C’E’ UN’ORGANIZZAZIONE CLANDESTINA E ILLEGALE CHE HA DETERMINATO LA STRATEGIA DELLA TENSIONE IN ITALIA E NEGLI ALTRI PAESI EUROPEI?
L’evoluzione del pensiero militare del XX secolo normalmente è materia riservata agli specialisti benché, ad onor del vero i militari stessi non lo hanno mai tenuto molto segreto. Anzi dalla metà degli anni ’50 lo hanno propagandato senza eccessivo ritegno, rivendicando a se stessi quel ruolo di parità (e qualche volta di superiorità) con i politici, che la realtà della cosiddetta guerra fredda aveva imposto come “necessaria” ed “inevitabile”.
Possiamo prendere come spunto, per affrontare quest’argomento, la frase di Clausewitz che “la guerra è continuazione della politica con altri mezzi”, ma soprattutto lo sviluppo che fece Mao sulla base delle esperienze fornite dalle guerre rivoluzionarie e dalla Guerra di Resistenza Antigiapponese in Cina, che elaborò la teoria militare marxista, prima di lui sostanzialmente inesistente[1] se facciamo eccezione per i contributi di Engels e di Lenin su questa materia.
I primi ad attribuire una certa importanza alla teoria di Clausewitz furono i militari tedeschi. Furono ancora costoro a dare per primi, alla metà del secolo XIX secolo un’interpretazione delle sue teorie coerente con gli interessi delle caste aristocratiche e feudali dei Junker (l’aristocrazia prussiana). La teoria sviluppata in quest’epoca dallo Stato Maggiore tedesco costituisce un’interpretazione reazionaria dei postulati claussewitziani. Per esso si trattava innanzitutto di creare una teoria per l’aggressione, ma questa impostazione teorica durante la prima guerra mondiale si rivelò un clamoroso fiasco.
In seguito, Hitler e i suoi accoliti seguitarono a sviluppare Clausewitz nella medesima direzione dei loro predecessori.
I nazisti partivano dal concetto militare clausewitziano di “tendenza agli estremi”, per elaborare il concetto di movimento verso la violenza pura, cioè l’annientamento. Tutto il contributo teorico clausewitziano sarà ripreso in modo falsato dai nazisti, distorcendolo ed adeguandolo alla propria strategia generale. È così che lo Stato maggiore nazista elaborerà il proprio piano strategico, in cui fu configurato un concetto di guerra per cui ora essa non concerne solamente le forze armate propriamente dette, ma ingloba e monopolizza tutti gli individui.
La vecchia barriera fra il civile ed il militare viene a cadere. Tutta questa pianificazione militare era semplicemente una conseguenza del regime che i nazisti avevano istituito in Germania: la dittatura terroristica degli ambienti più reazionari, sciovinisti ed aggressivi del capitale finanziario, che si tradusse in una rapidissima trasformazione della Germania in Stato guerrafondaio. Lo stretto legame dei capi nazisti con i monopoli, l’anticomunismo e lo sciovinismo più spinti, una politica sanguinaria e terroristica e la preparazione della guerra in tutti i suoi aspetti avevano l’obiettivo di instaurare il loro dominio sul mondo. Lo Stato nazista si lanciò in uno sviluppo del suo potenziale economico, bellico, morale e psicologico al fine di fare dei propri piani una realtà. Già impiegata
Come ulteriore aspetto nell’ampia cornice della guerra totale, i nazisti furono i primi a teorizzare e a tradurre la pratica la guerra psicologica, la guerra con le armi intellettuali, secondo l’espressione di Hitler, che consacra gran parte della sua opera Mein Kampf a questo scopo, per formare lo spirito della sua propria popolazione.
La guerra psicologica era stata già impiegata durante la Prima Guerra Mondiale, ma sarà sotto l’impulso dei nazisti che in Germania raggiungerà il proprio pieno sviluppo teorico e pratico. Nella guerra non occorre soltanto tenere conto delle dottrine classiche che indicavano i fattori decisivi più o meno numerosi: la missione, il nemico, il terreno, i mezzi … ma va anche considerato ed approfondito in studio del fattore essenziale della guerra moderna: l’uomo, il modo di manipolarlo e di influenzarlo in armonia con determinati piani concreti.
In questo senso i nazisti si ersero a consumati maestri dell’azione psicologica mediante la propaganda, sviluppando una pianificazione sistematica nella guida delle masse verso le impostazioni naziste.
Si trattava di una nuova concezione che si riprometteva di condurre in una determinata direzione, con un dato proposito, i modi di sentire, pensare e di agire di un gruppo di individui, la popolazione tedesca.
Di tale pianificazione si incaricò il Ministero dell’Istruzione Pubblica e della Propaganda, creato ex-professo, organismo onnipresente nello Stato.
Per capire maggiormente il ruolo della guerra psicologica bisogna tenere conto che il sistema capitalista, giunto alla sua fase suprema (quella imperialista) di spartizioni e ripartizioni dei paesi deboli del mondo ad opera di un pugno di Paesi imperialisti, è entrato in una sorta di Maelstrom economico, sociale e politico da cui non può uscire se non aggravando i presupposti della sua crisi sistemica: soprattutto non può uscirne facendo leva sulla chiarezza e sulla verità per ottenere il consenso delle vaste masse schiavizzate in ogni angolo del mondo. È per questo che le guerre sono diventate una condizione permanente, la prassi di questo modo di produzione in decadenza irreversibile. Le guerre sono lo sbocco inevitabile delle crisi, essendo anche un mezzo per rilanciare gli affari, per distruggere forze produttive in eccesso, per rimettere su giusti binari livelli di profitti e di accumulazione divenuti troppo esigui per sfamare i tanti parassiti generati come saprofiti dalla sua voracità di ricchezza sociale, che mettono a repentaglio la riproduzione stessa del capitale complessivo.
