FASCISMI DEL NUOVO MILLENNIO
Marx nella prefazione del testo Per la critica dell’economia politica del 1859 afferma: “Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini inevitabilmente entrano in relazioni definite, che sono indipendente dalla loro volontà in particolari relazioni produttive appropriate ad un dato stadio nello sviluppo dello forze materiali di produzione. La totalità di queste relazioni di produzione costituisce la struttura dell società, il vero fondamento, su cui sorge una sovrastruttura e sociale ed a cui corrispondono forme definite di coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona il processo generale di vita sociale, politica e intellettuale. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è al contrario, il loro essere sociale che determina la coscienza. Ad un certo stadio di sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in conflitto con le esistenti relazioni di produzione o – ciò esprime meramente la stessa cosa in termini legali – con le relazioni di proprietà nel cui tessuto esse hanno operato sin allora. Da forme di sviluppo delle forze produttive, queste relazioni diventano altrettanti impedimenti per le stesse. A quel punto inizia un’era di rivoluzione sociale. I cambiamenti nella base economica portano prima o poi dopo la trasformazione dell’intera immensa sovrastruttura”.
Quindi ci dobbiamo porre la domanda se la struttura è entrata in crisi e di quale crisi stiamo parlando.
L’attuale crisi non è solo economica ma anche politica e culturale – dunque una crisi generale che investe l’insieme della società – è cominciata nella metà degli anni Settanta, che nel 2007/2008 ha avuto una sua accentuazione.
Una crisi da cui il capitalismo non è mai realmente uscito, anzi, essa è stata affrontata creando nuovo debito e alimentando ulteriormente le gigantesche bolle finanziarie.
Contemporaneamente è proseguito l’attacco alle conquiste sociali come le pensioni e la sanità pubblica, si è definitivamente smantellata la rigidità del mercato del lavoro attraverso la precarizzazione diffusa e l’incremento dello sfruttamento operaio, mentre i salari regredivano. Ma tutti questi provvedimenti non sono stati sufficienti a dare un nuovo slancio all’economia e a rimpinguare di profitti la mostruosa massa di capitale finanziario esistente.
In un articolo pubblicato nell’ottobre 2014 su Affari e finanza (il settimanale di economia e finanza di Repubblica) del quale si desume che, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale (FMI), alla fine del 2013 le attività finanziarie sull’intero globo assommavano a 993 bilioni di dollari (993 mila miliardi) mentre il prodotto lordo mondiale (World Bank) si attestava sui 75 milioni di dollari (75 mila miliardi). In altre parole, il capitale finanziario, era 13 volte il prodotto della economia “reale” (cioè dell’insieme dei beni materiali e dei servizi prodotti sul pianeta).
Tenuto conto che la forza lavoro mondiale assomma a circa 3 miliardi e 415 milioni di persone (World Bank, 2016) le due cifre sopra riportate che ogni lavoratore del globo (da 15 anni in su):
- Produce annualmente beni c/o servizi per un valore (venduti dai produttori) circa 21.962 dollari;
- Ed è personalmente “sovrastato” da una “nuvola” di 290.776 dollari che vorrebbero trovare un impiego profittevole (per i capitalisti che ne detengono i titoli), ma che non lo trovano nelle condizioni attuali di funzionamento del modo di produzione capitalista (stante il grado di sviluppo raggiunto dalla composizione organica del capitale a livello mondiale).
Dall’articolo sopracitato si desume anche che, secondo stime della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) di quei 993 mila miliardi di dollari:
- 283 mila miliardi sono finanza primaria, ovvero azioni, obbligazioni e attivi bancari;
- Mentre 710 mila miliardi di dollari sono prodotti costituiti da prodotti derivati scambiati fuori dai mercati regolamentati, dei quali solo una piccola quota è legata a transazioni che hanno a che fare con l’economia reale. Il grosso sono scommesse: sui tassi di interesse, sulle valute, sui prezzi delle materie, sull’andamento degli azionari, sul fallimento di stati o di grandi imprese.
Nella tabella seguente, riepiloghiamo i dati citati sopra:
Economia reale capitalista e capitale finanziario. Anno 2013
Miliardi di dollari | % sul totale | |
PIL | 75.000 | 7,0 |
FINANZA PRIMARIA | 283.000 | 26,5 |
DERIVATI FINANZIARI | 710.000 | 66,5 |
TOTALE CAPITALI | 1.068.000 | 100 |
Da questi dati si deduce che l’economia reale capitalista (quella dalla quale si produce beni e servizi) è sovrastata è schiacciata da una massa enorme di capitali in cerca di una valorizzazione adeguata agli appetiti dei capitalisti.
