ESISTE UNA CONNESSIONE TRA IL CASO CERVIA E IL CASO LANDI?

 

 

L’Italia non è solo il paese delle stragi impunite,[1] ma è anche il paese che chi ha avuto la sfortuna di essere un testimone che avrebbe potuto ad aiutare a far chiaro su questi avvenimenti ha la buona probabilità di morire nelle circostanze più strane possibili.

Un esempio evidente di tutto ciò è il lungo filorosso di morti inerente alle persone coinvolte alla strage di Ustica, alle 81 morti del disastro aereo provocato dal lancio di missili , occorre aggiungere le altre morti, quelle persone che sono state assassinate in seguito perché sapevano troppo ed erano in procinto a vuotare il sacco.

Tutto questo significa che nel nostro paese (come negli altri paesi imperialisti) esiste un potere occulto, parallelo, non necessariamente organizzato a piramide, ma che è presente in tutti i gangli, dalle forze armate, passando per la polizia arrivando fino ai servizi segreti, al Parlamento, che legittima questo potere con l’esercizio dell’arbitrio nella più completa impunità.

A tale potere occulto può essere ricondotto lo stragismo che c’è stato nel nostro paese, che con l’uso terrore intendeva facilitare operazioni economiche, sociali e politiche.[2]

È in questo quadro che si può spiegare la diffusione in Italia (come negli altri paesi) di casi di tortura sofisticata, per molti casi di natura sperimentale (generata armi elettroniche-mentali) che trovano un comun denominatore proprio nell’esercizio arbitrario di forme persecutorie contro soggetti deboli o che, pur personalmente forti o politicizzati, abbiano creato problemi in ambito dei poteri occulti. Tale tipo di attività è esercitato indipendentemente dai governi che si susseguono e che non hanno interesse a interferire in questa zona d’ombra anche riguardo ai silenzi e alle ambigue complicità di cui nessuna forza politica sarebbe esente. Ed è in qualche modo legittimata proprio dall’arbitrio e dall’impunità acquisita che generano una forza incontrollabile e autoreferenziale. Il nucleo attivo di questo potere, pur essendo formalmente autonomo, non può che collocarsi, per strutture ed uomini, nell’area dei servizi segreti.

Tornando al discorso della moria delle persone che hanno avuto a che fare con le varie stragi, può capitare che ci siano dei collegamenti tra queste morte, nonostante che i personaggi siano stati coinvolti in questioni diverse (da quello che ufficialmente è dichiarato).

Ebbene è, questo è il caso di Cervia e di Landi. Il dato comun esiste: entrambi hanno lavorato al sistema CATRIN.

   Il CATRIN (sistema Campale di Trasmissioni e Informazioni) è un sistema informatico elaborato dalla Selenia destinato alla gestione delle telecomunicazioni militari. Si tratta, in sostanza, di un hardware e di un conseguente software che è destinato a regolare sia l’intervento delle forze sul campo di battaglia (fuoco terrestre, fuoco contraerei, impiego dell’ Aeronautica leggera, disturbo delle comunicazioni avversarie, ecc) sia la condotta vera e propria delle operazioni, cioè la diramazione di ordini e dati ai comandi militari. Un sistema, quindi, che deve essere immune dalla cosidetta contro risposta elettronica delle truppe avversarie, cioè dalle interferenze che i sistemi telematici del nemico potrebbero lanciare per rendere inoperativi i collegamenti radio e telefonici. Il CATRIN funziona in stretta simbiosi con il Siaccon che è il sistema automatizzato di comando e controllo. Infatti, mentre il primo raccoglie dati, regola l’impiego di truppe e armi offensive, blocca le comunicazioni del nemico, il secondo ha la funzione di garantire i collegamenti dal vertice militare a ogni sezione impegnata nello scontro e a stabilire un efficace controllo. Il sistema integrato ha la caratteristica di essere altamente decentrato (il blocco di un’apparecchiatura non invalida le operazioni in corso) e molto articolato, in maniera da raccogliere e trasmettere la maggiore quantità d’informazioni in tempi brevissimi. L’altra caratteristica del CATRIN-Siaccon è che tutta la struttura può dialogare in tempi reali con altre reti informatiche ed è pienamente compatibile col sistema della NATO.[3]

Il sistema CATRIN è legato a uno dei casi più eclatanti di spionaggio in Italia. Questa faccenda risale al 1989, quando il tecnico elettronico Giorgio Stanich, dipendente dell’Iret, una società che si occupava di sistemi radio militari, era stato rinviato a giudizio assieme a due cittadini sovietici per tentato spionaggio militare e altri gravi reati. I tre dovevano rispondere anche di tentata rivelazione di segreti di Stato, tentata rivelazione di notizie di cui sia stata vietata la divulgazione, associazione per delinquere e concorso in corruzione aggravata. Giorgio Stanich fu arrestato a metà febbraio dello stesso anno mentre si trovava in un bar della zona industriale di Trieste con addosso i piani del progetto Sorao, un sottoinsieme del più articolato progetto cibernetico CATRIN. Sorao era stato realizzato negli stabilimenti della Meteor di Ronchi.[4]

Il caso Cervia

 

Davide Cervia nasce a Sanremo nel 1959, dove risiede con la famiglia fino al 1978, quando decide di arruolarsi come volontario in Marina, anche se poi rinuncia a rimanere in servizio fino al termine della ferma di sei anni.

Accade. Infatti, che nel 1982 conosce Marisa Gentile, che sposa, e decide di congedarsi con un anno di anticipo sulla scadenza naturale. Nel 1988 si trasferisce a Velletri, dove lavora nella società Enertecnel Sud, una S.r.l. specializzata in componentistica elettronica, a poche decine di chilometri da casa sua.

Il 12 settembre 1990 l’inizio del mistero: la moglie aspetta invano il suo ritorno a casa, un suo collega sollecitato al telefono le dice che ha visto Davide uscire dall’azienda, che sta tornando a casa, ma le ore scorrono e quando è chiaro che è successo qualcosa Marisa chiama la polizia. Passano i giorni ma nessuno sembra sapere nulla: la pista battuta dagli investigatori è quella dell’allontanamento volontario, magari una fuga d’amore, anche se l’ipotesi è da subito esclusa da chi conosce Davide, ma non ci sono elementi che possono far pensare diversamente, e in fondo non si sa mai. Qualche giorno dopo, tutto cambia: spinto probabilmente dall’angoscia della scena vista e dal fatto che continuano a non esserci notizie, il vicino di casa della coppia, tal Mario Cavagnero esce allo scoperto dichiarando agli inquirenti quello che ha visto quel 12 settembre, e da qui forse inizia la vera storia sul rapimento Cervia. Secondo l’anziano agricoltore verso le ore 17,00: “Ho visto un gruppo di persone che spingevano Davide con la forza verso l’interno di una macchina color verde scuro. Ho visto anche che lo hanno picchiato e subito dopo gli hanno messo un fazzoletto sulla bocca, come per narcotizzarlo. Davide urlava tanto, faceva resistenza, tentava di difendersi. Poi, forse perchè mi aveva visto o forse perché sperava che fossi nel giardino, mi ha chiamato urlando tre volte il mio nome“.[5]   

Marisa Gentile casualmente è messa sulla pista giusta da un ex collega di Davide ancora in servizio. Quando Marisa lo informa di tutto l’accaduto, il militare non ha dubbi nel mettere in relazione la specializzazione conseguita da Davide con la sua sparizione, cosa che ovviamente gli inquirenti neanche hanno pensato di approfondire.