Anche le guerre si sono evolute in concomitanza con l’estensione delle relazioni globali del capitalismo. La lotta sociale, quella che rientra nel contenitore concettuale della “sicurezza”, cui concorre una miriade di forze parassitarie securitarie, dagli agenti del fisco alle guardie giudiziarie addette ai sequestri e agli sfratti ai guardiani a vario titolo delle banche, delle fabbriche e degli edifici pubblici, alla polizia stradale, ferroviaria, marittima, ai poliziotti di quartiere e via di seguito in un lungo elenco che va fino ai buttafuori delle discoteche.
Quello delle armi è divenuto il mercato più redditizio per le potenze occidentali. E naturalmente è allo stato attuale anche uno dei settori di maggiore occupazione, pubblica e privata, dove la realtà del parassitismo più depravato si coglie con mano, se si considera che una moltitudine di esseri umani viene stipendiata per costringere altri esseri umani, anche massacrandoli, a produrre per loro, a pagare forzatamente un affitto impossibile, a indebitarsi o ammazzarsi di lavoro per pagare le estorsioni continue per colmare i buchi delle banche e i debiti dello Stato. Ma proprio perché queste guerre non mirano certo a procurare il consenso delle popolazioni mediante l’esercizio della ragione e della verità, bensì a piegarne la volontà con la forza (che tuttavia non può sempre essere quella bruta della violenza militare armata) ecco che assume un ruolo sempre più determinante la conquista dei cuori e della psiche mediante i miti, che sono da sempre la forza che muove le volontà collettive dei popoli. Sarebbe ingenuo attribuire questo comportamento a scarsa capacità razionale dei popoli, o a naturale limitatezza delle masse o a propensione dell’opinione pubblica verso le leggende piuttosto che verso la verità e dunque a bere tutto quel che le si propina.
Il fatto è che la borghesia, che ha alle spalle una lunga storia di rivoluzioni contro il mondo feudale e contro l’oscurantismo religioso, ha imparato a sue spese che non è la verità e la coscienza intellettuale a muovere le popolazioni, le grandi masse, bensì i miti, quelle vere e proprie leve che si imprimono profondamente nella psiche collettiva per incarnare speranze e muovere le volontà ad agire. Se i marxisti non comprendono questo e pretendono che i popoli si muovano secondo i dettami della ragione pura andranno incontro a frustrazioni e a pesanti sconfitte.
I miti sono tali che, una volta penetrati in profondità nelle coscienze, costituiscono una forza difficilmente scardinabile. Quello dell’11 settembre 2001 (l’attentato alle Torri gemelle di New York) è a tutti gli effetti un mito, realizzato con le più sofisticate e tecnologicamente evolute e collaudate tecniche di comunicazione mediatica, che ha imbastito menzogne e confusione con briciole di verità, sensazionalismo e paura, esorcismo ed emotività, ripetute fino alla nausea, anche quando i fatti le abbiano smentite. Che poi, nel tempo, infatti, la costruzione si sia rivelata un colabrodo, non ha più importanza: quel che conta è la prima impressione, quella che muove il consenso e le volontà delle masse. In quella zona della psiche che gli psicologi chiamano «inconscio» non si distingue un’idea o un’immagine vera da una falsa. Le «impressioni» e gli effetti sono ugualmente reali e per lo più sono previsti da chi manipola e veicola le informazioni e i messaggi. E vale la nota massima behaviorista del ministro nazista della propaganda J. Goebbels: “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”.
Che però è detto non originale, essendo già in Hegel la sua formulazione filosofica[2] e soprattutto nel medico e fisico francese Gustave Le Bon, che ha fatto scuola osservando le tecniche della manipolazione mediatica già nel 1895, quando i mezzi di comunicazione di massa non erano neppure all’alba del loro sviluppo: “L’affermazione pura e semplice, svincolata da ogni ragionamento e da ogni prova, costituisce un mezzo sicuro per far penetrare un’idea nello spirito delle folle. Quanto più l’affermazione è concisa, sprovvista di prove e di dimostrazioni, tanto maggiore è la sua autorità. […] Tuttavia (l’affermazione) acquista una reale influenza soltanto se viene ripetuta di continuo, il più possibile, e sempre negli stessi termini. Napoleone diceva che esiste una sola figura retorica seria, la ripetizione. Ciò che si afferma finisce, grazie alla ripetizione, col penetrare nelle menti al punto da essere accettato come verità dimostrata. […] La cosa ripetuta finisce con l’incrostarsi nelle regioni profonde dell’inconscio, in cui si elaborano i moventi delle nostre azioni. Così si spiega la forza straordinaria della pubblicità”[3]
I nazisti non avevano previsto di realizzare immediatamente il loro piano di espansione senza limiti. Pensavano di realizzarlo in modo graduale, di creare le condizioni ottimali per il suo sviluppo mediante l’applicazione di una serie di misure preventive (provocazioni ed interventi armati) che fungessero da sonda.
Anelli di questa catena di eventi saranno l’intervento congiunto con l’Italia fascista contro la Repubblica Popolare spagnola e l’irruzione nella zona smilitarizzata del Reno. Nei piani del blocco faccio-nazista la Spagna rappresentava la prima carta da giocare nella partita che era già stata iniziata; inoltre serviva da banco di prova di tutto l’arsenale bellico, come campo di addestramento di migliaia di comandanti militari e come fonte di materie prime. La politica di non-intervento delle democrazie borghesi europee costituì un fermo appoggio al trionfo del fascismo in Spagna e, di conseguenza, al rafforzamento del nazismo tedesco in tutti gli aspetti. Il Giappone, si lancia nell’invasione della Cina e, in questo teatro di operazioni, i nazisti distaccarono un considerevole numero di comandanti militari che avrebbero svolto il ruolo di consiglieri delle truppe di Chiang Kai-Shek, acquisendo, se possibile un’esperienza di combattimento.
Seguendo questo modello invadendo l’Austria e la Cecoslovacchia, a cui seguiranno la Polonia, la Danimarca, la Norvegia, il Belgio, l’Olanda, il Lussemburgo e la Francia. A partire da qui, la situazione economica-militare della Germania si modificò seriamente, venendo rafforzata in modo sostanziale dalla base produttiva militare e dalle riserve materiali di questi paesi.
