindi non ci può essere una seria lotta alla guerra imperialista senza porre la questione della messa al bando di queste “armi elettroniche-mentali”, ivi compresi i raggi immobilizzanti, ecc. Infatti, evidenziare cosa stia dietro a queste “armi” e alle tecnologie diffusosi di recente (GPS, GPRS, UMTS, Wireless, ecc.), sarebbe dovere non nostro, ma di ogni appartenente alla Sanità, alla Polizia municipale, alle Giunte comunali, provinciali, regionali, ai Parlamenti, alle forze sociali e sindacali. Ma nessuno ne parla, a parte rari e coraggiosi soggetti. Tutti, paiono segretamente entusiasti di poter produrre la morte per tumore di un nemico, senza che nessuno possa loro imputar nulla.
Vediamo in sintesi la visione della guerra “post-atomica” dei due autori del libro”.
Per gli autori queste visioni sono infinite e tutte in continua evoluzione. Vediamo quali sono per gli autori le principali.
La prima è la classica guerra commerciale, che per gli autori però la vedono evoluta: “nelle mani degli americani, che ne hanno fatto un’arte raffinata, può essere utilizzata con grandissima competenza. Tra i vari strumenti impiegati, vi sono l’uso del diritto commerciale interno sulla scena internazionale, l’introduzione e l’abolizione arbitrarie di barriere tariffarie, l’utilizzo di frettolose sanzioni commerciali, l’imposizione di embarghi sulle esportazioni di tecnologie fondamentali, l’applicazione della legge della “Sezione speciale 301”, la concessione del cosiddetto status di nazione favorita (most favored nation), eccetera… “.
Una seconda forma che viene evidenziata dagli autori è la guerra finanziaria, apprezzata come segue: “Noi riteniamo che presto “la guerra finanziaria” diventerà sicuramente uno dei lemmi dei vari dizionari del gergo militare ufficiale, come pure crediamo che quando, rileggeremo i libri di storia sulla guerra del ventesimo secolo, il capitolo della guerra finanziaria sarà quello che più richiamerà la nostra attenzione. Il principale protagonista di questo capitolo non sarà uno statista o uno stratega militare, bensì George Soros. Naturalmente, Soros non ha il monopolio esclusivo dell’uso dell’arma finanziaria per combattere le guerre. Prima di Soros, Helmut Kohl si è servito del marco tedesco per abbattere il muro di Berlino, un muro che nessuno era mai riuscito a scalfire con le granate dell’artiglieria…Inoltre, non possiamo non citare la miriade di grandi e piccoli speculatori arrivati in massa a questo grande party per ingordi di denaro, tra cui Morgan Stanley e Moody’s, che sono famose per i rapporti sul grado di solvibilità da loro emessi e che segnalano promettenti obiettivi di attacco agli squali del mondo finanziario”.
E pensiamo alla all’uso della Pandemia che è stato fatto dai vari governi. Non bisogna essere dei geni, per capire che hanno usato dei metodi da guerra psicologica.
Grazie a questo uso dei metodi della guerra psicologica, si è installata in gran parte delle popolazioni la paura del Covid-19, la Borghesia Imperialista ha il contesto favorevole per ottenere un risultato importante: la sospensione delle regole.
Durante gli ultimi mesi dei mandati presidenziali c’è veramente da raccomandare a tutti i santi, perché gli Stati Uniti tradizionalmente sferrano i colpi più pesanti. Ma un’operazione di questa levatura si era mai vista. Del resto, molti osservatori hanno constato che stiamo patendo gli effetti di una guerra tradizionale senza che una volta venga sparato un colpo. Ce lo hanno spiegato i due autori di Guerra senza limiti che stiamo assistendo ad una guerra non militare nell’era atomica. Queste cose le sanno chi negli Stati Uniti ha organizzato una campagna (magari all’insaputa di Trump), enorme e sofisticata, con uno stile da bostoniani di scuola britannica. L’idea era in gestazione da alcuni anni visto che Bill Gates ne parlava pubblicamente già nel 2015.[27] Quando poi si decise di procedere, il 18 ottobre 2019 la John Hopkins Center for Health Security con il World Economic Forum e la Fondazione Bill & Melinda Gates hanno presentato a New York l’Event 201 Pandemic Exercise, un’anticipazione di quanto sarebbe accaduto qualche mese dopo. Quindi chi doveva sapere, sapeva. Non è da escludere che Pechino sapeva vista la prontissima reazione; come non è da escludere che anche da Mosca sapevano vista la sua sostanziale immunità al contagio in Russia almeno fino al mese di maggio, non mi meraviglierei che il Vaticano sapeva.