Poco dopo un ispettore della Digos incontra Marisa. E’ insistente, ambiguo, come se sapesse qualcosa che non può rivelare: vuole il nome di un ex collega di Davide che prestava servizio a La Spezia ma che e’ di Napoli. Una descrizione precisa che permette a Marisa di capire subito a chi si riferisce l’ispettore della Digos. Si tratta proprio della persona che ha fornito alla famiglia indicazioni sul passato in Marina di Davide, in seguito rivelatesi di estrema utilità. “In quel momento” – ricorda Marisa – “ebbi la certezza che le mie conversazioni telefoniche erano regolarmente ascoltate, perchè con quella persona ho parlato soltanto al telefono“. In seguito si presenterà a casa di questo ex collega di Davide, un tizio con la scusa di un censimento sulle Fiat Uno (sic): in realtà è un uomo con incarichi non precisati in Polizia. Se il suo scopo è di intimorire il marinaio, la missione può considerarsi un successo. Da quel momento, infatti, l’ex collega di Davide chiederà a Marisa di non contare piu’ su di lui.

Altro fatto strano: al convento dei Cappuccini di Velletri arriva una lettera anonima da Grottaglie, in provincia di Taranto. Chi scrive dice di essere la moglie di un ex sottufficiale di Marina, “agganciato” da strani e misteriosi individui che gli chiedono di fare il lavoro che sa, se vuole evitare guai. Il fatto che questa missiva non sia firmata è giustificato dalla paura di essere individuati e di esporsi quindi a rischi troppo elevati. La speranza dell’anonima scrivente è che l’inchiesta vada avanti e che “i magistrati indaghino meglio nei servizi segreti” per venire a capo della verità.   E’ ormai palese che non si tratti di una banale sparizione volontaria o incidentale: c’è sotto qualcosa di molto strano, forse molto importante.

Il 12 settembre 1994 il Comitato per la verità su Davide Cervia ha occupato per dodici ore l’ufficio del capo-gabinetto del Ministero della Difesa, alla presenza di numerose telecamere e giornalisti di varie testate.

Lo Stato Maggiore della Marina, incalzato a fornire le vere mansioni di Davide per l’esercito, fornirà ai familiari ben quattro fogli matricolari diversi, prima di arrivare a quello reale, in cui viene ammessa la qualifica di “specialista Ete/GE” (tecnico elettronico/guerra elettronica).”

Ora sembra chiaro che la cosa che maggiormente legittima la sparizione di Davide Cervia sia il suo passato, in particolare quello che trascorse come militare, in cui non si limitò a svolgere mansioni comuni, ma divenne un tecnico specializzato; a tal proposito L., un altro collega di Davide Cervia (ai tempi della Marina), riferisce: “Il nostro corso in Marina militare era inizialmente di 900 persone. Quando si fa il corso base non sai neppure che esistono le guerre elettroniche. Gli Elt, i tecnici elettronici, erano 120. Dopo i primi tre mesi di corso siamo diventati 90. Dopo un anno siamo diminuiti a 50 persone. Alla fine del secondo anno abbiamo portato a termine il corso in 22, di cui solo 6 sistemisti. Noi eravamo fieri di un radar ideato dalle industrie belliche italiane, un radar tridimensionale. Quello che non capivamo proprio, che anzi ci faceva arrabbiare, era averlo venduto a 109 paesi. Noi sistemisti siamo stati invitati a compiere “gite turistiche” con le navi, che avevano lo scopo di magnificare e vendere i nostri armamenti ai paesi stranieri. Non immaginavamo per niente il giro di soldi che era dietro al traffico d’armi. La palazzina dove studiavamo aveva le porte blindate. Eravamo tenuti sotto controllo dai Servizi. Scoprivi così che il tuo amabile interlocutore del treno era un uomo della “sicurezza” che ti controllava. All’inizio del corso si fa un giuramento di particolare riservatezza, di livello Nato. Ti permette di accedere a tutti gli uffici che hanno una classe di segretezza affine alla tua. Per un Paese straniero e’ quasi impossibile formare dei propri tecnici, perchè ci sono delle nozioni-chiave di base per cui neanche un ingegnere elettronico riesce a leggere i manuali delle singole apparecchiature che leggiamo noi. Ma non e’ un problema d’intelligenza. Ci sono delle chiavi precise per capirle. Io ho conosciuto Davide Cervia alla scuola sottufficiali di Taranto nel 1979. Lui era entrato sei mesi prima di me. Era capo-corso, il primo degli allievi“.[6]

   Dunque si parla di traffici componenti per la guerra elettronica, attuati attraverso la Marina militare italiana.

Intanto poco dopo il sequestro scoppiò la guerra del Golfo, cosa che a molti hanno collegato con la sua scomparsa, vista la sua competenza, ma che non ha mai avuto conferme particolari, anche se Davide: “è un ETE/Ge, ovvero un esperto in guerre elettroniche, in grado di individuare un obiettivo tramite radar, satellite o un’apparecchiatura radio che gli comunichi, cambiando continuamente frequenza, eventuali segnali. E’ uno che al computer per mezzo dell’ interrogazione FF sa se l’obiettivo è amico o no e, nel caso, trasmettere le informazioni al reparto missilistico mentre disturba i canali di comunicazione e segnalazione del nemico“.

Ma dopo circa 10 giorni l’ONU intimò a Saddam di ritirarsi dal Kuwait, nella prima Guerra del Golfo, autorizzando le forze internazionale a usare le armi per sloggiarlo. A queste forze si unirono quelle dei vari stati europei (fra cui l’Italia) e arabi.

Nella realtà quella che fu chiamata guerra del Golfo, che fu spacciata come una guerra di liberazione contro un tiranno e per la democrazia, nasceva dal fatto che dal 1991 di fronte alla crisi generale del capitalismo in atto, approfittando del crollo del revisionismo nei paesi dell’Est dove ancora sussistevano alcune precedenti conquiste della fase della costruzione del socialismo cessata nel 1956 e di fronte alle prime avvisaglie della Rivoluzione Proletaria Mondiale (Perù, Filippine ecc.), l’imperialismo scatena un’offensiva controrivoluzionaria generale che pretende di scongiurare la rivoluzione come tendenza generale, storica, e politica. Dalla prima guerra del Golfo del 1991 gli USA si ergono a unica superpotenza generale.

E, in effetti, la guerra del Golfo del 1991 è stata uno spartiacque, ha tolto ogni illusione su un possibile sviluppo pacifico dell’imperialismo all’interno del ciclo di accumulazione apertosi con il secondo dopoguerra.

In sostanza si è aperta una fase di scontro tra proletariato e borghesia, tra imperialismo e popoli oppressi e tra Stati imperialisti, nonché al reciproco intrecciarsi e influenzarsi di questi tre fatti.

