UN ARSENALE A FIRENZE

   Il 3 agosto 1993 in Via Sant’Agostino 3 a Firenze, il proprietario dell’immobile, il marchese Bernardo Lotteringhi Della Stufa[1], era appena possesso dei locali che il padre, morto da poco, aveva concesso in uso ad una persona a cui era molto legato: Federigo Mannucci Benincasa[2], un colonello dei carabinieri che per oltre vent’anni è stato capocentro del SISMI (servizi segreti militari) a Firenze. Mentre con un falegname, stilava l’elenco dei lavori da fare per ammodernare un monolocale posto esattamente sotto l’alloggio dato a Federigo Mannucci, il marchese incuriosito per degli scatoloni pesantissimi infilati nel ripostiglio. Dentro, avvolti nella carta di giornali datati tra gli anni Cinquanta e Ottanta, c’erano munizioni e armi ben oliate, un vero e proprio arsenale[3].

  Il pensiero andò subito al precedente inquilino di quel palazzo, il colonello del SISMI e Lotteringhi si precipita  dai carabinieri della caserma di Borgognissanti.

   L’inizio del sequestro dell’arsenale fu l’inizio di grane giudiziarie per Benincasa, che alla fine sarà assolto[4]. Egli fu accusato anche  di depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna del 1980. Oltre alle armi e alle munizioni trovate negli scatoloni, furono rivenuti due barattoli di latta con un buco al centro del coperchio. Contenitori identici erano stati fatti trovare in una valigia sul treno Taranto-Milano, in quella che era stata definita l’operazione “Terrore sui treni” che sarebbe dovuta servire a costruire unna falsa pista investigativa per non arrivare ai colpevoli della strage del 1980[5].

   Nella valigia c’era anche un mitragliatore Mab.  Il pentito della banda della Magliana Maurizio Abbatino, dopo il suo arresto a Caracas nel gennaio 1992, riferirà che un’arma di quel tipo era stata consegnata a Massimo Carminati e questi non l’ha più restituita. E pure nel deposito della banda, c’erano gli stessi barattoli da conserva con il buco sul tappo per farci passare la miccia. Nella sentenza Cavallini, si raffigura la figura di Federigo Mannucci Benincasa e del suo ruolo depistante e assai oscuro che tenne nel corso delle indagini inerenti alla strage di Bologna.

   Il capocentro del SISMI emiliano Giorgio Ferretti[6], dichiarò in due occasione al giudice istruttore tra la fine del 1991 e la metà del 1992 di essere sentito “tagliato fuori” dalle attività che seguirono l’attentato “allorquando a Bologna, a seguire le indagini venne costantemente un mio collega toscano[7]. Ferretti riferì di essersi imbattuto casualmente in Mannucci Benincasa alla stazione almeno due volte senza che questi avesse mai preannunciato il suo arrivo mel territorio di competenza altrui. Per quale motivo? Ancora Ferretti a verbale: “Cercava tracce dell’esplosivo per poterlo fare analizzare a un suo artificiere[8]. Ad accompagnare Mannucci sul luogo dell’esplosione c’era  il Colonnello d’Artiglieria Ignazio Spampinato. Colui che lo stesso giorno ricevette dalla Procura bolognese l’incarico di perito atto a studiare la composizione dell’esplosivo utilizzato. Una copia del suo rapporto, prima che l’originale fosse consegnato ai magistrati che indagavano sulla strage, la consegnò in anteprima al Capo Centro Sismi di Firenze e per questo motivo venne poi incriminato anche egli stesso[9].

   Il magistrato Libero Mancuso, sentito nel 2015 dalla Commissione sul rapimento di Aldo Moro[10], si stupì del fatto che dopo le perquisizioni che seguirono la scoperta dell’arsenale fiorentino, nel 1993, l’ex capocentro del SISMI fiorentino fosse rimasto sostanzialmente impunito per quella vicenda. Inoltre, Mancuso identifica in quei locali di via Sant’Agostino la sede di misteriosi incontri con il brigatista Giovanni Senzani. A confermarglielo, fu proprio il colonello: “Egli ci dice che quella base serviva per avere rapporti molto delicati con uomini della criminalità organizzata e delle Brigate Rosse[11]. Senzani abitava dall’altra parte dell’Arno in Borgognissanti.

   Durante la perquisizione nell’abitazione di Mannucci Benincasa,  a Firenze venne trovato un appunto, datato 22 febbraio 1988, firmato Manfredi, in cui si manifesta l’interesse ad acquisire dall’autorità giudiziaria svizzera, che in quel momento stava procedendo nei confronti di Licio Gelli, importanti documenti che si trovano nell’archivio di quest’ultimo.

   Il colonello Ignazio Spampinato, l’esperto artigliere oltre che di esplosivi si intendeva anche di balistica. In questa qualità si occupò, nell’ottobre del 1981, del terzo omicidio (il quarto per molti) del cosiddetto “Mostro di Firenze” avvenuto alle Bartoline di Calenzano, località tra Firenze e Prato, ed in seguito gli fu assegnata anche la perizia sul proiettile ritrovato (per alcuni fatto ritrovare) nell’orto di Pietro Pacciani, durante il processo a suo carico nell’aprile 1992[12].