Mentre l’economia reale produce continuamente profitti che vanno ad aggiungersi alla massa dei capitali eccedenti, le possibilità di impiego nell’economia reale stessa al grado attuale di sviluppo della composizione organica del capitale diminuiscono.
Proviamo a dare delle conclusioni politiche di questa analisi. Nel 2013 i capitalisti vantavano un capitale di circa un milione di miliardi di dollari USA. Nelle mani dei capitalisti, il denaro non è mezzo di scambio d’acquisto, ma capitale e quindi ognuno dei capitalisti, vuole che il suo capitale renda, anche se lui “non si sporca le mani” nella produzione di merci. E infatti di anno in anno la massa del capitale vantato dai capitalisti aumenta. Ormai (da quando nel 1971 Nixon abolì la convertibilità del dollaro in oro) il denaro mondiale è tutto fiduciario, i banchieri centrali creano denaro e il denaro è capitale da valorizzare.
Di fronte a questo sta una produzione annua di merci (beni e servizi) che, nonostante tutte le misure messe in atto per aumentarla moltiplicando i bisogni e riducendo la vita dei beni messi in circolazione, nel 2013 ammontava solo a 75 mila miliardi di dollari. Per quanto ogni capitalista produttore di merci sprema i suoi lavoratori (che però sono anche i clienti), i capitalisti da qui ricavano una massa di profitti che è solo una frazione dei 75 mila. Infatti in questi sono compresi anche i salari e il capitale costante (mezzi di produzione consumati e materie prime). È quindi evidente che col passare degli anni i capitalisti hanno sempre più difficoltà a valorizzare il loro capitale con i profitti che ricavano dall’economia reale (la produzione di merci). Ma, a parte i “risparmiatori” che ci rimettono le penne (le crisi bancarie e di borsa sono ricorrenti), l’oligarchia finanziaria, ha i mezzi (il denaro, la posizione politica e sociale e l’intraprendenza) per muovere mari e monti perché il suo capitale renda. Quando nella sezione terza (capitoli 13, 14 e 15) della sezione terza de Il Capitale Marx illustrò le crisi per sovraproduzione assoluta (cioè riguardante tutti i settori dell’economia) in cui il capitale sarebbe incappato, egli indicò anche alcune controtendenze che avrebbero frenato il cammino. Ne enumera ben nove. Tra esse indicò anche l’aumento del capitale azionario (grosso modo una parte di quello che viene definita finanza primaria), ma non mise però lo sviluppo illimitato del capitale finanziario (una buona parte della finanza primaria) e speculativo (principalmente i derivati finanziari). Cosa del tutto comprensibile, dato che Marx illustrava un futuro a cui la società borghese sarebbe approdata se la rivoluzione socialista non avesse posto fine ad essa. Engels nelle Considerazioni supplementari scritte nel 1895, quindi trent’anni dopo che Marx aveva scritto la sezione sulla sovraproduzione assoluta di capitale, accenna allo sviluppo del capitale speculativo che già alla fine dell’Ottocento aveva assunto un ruolo rilevante, ma di denaro mondiale fiduciario ancora neanche si parlava. Noi oggi ci troviamo in una situazione in cui il corso delle cose è determinato proprio dall’eccedenza di capitale: una massa enorme e crescente di capitale che deve valorizzarsi senza direttamente “sporcarsi le mani” nella produzione di merci. Per quanto grande sia la massa dei profitti che i capitalisti estorcono all’economia reale, essa non basta a soddisfare la fame di profitto di tutto il capitale; mentre la grandezza del capitale complessivo non fa che crescere, l’economia reale diventa una porzione sempre minore di esso. D’altra parte la valorizzazione del proprio capitale è per ogni capitalista la legge suprema, quella che determina il comportamento di tutti i capitalisti e delle loro autorità (chi non sta al gioco, viene scartato: “siamo in guerra” disse qualche anno fa Marchionne).
Ci sono due meccanismi ben distinti di valorizzazione del capitale nell’attuale fase caratterizzata dalla predominanza del capitale finanziario:
- L’abbandono delle valute dalla propria convertibilità in oro (Gold Standard prima e Gold Exchange Standard poi);
- La produzione di debito senza alcun limite, sostanzialmente a partire dal 1971.