In sostanza a differenza dei teorici della “fine della storia” e della “fine della lotta di classe”, se si guarda le modificazioni che quotidianamente operato in tal senso, si ha:

  • L’accentuarsi delle politiche apertamente antiproletarie. Certo queste sono una costante da parte della borghesia, ma dalla metà degli anni ’70, la politica antiproletaria è divenuta una costante per cosi dire intrinseca al ciclo di accumulazione capitalistica. Le manovre economiche antiproletarie nelle metropoli imperialiste nelle loro articolazioni sono finalizzate a colpire in primo luogo la classe operaia e gli altri settori di proletari non di fabbrica, agendo principalmente sul recupero di ulteriore plusvalore e sul far fronte   alla concorrenza interimperialistica con una maggiore produttività. Mentre le manovre economiche nei paesi dominati e controllati sono innanzitutto imposizioni del Fondo Monetario Internazionale e dei paesi imperialisti dominanti. Esse sono anche loro uno strumento che serve ad appropriarsi di plusvalore, da girare nelle mani della finanza internazionale, ma vanno anche a colpire quote di rendita e spesso e volentieri sono pure strumenti di penetrazione dei capitali imperialisti in forma più accentuata in tali paesi.
  • Accelerazione dei processi di rafforzamento istituzionale. Queste tendenze sono l’espressione a livello giuridico-istituzionale del tentativo borghese di predisporre un apparato statale adeguato alle maggiori difficoltà che possono manifestarsi e di contenere all’interno dell’ideologia borghese i rapporti sociali che vanno sempre più decomponendosi. Nelle metropoli imperialiste i processi di rafforzamento istituzionale mirano a rafforzare gli esecutivi, svuotando le funzioni delle varie assemblee legislative (dal parlamento ai consigli comunali). In questo quadro viaggia tutta una serie di misure legislative e di accordi tra le “parti sociali” (padronato-sindacati) miranti a restringere le libertà di organizzazione e azione del proletariato. Nei paesi dominati e controllati le forme istituzionali sono in stretta connessione con il tipo di rapporto esistente con le metropoli imperialiste.

–        Accentuazione della tendenza alla guerra con lo sviluppo dell’industria bellica (un chiaro esempio è l’avvio del processo di riarmo della Germania e del Giappone).
Tornando al caso Cervia, solo cinque anni dopo, nel 1995, grazie alle ricerche e richieste del capitano di fregata Demarcus, la moglie che aveva tentato di avere informazioni esaurienti saprà il vero ruolo di Davide in Marina. Si comincia così a mettere insieme i pezzi del mosaico lasciato volutamente in disordine dalla stessa Marina. Molto tempo dopo, nel 1996 un sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Penale di Roma, il Dott. Angelo Palladino, chiederà ed otterrà il rinvio a giudizio dell’Ammiraglio Giorgio Sprovieri per “…aver omesso, per cinque volte, di scrivere il vero grado di professionalità conseguito da Davide Cervia e le sue specializzazioni“. Purtroppo nessuna traccia d’indagine intrapresa a favore del ritrovamento di Davide, che ormai sembra essere stato inghiottito dal buio.

   In quel periodo Marisa avvisa i Carabinieri di Velletri che all’epoca della sparizione c’era la presenza in zona di uomini con il tesserino del Ministero dell’Agricoltura e Foreste, che giravano e si ritrovano nei pressi della sua villetta.   Negli stessi giorni ci sono stati strani movimenti in una casa identificata come l’abitazione della madre di Antonio Galati, frequentata spesso a detta dei vicini, da Galati stesso, ma anche da Michele Finocchi e Maurizio Broccoletti, come a dire il Gotha del SISDE (quello che era il servizio segreto civile). I carabinieri le rispondono che sono informati di questi individui tesserati, che le loro erano auto in dotazione a una società che si era occupato per una decina dì giorni di fare un censimento dei vigneti della zona, mostrando tanto di autorizzazione scritta da un’azienda, la Ecoplanning Sri di Roma, e che gli stessi CC hanno l’elenco esatto delle auto utilizzate. Il problema che si erano concentrati un po’ troppo vicino casa Cervia. A nulla valse a Marisa far sentire le proprie ragioni: si sentiva circondata, osservata ed era chiaro il motivo. Le indagini della famiglia continuano: la donna provò ad esortare, attraverso Rutelli, il Ministero dell’Interno, che rispose per conto di Nicola Mancino, il quale, a sua volta, aveva conferito con l’allora capo del Sisde e del Sismi, Vincenzo Parisi, …trasmettendogli notizie; due fogli striminziti nei quali Davide Cervia veniva presentato come uno che, nella Marina Militare, non aveva avuto affatto un ruolo specialistico, era anzi un normalissimo addetto alle trasmissioni; nei quali veniva sostenuta la tesi che i presunti rapitori erano invece operai che lavoravano effettivamente per il Ministero dell’Agricoltura; nei quali (fogli) veniva ritenuto valido l’allontanamento volontario a causa di un’altra donna…”.

   Le indagini ufficiali sono ferme a quel 12 settembre 1990 e il silenzio, come una pietra tombale che avvolge tutti i segreti italiani, rischia di far dimenticare una vicenda drammatica che coinvolge i “nostri” (si fa per dire, i servizi segreti non sono dei cittadini italiani, non operano nel rispetto della Costituzione, ma come ormai ben si sanno che operano nell’interesse di questi poteri occulti) servizi segreti, lo Stato maggiore della Marina militare e i trafficanti di tecnologia militare. Il magistrato che conduce le indagini convoca per la prima volta la moglie di Davide Cervia, Marisa Gentile, dopo sei mesi esatti dalla scomparsa del tecnico. Il sostituto procuratore Romano Miola, che segue il caso, l’attende nella sua stanza ma non e’ solo. Con lui è il procuratore capo, Vito Giampietro, anzi sarà proprio lui a interrogarla. Fin da subito il contatto con la procura non è sereno. Il procuratore chiede a Marisa Gentile di rispondere alle domande con un “si'” o con un “no” e a ogni tentativo della donna di spiegare meglio varie circostanze, è bruscamente invitata ad attenersi alle richieste o, nella migliore delle ipotesi, interrotta. Il dottor Giampietro contesta ogni episodio riportato dalla moglie del tecnico scomparso. La giornalista Laura Rosati chiede di essere ricevuta dal sostituto Miola il quale, non conoscendo da subito il motivo della visita, è molto cordiale. Il cambiamento del suo atteggiamento è tanto repentino, quanto radicale, non appena è pronunciato il nome di Davide Cervia. Alzandosi di scatto, terreo in volto, ripete ossessivamente, mentre addirittura volta le spalle all’interlocutrice: “Non posso dire niente, vada via“.    Le intimidazioni colpiscono un po’ tutti quelli che tentano di scoprire cosa si muova dietro il rapimento di Cervia.