   Analizzando la lista del sequestro delle armi del 1993, i carabinieri si sono accorti che negli scatoloni nel ripristino c’era anche una scatola con dentro 25 colpi di proiettili Winchester serie H, stesso modello e calibro (il 22) di quelli usati negli otto duplici omicidi avvenuti nella campagna toscana tra il 1968 e il 1985. [13]

   E’ anche vero, però, che proiettili di quel genere era possibile trovarli in uso a diversi personaggi, militari, frequentatori di poligoni di tiro anche della zona. Come, d’altronde, potevano essere corrispondenti quelli che vennero ritrovati a casa di Giampiero Vigilanti a Prato. Vigilanti, già appartenente alla Legione Straniera francese, è ancora oggi uno dei vari sospettati del compimento degli omicidi.

   Gli ultimi tre duplici delitti avvennero nel 1983 nella frazione di Galluzzo appena fuori Firenze, nel 1984 alla Boschetta di Vicchio di Mugello e nel 1985 a Scopeti di San Casciano Val di Pesa. Qualcuno lega a questi omicidi anche quello della coppia uccisa nel 1984 nella Valle del Serchio a Sant’Alessio vicino Lucca. Ma non è questa la sede per ripercorrere le migliaia di dettagli che compongono la vicenda del Mostro e le sue ingarbugliate diramazioni e teorie, ci limiteremo per questo a toccare solo gli elementi più inerenti la nostra ricerca. E non ci dipaneremo neanche nelle decine di assassinii avvenuti a Firenze fino ancora a pochi anni fa, molti dei quali considerati come “morti collaterali” del caso del Mostro.

  Alcuni dei delitti attribuiti al cosiddetto “Mostro di Firenze” avvennero nelle adiacenze di grandi e chiacchierate ville nobiliari. Secondo testimonianze ed ipotesi di indagine, indicibili festini a sfondo esoterico, sacrificale, sessuale pare si svolgessero in queste tenute alla presenza di personaggi aristocratici e  borghesi ed in conseguenza di ciò avvenivano quindi i duplici delitti nella campagna fiorentina. La zona incriminata era quella della Val di Pesa dove, soprattutto a San Casciano, si incrociano vari personaggi legati ai fatti. Per alcune tesi investigative entrano in scena medici, farmacisti, nobili, come mandanti degli omicidi mentre un fitto sottobosco di guardoni rientrerebbero nella vicenda come autori materiali. 

   Secondo alcune ipotesi di indagine, almeno un paio di rampolli di queste famiglie furono considerati esser compromessi negli omicidi seriali. Uno dei segni che contraddistingueva i delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze” era il furto di feticci, parti dei corpi femminili asportati in alcuni delitti e mai più ritrovati, considerati materiale imprescindibile per poter svolgere i rituali di queste cerimonie mascherate da ricevimenti di gala. Alcune voci davano questi feticci conservati, a seconda delle diverse memorie delle comparse testimoniali, in due location differenti, entrambi però riconducibili ad un medico appartenente ad una nota famiglia perugina, Francesco Narducci.

  I pedinamenti effettuati, non si sa a quale titolo essendo appartenente ad un’altra unità territoriale, dal Capo della Squadra Mobile di Perugia Luigi Napoleoni nei confronti del medico portarono ad un appartamento in via dei Serragli a Firenze. Immobile, tra l’altro, ubicato a meno di cinque minuti a piedi dal covo Sismi di via Sant’Agostino ed inoltre, secondo alcune voci, location di una violenza sessuale commessa da un certo Paolo Poli. Collega di Napoleoni sulle indagini sul medico perugino fu Emanuele Petri, Sovrintendente di Polizia che nel 2003 fu poi ucciso sul treno Roma – Firenze all’altezza di Castiglion Fiorentino durante uno scontro a fuoco con le BR PCC, le stesse che uccisero Massimo D’Antona e Marco Biagi in precedenza. L’altro luogo dove risulterebbero esser stati visti i feticci umani conservati nella formaldeide, sarebbe una vecchia casa colonica nei dintorni di Sambuca Val Di Pesa. Proprio nella zona dove il suocero del dottor Narducci, Gianni Spagnoli, possedeva una azienda dolciaria. La famiglia Spagnoli oltre la fabbrica di caramelle “Fruttosello” in Val di Pesa era anche titolare di un impero finanziario del quale erano parte integrante la ben più nota fabbrica di cioccolata “Perugina”, la casa di moda “Luisa Spagnoli”, il parco divertimenti per ragazzi “Città della Domenica”, il “Perugia calcio” senza tralasciare gli stretti collegamenti parentali con l’azienda alimentare “Buitoni”.