Il piano operativo di queste campagne di aggressione si faceva forte della strategia della guerra-lampo, fondata principalmente sull’attacco a sorpresa, sulla mancanza di preparazione psicologica dell’avversario per fare una resistenza di fronte ad un attacco folgorante con grande spiegamento di mezzi materiali ed umani. Attorno a questi due postulati ruotava sostanzialmente tutta la concezione del piano strategico nazista. Con tale strategia, ciò che si proponevano era, nelle linee generali, di intimidire sconcertare e paralizzare le diverse popolazioni e le loro forze armate, e di conseguire in tal modo una facile vittoria.
La Germania non poté vincere la guerra contro l’URSS perché i politici e i militari nazisti non tennero conto del primo e più importante dei problemi strategici, vale a dire quello di esercitare l’atto di giudizio più decisivo, mediante i quali lo statista inquadra correttamente la guerra che intraprende rispetto alle relazioni dominanti, per cui non tenta di cambiare la realtà oggettiva in un senso impossibile. La guerra lampo si trasforma necessariamente in guerra prolungata quando i popoli non si sottomettono docilmente. E la guerra prolungata è la più difficile da affrontare, per l’imperialismo.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale i militari occidentali partendo dal fatto che in ogni Stato occidentale retto da una democrazia borghese è in atto una conflittualità permanente (credevano – e non poteva essere altrimenti visto l’origine di classe dei militari occidentali – che la lotta di classe che si sviluppa in ogni paese imperialista fossa causata dalla “propaganda comunista”, fosse un complotto in sostanza), perciò l’obiettivo strategico non poteva essere più rappresentato dalla conquista del territorio bensì da quella delle menti, dei cuori e delle coscienze delle popolazioni.
La “Guerra non ortodossa” più che di divisioni corazzate, essa prevede l’impiego massiccio e capillare dei mezzi di comunicazione. Diventa più importante usare slogan suggestivi che fucili, creare sogni che aerei da combattimento.
La “Guerra non ortodossa” è una guerra autentica, totale e permanente, che viene condotta con metodi e tecniche militari da Stati Maggiori occulti, composti da militari e da civili, di un potere palese: quello che specialisti definiscono Stati maggiori allargati.
Come si diceva prima questa teoria deriva dal concetto di guerra che lo Stato Maggiore hitleriano aveva elaborato, in cui si configurava un’attività che non concerneva solamente le forze armate propriamente dette, ma inglobava e monopolizzava tutti gli individui.
I militari dei paesi imperialisti occidentali partivano dal fatto che di fronte ai partiti comunisti e alle forze da loro influenzate, non si aveva a disposizioni nulla che somigliasse a quello che ritenevano (nella loro delirante visione reazionaria e militarista) avessero di fronte: una possente armata ideologica comunista. Non potevano essere considerate un esercito affidabile e disciplinato, le eterogenee forze politiche di estrazione cattolica, liberale, neofascista, socialdemocratica, poiché erano in perenne lotta fra loro (la nozione di pluralismo politico e sociale non era certo ben assimilata tra i militari), avide di denaro e assetate di potere.
Si ha così nell’Occidente imperialista la creazione di una dottrina e di una strategia, che serviranno a dare prospettiva a un’organizzazione che deve diventare uno strumento idoneo in grado di condizionare gli amici, controllare gli alleati e fronteggiare i nemici. Si crea così un esercito segreto, invisibile, schierato a fianco di quello ufficiale, un esercito sovranazionale, disciplinato coordinato da un unico vertice, in sostanza una guardia pretoriana fedele all’imperialismo USA. Un armata clandestina, selezionata e spietata, in grado di contrastare il Movimento Comunista Internazionale, le forze antimperialiste e i Movimenti di Liberazione Nazionale ovunque e comunque, con il vantaggio di non comparire negli annuari militari. Un armata fantasma capace di combattere quella “guerra camuffata da pace”,[4] che l’imperialismo americano ha istituzionalizzato.
Dal mio punto di vista ci sono stati degli errori di interpretazione che hanno impedito il raggiungimento della verità.
Ritengo che non sia corretto da parte di uno storico affermato come Giuseppe De Luttis ha continuato a offrire al pubblico italiano l’immagine di una Loggia P2 come quella del “governo invisibile del Paese” negli anni ’70, quando un commando diverso da quello ufficiale è esistito prima, durante e dopo. Ed è ancora operante oggi nonostante le traversie della Massoneria italiana e internazionale lo abbia frenato nell’esercizio del suo potere.
Come ritengo non sia corretto, quanto afferma Gianni Cipriani quando afferma che “la classe politica che nel dopoguerra aveva avuto la responsabilità di governo è stata sconfitta da quella che avrebbe dovuto essere la sua vittoria, ossia il crollo dei regimi comunisti dell’Est europeo. Nel breve volgere di una stagione vengono a mancare il pericolo da Oriente, sono venute meno anche le garanzie internazionali che avevano protetto un sistema sostanzialmente e formalmente illegale, che ha dato origine a una forma di doppio Stato e di doppia lealtà che ha consentito la ramificazione di centri di potere occulto”.[5] Cipriani fa scaturire dalla periferia dell’imperialismo USA quello Stato parallelo, che viceversa è stato creato al centro.
Invece, ritengo sia un’analisi lucida quello che fa Gianni Barbacetto quando riconosce il sistema di potere come il “Network ancora funziona in Italia”[6] concludendo il suo libro (giustamente) col condizionale, poiché niente giustifica la tesi che questo apparato parallelo sia stato smantella con la fine della cosiddetta guerra fredda. Tutto questo perché l’imperialismo USA non ha creato le strutture parallele solo perché venissero usate contro il Movimento Comunista, ma come uno strumento stabile per rafforzare e difendere, il proprio potere da qualsiasi minaccia, anche solo potenziale ed ipotetica, possa profilarsi.
