DALLA DECADENZA ALLA DECOMPOSIZIONE DEL MODO DI PRODUZIONE CAPITALISTICO

 

Quello che sta succedendo in Italia, (scandali sessuali, frazionamento politico ecc.) è un segno evidente della decadenza del modo di produzione capitalistico. Perché quello che sta succedendo non è una faccenda puramente italica (come i vari Travaglio e C. cercano di far intendere) ma è comune in tutti i paesi imperialisti.

Tutti i modi di produzione del passato hanno conosciuto un periodo di ascendenza e un periodo decadenza. Il primo periodo corrisponde a un pieno adeguamento dei rapporti di produzione dominanti con il livello di sviluppo delle forze produttive della società, il secondo esprime che questi rapporti di produzione sono divenuti troppo stretti per contenere questo sviluppo.

 La decadenza di un modo di produzione si caratterizza per due aspetti, uno economico e l’altro sovrastrutturale. 

 

L’aspetto economico del concetto di decadenza

 

 Lo sviluppo delle forze produttive può presentarsi sotto due forme:

1° Con l’accrescimento del numero dei lavoratori incorporati nella produzione a un livello di produttività dato.

2° Con lo sviluppo della produttività del lavoro con numero dato di lavoratori.

 Nella realtà di un sistema in piena espansione si costata la combinazione di due forme. Un sistema in crisi è un sistema che si trova limitato sui due piani allo ste4sso tempo.

Si potrebbe parlare di un “limite esterno” all’espansione del sistema (incapacità ad allargare il campo di applicazione del sistema) e di un “limite interno” (incapacità a superare un certo stadio di produttività). Consideriamo il caso della fine dello schiavismo nell’impero romano. Il limite esterno è costituito dall’impossibilità materiale di continuare a estendere la superficie dell’Impero. Il limite interno è l’impossibilità di aumentare la produttività degli schiavi senza sconvolgere il sistema sociale stesso, senza eliminare il loro stato di schiavi. Per il feudalesimo è la fine dei dissodamenti, l’incapacità di trovare nuove terre coltivabili, che costituisce il limite esterno; il limite interno è costituito dall’impossibilità di aumentare la produttività del servo o dell’artigiano, senza introdurre il lavoro associato del capitale sconvolgendo l’ordine economico feudale.

Le influenze di questi due tipi di limiti sono dialetticamente legate: l’Impero Romano non poté estendere indefinitamente il suo Impero a causa dei suoi limiti tecnici; inversamente, più le difficoltà a estendersi sono grandi, più fu obbligato ad accrescere la propria produttività, spingendola così più rapidamente fino ai suoi limiti estremi. Allo stesso modo i dissodamenti feudali erano limitati dal livello delle tecniche e nello stesso tempo man mano che le terre diventano rare ci si sforza nelle città e nelle campagne di aumentare la produttività feudale fin sulla soglia del capitalismo.

In ultima analisi sono i limiti che trovano lo sviluppo della produttività in seno all’antica società che provoca il marasma. È, in effetti, questa produttività che costituisce la vera misura dello stadio di sviluppo delle forze produttive: essa è l’espressione quantitativa di una certa combinazione di lavoro umano e di mezzi di produzione, di lavoro vivo e di lavoro morto.[1]

A ogni stadio di sviluppo delle forze produttive, cioè a ogni livello globale di produttività, cioè a ogni livello globale di produttività, corrisponde in certo tipo di rapporto di produzione. Quando questa produttività raggiunge i massimi limiti possibili in seno al sistema che gli corrisponde, se il sistema non è sconvolto, la società entra in una fase di decadenza economica. Si assiste allora a una specie di fenomeno “valanga di neve”: le prime conseguenze della crisi si trasformano in fattori acceleratori di questa. Per esempio, tanto alla fine di Roma che nel declino del feudalesimo, la caduta dei redditi delle classi dominanti le spinge ad aumentare lo sfruttamento della sua mano d’opera fino all’esaurimento. Il risultato è nei due casi un disinteressamento e un malcontento crescente dei lavoratori, cosa che può che non può che accelerare ancor più l’abbassamento dei profitti. Inoltre, l’impossibilità di incorporare altri lavoratori alla produzione obbliga la società a mantenere uno strato di inattivi che non possono che pesare nel profitto.

Parallelamente a queste conseguenze economiche, la crisi provoca una serie di convulsioni sociali che a loro volta ostacolano la già debole vita economica. Lo sviluppo della produttività urta sistematicamente contro le strutture sociali esistenti, rendendo sempre di più difficile ogni ulteriore sviluppo delle forze produttive. Il superamento della vecchia società è messo all’ordine del giorno.

“Mai una società si estingue prima che si siano sviluppate tutte le forze produttive che essa può contenere” (Marx). In effetti, bisogna notare che nessun sistema ha potuto sviluppare tutte – nel senso proprio del termine – le forze produttive che potevano contenere in teoria.

Sotto la pressione delle forze produttive, le basi della nuova società cominciano a svilupparsi in seno all’antica: questo però è valido solo per le società passate in cui la classe che ha realizzato il superamento di un sistema non è mai stato la classe sfruttata. Il feudalesimo si sviluppa nel seno stesso dell’Impero romano schiavista. Le prime forme di feudalesimo a Roma erano spesso attuate da anziani membri del Senato Municipale che si erano resi autonomi nei confronti dello Stato che li aveva reso responsabili della riscossione delle imposte. Allo stesso modo alla fine del feudalesimo, membri della nobiltà diventano uomini d’affari e nelle città – spesso in lotta con i signori locali – si sviluppano le prime manifatture annuncianti il capitalismo.

Questi primi “centri del sistema futuro” (grandi sfruttamenti romani) sorgono nella maggior parte dei casi come risultato della decomposizione del sistema. Vi si trovano tutti i tipi di persone che cercano di sfuggire al sistema. Da risultati della decadenza essi si trasformano rapidamente in fattori acceleratori di essa.

Le condizioni materiali che permettono il passaggio a un nuovo tipo di società esistono già nell’antica società e la loro pressione è sufficiente a farvi germogliare gli inizi del nuovo sistema.