Cosa rappresenta, tuttavia, dal punto di vista della filosofia della storia questa produzione illimitata di debiti da parte degli Stati, cioè degli enti che hanno il potere di battere moneta?
Tra la fine del XVIII e XIX secolo l’ideologia della borghesia imprenditrice era il liberismo che si sintetizzava nel celebre principio del “lassier faire” ovvero si teorizzava il fatto che l’azione egoistica del singolo cittadino, nella ricerca del proprio benessere, è sufficiente a garantire la prosperità economica dell’intera società secondo il mito creato da Adam Smith della “mano invisibile”. La ragione politica di questo concetto risiedeva nel fatto che il controllo dello Stato, era ancora saldamente nelle mani delle famiglie aristocratiche che si dividevano i vertici istituzionali. C’erano famiglie che sedevano sui troni, altre che occupavano i posti nei governi, nei parlamenti e altre ancora occupavano i vertici della burocrazia e dell’esercito. Quindi la borghesia che non era affatto amica dell’aristocrazia, cercava di arginare la loro influenza potenzialmente negativa sui grandi commerci internazionali, e sulla nascente industria moderna dell’era della macchina a vapore. Ancora alla fine del XIX secolo, nonostante la borghesia controllasse l’industria e i commerci mondiali, doveva tuttavia condividere il controllo dello Stato con l’aristocrazia, anche in Gran Bretagna tale delicato equilibrio si traduceva appunto nel Gold Standard System e nella sterlina moneta di riserva mondiale, che non aveva la facoltà di creare un debito illimitato perché ancorata al metallo giallo. Da un punto di vista di filosofia della storia, l’impero britannico era un passo intermedio tra il controllo aristocratico dello Stato e quello borghese, tale modello cessò nel 1945, dopo due sanguinose guerre mondiali. All’impero dei Winsor si sostituì quello delle antiche colonie americane, che rappresentavano, sempre alla luce della filosofia della storia, la piena presa del controllo dello Stato da parte della borghesia: la metropoli imperiale di oggi non era più retta da sovrani, duchi e conti, ma esclusivamente da borghesi. Dopo il 1990 con la dissoluzione dell’URSS, la borghesia ha potuto determinare la politica di un impero planetario senza aver sostanziali impedimenti da altre classi sociali. Questo monopolio ha anche determinato l’evoluzione del concetto di liberalismo da un estremo ad un altro; dal “lassier faire” degli economisti classici: Smith Malthus, Say, Ricardo, fino a giungere a John Stuart Mill, alla celebre frase del Segretario di Stato al Tesoro degli Stati Uniti John Connally jr rivolto al mondo finanziario che commentando la sospensione degli accordi di Bretton Wood da parte di Richard Nixon dell’agosto 1971, sentenziò: “Our currency, but your problem” (Il dollaro è la nostra valuta, ma il vostro problema)[1]. La Borghesia Imperialista americana si era talmente impadronita del controllo dello Stato, e con essa del suo fondamentale ruolo di battere moneta, da trasformare il dollaro da mezzo di scambio di merci ad arma suprema, gli USA avrebbero messo a tributo tutto il mondo occidentale costringendo le province imperiali a fornire materie prime (ad esempio il petrolio del Golfo Persico), beni tangibili (CEE, Giappone e più tardi la Cina) in cambio dei verdi biglietti di carta emessi dalla Federal Reserve.
La Borghesia Imperialista senza più contrasti sta attuando una politica che determina debiti senza limiti e senza pericoli di restituzione. La produzione illimitata di debito, il conseguente aumento della massa monetaria circolante, ed ancora la produzione di denaro dal denaro senza nessuna passaggio intermedio attraverso le merci sono ormai un fatto strutturale. Gli accordi 1971 (sospensione di Bretton Woods), 1990 (fine dell’URSS), 2008 (crisi del Subprime) e 2020 (pandemia da Covid-19) sono, le tappe della crisi della struttura che probabilmente a partire del 2020 è entrata nella sua fase terminale della sua crisi.
LA SOVRASTRUTTURA IN CRISI
Se accettiamo la tesi che la struttura è in crisi perché non dovremmo ritenere che le sovrastrutture collegate non lo siano? Quale è la sovrastruttura ideologica e politica dello Stato? Facciamo un esempio riassuntivo e non esaustivo: in politica la democrazia liberale; in economia l’ultra liberismo; per i principi ideali i diritti individuali.