Il crollo dell’Unione Sovietica non segna, quindi, la fine degli apparati che hanno contrastato il Movimento Comunista ma solo delle forze politiche come i democristiani che prima furono sostenuti e tollerati dall’imperialismo USA che non riteneva da poter prescindere da loro.
La mancanza di una visione classista da parte di Cipriani gli impedisce di vedere la reale dinamica degli avvenimenti.
Il ricambio politico del regime democristiano è stato portato avanti dalla parte più autorevole della Borghesia Imperialista italiana ed estera (Agnelli, De Benedetti, Cuccia e Mediobanca, i gruppi finanziari esteri più attivi in Italia). Il regime democristiano è stato nel secondo dopoguerra l’espressione concreta nel nostro paese del potere della Borghesia Imperialista. In esso si combinavano le caratteristiche generali comuni a tutti i regimi politici nel secondo dopoguerra (tra i quali lo sviluppo della controrivoluzione preventiva), con caratteristiche proprie, dettate dai tratti specifici della composizione di classe del nostro paese, della storia del nostro paese (formazione del Modo di Produzione Capitalista e dell’unità politica del paese), dei gruppi politici che impersonavano il regime (provenienti dall’associazionismo cattolico, dalle organizzazioni parrocchiali, e nel meridione dalle tradizionali strutture di potere degli agrari e delle cosche mafiose). Tra i tratti caratteristici del regime democristiano vie erano il clientelismo, l’assistenzialismo, la conservazione delle condizioni di riproduzione di un certo tipo di piccola borghesia rurale[7] e urbana e di imprese capitalistiche individuali, la mitigazione degli effetti più traumatici del capitalismo tramite il settore economico pubblico e la spesa pubblica. Questi tratti si erano ben combinati con le caratteristiche del dominio della Borghesia Imperialista nel periodo di ascesa economica. Essi, invece, rendevano questo stesso regime inadatto a gestire i rapporti con le masse popolari in conformità con le esigenze del nuovo periodo caratterizzato dalla crisi economica (iniziata all’incirca dalla metà degli anni ’70). La crisi spingeva all’estremo gli aspetti specifici del regime DC e con ciò stesso li rendeva incompatibili con la dominazione della Borghesia Imperialista: essere assistenzialisti in un periodo di vacche grasse serve ad aggiustare le cose e arrotondare gli spigoli; esserlo in un periodo di vacche magre porta alla “dilapidazione del patrimonio”. Negli anni ’80 l’indirizzo del regime democristiano è stato sostanzialmente anomalo o in ritardo rispetto all’indirizzo prevalente negli alti grandi paesi imperialisti (si veda ad esempio la dimensione e la continuità del ricorso all’indebitamento dello Stato e degli altri enti pubblici, lo spazio lasciato all’inflazione, il ritardo della svendita delle imprese pubbliche – le privatizzazioni – ecc.). Per sopravvivere e continuare a raccogliere vuoti il regime DC faceva ricorso su scala via via sempre più vasta, man mano che la crisi economica avanzava, al clientelismo, con un enorme allargamento della spesa pubblica, nella forma più specifica di aumento del debito pubblico con il ricorso a tassi d’interesse via via più alti onde invogliare i creditori italiani ed esteri. In concreto ciò introdusse un ulteriore elemento di rischio nel sistema finanziario italiano, europeo e mondiale, già sottoposto all’azione di grandi fattori di instabilità. A poco era valso il colpo inferto al regime DC con la separazione della Banca d’Italia dal Tesoro.[8] Il regime DC inoltre subiva la crisi politica indotta in tutti i regimi dei paesi imperialisti dalla crisi economica. Esso riusciva sempre meno a tenere assieme interessi e tendenze sempre più divergenti tra di loro; nascono forze politiche centrifughe (come la Rete, la Lega) che si sviluppavano dal suo stesso seno. I contrasti tra le correnti DC e tra i partiti satelliti (PSI, PSDI, PRI, PLI) diventava sempre più acuti. Tutta una serie di avventurieri come Gelli, gruppi mafiosi riuscivano a crearsi posizioni da cui ricattare il grosso della DC. Nascevano nuovi gruppi affaristici sotto la sua protezione che sviluppano con incursioni e colpi di mano nel mondo dell’alta finanza. L’allegra gestione della finanza statale, impersonata da un personaggio come Cirino Pomicino, faceva della finanza statale una macchina per la produzione di nuove concentrazioni di capitale che turbavano quelle vecchie. La Mafia era entrata nel campo finanziario e si era trasformata da luogotenente locale della borghesia del Nord in suo concorrente a livello internazionale, concorrenza che da economica sfocia in una guerra civile strisciante (le guerre di mafia).
Il regime DC faceva acqua da tutte le parti e andava sostituito, ma la guerra generale tra i gruppi imperialisti rendeva difficile l’elaborazione di un ricambio politico.
Con il “crollo del muro di Berlino” e il disfacimento dell’Unione Sovietica, una parte autorevole della Borghesia Imperialista italiana e autorevoli gruppi imperialisti esteri, misero in campo un progetto di ricambio politico.
Progetto che si componeva di due passaggi fondamentali:
- La liquidazione per via extraelettorale (essendo quella elettorale preclusa) ed extraparlamentare del ceto politico democristiano-socialista scatenando contro di esso la magistratura (Tangentopoli – Mani Pulite).
- La presentazione agli elettori della carta di ricambio costruita attorno all’exPCI. La preparazione della soluzione politica di ricambio era iniziata con la liquidazione formale del “vecchio” PCI, la sua trasformazione nel “nuovo” PDS e la sua separazione dalle parti meno omogenee al nuovo ruolo che il PDS doveva svolgere (in sostanza con la fine di ogni residua “ambiguità”).[9] Le parti dell’ex PCI che non entrarono nel PDS furono raccolte in un contenitore (Rifondazione Comunista) per tenerle sotto controllo.
Ci sono le tracce di quest’organizzazione?