 “Mai dei rapporti di produzione superiori cominciano ad attuarsi prima che le condizioni materiali della loro esistenza si siano sviluppate nel seno stesso della vecchia società” (Marx).

 Non è sufficiente che la produzione si avvicini ai suoi limiti massimi nella vecchia società. C’è ancora bisogno che i mezzi di superarla esistano già o siano in via di formazione. Quando queste due condizioni sono storicamente realizzate, l’adozione da parte della società di nuovi rapporti di produzione è all’ordine del giorno. Ma la resistenza della vecchia società (resistenza delle antiche classi privilegiate, inerzia dei costumi e delle abitudini, delle ideologie, della religione ecc.) e l’eventuale anacronismo nella realizzazione delle due condizioni, impediscono che il passaggio sia effettuato secondo una progressione continua. La fase di decadenza di un sistema è questo periodo nel quale il salto storico da realizzare non è ancora compiuto: è l’espressione di una contraddizione che s’ingigantisce tra forze produttive e rapporti di produzione; è il malessere di un corpo che cresce in un vestito troppo stretto. 

   Prigioniera delle sue contraddizioni, la società conosce una serie di fenomeni caratteristici che traducono il malessere crescente.

 

lo sconvolgimento nelle sovrastrutture

 

   Quando l’economia traballa, tutta la sovrastruttura che essa sostiene entra in crisi e decomposizione. Le manifestazioni di questa decomposizione sono altrettanti elementi caratteristici della decadenza di un sistema.

   Prendiamo in esame quattro fenomeni presenti tanto nella decadenza dello schiavismo quanto in quello del feudalesimo. Essi sono:

1° La decomposizione delle forme ideologiche regnanti in seno all’antica società.

2°Lo sviluppo delle guerre tra le frazioni della classe dominante.

3° L’intensificazione dello sviluppo della lotta fra le classi.

4° Il rafforzamento dell’apparato statale.

 

La decomposizione delle forme ideologiche regnanti in seno all’antica società.

 

   L’ideologia dominante di una società divisa in classi è necessariamente l’ideologia della classe dominante. La capacità di arricchimento e di sviluppo di queste forme ideologiche dipende dalla capacità reale di questa classe a fare accettare la sua dominazione dall’insieme della società. Una società che non è disposta ad accettare una data ideologia se non quando il sistema economico che questa difende corrisponde ai propri bisogni. Più un sistema economico assicura prosperità e sicurezza e più gli uomini che ci vivono dentro fanno proprie le idee che lo giustificano come sistema che esse difendono e da cui sono prodotte.

   In condizione di espansione le ingiustizie dei rapporti economici possono apparire come dei mali necessari; la convinzione che “ciascuno può trovarvi il proprio interesse” permette lo sviluppo di ideologie democratiche, soprattutto in seno alla frazione che ne trae il maggior profitto: la classe dominante. La forma politica repubblicana corrisponde al periodo fiorente dell’economia romana; nel feudalesimo in espansione il re non è che un signore, eletto come il primo tra i suoi pari). Il diritto stesso è poco sviluppato perché il sistema corrisponde sufficientemente ai bisogni oggettivi della società perché un gran numero di problemi possono risolversi mediante la forza stessa delle cose.

   Le scienze tendono ad arricchirsi, le filosofie propendono al razionalismo, all’ottimismo e alla fiducia nell’uomo. Quando l’aspetto orribile di ogni società di sfruttamento è dissimulato dalla prosperità, le ideologie sono meno ostacolate nella loro elaborazione dalla necessità di mascherare la realtà e di giustificare ciò che non può esserlo. L’arte stessa riflette questo ottimismo e conosce in generale i suoi grandi momenti nei migliori periodi economici (quella che si suole chiamare l’età dell’oro dell’arte latina corrisponde al periodo di piena espansione dell’Impero; allo stesso modo che nella prosperità dell’XI e XII, il feudalesimo conosce un rinnovamento intellettuale e artistico immenso).

   Ma è sufficiente che i rapporti di produzione si trasformino in una zavorra per la vita della società e tutte le forme ideologiche corrispondenti al passato si trovano sradicate, vuotate del loro contenuto, contraddette apertamente dalla realtà. Nell’Impero Romano decadente, l’ideologia del potere politico non può che prendere un carattere sempre più sopranaturale e dittatoriale. Così la decadenza feudale si accompagna a un rafforzamento del carattere divino della monarchia e dei privilegi della nobiltà, sconfitti dai rapporti mercantili che la borghesia introduce.

 Filosofia e religioni traducono un pessimismo costante; la fiducia nell’uomo cede il posto all’abnegazione davanti alla fatalità e a un oscurantismo crescente (sviluppo dello stoicismo, poi del neoplatonismo nel Basso Impero Romano: il primo che parla dell’elevazione dell’uomo per mezzo del dolore. il secondo che nega all’uomo la capacità di comprendere con la sua ragione i problemi del mondo).

Tutto ciò traduce l’anacronismo crescente tra i rapporti che reggono la società e le idee che se ne erano fatti gli uomini fino allora.

Le sole forme ideologiche che in questo periodo possono acquistare un vero sviluppo sono il diritto, da una parte, e le ideologie che annunciano la nuova società dall’altra.