Nonostante l’importanza delle affermazioni di L., l’ex militare che aveva studiato a Taranto con Davide Cervia, gli inquirenti non danno peso alle rivelazioni sulle guerre elettroniche e sulle “gite” che i militari della Marina Militare Italiana compiono per pubblicizzare nel mondo il sistema d’arma su cui è specializzato Davide. Si scopre che L., dopo essersi congedato dalla Marina per un incidente, è avvicinato da uno sconosciuto che gli propone di tornare al suo vecchio lavoro in cambio di soldi. Non accetta. È minacciato. L’impianto elettrico della sua auto prende fuoco (com’era accaduto a Davide Cervia). Riceve una telefonata: “Hai visto? Può essere la macchina, può essere qualsiasi cosa”. L. racconta agli inquirenti di conoscere la situazione di altri tecnici specializzati in guerra elettronica minacciati da sconosciuti, ma il titolare dell’inchiesta non gli chiede nemmeno di chi si tratta. Riceve altri avvenimenti nell’ottobre 1990, poco dopo il rapimento di Cervia. L. vive ancora oggi nascosto. Nessuno lo protegge. Gli inquirenti prestano invece ascolto ad un certo Giuseppe Carbone, di Taranto, che sostiene di avere gli elementi che confermerebbero l’allontanamento volontario. Spunta fuori il 22 gennaio 1991.    Carbone è la persona giusta al momento giusto. Con la sua versione tutto torna per chi crede alla tesi dell’allontanamento volontario. Nessun intrigo internazionale, nessun rapimento. Ci sono molti dati di fatto che hanno permesso di appurare come Giuseppe carbone non abbia mai conosciuto Davide Cervia. Eppure non basteranno affinchè gli inquirenti si accorgano della non attendibilità di Carbone. Nessun procedimento per falsa testimonianza pende sul suo capo. Rimane il mistero su chi gli abbia fornito tutte le informazioni su Davide, ma soprattutto come fa a conoscere così bene gli ufficiali che lavorano al Ministero della Difesa che sono a settecento kilometri da casa sua. Carbone ha una fedina penale consistente: appropriazione indebita emissione di assegni a vuoto (un reato commesso due volte), reati (guarda caso) due volte amnistiati ma che non dovrebbero sfuggire al vaglio di chi indaga su Cervia.[7]

Quando alla moglie di Davide arrivano le minacce di morte che investono tutta la sua famiglia, decide, per alcuni giorni, di non mandare i suoi figli a scuola. Due carabinieri vanno più volte a scuola per verificare la possibilità di denunciare Marisa Cervia per mancati obblighi scolastici. La procedura è anomala perché spetta ai capi di Istituto segnalare eventuali inadempienze agli obblighi scolatici dei genitori.

Alla trasmissione televisiva I fatti vostri Marisa Cervia ha raccontato di aver ricevuto l’offerta di un miliardo di lire per non cercare più Davide.

Il mistero dura tuttora.

 

Il caso Landi

 

Michele Landi 36 anni, originario di Pisa, responsabile sicurezza del settore tecnologico della Libera Università romana Luiss Management, consulente informatico di diverse procure, tra cui quella di Roma e Palermo, Michele Landi aveva fatto parte del collegio di difesa di Alessandro Geri, il giovane dei centri sociali, ritenuto – prima di essere scagionato – “il telefonista” dell’omicidio D’Antona: l’ennesimo granchio preso dagli inquirenti della capitale.[8]

Era stato analizzando il computer su cui Geri lavorava che Landi aveva dimostrato l’alibi del giovane al momento del delitto D’Antona.[9]

Secondo alcuni testimoni, Landi si stava occupando – anche se in maniera ancora informale – anche del delitto Biagi: aveva rilasciato diverse interviste in cui ipotizzava la possibilità di risalire all’identità di chi aveva inviato la rivendicazione telematica delle BR.

Michele Landi, inoltre, si era dedicato alla formazione degli uomini del Gat (il gruppo anticrimine tecnologico della Guardia di Finanza) comandati da Umberto Rapetto,[10] e tra l’altro aveva collaborato alle indagini su Ustica.

Durante le indagini sul presunto suicidio, sulle prime gli investigatori erano stati colpiti da alcune stranezze. La mancanza di un biglietto di addio, in primo luogo. Ma anche l’utilizzo, per impiccarsi, di una corda lunga 30 metri, annodata per un solo metro e mezzo ad una scala a chiocciola interna al suo appartamento. Il cadavere è stato trovato con le ginocchia poggiate sulla spalliera di un divano.

Stando all’autopsia, però, non sarebbero state trovate sul corpo di Landi segni di violenza, a dimostrazione che nessuno lo avrebbe “impiccato” o costretto a farlo. I risultati delle indagini tossicologiche – per sapere se il perito informatico è stato narcotizzato – si avranno solo tra alcune settimane.

Sugli abiti di Landi è stato però trovato un capello castano (non suo) lungo 20 centimetri e cinque filamenti di corda di colore chiaro, mentre la fune usata per l’impiccagione era di colore rosso e blu.

   Aldi là della manifesta incredulità della sua fidanzata, dei suoi famigliari e dei suoi amici (“era una persona vitale, non aveva mai manifestato idee di suicidio”), destano sospetti gli ultimi movimenti di Landi.

Il “suicidio” sarebbe avvenuto nella serata di giovedì 4 aprile. Poco prima, quindi che alle 22.30 il cadavere fosse scoperto dai vigili del fuoco chiamati dalla sua fidanzata e certamente dopo le 19.30, ora in cui Landi aveva telefonato a un collega, fissando un appuntamento per il giorno dopo. Alle 4.30 dello stesso 4 aprile aveva spedito un e-mail a un amico, chiedendo un consiglio di lavoro.

Un magistrato molto noto, Lorenzo Matassa, per 10 anni pubblico ministero a Palermo, da un anno e mezzo in attività a Firenze, che con Landi aveva lavorato a diversi casi giudiziari, di lui ha detto: “Landi? L’hanno suicidato i servizi segreti, come storicamente in Italia sanno fare”.   “Chi si vuole suicidare – ha detto ancora Matassa all’ANSAnon ha gioia di vivere e invece, per come lo conosco io, Landi era una persona piena di vita, piena di iniziative. L’ho sentito appena 15 giorni fa, ero a Roma gli ho telefonato per salutarlo: stava benissimo, non era per nulla turbato, mi ha proposto subito di andare da lui a Guidonia a fare volo a vela, lo sport che amava di più”.

Chi si vuole suicidare – ha detto ancora Matassa all’ANSAnon ha gioia di vivere e invece, per come lo conosco io, Landi era una persona piena di vita, piena di iniziative. L’ho sentito appena 15 giorni fa, ero a Roma gli ho telefonato per salutarlo: stava benissimo, non era per nulla turbato, mi ha proposto subito di andare da lui a Guidonia a fare volo a vela, lo sport che amava di più”.

Ha aggiunto il magistrato “per me Landi è stato un valido collaboratore ma anche un amico, e non ho paura di affermare apertamente la mia convinzione: in Italia, il paese delle stragi impunite, il paese delle stragi di Stato, l’esperto di computer che stava lavorando, senza incarico ufficiale alla rivendicazione via Internet dell’omicidio di Marco Biagi, non si è tolto la vita, ma è stato suicidato dai servizi segreti”.

 

Cosa ci faceva Landi a Trieste alla fine degli anni 80?

 

Michele Landi sarebbe stato a Trieste alla fine degli anni ’80 sembra per motivi di amicizia, ma non è escluso che fosse venuto per motivi di un lavoro che doveva fare assieme a un capitano della Guardia di finanza. Proprio in quegli anni, come si è visto, stava lavorando con il sistema CATRIN.

Come si diceva prima un tecnico triestino, Giorgio Stanich, era stato smascherato dal SISMI mentre stava per passare ai russi informazioni sul CATRIN.

Stanich fu condannato a nove anni di reclusione, la stessa pena che i giudici triestini emisero in contumacia, nei confronti di quelli che avrebbero i destinatari delle carte segrete: gli ufficiali del KGB Vitali Alexandrovic Popov e Kirikkovic Smetankin.