Il primo a parlare di questa struttura, in un’intervista concessa all’Europeo del 17 ottobre 1974, fu Roberto Cavallaro un enigmatica figura di “sovversivo” di Stato che dichiara testualmente: “L’organizzazione esiste di per sé in una struttura legittima con lo scopo di impedire turbative alle istituzioni. Quando queste turbative si diffondono nel Paese (disordini, tensioni sindacali, violenze e così via) l’’organizzazione’ si mette in moto per cercare di ristabilire l’ordine. È successo questo: che se le turbative non si fossero verificate esse sarebbero state create ad arte dall’’organizzazione’ attraverso tutti gli organi di estrema destra (ma guardi che ce ne sono anche di estrema sinistra) ora sotto processo nel quadro delle inchieste sulle cosiddette trame nere (Rosa dei venti, Ordine nero, la Fenice, il Mar di Fumagalli, i Giustizieri d’Italia e tanti altri)”.[10]
Nel marzo dello stesso anno, al giudice Tamburino, Cavallaro aveva specificato che ai vertici di quest’organizzazione c’erano: “i servizi segreti italiani ed americani, ma anche delle potenti società multinazionali”.[11]
Cavallaro fece ulteriori e inquietanti dichiarazioni.
Nel 1972 un gruppo di uomini di diversa nazionalità si diede un appuntamento in una strutture segreta nel cuore dei monti Vosgi, al confine, al confine tra Francia e Germania. Provenivano dall’Italia, dalla Francia, dal Portogallo, dalla Polonia e dalla Spagna. In questa riunione si parlava soltanto in francese, nessuno è autorizzato a rivelare il proprio nome e ogni possibile riferimento autobiografico è ommesso[12].
La loro permanenza in quel luogo sarebbe durata alcuni giorni. In quell’occasione si parlò di sicurezza internazionale e lotta alla sovversione. Poi si parlò delle possibili soluzioni, alcune delle quali erano già in atto.
Fu in questa riunione segreta si cominciò a parlare di un immenso piano operativo: l’operazione Blue Moon.
Afferma Roberto Cavallari: “L’operazione Blue Moon aveva uno scopo molto semplice. Si trattava di fiaccare la combattività dei movimenti studenteschi europei attraverso l’introduzione delle sostanze stupefacenti nel mondo giovanile. Si parlò di un progetto programmato, nel senso che sarebbero stati i servizi di sicurezza a stabilire quali sostanze sarebbero state utilizzate e in quali quantità. La regia non era europea, ma statunitense; secondo le direttive di Washington. L’operazione Blue Moon, a quanto ci fu fatto capire durante quell’incontro, era già perfettamente in atto”[13].
Nel 1996, i carabinieri del Reparto eversione, su mandato del giudice Salvini, scrissero un lungo documento di 118 pagine dal titolo decisamente impegnativo: Annotazione sulle attività di guerra psicologica e non ortodossa compiute in Italia tra il 1969 e il 1974 attraverso l’Aginter Presse[14].
Studiando i documenti desegretati dall’amministrazione Clinton, gli investigatori dell’Arma cercheranno di ricostruire il rapporto tra i servizi segreti USA e lo sostanze psicotrope, l’operatività dell’operazione MK-ULTRA autorizzata dalla CIA nel 1953. Lo scopo era quello testare gli effetti delle droghe sulla mente umana, al fine di ottenere il controllo mentale delle persone e impiegarlo contro le persone definite “nemiche”. Il piano prevedeva sperimentazioni a tappeto su cavie inconsapevoli, che venivano selezionate nei college, negli ospedali e nelle prigioni. Nel 1957 il comando della CIA appuntava in un report: “Devono essere prese precauzioni non solo per evitare che le forze nemiche vengano a conoscenza delle operazioni, ma anche per celare le attività all’opinione pubblica in generale. Sapere che è l’agenzia coinvolta in attività non etiche e illecite avrebbe ripercussioni negli ambienti politici e diplomatici”[15].
Molti scrupoli sarebbero venuti meno con l’avvento della contestazione, quando i servizi segreti USA stando ai documenti, avrebbero iniziato a teorizzare la possibilità di utilizzare le sostanze stupefacenti cone forma di controllo della rivolta. Scrivono i carabinieri del Reparto eversione nel loro rapporto: “L’uso dell’Lsd, frutto di un ventennio di sperimentazioni, è ben chiaro in un documento Cia del 4 settembre 1970, ove, a fronte della impressionante estensione della protesta per la guerra del Vietnam, il Dipartimento della difesa suggerisce nuovi metodi di contenimento della violenza politica. Vi si afferma che la tendenza dei moderni metodi di polizia e bellici è quella di incapacitare reversibilmente e demoralizzare, piuttosto che uccidere, il nemico. Si sostiene che con l’avvento di potenti prodotti naturali, droghe psicotrope e immobilizzanti, sia nata una nuova era nei metodi di applicazione della legge”[16]
Nel maggio del 1974, fu il tenente colonnello Amos Spiazzi a confermare sostanzialmente quanto già dichiarato da Roberto Cavallaro: “E’ vero che nel giugno del 1973 – gli chiede il giudice Tamburino – come ha dichiarato a verbale Roberto Cavallaro, lei ricevette l’ordine di mettere in allarme i ‘gruppi fiancheggiatori’ delle forze armate? Da chi venne l’ordine?”. “Ricevetti – rispose Spiazzi – l’ordine dal mio superiore militare, appartenente all’Organizzazione di sicurezza delle Forze armate, che non ha finalità eversive ma che si propone di difendere le istituzioni contro il marxismo. Questo organismo non si identifica con il Sid, ma in gran parte coincide con il Sid”. “Ma come è composto questo organismo parallelo di sicurezza? È un organismo militare?”, “Mi risulta – dichiara Spiazzi – che non ne facciano parte solo i militari, ma anche civili, industriali, politici…”.[17] Sarà ancor più loquace, l’ufficiale veronese Filippo Fiore, il quale “precisò ancora meglio le caratteristiche di questa struttura: l’’organizzazione’ ha carattere di ufficialità, pur con l’elasticità per quanto riguarda metodi e personale, di volta in volta definiti con disposizioni orali…In sostanza l’organizzazione composta dagli ‘alter ego’ della struttura ‘I’ ufficiale”.[18]
Il 14 dicembre, nel corso di un un’udienza per il processo sul tentato golpe Borghese, tocca al generale Vito Miceli, già direttore del Sid ammettere pubblicamente l’esistenza di una struttura supersegreta.