Il diritto in una società divisa in classi non può che essere che l’espressione degli interessi e della volontà della classe dominante espressa in forma legislativa. È l’insieme delle regole permettenti il buon funzionamento del sistema di sfruttamento. Il diritto conosce dunque il maggior sviluppo all’inizio della vita di un sistema sociale, quando sono stabilite le “nuove regole del gioco”, ma alla fine di, questa, quando, la realtà rende sempre più inadatta e impopolare il sistema vigente, è la volontà della classe dominante che diventa un elemento sempre più importante per mantenere in vita questi rapporti. Il diritto traduce allora la necessità di rafforzare il quadro oppressivo necessario alla sopravivenza di un sistema diventato superato. È per questo che il diritto si sviluppa tanto nella decadenza romana che in quella del feudalesimo. (Diocleziano, il più grande imperatore del Basso Impero, fu anche quello che redasse il maggior numero di editti. Allo stesso modo a partire dal XIII secolo cominciano ad apparire le prime forme di diritto abituale)

Parallelamente a questo diritto dell’antica società cominciano a sorgere le idee preconizzanti il nuovo tipo di rapporti sociali: esse prendono delle forme critiche, contestatarie, poi rivoluzionarie. Questo fenomeno è particolarmente evidente a partire dal XV secolo in Europa occidentale. Il protestantesimo, soprattutto quello di Calvino, religione che opponendosi al cattolicesimo, ammette il prestito su interesse (condizione di vita del Capitale); che preconizza l’elevazione spirituale per mezzo del lavoro e che glorifica “l’uomo che è riuscito” (opponendosi ai privilegi “di fonte divina” della nobiltà); che mette in questione il ruolo soprannaturale della Chiesa cattolica per preconizzare l’interpretazione della Bibbia da parte dell’uomo stesso senza bisogno di intermediari; questa religione costituisce un elemento ideologico annunciatore del capitalismo.

 

Lo sviluppo delle guerre tra frazioni della classe dominante

 

La prospettiva di un sistema di sfruttamento permette una relativa armonia tra gli sfruttatori e dunque dei rapporti “democratici” tra di loro. Quando il sistema cessa di essere redditizio, quando i profitti diminuiscono, l’armonia cede posto alla guerra tra i profittatori. Così si assiste al moltiplicarsi delle guerre tra le frazioni della classe dominante.

A partire dal II secolo in Roma si assiste alle guerre tra cavalieri, burocrati, capi dell’esercito contro senatori e patrizi.

Alla fine del Medio Evo le guerre tra i signori assumono tali proporzioni che i re occidentali sono costretti a proibirle e Luigi IX arriverà fino a proibire il porto delle armi. In questo secondo ordine di fenomeni si colloca la guerra dei Cento Anni. Quando la classe dominante non può servire dei suoi profitti, la soluzione più immediata consiste per ogni frazione della classe dominante nell’impadronirsi di quello degli altri; o almeno nell’impadronirsi delle condizioni di produzione permettenti la creazione di profitto /(per esempio, i feudi nell’epoca feudale).

 

 

Intensificazione e sviluppo della lotta tra le classi

 

 

Si riscontrano nella decadenza di un sistema tre fenomeni che fanno delle lotte di classe una delle caratteristiche principali di questi periodi di declino.

1° L’aumento della miseria: la fine dello schiavismo romano e la fine del feudalesimo sono marcate da carestie, epidemie e da una miseria che tende a generalizzarsi. Sono le classi oppresse che subiscono più intensamente questi problemi; cosa che da parte loro provoca ribellioni rivolte sempre più frequenti.

2° L’aumento dello sfruttamento: in un sistema in decadenza, non poteva essere accresciuta con mezzi tecnici, le classi dominanti sono costrette a ovviare a ciò mediante un supersfruttamento della forza lavoro. La forza lavoro è utilizzata fino al suo esaurimento. I sistemi di punizione si sviluppano. Aggiunto alla miseria e alle sofferenze, quest’ultimo fattore non può che accentuare il fenomeno di generalizzazione delle lotte degli sfruttati contro gli sfruttatori. Le reazioni contro il tentativo di accrescere la loro produttività sono da parte dei lavoratori così violente e nefaste per la produzione, che tanto alla fine dell’Impero che in quella del Medio Evo, si tenderà a sostituire le punizioni con sistemi di “interessamento” (liberazione di schiavi o di servi).[2]

3° La lotta della classe portatrice della nuova società: parallelamente alle rivolte degli sfruttati si sviluppa la lotta di una nuova classe (grandi proprietari feudali alla fine dell’Impero, borghesia alla fine del feudalesimo),che  cominciò a stabilire le basi del proprio sistema di sfruttamento minando così le basi del vecchio. Queste classi sono portate a una guerra permanente contro la vecchia classe privilegiata. Nel corso di questa lotta esse hanno sempre trovato nella rivolta dei lavoratori la forza che mancava loro distruggere le antiche strutture diventate reazionarie (Solo nella Rivoluzione Proletaria avviene che la classe portatrice della nuova società sia nello stesso tempo la classe sfruttata).

Tutti questi elementi spiegano perché la decadenza di una società provoca obbligatoriamente un rifiorire deciso della lotta tra le classi.  Nel Basso Impero romano: “la situazione creata dalla carenza di produzione, una tassazione sempre più forte, la svalutazione della moneta e l’indipendenza sempre maggiore di grandi proprietari, ebbe per conseguenza di accentuare la disorganizzazione politica e sociale e di far scomparire i principi che regolavano le relazioni umane.

Proprietari impoveriti, uomini d’affari rovinati, lavoratori della città. Coloni, schiavi, disertori dell’esercito, si davano al saccheggio in Gallia, Sicilia, Italia, Africa del nord e Asia Minore. Nel 235 un’onda di brigantaggio spazzò tutto il Nord. Nel 238 i coloni della Gallia attaccano in  numerose città e nel 269 una rivolta di schiavi scoppiò in Sicilia”.[3]

Nello stesso modo alla fine del medio Evo, le rivolte operaie sconvolgono le città fiamminghe. Al tempo della guerra dei Cento Anni ci furono sollevamenti caudati dalla miseria urbana. Dei tribuni sfruttarono queste rivolte al servizio delle ambizioni politiche di gruppo o di un individuo.

Le rivoluzioni di Crowell nel 1649 in Inghilterra e la rivoluzione francese del 1789 saranno il risultato spettacolare delle lotte che il declino della società feudale e la nascita del sistema capitalistico provocano.

 

 

Il rafforzamento dello Stato.

 

 

Se il diritto traduce l’interesse e la volontà della classe dominante, sotto forma di legge, lo Stato è la forza armata incaricata di farlo rispettare. Esso è il garante dell’ordine necessario allo sfruttamento di una classe da parte di un’altra. Di fronte ai disordini economici e sociali che caratterizzano la fase di decadenza di un sistema, lo Stato non può, dunque, che rafforzarsi.