Abbiamo visto che la cifra che il controllo esclusivo della borghesia sugli Stati si traduce nella produzione di debiti senza limite, che non va letta in rapporto al PIL, in quanto non vi è nessuna intenzione di restituzione: Stati Uniti 131.000 miliardi di dollari, Giappone 7.300 miliardi, Gran Bretagna 2.963 miliardi, Italia 2,742 miliardi, persino la Germania ha un debito di 92 miliardi. L’analisi dei deficit annuali dei bilanci statali, inoltre, suggerisce che non vi è nessuna strategia di rientro di tali debiti, ma non è affatto vero che nessuno li paga seppure parzialmente. La produzione di denaro fittizio (da debito) e da altro denaro porta con sé la progressiva concentrazione dello stesso in poche mani e il progressivo depauperamento della maggioranza della popolazione, ed a tale proposito citiamo uno dei tanti studi che ci confermano in questa affermazione: “Secondo il Global Wealth Report 2022 del Credit Suisse Research Institute, la ricchezza globale aggregata 2021, nonostante le correlate al Covid-19 è cresciuta del 12,7%, ma è aumentato anche il numero di individui con un patrimonio netto ultra elevato (UHNW) denunciando un aumento della diseguaglianza diminuita comunque nel lungo periodo per effetto dei mercati emergenti”. Vi sono paesi, poi come l’Italia dove la crescita della povertà non rappresenta uno stato momentaneo, ma al contrario è una condanna perpetua.
A fronte del crescere delle diseguaglianze sociali, cresce il bisogno da parte della Borghesia Imperialista un maggiore controllo sulla società e sulle istituzioni, da qui la necessità di cambiamento delle sovrastrutture.
Se prendiamo in esame un paese come l’Italia, che è dentro una fase di una infinita decadenza sotto ogni punto di vista: morale, economica, sociale e quindi politica. A scopo esemplificativo tracciamo una parabola ideale la quale dai punti di partenza contempla i partiti della II Legislatura della Repubblica (1953 – 1958) e quelli della XVIII legislatura (1918 – 2022) dall’altro capo della parabola. Nel primo caso ci troviamo di fronte ad una rappresentanza parlamentare chiara sia sotto il profilo dell’identificazione del partito, sia sotto quello dell’ideologia, sia sotto il profilo del suo programma politico. Anche a distanza di 69 anni se scorriamo le formazioni di quel parlamento è difficile avere dubbi su chi fossero, ad esempio nella composizione della Camera dei deputati: la Democrazia Cristiana con 263 deputati, il Partito Comunista Italiano, con 143, il Partito Socialista Italiano con 75, il Partito Nazionale Monarchico con 29, il Partito Socialista Democratico Italiano con 19, il Partito Liberale Italiano con 13 e infine il Partito Repubblicano Italiano con 5. Questi partiti erano immediatamente riconoscibili a determinate classi sociali; la percentuale degli astenuti fu del 6,16%. I 6 governi che si susseguirono furono tutti targati DC, monocolori oppure con l’appoggio dei partiti di centro fino al PSDI, mentre PCI e PSI rimasero sempre all’opposizione. Questo scenario era dentro un quadro di una economia in espansione a cui si abbinava una sovrastruttura di democrazia liberale. Veniamo alla composizione della Camera dei Deputati nella XVIII legislatura all’atto del suo insediamento: Movimento 5 Stelle 227 deputati, Lega 125, Partito Democratico 112, Forza Italia 104, Fratelli d’Italia 32, Liberi e Uguali 14 ed un restante 16 deputati divisi in una serie di sigle minori. La prima osservazione è che non è piu immediata la percezione della matrice politica di questi partiti: sono di destra, centro o di sinistra? Occorre quindi un passaggio supplementare di conoscenza, come un ulteriore passo è necessario se si vuole anche un’idea generica del loro programma politico. La seconda osservazione deriva dal numero di astenuti alle elezioni del 4 marzo 2018 che è stata del 27,39%, il 21% in più rispetto a quello del 1953. La terza osservazione, ed è quella decisiva per l’individuazione di un partito unico mascherato in diverse formazioni, riguarda le tre diverse maggioranze, che hanno accompagnato il Movimento 5 Stelle, sempre al governo nel primo gabinetto Conte-Lega e indipendenti, gli altri partiti all’opposizione, nel secondo gabinetto Conte esattamente l’opposto Movimento 5 Stelle e centro sinistra, con il centro destra all’opposizione, nel primo gabinetto Draghi con tutti i partiti precedenti tranne Fratelli d’Italia. Un processo, quindi, di costante chiarificazione del sistema il quale, alla sua fine ed a causa dell’endemico