Rispondendo ad una specifica domanda del giudice a latere, l’alto ufficiale afferma: “Lei in sostanza vuole sapere se esiste un organismo segretissimo nell’ambito del Sid. Io finora ho parlato delle dodici branche in cui si divide. Ognuna doveva esse ha come appendici altri organismi, altre organizzazioni operative, sempre con scopi istituzionali. C’è, ed è sempre esistita, una particolare organizzazione segretissima, che è a conoscenza delle massime autorità dello Stato. Vista dall’esterno, da un profano, questa organizzazione può essere interpretata in modo non corretto, potrebbe apparire come qualcosa di estraneo alla linea ufficiale. Si tratta – specifica Miceli – di un organismo inserito nell’ambito del Sid. Comunque, svincolato dalla catena di ufficiali appartenenti al servizio ‘I’, che assolve compiti prettamente istituzionali, anche se si tratta di attività ben lontana dalla ricerca informativa. Se mi chiede dettagli particolareggiati – conclude – dico: non posso rispondere, chiedeteli alle massime autorità dello Stato, in modo che possa esservi una chiarimento definitivo”.[19]
Con l’esplodere dello scandalo della Loggia P2, nella primavera del 1981,[20] nuove dichiarazioni si aggiungono alle precedenti sull’esistenza di un organismo ufficiale che opera segretamente in tutti i campi, ma che nessuno sa o vuole delineare in modo proprio.
Fondamentali sono, ad esempio quelle rese dal generale Siro Rossetti, già responsabile del Sios-Esercito, iscritto alla Loggia P2 che afferma che l’ “organizzazione va cercata in altre sedi quanto ai suoi gangli vitali, e direttivi, il gen. Miceli, se ha fatto qualcosa, ove non si tratti di errate valutazioni, di desiderio di lavare i panni in casa o di minimizzare responsabilità altrui, può aver operato soltanto se richiesto o innescato da centri di potere ben superiori; non si tratta, quindi, di un vertice ma di un anello che deve immancabilmente portare ad altro. A mio avviso – conclude Rossetti – l’‘organizzazione’ è tale e talmente vasta da avere capacità operative nel politico, militare, della finanza, dell’alta delinquenza organizzata”.[21]
Da un altro iscritto alla Loggia P2 venne, poi, una successiva conferma della presenza e dell’attività di un organismo non identificato che manovrava gruppi politici di destra e di sinistra per finalità proprie che niente avevano a che vedere con quelle degli inconsapevoli manovrati. Matteo L’ex, ufficiale medico e responsabile sanitario del carcere di Solliciano, raccontò ai magistrati che “un suo collega, psichiatra dell’ospedale militare di Firenze, gli aveva riferito che la destabilizzazione in Italia non era fatta solo da gruppi terroristici rossi e neri, ma da un’unica organizzazione che si prefiggeva un unico scopo”.[22]
Un’altra persona che ha denunciato la presenza di un’organizzazione specializzata nell’attuazione di strategie “eversive” ai fini della stabilizzazione del sistema è stato il terrorista fascista Vinciguerra[23] sia in sede giudiziaria che giornalistica, a partire dall’estate del 1984. Le sue dichiarazioni furono riportate dal presidente del Corte d’Assise di Venezia, Renato Gavagnin, nella sentenza al processo di Peteano: “Due punti al riguardo meritano di essere sottolineati, sempre sostenuti dall’imputato, e in istruzione e nel dibattimento e nei memoriali prodotti; il primo – scrisse il dottor Gavagnin – che si può dire stia a monte e dia giustificazione di tutto quanto poi è seguito, è che fin dal dopoguerra sarebbe stata costituita una ‘struttura parallela’ ai servizi di sicurezza e che dipendeva dall’Alleanza atlantica; i vertici politici e militari italiani ne erano perfettamente a conoscenza. Si trattava di una struttura attrezzata sul piano organizzativo ad intervenire con azioni di sabotaggio nel caso si verificasse un’invasione sovietica. Il personale veniva selezionato e reclutato negli ambienti dove l’anticomunismo era più viscerale e cioè negli ambienti di estrema destra… Quindi la strategia della tensione che ha colpito l’Italia, e mi riferisco a tutti gli episodi che partirono dal ’69 e anche prima, è dovuta all’esistenza occulta di cui ho detto e agli uomini che vi appartenevano e che sono stati utilizzati anche per fini interni anche da forze nazionali ed internazionali, e per forze internazionali intendo principalmente gli Stati uniti d’America…”.[24]
Quindi alla fine del 1989 c’erano abbastanza elementi, basati su testimonianze concrete e autorevoli per le posizioni istituzionali che avevano, per riconoscere come attiva nel Paese da almeno un ventennio, un’organizzazione segreta, occulta e nello stesso istituzionale che agiva al di fuori di ogni controllo e rispondeva del suo operato a un vertice non identificato.
Quando nel 1990 ammise ufficialmente l’esistenza di una struttura mista, composta di civili e militari denominata Gladio, molti sperarono che fosse, finalmente, smascherata la centrale terroristica. Ci sono stati di tentativi di chi intendeva escludere ogni responsabilità della gestione di Stay-behind sia l’Alleanza Atlantica sia i vertici politici militari italiani, così da rendere credibile la tesi di Gladio inserita nell’ambito dei servizi segreti deviati, sostenuti dalla CIA. Uno di questi è il giudice Casson che per far avanzare le sue tesi infiora la sua sentenza del 10 ottobre 1991 contro l’ammiraglio Fulvio Martini ed il generale Paolo Inzerilli con affermazioni di questo tipo: “Ci sono stati, poi, dei tentativi di confondere le acque dicendo che la Gladio, pur non essendo Nato farebbe comunque riferimento al Patto atlantico. È una distinzione che vorrebbe essere sottile che però non si capisce”.[25] Il tutto per concludere Stay-behind, in Italia, era esistita in forma illegittima, una deviazione della Nato, il Patto Atlantico e gli USA alla fine non c’entrano niente.