Nato come forza armata della classe dominante, lo Stato è essenzialmente il servitore di una classe. Tuttavia, è in questo servitore che si cristallizzano nel modo più perfetto gli interessi della classe dominante: il suo compito è di mantenere un ordine globale, generale. In questo senso esso ha una visione più completa del funzionamento del sistema, e delle sue necessità, che quella degli individui che costituiscono la classe privilegiata. Separato dall’insieme della società, poiché organo di oppressione al servizio di una minoranza, esso si distingue anche da questa minoranza per il suo carattere unico di fronte alla diversità degli interessi frazionali o individuali degli sfruttatori. Inoltre, i privilegi della burocrazia statale sono strettamente legati al buon andamento del sistema nel suo insieme. Lo Stato è così, non solo strumento che hanno le classi dominanti è capace di giungere a una visione globale dell’economia, ma anche il solo ad avere in ciò un interesse immediato e vitale.

Perciò nei periodi di decadenza, lo Stato si rafforza poiché non solo deve far fronte a un numero, crescete di rivolte della classe oppressa, ma anche perché è il solo capace di assicurare la coesione della classe dominante spinta al laceramento e allo sparpagliamento.

Lo sviluppo del potere dell’imperatore romano dal II secolo, così come quello della monarchia feudale trovò una giustificazione tanto nelle loro lotte rispettive contro le rivolte degli oppressi, quanto nella loro azione di difensori dell’ordine vigente per frenare le lotte tra frazioni della classe dominante. L’imperatore Settimio Severo (193-211) arrivò fino al punto di confiscare le proprietà di senatori e degli uomini di affari della città (come i commercianti) per procurarsi i fondi necessari al pagamento dei soldati che assicuravano la sua sicurezza e il suo potere; la monarchia capetingia nella Francia del medioevale dovette svilupparsi a spese dei grandi signori feudali.

Nella maggior parte dei casi le guerre costituiscono anche un potente fattore del processo di rafforzamento dell’apparato dello Stato. Solo l’autorità statale può realizzare il raggruppamento della forza che esse esigono, lo Stato esce dunque sempre più rafforzato dalla prova.

Questo fattore ha giocato un ruolo molto importante nel rafforzamento del potere monarchico, soprattutto in Francia.

Si costata il grande sviluppo dell’interventismo economico dello Stato tanto nel declino dell’Impero Romano che in quello del feudalesimo. L’imperatore Diocleziano (284-305), ideò, per stimolarla, una specie di “economia diretta”, controllando lo sfruttamento dei grandi latifondi, stabilendo un controllo dei prezzi e ristrutturò il sistema fiscale. La monarchia feudale si rafforzò creando una potente amministrazione le cui funzioni economiche accrescono in tutto il regno.

Quando i rapporti economici di una società diventano una calamità per coloro che li praticano, so la forza delle armi permette di farli sopravvivere.

Con lo sviluppo delle forze armate e conseguentemente si sviluppa l’intervento dello Stato nell’economia.

Tutto in una società in decadenza produce questo fenomeno: le spese parassitarie per far sopravvivere un’economia che non è più redditizia impongono lo sviluppo della pressione fiscale. Solo uno Stato forte può riuscire a strappare queste imposte a una popolazione affamata e pronta a rivoltarsi. L’Imperatore del Basso Impero e il re ferale troveranno i9n questa funzione una delle basi per rafforzare i loro poteri. Poiché l’economia non si accorda più alle necessità imposte dalla realtà sociale, le iniziative economiche non sono più guidate dalla ricerca della prospettiva e dell’armonia con il testo della società. L’intervento dello Stato e della sua forza diventa allora il solo mezzo per evitare la paralisi dell’eco0nomi nel disordine più totale. Una tendenza alla burocratizzazione della società e all’inquadramento sistematico degli individui si sviluppa tanto alla fine dello schiavismo che nel declino del feudalesimo.

 

 

Ci sono delle differenze tra come emerge la decandeza negli altri modi di produzione e quello capitalista?

 

  

E’ sbagliato affermare che la decadenza del capitalismo segua le tracce dei modi di produzione che l’hanno preceduto. È importante sottolineare le differenze fondamentali tra la decadenza capitalista e quelle delle società del passato.

1° Il capitalismo è la prima società della storia che si estende a livello mondiale, che abbia sottomesso alle proprie leggi tutto il pianeta, per questo fatto, la decadenza di questo modo di produzione si estende a tutta la società umana.

2° Mentre nelle società del passato, i nuovi rapporti di produzione che erano chiamati a soppiantare i vecchi ormai superati, poteva svilupparsi all’interno della stessa società (cosa che poteva, in un certo modo, limitare in un certo modo gli effetti e l’ampiezza della decadenza), la società comunista, la sola che possa succedere al capitalismo, non può in alcun modo svilupparsi al suo interno; non esiste dunque alcuna possibilità di una qualunque rigenerazione di questa società in assenza di un rovesciamento del potere della classe borghese e dell’estirpazione dei rapporti di produzione capitalistici.

3° La crisi che dura dalla metà degli anni ’70, non è solo economica, ma anche politica e culturale.

4° Il fenomeno dell’ipertrofia statale, in altre parole quella di un assorbimento della società civile da parte dello Stato (che è lo Stato della Borghesia Imperialista). Il fenomeno dell’accentuazione del controllo sociale, contro ciò che è definito “devianza”. Non c’è da meravigliarsi in questa fase lo sviluppo e l’accentuarsi della psichiatria, degli strumenti elettronici di controllo e delle cosiddette armi “letali”. In merito z queste ultime, pensiamo solamente al Taser, arma che fa uso dell’elettricità per far contrarre i muscoli.  Ebbene l’uso quest’arma “non letale”, secondo la denuncia di organizzazione certamente non rivoluzionaria come Amnesty International,  ha provocato la morte negli USA, dal 2001 al 2008, di 334 persone. E l’ONU nel novembre del 2007 ha equiparato l’uso del Taser a una forma di tortura.