stato di debolezza morale, sociale ed economica, è stato costretto a venire allo scoperto. Si potrebbe obiettare che Fratelli d’Italia, unico partito che non è mai andato al governo per tre gabinetti del XVIII legislatura, sia stata l’effettiva opposizione, successivamente premiata dalla vittoria alle elezioni del 25 settembre 2022. Possiamo facilmente smentire questo dubbio andando a riassumere e sistematizzare le caratteristiche politiche che si hanno in presenza di un partito unico. La prima è l’indefinitezza della collocazione politica e della rappresentanza sociale di raggruppamento politico: il Partito Democratico è di sinistra oppure di centro? Rappresenta il mondo dei salariati oppure quello della media borghesia? Fratelli d’Italia è erede del Movimento Sociale oppure un partito conservatore? Rappresenta i professionisti ed i commercianti oppure il sottoproletariato delle aree urbane? La Lega viene votata dagli operai tassati fino all’ultimo centesimo, oppure dagli evasori ed elusori fiscali? E via di questo. La seconda caratteristica risiede nell’alta percentuale di astensionismo, cioè del voto di opinione il quale, a differenza di quello organizzato e clientelare, il quale va votare perché si sente effettivamente rappresentato da un dato ceto politico. Se il voto d’opinione si sente sempre meno rappresentato, ed avverte una crescente omologazione del messaggio politico che riceve prima e durante la campagna elettorale, e che ottiene i seguenti risultati: astensione al 27,39% nel 2018, ulteriormente cresciuta al 36,21% nel 2022. Cosa si deve intendere per omologazione del messaggio politico? Il fatto che sugli argomenti fondamentali, dove la sovrastruttura lambisce la struttura, le posizioni delle varie correnti del partito unico collimano. Facciamo l’esempio dell’atlantismo: prendiamo la dichiarazione di un Roberto Speranza ripresa da Dire del 16 settembre 2022: “Abbiamo l’ipotesi di una potenza esterna, la Russia di Putin abbia finanziato forze politiche dei Paesi dell’Unione europea, e non solo. Gli italiani devono sapere se tra queste forze ci siano anche partiti politici italiani. Su una materia del genere non possono esserci zone d’ombra…Conosciamo le relazioni di Putin in Italia, non ci sono segreti conosciamo le personalità che avevano particolare propensione positiva verso Putin. Si dica con chiarezza se queste risorse sono arrivate o meno. Sarebbe un fatto gravissimo”: prendiamo ora Open del 1° dicembre 2022: “Giorgia Meloni come Draghi: cosa ci sarà nel nuovo decreto sulle armi all’Ucraina”. In teoria, i due estremi dell’emicidio[2] che si sono scambiati le poltrone di governo, sul fondamentale tema dell’obbedienza ai diktat di Washington sui rapporti Europa-Russia hanno una sostanziale identità di vedute.
Possiamo fare un altro esempio: se attuare o meno il salario minimo per difendere salari/stipendi. Conquiste del lavoro del 30 agosto 2022: “M5s: Pd candida Camusso e Furlan contrarie a salario minimo ‘Letta a chiacchere è a favore nei fatti contro’”, ADN Kronos del 24 giugno 2022: “Salvini ‘Salario minimo per decreto è follia’”. Il Partito Unico ha un programma preciso il quale nascosto da innumerevoli sfumatura di facciata, è stato magistralmente esposto dal mentore del nuovo Presidente del Consiglio Meloni, Mario Draghi: La Repubblica del 28 settembre 2022: “Kiev e conti pubblici, contatti di Draghi con l’Ue: Meloni starà ai patti. Il premier fa da garante con Bruxelles, Parigi e Berlino. Le tre condizioni: sostegno all’Ucraina, fedeltà alla Nato e non far esplodere il debito. Palazzo Chigi non smentisce… Secondo quanto riferiscono fonti diplomatiche di Parigi, Berlino e Bruxelles, il presidente del Consiglio in carica ha contattato Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Ursula von der Leyen. Garantendo per la leader di Fratelli d’Italia. E rassicurando i big dell’Unione sui tre pilastri che guideranno l’azione del futuro governo. Si tratta di tre condizioni che l’ex banchiere ha preventivamente sottoposto alla leader di Fratelli d’Italia. E che Meloni si è impegnata ad accettare. Primo: il nuovo governo continuerà a sostenere l’impegno a sostegno anche militare – per l’Ucraina e a tenere unito il fronte delle sanzioni contro Mosca. Secondo: l’ancoraggio saldo e indiscutibile alla Nato, senza tentennamenti e smarcamenti. Terzo: non approverà nessun scostamento di bilancio, in modo di tenere sotto controllo il debito pubblico”. Se un leader vuole sedere a Palazzo Chigi questo è il dogma.