Quanto siano superficiali e depistanti queste affermazioni, lo si deduce da quanto hanno scoperto i giudici militari di Padova, Sergio Dini e Benedetto Roberti, nel corso delle loro indagini che: “la Stay-behind italiana sarebbe stata provvista di un doppio cappello…da un lato la Nato, grazie alla quale… si esercitava il segreto per non violare gli accordi internazionali; dall’altro la CIA, dalla quale si attingevano i piani informativi. Dini e Roberti avrebbero confermato anche l’esistenza di addetti a Gladio al di fuori degli elenchi ufficiali resi di dominio pubblico, sottolineando che tutti questi militanti sconosciuti esiste il sospetto che possa trattarsi di personaggi “fortemente implicati nello stragismo”. Avrebbero inoltre affermato che all’interno di Gladio c’era un ufficio ‘D’ preposto a sovrintendere sulle esercitazioni con gli esplosivi, e un altro fortemente ‘impegnato’ sul fronte sociale, a sobillare gli operai e a creare una situazione di allarme politico”.[26]
Da quello che emerge, è che ci sono due punti di coincidenza fra quest’organizzazione e la struttura nota come Gladio: il primo punto è che si tratta in entrambi i casi, di organismi a carattere internazionale che rispondono del loro operato ad un vertice che non è nazionale, ma inserito nell’ambito dell’Alleanza Atlantica. Il secondo punto sta nel fatto che in tutte e due le strutture, si riscontra la presenza dei servizi segreti americani e italiani. Ci sarebbe anche un terzo elemento di coincidenza che si tratta, che sia nell’uno sia nell’altro caso, di strutture miste nelle quali, cioè sono presenti sia militari sia civili.
Ma sarebbe più corretto dire, che sia questa organizzazione che Stay-behind (non scartando che molto probabilmente possano essere un unico organismo con diverse articolazioni) possono essere considerati nient’altro che il medesimo strumento di disordine e di terrore che gli USA attraverso la NATO si sono serviti e continuano a servirsi, per esercitare il loro dominio sul nostro paese e sull’intera Europa occidentale.
Il possibile collegamento tra quest’organizzazione e Gladio è fornito da un articolo scritto dal giornalista Ugo Bonassi, iscritto alla Loggia P2,[27] apparso sull’Il resto del Carlino del 1° novembre 1990, con un titolo esplicito e pertinente: Le regole dell’esercito segreto. Ugo Bonassi descrive la così la struttura Stay-behind italiana: “Un esercito anticomunista. ‘Soldati’ ma anche uomini di potere, dalla fine degli anni Cinquanta ad oggi oltre centomila cittadini sono stati cooptati nella struttura parallela della Nato, la Gladio”. Come e da chi venivano reclutati gli uomini di Gladio? “Dal ’56 al ’90 il reclutamento dei soldati da inserire nella struttura Gladio è stato affidato agli ufficiali ‘I’. Si tratta di ufficiali dipendenti dal Sios (il servizio di informazioni e di sicurezza delle singole Armi), inseriti in ogni compagnia delle nostre Forze armate … Sono questi ufficiali che hanno indicato nel corso di tre decenni decine di migliaia di persone che rispondevano alle caratteristiche richieste. Nei momenti di maggiore attivismo sono state reclutate per Gladio fino a cinquemila persone l’anno”.
Che facevano questa massa di gladiatori? “La stragrande maggioranza di queste decine di migliaia di persone non ha mai saputo di essere entrata a far parte della Gladio. Non conosceva la struttura ma era al corrente che, in caso di necessità (aggressione interna od esterna), doveva collegarsi – con il sistema delle cellule – agli altri uomini dello stesso gruppo, e radunarsi in una località precisa a conoscenza del solo capogruppo. Da lì avrebbe dovuto iniziare ad operare contro il nemico”.
Com’erano addestrati i soldati dell’esercito segreto? “La maggior parte di questi corsi vengono tenuti nelle basi segrete della Difesa e della Nato in Sardegna, in Veneto, sull’appennino tosco-emiliano”.
Come vivevano in mezzo agli ignari cittadini questi soldati? “Abbandonato il servizio militare, per età o per servizio di leva, gli uomini inseriti nella Gladio mantenevano un cordone ombelicale con la struttura attraverso il responsabile del gruppo, della cellula. Alcuni di loro svolgevano anche compiti di intelligence, di penetrazione di ambienti ritenuti a rischio: sindacati, partiti politici, organizzazioni culturali”. Come dire dalla Gladio si ha un rapporto continuativo.
Bonasi conferma che dentro la Gladio c’era anche l’alta finanza: “Gli uomini del potere economico, grandi imprenditori erano nella Gladio, non con compiti operativi ma con un ruolo di sostegno prevalentemente finanziario”.
Quest’articolo di Bonasi è una relazione dettagliata e precisa sulla realtà dell’esercito parallelo. Ed è la conferma che l’organizzione di cui parla Rossetti dovrebbe identificarsi con Gladio. Coincidono in modo impressionante l’indicazione sulla vastità dell’organismo, il ruolo di ricerca d’informazioni e l’opera d’infiltrazione dei suoi soldati. La presenza di esponenti del mondo finanziario, imprenditoriale cui, peraltro, aveva fatto esplicito riferimento Amos Spiazzi.