5° Anche se i periodi di decadenza del passato sono stati marcati da conflitti bellici, questi non erano neanche comparabili alle guerre mondiali che, per due volte, hanno devastato il mondo.[4]

La differenza tra l’ampiezza e la profondità della decadenza capitalista e quelle della decadenza del passato, non può essere ridotta a una semplice questione di quantità. La società capitalista è la prima a minacciare la sopravivenza stessa dell’umanità, la prima che possa distruggere la specie umana (armamenti nucleari, biologici e chimici, crisi ambientale ecc).

 

 

quale è la differenza tra decadenza e decomposizione?

 

 

Tutte le società in decadenza comportano degli elementi di decomposizione: sfaldamento del corpo sociale, putrefazione delle sue strutture economiche, politiche e ideologiche ecc.

Non bisogna confondere decadenza e decomposizione.

La fase della decomposizione non si presenta solo come quella caratterizzata dal controllo sociale e dalla crisi permanente. Nella misura in cui le contraddizioni e manifestazioni della decadenza del capitalismo, che una dopo l’altra, marcano i diversi momenti di questa decadenza, la fase della decomposizione appare come quella risultante dell’accumulazione di tutte queste caratteristiche di un sistema moribondo, quella che chiude degnamente l’agonia di un modo di produzione condannato dalla storia.

Essa costituisce l’ultima tappa del ciclo infernale di crisi – secondo conflitto mondiale – ricostruzione e ripresa del capitalismo (i 30 anni succeduti dalla fine del conflitto) nuova crisi con convulsioni enormi, che a caratterizzato nel XX secolo, la società e le differenti classi:

1° Due guerre mondiale cha hanno lasciato esangui la maggior parte dei principali paesi.

2° Un’ondata rivoluzionaria che ha fatto tremare tutta la borghesia mondiale e che è sfociata in una controrivoluzione dalle forme più atroci (fascismo e nazismo.)[5] e ciniche (democrazia borghese);

3° Il ritorno di un impoverimento assoluto a livello mondiale, di una miseria delle masse proletarie che sembravano, orami dimenticate. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro il numero dei disoccupati nel mondo è passato da 30 milioni nel 2007 a 210 milioni di oggi. Negli Stati Uniti, secondo un rapporto del Census Bureau circa 44 milioni di persone vivono sotto la soglia della povertà, ossia di 6,3 milioni di poveri in due anni che vanno ad aggiungersi al già forte sviluppo della povertà conosciuto nei tre anni precedenti.

4° Una crisi che dura dalla metà degli anni ’70.

Quest’ultimo fattore costituisce l’elemento nuovo. La crisi apre di nuovo l’alternativa storica guerra mondiale o scontri di classe generalizzati verso la rivoluzione proletaria. Ma a differenza degli anni ’30, la crisi attuale si è sviluppata in un momento che subiva la cappa di piombo della sconfitta subita negli anni ’20 (sconfitta della rivoluzione proletaria in Europa determinata anche dal ruolo controrivoluzionario della socialdemocrazia, fascismo in Italia) e ’30 (nazismo in Germania, guerra e rivoluzione in Spagna). La radicalizzazione della lotta di classe nel 1968 nelle metropoli imperialiste ha mostrato che la borghesia non aveva più le mani libere per scatenare un’ennesima guerra mondiale. Allo stesso tempo, se il proletariato ha già la forza di impedire una tale conclusione, esso non ha ancora trovato quella di  rovesciare il capitalismo, e questo a causa del ritardo nello sviluppo della sua coscienza determinato dalla rottura provocato dal diffondersi del revisionismo nel Movimento Comunista Internazionale.

In una situazione in cui le due classi fondamentali e antagoniste della società si confrontano senza riuscire a imporre la loro risposta decisiva, la storia non può attendere fermandosi. Mentre le contraddizioni del capitalismo in crisi non fanno che aggravarsi, l’impossibilità da parte della borghesia di offrire la minima prospettiva per l’insieme della società, unita al fatto che attualmente il proletariato non è ancora riuscito ad affermare la sua prospettiva di cambiamento della società, nell’immediato non può che sfociare in un fenomeno di decomposizione generalizzata, di incancrenimento della società.

Nessun modo di produzione è capace di vivere e svilupparsi . assicurare la coesione sociale, se non è capace di presentare una prospettiva all’insieme della società da esso dominata. Nell’attuale fase caratterizzata dall’impedimento che i rapporti di produzione capitalisti allo sviluppo delle forze produttive ormai collettive, non può che determinare una fase di decadenza e della successiva deposizione.

Manifestazioni evidenti della decomposizione della società capitalista sono:

1° Le moltiplicazioni di carestie che avvengono nei paesi che sono definiti “Terzo Mondo” mentre nei paesi “avanzati” sono distrutti stock di prodotti agricoli, oppure sono abbandonate superfici considerevoli di terre fertili. La FAO, che si rallegra nell’osservare che nel 2010 c’è stato un arretramento della malnutrizione che colpisce particolarmente l’Asia con 578 milioni di persone e l’Africa con 239 milioni, non rileva che nello stesso tempo questa cifra resta largamente superiore a quella pubblicata nel 2008, perché gli effetti dell’inflazione speculativa dei prezzi dei prodotti alimentari si erano fatti sentire fino a provocare una serie di sommosse in numerosi paesi.

2° La trasformazione di questo “Terzo Mondo” in un’immensa bidonville in cui centinaia di milioni di esseri umani sopravvivono come topi nelle fogne. L’Asia e l’Africa sono l’epicentro di tali squilibri. La popolazione urbana africana, cresciuto di oltre 10 volte dal 1959, raggiungerebbe il 63% nel 2050, ma già in Tunisia, il 60% è urbanizzato e concentrato nella zona costiera, mentre quella asiatica dovrebbe raddoppiare.