Essendo la struttura in crisi la sovrastruttura “Democrazia liberale fondata sui partiti” non è più tollerata, per questo motivo si è avviato un processo di omologazione delle idee politiche all’interno di un partito unico, che si presenta alle elezioni ai soli fini di rappresentazione ed ovviamente d’interesse puramente personale per i privilegiati eletti. Il processo che porta al partito unico è condiviso in paesi imperialisti che hanno come forma politica la “democrazia liberale”, però a stadi diversi; nei diversi paesi dove lo Stato di crisi è minore come in Francia e in Germania, tale processo è in atto ma incontra forti resistenze, in paesi in sbando come l’Italia è giunto alla sua plastica definizione. La struttura in crisi, quindi non tollera più una vera rappresentanza politica, ma non solo, non tollera più la presenza della pluralità delle idee, non sopporta quindi il presupposto di diverse posizioni politiche, il pensiero plurale.
Occorre fare una premessa al concetto di Pensiero Unico, che precede ed accompagna il Partito Unico: tenendo conto che le istituzioni statuali e sovrastatuali che hanno potere legale di battere moneta sono saldamente in mano nelle mani dell’alta borghesia finanziaria e che tale possesso sta generando il colossale indebitamento di tutte le economie occidentali. Gli stessi signori del denaro però, sono perfettamente a conoscenza delle seguenti tre principali conseguenze:
- L’allargamento smisurato della base monetaria corrisponde ad un processo di forte concentrazione in poche strutture monetarie, in altre parole tanti soldi in sempre minori mani;
- L’inflazione moderna, al contrario di quella dello scorso secolo, è tipicamente zoppa, al crescere dei prezzi non crescono i salari e gli stipendi depauperando così sempre maggiori strati della popolazione specialmente quella giovanile;
- Vi è il rischio (per la borghesia) che sorgano forme di critica che possano diventare opposizione e quindi alternativa al sistema capitalista.
è dal 2008 che i think thank americani sanno che le crisi del dollaro sarebbero state vieppiù incontrollabili col passare degli anni sono state elaborate varie strategie di contenimento. Tra le più importanti, vi è l’imposizione del Pensiero Unico tramite la mitizzazione dei diritti civili. L’Enciclopedia Treccani ci fornisce questa definizione di mito: “I m. si occupano di argomenti importanti per l’esistenza della comunità. Raccontando le origini del mondo, del popolo, delle singole istituzioni, essi non intendono offrirne una spiegazione causale, bensì legittimarle e sanzionarle, proiettandole in un tempo che, essendo il tempo di attività di esseri mitici (dei, eroi, antenati ecc.), ne fornisca la giustificazione religiosa e la garanzia di immutabilità. Perciò il m. è funzionale alle forme di esistenza della comunità e nello stesso tempo fornisce i modelli dell’attività umana che segue le linee di condotta statuite, nel tempo delle origini, dagli esseri mitici”[3]. Nell’occidente si è sviluppato una singolare forma di mitologia che ha il preciso scopo d’irretire qualsiasi forma di opposizione, non si desidera affatto promuovere effettivamente i diritti civili, perché parallelamente alla loro mitizzazione vi è la sistematica negazione di quelli sociali ed economici, che invece sono i presupposti necessari all’affermazione di tutti. Infatti i diritti civili disgiunti da quelli legati al lavoro ed alla corretta redistribuzione del reddito si traducono nel privilegio dei ricchi, ed è per questa ragione che i “sacerdoti” del mito dei diritti civili sono i membri visibili di quella che viene definita “Upper class”: intellettuali, giornalisti, cantanti, attori, sportivi ecc. Una ristretta élite di privilegiati che dalle loro lussuose ville di Beverly Hills fanno la morale agli operai che votano Donald Trump. Lo scopo della mitizzazione dei diritti civili è quindi reprimere qualsiasi critica alla sovrastruttura e quindi alla struttura stessa.