Come si vede in queste storie ci sono di mezzo i servizi segreti, la gente scompare o muore come l’ingegnere triestino Tommaso Franca, esperto in termodinamica alla Diesel Ricerche dell’ex Grandi motori di Trieste, che si trovava in vacanza nell’Isola greca di Skopelos, assieme alla moglie Anna, ospite di amici greci, quando scomparve misteriosamente il 09/08/1999. Era uscito, dopo aver pranzato, per fare una passeggiata nel bosco vicino, ma non fece mai ritorno. Le ricerche, partite immediatamente, non diedero alcun risultato: la sua auto fu ritrovata chiusa, parcheggiata vicino al luogo dove era andato a passeggiare l’ingegnere che sembrò scomparso nel nulla assieme a tutto quello che aveva addosso.

Il 3 settembre successivo una telefonata anonima alla sede della Diesel ricerche rivendicò il rapimento dell’ingegnere come messo in atto dal gruppo armato greco “17 novembre”.

L’anno dopo, il 25 aprile 2000 giunse un’altra telefonata anonima, stavolta all’aeroporto di Brindisi, nella quale il telefonista (che parlava in perfetto italiano) rivendicava nuovamente in nome del gruppo “17 novembre” il rapimento di Franca, chiedendo in cambio la liberazione di un giovane anarchico detenuto ad Atene. Ma questa telefonata rivendicava anche il posizionamento di un ordigno davanti alla sede dello stabilimento Sepadiver (una ditta che produce articoli per l’attività subacquea) nella zona industriale delle Noghere, nel comune di Muggia. L’ordigno era atto a esplodere ma fu fortunatamente trovato e disinnescato in tempo.[11]

Le autorità non ritennero attendibili queste telefonate e le indagini non diedero alcun risultato; quando la moglie chiese che fossero riaperte le indagini, il dirigente della Digos, il dottor Crocci, dichiarò alla stampa che al tempo si era indagato sulle telefonate anonime e sulla possibile “pista greca”, senza però che spuntassero elementi utili alle indagini.

Nel luglio del 2006 fu ritrovato sull’isola di Skopelos un corpo che fu attribuito a quello di Franca: naturalmente ci si chiese come mai, se la scomparsa risaliva a sette anni prima, i resti non erano stati trovati all’epoca. La stampa non comunicò altre notizie, per cui non si sa quale fu l’esito dell’esame del DNA che era stato annunciato.[12]

La moglie dell’Ing. Franca ha raccontato che suo marito progettava anche motori per carri armati.

Landi come si diceva prima aveva un rapporto di collaborazione con la Guardia di finanza, rapporto che molto probabilmente era il motivo per il quale era andato a Trieste. E in questa città tra i finanzieri si sono registrate tante morti strane.

Il 13 luglio 1994 il generale Sergio Cicogna, comandante la della Guardia di Finanza del Friuli Venezia Giulia, si suicida lungo la strada Napoleonica. Si dirà in seguito che era “psicologicamente debole”.

Il 29 gennaio 1996 Francesco Maccaroni, vicebrigadiere della Guardia di Finanza, si “toglie la vita” intorno alle 9 del mattino in un gabinetto secondo piano della caserma della Polizia tributaria di Via Giulia a Trieste, “sparandosi” alla tempia con l’arma d’ordinanza. Maccaroni, 38 anni, sposato, con tre figli ancora piccoli, era in servizio al Gico (Gruppo interprovinciale per la lotta alla criminalità organizzata). Si dirà che la moglie “avesse gravi problemi psichiatrici”,[13] ma il finanziere non lasciò alcun messaggio d’addio.

Il 13 marzo 2001, Massimiliano Molino, 31 anni, e la moglie (di origine ucraina) Svitlana Vassylenko, 24 anni, sono trovati morti nel loro appartamento di Via Marco Polo, nel rione di San Giacomo. Molino lavorava da due mesi nella caserma di Via Giulia, nel servizio informativo anticontrabbando. La causa della morte dei due coniugi fu attribuita ad asfissia causata dall’ossido di carbonio: però il particolare “strano” è che nell’abitazione non c’erano stufe o caldaie, nulla che potesse emettere ossido di carbonio. “è la prima volta che mi trovo di fronte a una simile situazione” aveva dichiarato un ufficiale dei pompieri che era entrato nell’appartamento.[14] Inoltre i vigili del fuoco avevano trovato chiuso il rubinetto del gas dell cucina.[15]

Obiettivamente, è strano il fatto che quando si scoprì la morte della copia, la Guardia di Finanza, contrariamente a quanto a quanto accaduto in simili disgrazie, bloccò con i suoi reparti speciali (i baschi verdi) tutta la zona, la direzione delle indagini fu assunta direttamente dal generale comandante, cosa che effettivamente non era mai accaduta nella storia del corpo per episodi simili sia pur drammatici e dolorosi. Qualcuno sulla stampa avanzò il sospetto che quell’appartamento (peraltro molto piccolo e poco idoneo all’abitazione di una giovane copia),[16] fosse, in effetti, un centro di ascolto occulto del Corpo per il controllo dei traffici con l’Est Europeo, ma naturalmente su questo non vi è alcuna certezza.

In un articolo su un altro quotidiano triestino si parla poi di “una pozza di sangue nell’appartamento”, sangue che “apparterrebbe a un gatto che è stato trovato anch’esso morto a causa delle esalazioni delle esalazioni di monossido di carbonio” ma “un gatto che muore intossicato non ha alcun tipo di emorragia, né interna né esterna. Perché allora quel sangue?”, si chiede il cronista. Inoltre alcuni peli tenuti fermi dal sangue coagulato dimostrerebbero che “l’emorragia è stata simultanea alla morte della bestiola”.[17]

In seguito i giornali parlarono di “uno strano foro praticato sul pavimento dell’abitazione (…) sotto la loro stanza da letto era situato non il locale caldaia, ma un ripostiglio in cui correvano i tubi che collegavano la caldaia al camino. Passando attraverso questo foro l’ossido di carbonio che aveva già invaso il ripostiglio ha saturato il piccolo appartamento e li ha uccisi”. Questo foro, come risulta dal processo che si è svolto nel febbraio 2006 (quando furono imputati di omicidio colposo l’amministratore dello stabile ed i titolari dell’impresa incaricata di gestire l’impianto di riscaldamento centralizzato dello stabile), sarebbe stato praticato “da qualche tecnico per saggiare la consistenza del solaio” (dichiarazioni del professor Salvatore Tomasi, docente universitario e consulente della Procura). In seguito, sempre secondo la ricostruzione del perito, il foro non fu tappato, e a un certo punto una tavella che era precipitata all’interno del camino dell’appartamento dei coniugi Molino, riducendo “del 50 per cento la sezione della canna fumaria” ed impedendo così il tiraggio. Il processo si è concluso con la condanna degli imputati: “secondo l’inchiesta della procura, poteva essere evitato con una più accurata manutenzione della canna fumaria e non sottovalutando i malesseri che nei giorni precedenti che nei giorni precedenti avevano colpito altri abitanti dello stabile. Erano precisi della presenza dell’ossido di carbonio, ma nessuno li aveva colti”.[18]

Il 13 giugno 2001, il capitano Alessandro Vitone, 30 anni, comandante a Trieste del Drappello I del Gico, si sfracella contro il guard-rail   dell’autostrada presso lo svincolo Redipuglia. Nessun testimone, ma lo schianto era stato tanto forte da essere udito dal personale di servizio al casello, che trovò l’auto ridotta un ad un ammasso di lamiera dal quale il corpo dello sfortunato era stato estratto a fatica.