In 16 città del Su-Est asiatico più della metà che ospitano slum, appartiene a manciata di proprietari. In queste città in continua espansione, il capitale si rivalorizza, succhiando il “midollo della vita” di donne, bambini, migranti d’ogni colore, ridisegnando a tal fine l’ambiente urbano.

   Secondo UN-Habitat (Agenzia dell’ONU) la percentuale più alta di abitanti in slum (tra il 90 e il 90%) si trovano in Etiopia, Ciad, Afghanistan e Nepal. Bombay (da 10 ha 12 milioni di abitanti “abusivi” e abitanti di casamenti, anche nei cimiteri, su 19 milioni di abitanti) è la capitale degli slum, seguita da Città del Messico e Dhaka (9-10 milioni di abitante ciascuna). Sempre a Bombay, dove solo 90 persone controllano la maggior parte di tutti i suoi liberi, un milione e mezzo di proletari, pur avendo un lavoro, sono privi di un tetto e dormono sui marciapiedi o nelle tombe dei cimiteri, o in fatiscenti monolocali di 15 metri quadri, dove solo in 6, con in media un bagno ogni 5 famiglie, mentre al Cairo, le tombe dei Mamelucchi ospitano circa un milione di senzatetto e un altro milione dorme sui tetti delle case.

   I proletari e i sottoproletari che abitano in questi slum sono oggetto di una vera e propria guerra di sterminio da parte delle classi dominanti. Negli ’60 e ’70, i regimi militari in Sud America affrontarono la “pericolosità” delle favelas e dei campamientos alla loro maniera: in Brasile, con la scusa della “minaccia guerrigliera” furono rase al suolo un’ottantina di favelas sulle colline di Rio de Janeiro; Pinochet espelleva dal centro di Santiago gli abusivi delle poblaciones e delle callampas, e in Argentina Videla bonificava militarmente le villas miserias, radendo al suolo il 94% degli insediamenti “illegali” nella grande Buenos Aires. Nel gennaio 1977, in Egitto, a seguito di una delle “rivolte del pane” e contro le misure del Fondo Monetario Internazionale, Sadat si scatena contro i “ladri guidati dai comunisti” per ripulire i quartieri centrali del Cairo. Queste “rivolte del pane” sono tornate a esplodere sia nel Maghreb (Algeria, Tunisia), che in Egitto.

3° Lo sviluppo di questo stesso fenomeno nei paesi “avanzati” in cui numero dei senzatetto e di quelli privi di ogni mezzo di sostenimento continua ad accrescersi.

L’urbanizzazione accelerata in Europa e negli Stati Uniti travolge i vecchi quartieri operai o li snatura nella gentrificazione[6] creando, oltre le vecchie periferie, nuove aree di marginalizzazione, come le banlieus parigine, le periferie inglesi e i quartieri ghetto. Un esempio sono le città italiane e le baraccopoli della Milano – Brescia, espressione di sovrapproduzione di umanità che è sempre meno specchio dell’espansione e sempre di più della regressione sociale (peggioramento delle condizioni di vita dei salariati, perdita dei diritti e delle garanzie sociali, criminalizzazione, razzismo). La stessa California, epicentro dell’area del Pacifico in sviluppo nell’era reaganiana, rispetto al ristagno dell’area atlantica è ora paurosamente in crisi con milioni di disoccupati, vede spuntare insediamenti non diversi da quelli che attorniano le città dell’America latina.

4° Le catastrofi “ accidentali” che si moltiplicano (aerei che precipitano, treni che si trasformano in casse da morto).

5° Gli effetti sempre più devastanti sul piano umano, sociale ed economico delle catastrofi “naturali” (inondazioni, siccità, terremoti, cicloni) di fronte alle quali gli esseri umani sembrano sempre più disarmati laddove la tecnologia continua progredire ed esistono già oggi tutti i mezzi per realizzare le opportune protezioni (dighe, sistemi d’irrigazione, abitazioni antisismiche e resistenti alle tempeste, …), mentre poi, di fatto, sono chiuse le fabbriche che producono tali mezzi e licenziati i loro operai;

6° La degradazione dell’ambiente che raggiunge proporzioni assurde (acqua di rubinetto imbevibile, i fiumi ormai privi di vita, gli oceani pattumiera, l’aria delle città irrespirabile, decine di migliaia…) e che minaccia l’equilibrio di tutto il pianeta con la scomparsa della foresta dell’Amazzonia (il “polmone della terra”), l’effetto serra e il buco dell’ozono al polo sud.

Tutte queste calamità economiche e sociali, se sono in generale un’espressione della decadenza del capitalismo, per il grado di accumulazione e l’ampiezza raggiunta costituiscono la manifestazione dello sprofondamento in uno stallo completo di un sistema che non ha alcun avvenire da proporre alla maggior parte della popolazione mondiale se non una barbarie al di là di ogni immaginazione. Un sistema in cui le politiche economiche, le ricerche, gli investimenti, tutto è realizzato sistematicamente a scapito del futuro dell’umanità e, pertanto, a scapito del futuro stesso del sistema stesso.

Ma le manifestazioni dell’assenza totale di prospettive della società attuale sono ancora più evidenti sul piano politico e ideologico.

 

1° L’incredibile corruzione che cresce e prospera nell’apparato politico, amministrativo e statale, il susseguirsi di scandali in tutti i paesi imperialisti.

 2° L’aumento della criminalità, dell’insicurezza, della violenza urbana che coinvolgono sempre di più i bambini che diventano preda dei pedofili.

3° Il flagello della droga, che è da tempo divenuto un fenomeno di massa, contribuendo pesantemente alla corruzione degli Stati e degli organi finanziari, che non risparmia nessuna parte del mondo colpendo in particolare i giovani, è un fenomeno che sempre meno esprime la fuga nelle illusioni e sempre di più diventa una forma di suicidio.

4° Lo sviluppo del nichilismo, del suicidio di giovani, della disperazione, dell’odio e del razzismo.

5° La proliferazione di sette, il rifiorire di un pensiero religioso anche nei paesi imperialisti, il rigetto di un pensiero razionale, coerente, logico.