IL FASCISMO DEL XXI SECOLO
La classe che domina la struttura, ed attraverso essa domina la sovrastruttura, studia e pianifica come difendere le proprie posizioni, che essa stessa sta portando al disastro. Vivendo in un sistema capitalista e non in uno socialista, il tema non è come risolvere il problema, ad esempio, della crisi inflazionistica del dollaro, ma più semplicemente chi deve pagarne il conto. Non si tratta, però, di un quesito che lascia particolari dubbi sulla risposta: pagano i soliti noti ovvero le classe subalterne. Negli anni duemila, ad esempio, il passaggio verso una rappresentanza politico a partito unico ha fatto in modo che i nati a partire dalla fine degli anni Novanta invecchino più poveri rispetto alla loro infanzia, al contrario dei loro padri nati nel boom.
C’è da chiedersi se nel recente passato ci siano stati dei modelli politici che hanno assomigliato a recente governo Draghi- Un uomo presentato dai mass media italiani come un autentico salvatore della patria, di altissimo profilo e prestigio internazionale, quasi un “uomo della provvidenza”, tale reputazione e tale il momento di difficoltà dell’Italia che quasi tutto il parlamento si è sentito il dovere di appoggiare il suo esecutivo, mentre Fratelli d’Italia metteva in atto un’opposizione collaborativa. Forte dell’incondizionato sostegno della maggioranza degli italiani (sempre secondo i mass media) Draghi si è posto tra i capi di un’ampia coalizione internazionale contro il solito “impero del male”, la Russia ovviamente, aderendo a una tradizione tenuta viva da Ronald Reagan, dai presidenti americani durante la cosiddetta “guerra fredda” e da Adolf Hitler negli anni Trenta e Quaranta.
L’avvento della Meloni al governo potrebbe essere interpretata, come un percorso di negazione uguale a quello fatto dal gruppo dirigente dell’ex PCI?
A furia di essere noiosi, bisogna sempre ricordarsi che quando la struttura è in crisi la sovrastruttura assume nuove forme nelle quali pone vecchi contenuti. Il movimento fascista italiano a partire dal programma di San Sepolcro del 1919 fu dedito alla ricerca di una terza via tra capitalismo e comunismo, accanto al “pericolo” (per la borghesia ovviamente) bolscevico vi era anche la critica alle plutocrazie alle quali fu dichiarata guerra prima che all’Unione Sovietica[4]. La sconfitta militare nella seconda guerra mondiale ebbe la conseguenza di far rimuovere al fascismo italico tutta la sua critica al sistema capitalistico trasformandolo in un movimento puramente anticomunista, reazionario collaborazionista con l’imperialismo USA, del tutto simile a quelli che esprimevano i regimi più o meno golpisti dell’America Latina. Il collaborazionismo con gli imperialisti USA da parte dei fascisti dopo la seconda guerra mondiale è stato anche una condizione imprescindibile per ottenere la “clemenza” del vincitore angloamericano in un primo stadio, per poi diventare mero strumento politico ed a volte paramilitare. Il compito che si assume il Movimento Sociale Italiano in Italia fu quello di combattere il movimento operaio e democratico e tutte le forze che erano di ostacolo o cercavano di ostacolare l’imperialismo USA, sia nelle aule parlamentari, ma soprattutto all’interno della società italiana, attraverso le sue varie articolazioni. Ad esempio, se nelle scuole e nelle università, il PCI era presente attraverso la Federazione Giovanile Comunista Italiana, l’MSI si contrapponeva nelle stesse aule con il Fronte della Gioventù. Se nel secondo dopoguerra il PCI era accusato di essere finanziato e dunque eterodiretto dal PCUS, l’MSI non si fece remore ad offrirsi quale terminale operativo degli USA e dei suoi servizi segreti, pronto a prendere il potere in caso di bisogno direttamente oppure indirettamente tramite organizzazioni da esso promanate come il Fronte Nazionale del principe Junio Valerio Borghese, Ordine Nuovo di Pino Rauti ed Avanguardia Nazionale di Stefano delle Chiaie. Tutti questi movimenti costituiscono un mondo torbido, che ha collaborato con strutture come Gladio e con in servizi segreti. È noto il ruolo di tutti questi attori durante il periodo che fu definito strategia della tensione negli anni Settanta e Ottanta. Caduto il muro di Berlino i dirigenti missini trasformarono l’MSI in Alleanza Nazionale con segretario Fini.