Vitone era a Trieste da cinque anni; dopo avere prestato servizio in porto per due anni, era passato al Goa (Gruppo operativo antidroga)); da un anno dirigeva il Drappello I ed al momento della morte, leggiamo sul Piccolo che egli “controllava la rete di informatori che stavano permettendo lo smantellamento di un’ampia opera di riciclaggio di denaro mafioso tra la nostra città ed il Friuli”.[19] Anche su questa morte i dubbi sulla dinamica reale dei fatti (e sul possibile movente) furono molti, e si parlò sulla stampa di possibili collegamenti tra la strana morte e l’attività operativa dell’ufficiale, ma nessuna certezza fu mai acclarata.

Il 23/10/2001 Massimiliano Tartaglia, 34 anni, appuntato della Guardia di Finanza in servizio anticontrabbando, viene trovato morto, in una pozza di sangue, ucciso da due proiettili, con in mano l’arma di ordinanza, in un ufficio di una costruzione del Molo Settimo.

I rilievi evidenziarono che il primo proiettile era stato esploso da sotto il mento, era passato dal basso verso l’alto e finì conficcato nel soffitto, il secondo proiettile era entrato nella tempia destra e poi era finito contro una parete. Qui il cronista sollevò un dubbio interessante:[20] poiché l’arma usata era una semiautomatica, che bisogna ricaricare prima di sparare di nuovo, come può una persona, che era già gravemente ferita al primo colpo, anche se non mortale, ricaricare l’arma per suicidarsi con un secondo colpo?

 

Una storia di spioni, trafficanti e mercenari

 

Abbiamo visto che ciò che accomuna la storia di Davide Cervia e Michele Landi, oltre al lavoro con il CATRIN è che in entrambe s’incontrano (pur con modalità diverse) servizi segreti, trafficanti di armamenti elettronici e quant’altro.

Entrambi hanno cominciato a operare negli anni ’80. Proprio nel periodo, in cui si potrebbe ipotizzare che ci sia stata una sorte di staffetta fra due generazioni di trafficanti. In sostanza, potrebbe essersi dei legami di continuità tra la rete che a livello a livello internazionale era gestita dalla P2 (coinvolta nell’omicidio Palme), che tra l’altro gestiva le navi dei veleni e i traffici di armi e quella che in seguito fu chiamata in codice Diavolo Rosso, con i suoi mercenari usati dalla NATO per destabilizzare o controllare intere aree. I servizi segreti italiani, in questo contesto appaiono non solo come delle semplici pedine nello scacchiere, ma essenzialmente come dei trafficoni.[21] Diavolo Rosso potrebbe essere un’operazione nata esclusivamente inizialmente per l’Est Europa (in particolare per la Repubblica Federale Jugoslava), però nulla esclude che i suoi ideatori e i suoi gruppi di mercenari, siano stati utilizzati in altri tipi di operazioni. Quest’operazione Diavolo Rosso non sarebbe stata circoscritta al solo traffico di armi o al supporto a guerre locali, ma in ballo ci sarebbe anche il traffico di organi.

 

Una breve disgressione sull’uso massiccio di mercenari

 

A prima vista (e superficialmente dal mio punto di vista) ci sarebbe da chiedersi che razza di Stato è che appalta ad aziende private la propria rete di sicurezza? Che appalta la massima espressione della potenza, cioè la sua forza armata?

Un tempo gli Stati avevano (e c’è l’hanno ancora adesso) i loro arsenali nazionali, uno Stato Maggiore militare cui partecipavano direttamente gli esponenti della classe dominante formata al militarismo nazionalista in accademie, una struttura piramidale rigida al cui comando era consegnato l’esercito. Oggi che l’esternalizzazione a livello globale, si espande dalle fabbriche e dal settore dei servizi produttivi di merci ai settori caratteristici del dominio di classe. Questa tendenza all’esternalizzazione è un esempio lampante di quanto il capitalismo contemporaneo nel suo funzionamento spontaneo che deve tradurre tutto in merci, comprese la sicurezza e la guerra, ha raggiunto un alto livello di irrazionalità. Non solo strutture private sovraintendono alla fabbricazione di carceri, alla strumentazione elettronica per uffici e strutture, alle armi di ogni genere ecc. ma il servizio che erogano diventa esso stesso merce, riflettendo, appunto come la merce soddisfi un bisogno umano, perché il bisogno odierno (che venga dalla pancia o dalla fantasia, per dirla con Marx) è strettamente connesso al consumo compulsivo, se dell’individuo o della società non ha importanza. La fine della cosiddetta Guerra Fredda ha contribuito al disfacimento del vecchio apparato militare basato sul soldato di leva. Si calcola che ciò abbia comportato l’immissione sul mercato del lavoro di diversi milioni di disoccupati. Fra essi gli ufficiali e gli specialisti a vario titolo, essi sono dei buoni strumenti per trasmettere capitali verso nuove direzioni. I mercenari sono sempre esistiti, ma ora hanno incominciato a essere quotati a Wall Street con le loro aziende (Private Military Companies, PMC) specializzate in operazioni di guerra, spesso per conto degli eserciti ufficiali che delegano il lavoro sporco ai privati per non sollevare problemi politici.

In Iraq, il rapporto tra militari e contractors (modo pulito per dire mercenari) era giunto al massimo nel 2007: 130.000 militari contro 160.000 mercenari. In totale si sono avvicendati un milione e mezzo di soldati, ma non sa quanti mercenari. Quando in previsione il governo USA ordinò di accentuare l’impegno in Afghanistan in vista del “ritiro” entro la fine del 2011 dall’Iraq (dove comunque sono rimaste le basi), erano rimasti 68.000 soldati regolari e 104.000 mercenari al soldo di aziende paramilitari private. L’arrivo in Afghanistan di 33.000 soldati regolari aggiuntivi ha comportato un più che proporzionale aumento di mercenari, 56.000 dagli USA e il resto reclutato in parte all’estero e in parte sul posto, tanto più lo stesso presidente fantoccio afghano ha più volte protestato per la vampiresca presenza di questa massa di parassiti (compre le ONG, le quali, pur denunciando in qualche raro caso la situazione, in massima parte non fanno autoriprodurre sé stesse partecipando oggettivamente al bottino) e per il massacro continuo di civili.

A queste cifre si possono aggiungere le migliaia di mercenari assunti direttamente dalle aziende private (non PMC) per compiti di sicurezza. Sommando gli appalti pubblici e il reclutamento privato si ottiene una committenza di massa che crea una sorta di “idolo” locale di dimensioni notevoli rispetto all’economia dei paesi occupati, per cui l’insediamento di un corpo militare diventa analogo a quello di una qualsiasi industria. Non è esatto dire che gli USA hanno privatizzato la guerra l’hanno assegnata in appalto: la guerra rimane un affare di Stato. Ma di uno Stato che in una fase di crisi generale del capitalismo (crisi non solo economica ma anche politica e culturale) deve assecondare completamente le esigenza del Capitale senza poter mettere becco, anche solo per imporre un po’ d’ordine, per smussare l’esagerato sciupio di risorse finanziarie.