   Francesco Narducci pare frequentasse la Val di Pesa sia per le numerose amicizie che aveva nei dintorni, nate magari durante i mesi trascorsi a Firenze nel 1974 come militare di leva prima di esser riformato, sia anche per far visita all’azienda appena citata appartenente alla famiglia della moglie. A San Casciano sembra che uno dei suoi migliori amici fosse il patrizio don Roberto Corsini, il latifondista ucciso nel 1984, secondo la versione acclarata, dal figlio del suo fattore dopo esser stato scambiato per un bracconiere dal Conte stesso. Secondo alcune opinioni diffuse, proprio il nobiluomo era invischiato nella serie di omicidi delle coppiette. Delitti che cessano definitivamente l’anno dopo la sua morte ed un mese prima di quella del medico Narducci avvenuta nel 1985, ufficialmente annegato al largo del lago Trasimeno nel triangolo tra Sant’Arcangelo, l’isola Polvese e San Feliciano dove la sua famiglia era proprietaria di una villa. Sono numerose le versioni che ritengono il ritrovamento del corpo del medico perugino un falso storico dedito a nascondere i veri motivi del decesso, considerando questo scambiato con quello di uno sconosciuto, presumibilmente di un messicano senza famiglia conservato a Perugia in attesa di esser sbloccato burocraticamente dalla Procura. L’autopsia effettuata anni dopo, sul vero corpo di Narducci tumulato poi in seguito ed in gran segreto, confermerebbe le supposizioni addotte. Particolare lo scherzo del destino che si riversò sui due cognati pescatori che avvistarono il corpo e sul Poliziotto Provinciale delle Acque che ritrovò la piccola imbarcazione del dottore sull’isola Polvese, tutti e tre infatti morirono annegati nelle stesse acque a distanza di anni uno dall’altro. Secondo molti il medico di Perugia sarebbe l’autore o comunque un componente del gruppo che uccideva e praticava le escissioni sui corpi dei delitti del Mostro e, data la sua appartenenza ad una potente e conosciuta famiglia perugina, ad un certo punto fu ucciso egli stesso forse per porre fine allo scempio ed evitare lo scoppio di un grosso scandalo che avrebbe colpito anche varie istituzioni. Perugia era ed è una delle sedi massoniche più influenti in Italia.

   Augusto De Megni, Maestro Venerabile, al quale l’Anonima sarda rapì l’omonimo nipote nel 1990. De Megni era collega di Loggia di Ugo Narducci, padre del dottor Francesco.

   Un ipotesi sostiene, che il padre del dottore insieme al consuocero Spagnoli e con l’aiuto del Gran Maestro avvocato e di altri Fratelli della “Perugia bene” presero la triste decisione di eliminare il medico e provare a depistare la sua morte ma soprattutto ad insabbiare il ruolo che questi teneva nel gruppo degli assassini seriali[14].

 Gruppo che in realtà sarebbe stato una vera e propria confraternita della quale, secondo una diramazione di questa tesi, sarebbero stati membri anche Angelo Izzo e Gianni Guido “i massacratori del Circeo”, Andrea Ghira arruolatosi poi nella Legione Straniera facendo perdere le sue tracce, il già citato Serafino Di Luia l’esponente di Avanguardia Nazionale implicato in alcuni attentati sui treni e presente a Fiumicino il giorno dell’attentato del 1973, Gianluigi Esposito personaggio a metà tra la malavita e l’eversione, celebre per la sua fuga dal carcere di Rebibbia in elicottero e che nel 2006 morì proprio a Firenze dove si nascondeva sotto falso nome.

   Angelo Izzo accusò egli stesso e la sua confraternita di aver rapito Rossella Corazzin, scomparsa nel 1975 dalla Valle di Cadore in Veneto e mai più ritrovata, ed averla sacrificata ed uccisa proprio nella villa di Francesco Narducci sul lago Trasimeno.


[1] Antica famiglia aristocratica fiorentina https://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-della-stufa_%28Dizionario-Biografico%29/

[2] https://www.caffeinamagazine.it/italia/morto-88-anni-notizia/

[3] https://www.lanazione.it/cronaca/casa-segreti-italia-1.5917162

[4] https://www.caffeinamagazine.it/italia/morto-88-anni-notizia/

https://www.rai.it/programmi/report/news/2020/07/Esclusivo-le-carte-inedite-sulla-Strage-di-Bologna-Gli-agenti-di-influenza-americani-e-lalleanza-tra-Gelli-neofascisti-e-Sismi-c1ca2727-e696-472a-97cf-91063e95e397.html

[5] https://www.rai.it/programmi/report/news/2020/07/Esclusivo-le-carte-inedite-sulla-Strage-di-Bologna-Gli-agenti-di-influenza-americani-e-lalleanza-tra-Gelli-neofascisti-e-Sismi-c1ca2727-e696-472a-97cf-91063e95e397.html

[6] https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/casa-segreti-italia-1.5917162

[7]                                                               C.s.

[8]                                                               C.s.

[9] https://archivio.ilquotidianoditalia.it/il-calderone-della-strategia-della-tensione-collegamenti-e-curiosita-2-parte

[10] Seduta numero 53 di martedì 13 ottobre 2015.

[11] https://www.lanazione.it/cronaca/casa-segreti-italia-1.5917162

[12] https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/casa-segreti-italia-1.5917162

[13] https://www.lanazione.it/cronaca/casa-segreti-italia-1.5917162

[14] Un’altra ipotesi è che si limitarono a depistare.

~ di marcos61 su dicembre 30, 2022.

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