In ogni caso il sistema un risultato strategico lo ha raggiunto. La sospensione delle regole: siano esse economiche (quelle dentro l’ortodossia della economia politica borghese), dei diritti costituzionalmente garantiti, dei rapporti fra Stati, dei “casus belli” in ogni momento attivabili. Negli USA questa sospensione è visibile maggiormente che altrove. Il Congresso ha promosso un allargamento del proprio debito senza che nessun sottoscrittore si facesse avanti che non fosse la Federal Reserve; la Casa Bianca sta alzando il livello di scontro con la Cina sulla soglia del conflitto militare; è aumentata l’oppressione violenta sui proletari e sottoproletari (in particolare afroamericani), che nella strategia dell’Establishment deve pagare silenziosamente in termine di morti e disoccupazione, è sotto gli occhi di tutti a seguito delle ribellione degli afroamericani dopo i fatti di Minneapolis. Ed in questo scenario di sospensione delle regole tutto diventa possibile: negli USA, in Europa ed in Italia, si è avuto la famigerata operazione prendi 6,5 miliardi e scappa a firma John Elkann.
[1] Edizione pubblicata dal Dipartimento della “Difesa” americano nel luglio del 1997.
[2] C’è stato un tentativo di elaborare una strategia militare fu fatto nel 1928 da un gruppo di comunisti, sotto la supervisione e la direzione della Segreteria dell’Internazionale Comunista e dello Stato Maggiore dell’Armata Rossa redasse l’opera intitolata L’insurrezione armata, che fu pubblicata con la firma di A. Neuberg. Con tale opera si cercava di fornire al movimento operaio e comunista una guida per l’organizzazione e la conduzione delle insurrezioni future.
[3] P. Willan, I burattinai, Pironti, Napoli, 1993, p. 37.
[4] Le forze speciali USA entrarono in Grecia il 24 maggio 2947. La controinsorgenza fece ricorso in modo massiccio a una misura che fu poi riutilizzata in altre circostanze, cioè la creazione di “zone franche” in cui venivano deportate la popolazione civile per togliere sostegno alla Resistenza. Michael McClintock, Instruments of Statecraft, Pantheon Books, New York, 1992, p. 11.
[5] Federico Romero, Storia della Guerra Fredda. L’ultimo conflitto per l’Europa, Einaudi, Torino, 2009, p. 72.
[6] Nguyen Van Vinh, The Vietnamese People on the Road Victory, 1966.
[7] Luciano Pellicani, Terrorismo, Enciclopedia Trecconi, 1998.
[8] Field Manual, n. 31-1.
[9] C.s. n. 33.5.
[10] Edward Lansdale è stato un ufficiale dell’OSS e poi della CIA , oggetto di una famosa lettera scritta dal colonello L. Fletcher Prouty al giudice Jim Garrison – che indagò sul delitto di JFK – nella quale Prouty denunciava la presenza di Lansdale Dallas, dive fu assassinato il presidente americano. Secondo Prouty era il leader del complotto orchestrato a danno di Kennedy.
[11] The Secret Team è il titolo del libro colonello L. Fletcher Prouty, che fu dal 1955 al 1960 capo di un ufficio delle forze aeree che forniva sostegno alle operazioni coperte della CIA. Uscito per la prima volta negli USA nel 1973 con l’obiettivo di rivelare il funzionamento della CIA, nel volume Prouty vi denuncia l’esistenza di un Secret Team che si poneva al di sopra della CIA, composto da individui interni ed esterni alla compagine di governo, che ricevono dati sensibili, frutto del lavoro di intelligence di CIA e NSA, e li utilizzavano per operazioni di ogni tipo comprese quelle paramilitari (Skyhorse Publishing, New York 2011, p. 3).