Dopo il 1994 furono chiamati postfascisti, poiché a livello formale avevano non solo accettato le regole costituzionali e parlamentari ma soprattutto quelle maggiormente ostiche che presiedono alla partecipazione ad un governo di una provincia imperiale USA.
Bisogna dire che la tradizione fascista italiana non è rimasta immobile col passare degli anni, ma si è profondamente trasformata, tanto da farsi apprezzare dal rappresentante degli Stati Uniti in Europa, Mario Draghi, come validi esecutori della volontà della metropoli americana: ecco la vittoria del 25 settembre scorso.
VERSO UN TECNOFASCISMO
Come si diceva prima, per affrontare questa crisi, da anni, negli organismi che raccolgono rappresentanti del grande capitale e think tank al loro servizio, si discute e si pianificano scenari adeguati ad affrontare questa situazione di crisi semi-permanente per superare gli affanni cronici dell’economia, ma soprattutto per controllare possibili conseguenze sociali, dovute tanto al pieno dispiegarsi di una nuova crisi, quante alle misure previste per ridare fiato alla ripresa economica. Il rapido processo di digitalizzazione, insieme all’applicazioni dell’Intelligenza Artificiale e della robotica, sono destinati a realizzare un sistema sociale assolutamente inedito in cui la schiavizzazione dell’essere umano (proletari, sottoproletari, ampie stratificazioni delle piccola borghesia) raggiungerà livelli del tutto nuovi. Tutto ciò, attraverso gli incredibili aumenti di produttività ottenibili, provocherà e già sta provocando un enorme massa di disoccupati, determinando un’ulteriore frantumazione del mercato del lavoro e la diffusione di condizioni lavorative ancora più precarie, consentendo un’intensificazione nell’uso dell’uso della forza-lavoro senza precedenti.
Non ci troviamo perciò di fronte a uno dei tanti processi di ristrutturazione del capitalismo, ma ad una vera e propria profonda trasformazione volta a creare un controllo centralizzato della ricchezza e del potere politico del tutto inaudito. Nei progetti di alcuni dei più analisti e sostenitori di tale trasformazione ci si spinge fino a mettere in discussione lo stesso concetto di uomo-macchina che viene visto come il fulcro dell’avvento di un’era nuova, in cui l’umanità supererebbe i limiti fisici dettati dalla natura vivente.
Alle classi dirigenti delle potenze imperialiste del pianeta era chiaro che si stava entrando in un’accelerazione della crisi, la recessione che ne sarebbe derivata sarebbe stata peggiore di quella del 2008, e pertanto serviva innanzitutto un colpevole su cui far ricadere la responsabilità della crisi economica: se nel 2008 la colpa della crisi veniva fatta ricadere negli speculatori malvagi, sulle banche ecc., in seguito la responsabilità viene data alla “crisi economica causata dal coronavirus”. Da questo punto di vista diventa secondario, anche se non irrilevante, stabilire le origini e le cause del virus. Quello che conta è l’utilizzo che ne è stato fatto, che ha prodotto un salto di qualità nel controllo sociale da parte del potere borghese, da ottenere, appunto, attraverso la gestione autoritaria dell’emergenza, per abituare fin d’ora lavoratori e masse popolari a comportamenti caratterizzati dall’obbedienza, pena l’emarginazione. Il dominio del capitale sulla forza-lavoro, che deve estendersi ad ogni aspetti della vita dei salariati (e non solo).
[1] https://www.flossbachvonstorch.it/it/attualita/news/signor-mayer-il-dollaro-e-davvero-troppo-forte-1/
[2] Spazio semicircolare che, in un edificio o in un complesso di edifici, risulta delimitato dalla disposizione a semicerchio delle parti circostanti. In partic., lo spazio che si trova al centro di grandi sale per assemblee e riunioni, delimitato dai sedili circostanti disposti a semicerchio. https://www.treccani.it/vocabolario/emiciclo/
[3] https://www.treccani.it/enciclopedia/mito
[4] Da qui la demagogia sull’Italia vista come paese proletario. Una demagogia che serviva a mascherare la natura imperialista delle guerre di aggressione che l’Italia fascista stava attuando.