6° Il dilagare nei mezzi di comunicazione di massa di spettacoli di violenza, di orrore, di sangue, di massacri, finanche nelle trasmissioni e nei giornalini per i bambini.

7° La nullità e la venalità di ogni produzione “artistica”, di letteratura, di musica, di pittura o di architettura, che non sanno esprimere che l’angoscia, la disperazione, l’esplosione del pensiero, il niente.

8° Il “ciascuno per sé”, la marginalizzazione, l’atomizzazione degli individui, la distruzione dei rapporti familiari, l’esclusione delle persone anziane, l’annientamento dell’affetto e la sua sostituzione con la pornografia, lo sport commercializzato, il raduno di masse di giovani in una isterica solitudine collettiva in occasione di concerti o in discoteche, sinistro sostituto di una solidarietà e di legami sociali completamente assenti.

Tute queste manifestazioni della putrefazione sociale che oggi, a un livello mai visto nella storia, permea tutti i pori della società umana; esprimono una sola cosa: non solo lo sfascio della società borghese, ma soprattutto l’annientamento di ogni principio di vita collettiva nel senso di una società priva del minimo progetto, della minima prospettiva, anche se a corto termine, anche se illusoria.

Tra le caratteristiche principali della decomposizione della società capitalista bisogna sottolineare la difficoltà crescente della borghesia a controllare l’evoluzione della situazione sul piano politico. L’impasse storica in cui si trova imprigionato il modo di produzione capitalistico, i fallimenti delle diverse politiche economiche che si sono attuate, l’indebitamento generalizzato che ha permesso di sopravvivere l’economia mondiale, tutti questi elementi che ripercuotersi su un apparato politico incapace, da parte su, di imporre alla società, e in particolare alla classe operaia, la disciplina e l’adesione richieste per mobilitare tutte le forze e le energie verso la sola risposta storica che la borghesia possa offrire: la guerra.

 

 

 

 

 

 

 

Sull’esperienza dei paesi socialisti

 

 

   Il crollo del “blocco “socialista” dell’Est è una delle conseguenze della crisi mondiale del capitalismo; la forte centralizzazione e la statalizzazione completa dell’economia, la confusione tra l’apparato economico e quello politico, la mobilitazione di tutte le risorse verso la sfera militare, queste caratteristiche se erano adatte a un contesto di guerra in una fase di accentuazione della crisi.  Bisogna tenere conto che questo blocco era profondamente integrato nel mercato mondiale. Quando dalla metà degli anni ’70 con l’avvio della crisi di sovrapproduzione di capitale, i capitali cercavano nuovi mercati per valorizzarsi, questo è stato uno degli elementi determinati del crollo di questi regimi, perché la borghesia, sia quella russa che quella internazionale aveva bisogno di una sovrastruttura politica funzionale alla situazione politica economica in atto (bisognava privatizzare per creare maggiori spazi per gli investimenti di capitale).

   Per capire tutto questo bisogna partire dal fatto che la società socialista non è una società senza classi e contraddizioni di classe, non è “una società unitaria che si può amministrare bene”, il cui il potere politico e già diventato “l’amministrazione da parte dei produttori associati del loro lavoro e del prodotto di esso”. Queste concezioni facevano molto comodo ai revisionisti moderni, perché servivano a coprire il loro sporco lavoro di espansione delle forze borghesi, del confinare il proletariato in condizioni di assoggettamento politico e culturale e di sfruttamento economico.

Non si può e deve dimenticare che la società socialista è uscita da quella capitalista, che essa è la prima fase della società comunista. Essa non è la società comunista. Essa porta inevitabilmente i segni della società capitalista. A proposito della società socialista, Marx disse: “Quello che abbiamo qui a che fare, non è una società comunista che si è sviluppata sulle basi che le sono proprie, ma, al contrario, una società che proviene dalla società capitalista: una società, di conseguenza, che sotto ogni aspetto (economico, morale, intellettuale) porta ancora le impronte dell’antica società da cui è uscita”.[7] Da parte sua Lenin ha fatto osservare che nella società socialista, primo stadio del comunismo, “il comunismo non può ancora, dal punto di vista economico, essere completamente maturo, completamente affrancato dalle tradizioni o dalle impronte del capitalismo”,[8] e, di conseguenza, esistono ancora differenze in fatto di richezza.

Nella società socialista continuano a sussistere le differenze tra operai  e contadini, tra città e campagna, tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, il diritto borghese non è ancora abolito; inoltre “non è possibile eliminare immediatamente l’altra ingiustizia: la suddivisione degli oggetti di consumo ‘a seconda del lavoro’ (e non a seconda dei bisogni”,[9] Tutti questi fenomeni e queste differenze possono sparire solo progressivamente, il che comporta inevitabilmente un lungo periodo. Come disse Marx, solo con l’abolizione completa del diritto borghese, potrà realizzarsi il comunismo integrale, così caratterizzato: da ognuno secondo le capacità, ad ognuno secondo i bisogni.

Il marxismo – leninismo – maoismo e l’esperienza pratica dell’Unione Sovietica, della Repubblica Popolare Cinese e degli altri paesi socialisti, ci insegna che la società socialista copre un lungo periodo storico. Per tutta la sua durata, prosegue la lotta di classe e sussiste il problema di sapere chi prevarrà, se la via capitalista o quella socialista, cioè permane il pericolo della restaurazione.

Nelle Proposte riguardanti la linea generale del movimento comunista internazionale del 14 giugno 1963, il Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese dichiara: “per un lunghissimo periodo storico che segue alla conquista da parte del proletariato, l’esistenza della lotta di classe resta una legge oggettiva, indipendente dalla volontà dell’uomo: la lotta di classe si differenzia da quella di prima della conquista del potere da parte del proletariato solo nelle forme”.