[12] Joshua Kurlantzuck, A Great Place to Have War, Simon & Schuster, New York, 2017, recensito da Marco Del Corona per il Corriere della Sera, 19 febbraio 2017.
[13] Attraverso la ripetizione, ciò che inizialmente appariva come un accidente e possibile, diventa qualcosa di reale e consolidato (G.W.F. Hegel).
[14] Gustave Le Bon, Psicologia delle folle, Milano 1982, pp. 111-112; il libro significativamente fu letto da chi aveva a che fare con i fenomeni politici e sociali di massa, da Mussolini a Lenin, oltre che dalle polizie di tutti paesi.
[15] Intervista con Steve Adubato, Fox News, 26 dicembre 2002.
[16] New York Times, 16 dicembre 2002.
[17] Sunday Times, Londra 5 gennaio 2003.
[19] http://www.altrainformazione.it/wp/2009/07/11/come-gli-inglesi-utilizzano-i-media-per-la-guerra-psicologica-di-massa/
[20] Bernays è noto per aver elaborato la pubblicità di Madison Ave sfruttando le teorie freudiane di manipolazione psicologica.
[21] Tutta la teoria psicologica del Tavistock (come anche quella freudiana) muove dalla concezione dell’uomo come bestia dotata di pensiero. Il Tavistock sostiene che la creatività derivi unicamente da impulsi nevrotici o erotici sublimati e vede l’uomo come una lavagna su cui disegnare e ridisegnare le proprie “immagini”.
[22] http://www.altrainformazione.it/wp/2009/07/11/come-gli-inglesi-utilizzano-i-media-per-la-guerra-psicologica-di-massa/
[23] Si tratta di una concezione simile a quella espressa da Rees nel suo libro The Shaping of Psychiatry by War, in cui si parla della creazione di un gruppo elitario di psichiatri che dovranno garantire, a vantaggio dell’oligarchia dominante, la “salute mentale” del mondo.
[24] I nazisti avevano già ampiamente utilizzato la propaganda radiofonica per il lavaggio del cervello come elemento integrante dello Stato fascista. I loro metodi furono osservati e studiati dai ricercatori del Tavistock.
[25] Voglio precisare che parlare del libro in oggetto non significa condividere l’impostazione ideologica degli autori.
[26] Nella guerra che nel libro in oggetto, stampato da una casa editrice reazionaria (del Friuli Venezia Giulia) legata all’esercito ed alle componenti nere dello Stato trascurate dal ministro della giustizia Togliatti all’indomani della Liberazione, ed anzi, ritornate spesso ai propri ruoli originari dopo pochi mesi od anni, è definita assimetrica; una lettura del termine rimanda ad una guerra dove da una parte possiede moderne tecnologie e l’altra niente o quasi, l’assimetria consiste nell’uso di diverse tipologie d’armi. Semplificando: militare tradizionale contro guerriglia o militare tradizionale contro diversi tipi di guerra. Un’altra lettura, più “tecnica”, più attenta alla ideologia sottesa degli autori, che sono tutt’altro che coerenti al marxismo-leninismo, è quella che rimanda alla metodologia non convenzionale delle guerre, alla loro estensione alla società, alla vita delle masse anche nelle zone non colpite. Una ideologia “globale” e reazionaria insieme, il “summa” delle nefandezze prodotte dal revisionismo nei paesi socialisti, in perfetta coerenza e concordanza strategica con l’imperialismo capitalista, perché espressione della stessa classe, della stessa borghesia, oramai priva di alcuna natura nazionale: la borghesia imperialista.
[27] https://www.ilriformista.it/la-profezia-di-bill-gates-del-2015-un-virus-uccidera-10-milioni-di-persone-61673/