In uno studio dell’economista Joseph Stiglitz,[22] si calcola che la guerra d’Iraq sia costata fino al qualcosa come 3.000 miliardi di dollari. Sono compresi certo i costi dei soldati di un esercito che non è più di leva, comprendenti i morti e i feriti (risarcimento alle famiglie e pensioni per i veterani); pesano moltissimo i suddetti mercenari e soprattutto le aziende da cui dipendono; non sono indifferenti la spesa e il mantenimento delle immense basi militari. Ma in fin dei conti, al là dei singoli movimenti, il costo della guerra (che è stato del 22% del PIL americano) corrisponde a una eguale quantità di capitali che altrimenti non si sarebbero incanalati in settori produttivi; e che invece in questo modo hanno trovato da sé il proprio sbocco in settori fortemente intrecciati con la committenza pubblica, in grado di garantire una valorizzazione. Un enorme trasferimento di valore all’interno della società, ma un altissimo profitto netto per le singole aziende paramilitari e per quelle degli altri servizi di guerra. Senza contare che, entro l’autonomizzazione di primo livello del Capitale (diventato anonimo e globale), accade un’autonomizzazione di secondo livello, quella che coinvolge gruppi mercenari dediti ad attività “in proprio” come il traffico internazionale di armi, di droga, e, com’è risultato in Iraq e Afghanistan, donne da prostituire. L’intreccio si universalizza e anche se la rete militare finisce per connettersi con tutte le altre, compre le mafie potenti come Stati, vere rappresentanti di quella è definita globalizzazione.

 

La Legione Brenno: un esempio di queste connessioni?

 

La Legione Brenno, è venuta alla luce nel 1998, a seguito di un sanguinoso conflitto a fuoco avvenuto nel 1995 contro agenti di polizia a Marghera che probabilmente stavano disturbando un passaggio di armi in zona portuale[23] Un poliziotto rimane paralizzato a vita. Ma il capo della Brenno, l’ex carabiniere Marino Sacchetti cittadino italo-svizzero e capo delle guardie del “principe di Seborga” nonché amico della famiglia antesignana dei Savoia, i conti di Aosta, in appello riuscirà ad avere un ulteriore abbassamento della pena sino a 19 anni.

La Legione Brenno, il cui nome si rifà al leggendario capo dei Galli e che s’ispira ai cavalieri templari, era stata fondata da alcuni ex carabinieri (come Sacchetti, impegnato per anni in una base radar dell’esercito italiano nei monti Berici interna al dispositivo NATO nella regione), sarebbe nata nei primi anni novanta per sostenere le formazioni croate dell’Hos, ossia, il Partito del Diritto erede degli Ustascia filonazisti e avrebbe inviato prima in Croazia e poi in Bosnia dei mercenari italiani per combattere i “comunisti” serbi, e contemporaneamente ha trafficato in armi e in esplosivi Brenno aveva rapporti con la malavita nazionale, soprattutto per lo spaccio di stupefacenti attuato attraverso una rete di propri uomini di fiducia ingaggiati come personale della Security in numerose discoteche del Nord.

Il capo della Brenno, Marino Sacchetti, appunto fu anche “combattente” antiserbo nella guerra dei primi anni ’90. E ciononostante, pur classificato detenuto EIV nel 2001, recandosi per l’appello a Venezia, fu assegnato a una sezione di transito del carcere di Verona, luogo non di massima sorveglianza, anziché degli istituti deputati a questo genere di assegnazioni temporanee, Belluno (dotato di braccetto speciale) e Vicenza (dotato di sezione AS).

Tra i membri della Brenno c’era il padovano Giancarlo Carpi un ex autotrasportatore. Stava a Casale di Scodosia, ed è stato condannato a quattro anni e mezzo di reclusione, alcuni dei quali si sono fatto nel carcere di Padova. Era accusato anche di porto e detenzione di armi. Lui e gli altri erano finiti sotto inchiesta per traffico di armi dopo la sparatoria a Marghera. Il gruppo com si diceva prima era specializzato in traffico di armi con i Paesi dell’ex Jugoslavia e la sera della sparatoria trasportavano in auto due pistole, una Skorpio, un Uzi, tre kalashnikov, tre granate a plastico. Alla fine uno dei membri della Brenno, Bruno Forzato, collabora anche se in modo contradditorio con il PM Francesco Saverio Pavone sperando in uno sconto di pena e testimoniò contro Carpi. Aveva rivelato che una parte di quelle armi era stata acquistata in Croazia grazie a Ante Vukic, colonello dell’esercito di Zagabria legato agli Ustascia.[24]

L’ambiente naturale di Carpi era (ovviamente) l’estrema destra, ma aveva contatti la Mafia del Brenta, la banda che fu di Felice Maniero. Succede quando va dentro e fuori dal carcere. Sono contatti che rimangono. Si vede quando 2015, il nome di Carpi torna alla luce della ribalta, quando al centro di un’inchiesta della procura di Napoli per traffico di armi e addestramento di mercenari con base alle Seychelles.[25] Con lui coinvolto nell’inchiesta Aldo Pavan, un imprenditore di San Donà con recedenti per traffico di droga: incastrato al rientro da Bangkok da uno sconosciuto (così si difese al tempo) che gli aveva rifilato tra i bagagli co una borsa di 4 chili di eroina. Pavan ha anche precedenti per armi: in casa sua la squadra mobile veneziana gli trovò 12 pistole, duemila proiettili e un silenziatore. Raccontò che servivano per il tiro a segno!

Carpi racconta in uno dei suoi soggiorni nel carcere Due Palazzi di Padova, aveva ascolta tre della Mafia del Brenta che discutevano dell’assassinio di una persona. Doveva essere una vendetta per Felice Maniero, il boss che li aveva traditi, ma non erano d’accordo su chi ammazzare. Il giorno dopo Elena, la figlia di Felice Maniero fu trovata esamine, sotto la finestra del sesto piano. Ma come tutte le storie mai finite di cronaca nera, Felice Maniero, il primo che urlò all’assassinio, oggi non ci crede (o fa finta non crederci).[26]

Come si vede Carpi ha frequentato il mondo dei mercenari ed è a conoscenza dei cabali del traffico di armi, tanto che aveva chiesto ad un esponente dei Casalesi armi e appoggio logistico per l’addestramento militare di personale destinato a ingrossare le fila di miliziani nordafricani e mediorientali.

Ancora adesso, a quanto pare, nell’ex Jugoslavia, in Somalia e in Medio Oriente si ricorre tuttora per i vari traffici alla triangolazione.

E come abbiamo visto, la Legione Brenno era molto coinvolta nel traffico di armi, c’è da chiedersi se è per questo motivo che il processo ai componenti della Legione Brenno fu “curiosamente” poco seguita dalla stampa nazionale. E, in effetti, l’iter giudiziario fu molto benevolo: nessuna condanna per cospirazione politica mediante associazione, nessuna condanna banda armata, i reati di sangue derubricati in modulazioni minori.

Bruno Forzato quando ha cominciato ha collaborare, in un secondo momento sembra assurgere anche il ruolo di supertestimone nel caso Alpi e Hrovatin quando dichiara che in un viaggio in Somalia, un somalo gli avrebbe riferito di essere a conoscenza di alcuni ingenti carichi dei quali sarebbe stata testimone anche la giornalista italiana poi uccisa il 20 marzo 1994.