Nei primi paesi socialisti una volta abolito almeno per l’essenziale la proprietà privata dei mezzi di produzione, la lotta per l’adeguamento dei rapporti di produzione al carattere collettivo delle forze produttive riguarda principalmente: i ruoli nell’organizzazione sociale del lavoro (i rapporti lavoro di direzione e organizzazione /lavoro esecutivo, dirigenti/diretti, lavoro intellettuale/lavoro manuale, uomini/donne, città/campagna ecc.) e il modo e la misura della ripartizione della ricchezza sociale destinata al consumo. Il pericolo di una restaurazione non proviene tanto dai residui delle vecchie classi sfruttatrici, né dalla piccola produzione mercantile e neppure dalla rabbiosa e accanita aggressione dall’estero, quanto dalla nuova borghesia, tipica della fase socialista.

Nei paesi socialisti la borghesia è costituita da qui dirigenti del partito, delle organizzazioni di massa, dello Stato e di altre istituzioni pubbliche della società socialista che si oppongo ai passi in avanti verso il comunismo nei rapporti di produzione e nelle sovrastrutture.

Una delle caratteristiche della putrefazione di questi paesi sotto la guida revisionista era il menefreghismo generalizzato dei cittadini di questi paesi, sia a livello politico che economico.

 

 

 

Che fare?

 

   Bisogna prendere coscienza della minaccia mortale della decomposizione. Non bisogna nascondere a se stessi l’estrema gravità della situazione mondiale. Inoltre sarebbe che essendo la decomposizione, una realtà essa sia anche una necessità, cioè un passo necessario verso la rivoluzione.

   All’inizio la decomposizione ideologica colpisce evidentemente la classe capitalista stessa e per contraccolpo, gli strati di piccola borghesia che non hanno alcuna autonomia.

   Solo il proletariato porta in sé una prospettiva per l’umanità e, in questo senso, è al suo interno che esiste la maggiore capacità a resistere a questa decomposizione. Tuttavia neanche lui è risparmiato, in particolare perché la piccola borghesia a contatto della quale esso vive ne è il principale veicolo. I diversi elementi che costituiscono la forza del proletariato si scontrano direttamente con i diversi aspetti di questa decomposizione ideologica:

1° L’azione collettiva, la solidarietà, contro l’atomizzazione, il “ciascuno per sé”, “l’arrangiarsi individuale”.

2° Il bisogno di organizzazione contro la decomposizione sociale, la distruzione dei rapporti su cui poggia la sociale.

3° La fiducia nell’avvenire e nelle sue forze continuamente minate dalla disperazione, dal nichilismo, dalla “mancanza di futuro”.

4° La coscienza, la lucidità, la coerenza e l’unità del pensiero, l’inclinazione per la teoria hanno difficoltà ad affermarsi di fronte alla fuga nelle chimere, alla droga, alle sette, al misticismo, al rigetto della riflessione e la distruzione del pensiero che caratterizza la nostra epoca. Perciò è importante avere coscienza della posta in gioco nella situazione attuale, in particolare i pericoli mortali che decomposizione fa  correre all’umanità. Perciò il proletariato deve essere determinato a continuare, sviluppare e unificare la propria lotta di classe.

Compito dei comunisti è favorire questo processo.

Dal mio punto di vista, anche nei paesi imperialisti, la forma della rivoluzione socialista è quella della guerra popolare di lunga durata. Per questo diventa importante stabilire un Nuovo Potere. Ma cosa significa in un paese come il nostro stabilire un nuovo potere? Significa, dal mio punto di vista, oltre al ruolo centrale che deve avere il partito,  saper applicare la linea di massa, imparare a fare inchiesta nelle fabbriche, negli uffici, nei call center, nei quartieri, in sostanza in tutti i luoghi dove vivono e lavorano i proletari i e le masse popolari. Ma principalmente significa saper sviluppare organismi del Nuovo Potere che deve, significa in sostanza Consigli di fabbrica, di quartiere, comitati che sorgono da esigenze della classe, in un rapporto gerarchico cha parte da basso verso l’alto.

Negare che nei paesi imperialisti si possa sviluppare organismi di nuovo potere significare negare la validità della guerra popolare. E’ strategico, per la costruzione del Nuovo Potere la costruzione del Fonte Unico delle masse popolari. Fronte che sappia unire la lotta della classe operaia (compreso i sindacati di base che operano nel terreno di classe) e quello sociale delle varie realtà proletarie e popolari che operano in vari ambiti della realtà sociale (casa, sanità, carcerario ecc.).

 

 


[1] È il rapporto che sotto il capitalismo sarà espresso parzialmente dalla composizione organica del capitale: c/v, capitale costante su capitale variabile.

[2] Questo fenomeno ha un significato particolarmente interessante: quando un sistema economico è allo “stremo delle forze”, è spesso obbligato ad abbandonare alcuni degli aspetti giuridici che lo caratterizzano per far sopravvivere l’essenziale: i rapporti di produzione reali.

[3] Shepard B. Glough, Grandezza e decadenza delle civiltà.

[4] Nella prima guerra mondiale ci furono 20 milioni di morti e nella seconda guerra mondiale i morti furono 50 milioni.

[5] Il ricorso da parte della borghesia a opzioni politiche (e ideologiche) che portarono al potere personaggi come Hitler e Mussolini, si può paragonare al culto e alla divinizzazione dell’imperatore del Basso Impero Romano. Tutto ciò esprime un sintomo di decadenza che costituisce la decomposizione dell’ideologia dominante.  

[6]La gentrificazione è quel processo in cui, nelle metropoli, strati di piccola e media borghesia vanno a vivere in quartieri in precedenza operai, dove si attuano l’esclusione dei poveri e l’omologazione degli stili di vita, moda e atteggiamenti culturali. Le misure di gentrificazione sono strombazzate come interventi volti alla riqualificazione dei quartieri con aree industriali dismesse o dei centri storici, in realtà le motivazioni sono altre, si vuole trasformare questi quartieri in “aree-vetrina” turistiche e commerciali, o per soddisfare esigenze di gruppi sociali ad alto reddito, o semplicemente per speculazione edilizia.

[7] K, Marx, Critica del programma di Gotha (1875).

 

[8]Lenin, Stato e rivoluzione (1917),

 

[9] Lenin, Stato e rivoluzione (1917),

~ di marcos61 su settembre 7, 2011.

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