Rai 3 in un inchiesta che ricostruisce i mesi trasporti dalla Alpi in Somalia si sostiene che la sua morte e quella dell’operatore, sia avvenuto a seguito alla scoperta di un traffico di armi diretto proprio alla ex Jugoslavia (non solo rifiuti radioattivi, poiché nei paesi definiti del Terzo Mondo gli scambi avvenivano spesso con la logica: rifiuti in cambio di armi).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Che nella realtà sono state una delle forme della guerra non dichiarata da parte della Borghesia Imperialista contro le masse popolari italiane.

Tra l’altro, lo stragismo è stato usato anche nelle lotte tra le diverse frazioni borghesi che si combattevano fra loro.

 

[2] Pensiamo quanto la cosiddetta strategia della tensione sia stata funzionale alla proposta di compromesso storica da parte del gruppo dirigente del PCI, oppure la guerra di mafia dell’inizio degli anni ’90 (con i relativi attentati) e le operazioni di guerra psicologica da parte della Falange Armata, sia stata funzionale al tentativo di costruzione della cosiddetta “Seconda repubblica”, dove si è avuto a partire da questo periodo la distruzione della legislazione sociale nel nostro paese.

 

[3] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/02/19/ecco-il-war-game-made-in-italy.html

 

[4] http://www.informatrieste.eu/ts/spionaggio-a-trieste-il-caso-iret-del-1989/

 

[5] Gianluca Cicinelli, Cervia – Un caso di Stato, allegato ad Avvenimenti nel 1995.

 

[6]                                                      C.s.

 

[7] Aggiungo che personaggi così, sono facilmente ricattabili.

 

[8] O anche atto persecutorio, la criminalizzare gli ambiti antagonisti (che agiscono pubblicamente tra l’altro) è una prassi consolidata da parte degli apparati statali.

 

 

[9] Che qualcuno non si sia arrabbiato perché ha smontato le accuse contro Geri? In sostanza il far venire meno l’equazione frequentatore di centri sociali/ambiti antagonisti=terroristi?

 

[10] Lo stesso che scrisse assieme a Roberto di Nunzio, Le nuove guerre, RCS libri, 2001, dove c’è un capitolo dal titolo significativo Il cervello nel mirino (http://letturadelpensiero.altervista.org/umberto-rapetto-roberto-nunzio-rivelazioni-controllo-mentale/) .

In questo capitolo si parla in particolare di metodi di disinformazione del nemico tramite armi indirizzate alla manipolazione delle opinioni, ma si parla anche direttamente di controllo mentale con un elenco di strategie (dall’intervento nell’ambito sociale, all’indebolimento della persona tramite farmaci, assenza di sonno e cibo, ecc) finalizzate al lavaggio del cervello dell’individuo. Vengono inoltre citate alcune attività di controllo mentale dell’agenzia militare statunitense NSA tramite l’utilizzo di microspie.

 

[11] C. Ernè, Il giallo della bomba a Trieste, Piccolo, 26.04/2000.

 

[12] http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-strani_casi_di_morte_a_trieste.php

 

[13] Si spara finanziere del Gico, Piccolo, 30/01/1996.

 

[14] Niente fiamme ma tanto ossido di carbonio. Tragedia di via Polo, tre ipotesi per un incidente, Piccolo, 07/02/2006.

 

[15] Resta il mistero sulla coppia asfissiata, Piccolo, 26/10/2004.

 

[16] E sicuramente non mancavano le possibilità economiche.

 

[17] Nel giallo di via Marco Polo ora spunta un gatto trovato morto, Trieste Oggi, 24/03/2001.

Provo ad avanzare un ipotesi che potrebbe apparire azzardata. E se ci fosse una matrice esoterica? Penso al ritrovamento del cadavere del gatto. Nella cultura egizia il gatto ha sempre rappresentato una divinità in particolare, ossia Bastet, la dea raffigurata con sembianze di donna e la testa di gatto o in alcuni casi semplicemente come una gatta. Bastet era la figlia di del Dio Ra e rappresentava la dea della fertilità e della salute, legata al culto lunare. Invece, nel Medioevo il gatto era considerato un’essenza completamente diabolica, maligna, proprio perché è un’animale che si è sempre pensato sapesse vedere aldilà, al di là della realtà, un’animale che fosse immerso in un altro mondo, che riuscisse a vedere aldilà della vita, ma soprattutto aldilà della morte, quindi un’animale soprannaturale.

Il gatto esprime il simbolo di benessere, di armonia, d’indipendenza, d’osservazione e comprensione, infatti si dice essere un’animale molto empatico, che proprio per questa caratteristica è in grado di raccogliere su di sé tutti gli influssi negativi che lo circondano e neutralizzarli, un’animale di certo molto consigliato da tenere molto a stretto contatto, si dice che con il contatto fisico si può ottenere calma, serenità e pace. Inoltre è un simbolo di agilità spirituale e fisica, di sensualità, un animale ammaliatore, simbolo in primis di libertà, ma al tempo stesso di mistero, un’animale che si può definire proprio magico, il detentore delle chiavi sia della realtà sia dell’inconscio.

 

[18] Uccisi dai gas della caldaia: condannati amministratori e conduttori dell’impianto, Piccolo, 25/01/2006.

 

[19] S. Maranzana e R. Coretti, Si sfracella 007 della Finanza, Piccolo, 14/06/2001.

 

[20] S. Maranzana e R. Coretti, Finanziere trovato morto con du colpi in testa, Piccolo, 23/10/2000.

 

[21] Una caratteristica dei servizi segreti italiani sta nell’uso sistematico, dei primi, di faccendieri per portare a termine delicate operazioni che possono spaziare dell’industria (acquisizione di appalti, alleanze) al settore esclusivamente informativo/spionistico. Un simile utilizzo comporta il formarsi di una sacca contenente i germi della corruzione, collocata tra i servizi e lo Stato.

Gli altri servizi preferiscono certe questioni a gestirle direttamente, e, in effetti, gestiscono direttamente con tangenti per acquisire magari degli appalti per le industrie della loro nazione. Teniamo conto che i membri dei servizi segreti sono sempre dei funzionari dello Stato e lavorano per la loro industria nazionale, (in altre parole per la Borghesia Imperialista del proprio paese).

Tornando al discorso dei faccendieri, il loro utilizzo alla lunga si rivela controproducente poiché alla fine rischiano di essere arrestati o inquisititi e questo perché, nonostante la loro presunta “genialità” e abilità negli affari, sono implicati in troppe operazioni. Rimangono alla fine i faccendieri locali, che a differenza di quelli che lavorano a livello internazionale il loro raggio di azione è molto più limitato.

 

[22] Joseph Stiglitz (1943 –vivente), economista statunitense.

 

[23] Le indagini iniziali, dopo questo conflitto a fuoco furono a senso unico: furono arrestati alcuni nomadi che, in sede

processuale, furono pienamente assolti.

 

[24] http://mattinopadova.gelocal.it/regione/2015/11/13/news/traffico-d-armi

 

[25] http://nuovavenezia.gelocal..it/venezia/cronaca/2015/11/12/news/la-figlia

 

[26]                                                C.s.

~ di marcos61 su marzo 29, 2016.

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