A proposito dei rapporti tra mondo finanziario e Gladio, è indicativo la lettura di un documento sequestrato nel giugno del 1982 nello studio del notaio Lollo a Roma,[28] dove si mette in evidenza che “L’organizzazione che ha operato efficacemente per escludere De Benedetti dal Banco Ambrosiano, avuta la notizia che il finanziere Bagnasco tendeva immediatamente a subentrare nella posizione di quello, ha reagito con la più viva sorpresa ed irritazione… L’onorevole Andreotti sarebbe egli a volere imporre all’istituto l’ingresso di Bagnasco il quale si gioverebbe anche dell’appoggio di autorità vaticane, quali il cardinale Casaroli e il vescovo Marcinkus…Si ha sentore che l’ingresso del Bagnasco …incontrerebbe il favore dell’attuale ministro del Tesoro (Andreatta)…L’organizzazione, tuttavia, si dichiara per doveroso riguardano l’on. Andreotti, pienamente disponibile”.[29]
È indicativo che in questo documento compaia il termine di organizzazione senza aggettivi, così com’è stato utilizzato dal gen. Siro Rossetti; in una vicenda dove finanza e politica sono strettamente legate; e che questo documento era nella disponibilità di personaggi dell’alta delinquenza organizzata.
Daniele Mastrogiacomo estensore autore dell’articolo menzionato, rivela che fu proprio Gelli chiamava la propria Loggia “l’organizzazione” nella famosa (ma sarebbe meglio dire famigerata) intervista a Maurizio Costanzo sul Corriere della Sera, con l’evidente fine di procedere ad un’identificazione che, in forma così totale, è certamente arbitrario depistante. D’altronde per i legami tra politica, mafia ed eversione militare e fascista, bisognerebbe ricordarsi di Michele Sindona che divenne per un certo periodo, l’incrocio nel quale convergevano servizi segreti, finanza, mafia e politica.
Fu proprio Roberto Cavallaro a parlare di un incontro avvenuto in una villa del vicentino tra Sindona e alcuni ufficiali americani, in vista delle preparazione di un progetto golpistico: “Durante l’incontro, scrisse Cavallaro si parla delle modalità di attuazione del piano. Il gen. Johnson, presente non a titolo personale ma per incarico degli organismi di sicurezza americani allo scopo di constatare le reali possibilità di realizzazione del progetto, afferma la disponibilità delle nazioni dell’Alleanza atlantica, in particolare degli Stati uniti e, a quanto si riferisce, della Francia, ad intervenire con truppe già dislocate ancorché mascherate in caso di sollevazione delle sinistre…”.[30]
Ci sono diversi esempi nella storia del nostro paese questi intrecci tra mondo imprenditoriale, finanziario, politico, servizi segreti ed eversione nera, sono emersi in maniera molto chiara. Come non dimenticare lo spionaggio operata dalla Fiat sul suo personale (in particolare sui militanti comunisti e quelli iscritti alla FIOM), a partire dagli anni ’50 e continuata in seguito. Spionaggio effettuato in collaborazione con i servizi segreti, la polizia ed altri corpi militari dello Stato. Come non bisogna scordarsi il rapporto organico tra la famiglia Agnelli e personaggi come Edgardo Sogno, Luigi Cavallo, e Renzo Rocca l’ufficiale del Sifar “suicidato”.[31]
Questo rapporto con la finanza e gli imprenditori, molto probabilmente nasce dal fatto che quest’organizzazione, non esistendo ufficialmente, non può avere nei bilanci militari nazionali ed in quelli della Nato una voce che chiarisca come venga finanziata. Non è fuor luogo ipotizzare che essa non possa prescindere dall’utilizzo di risorse clandestine e illegali, oltre a quelle elargite occultamente dagli Stati membri dell’Alleanza atlantica. Non è un caso che Gelli sia diventato miliardario, con il ruolo che aveva di “combattente” anticomunista.
E denaro e informazioni si trovano anche nel campo delle organizzazioni mafiose e dell’alta delinquenza organizzata dove, in più, si trovano anche uomini disposti a compiere azioni sporche ed è possibile controllare il territorio sia militarmente (in certe regioni almeno) che politicamente. Cosa è stata la mafia lo ha ufficialmente descritto, nel 1955, Giuseppe Lo Schiavo, alto magistrato della Corte di cassazione: “Si è detto – scriveva costui – che la mafia disprezza polizia e magistratura: è un’inesattezza. La mafia ha sempre rispettato la magistratura, alla giustizia si è inchinata e non ha ostacolato l’opera del giudice, nella persecuzione dei banditi e ai fuorilegge ha addirittura affiancato le forze dell’ordine”.[32] Un riconoscimento autorevole per l’attività di pubblica sicurezza svolta alla luce del sole dal potere criminale per eccellenza.
È noto che i servizi segreti della Marina USA nella seconda guerra mondiale collaborarono con la Mafia inizialmente per liquidare eventuali informatori tedeschi, operanti nel territorio statunitense.
Questa collaborazione fu denominata Operazione Underworld (operazione mondo sotterraneo) e recò alla Mafia parecchi vantaggi: il vicegovernatore dello Stato di New York cominciò a graziare alcuni detenuti e liberarli dal carcere. Era tutta gente che era stata condannata per assassinio, estorsione, incendio di negozi e magazzini, esercizio abusivo della professione medica.
Come è altrettanto noto della collaborazione tra Mafia e servizi USA per la conquista della Sicilia. Così mentre il fronte avanzava, nelle retrovie si formò l’Amgot, il governo militare alleato dei territori occupati. Governatore fu nominato il tenente colonnello Charles Poletti, che era la stessa persona che negli USA era stato il vicegovernatore dello Stato di New York, lo stesso personaggio che aveva elargito grazie a volontà. Tra il personale impiegato da Poletti, ci fu il boss Vito Genovese, con le funzioni d’interprete. Dal controllo del territorio, dei municipi, di fabbriche e aziende, al traffico di materiali militari, benzina, gomme, vestiario, medicine, sigarette e scatolette, tutto passava il governo militare alleato e per ogni carico di quel tutto Vito Genovese era pronto a fornire i suoi servigi di traduttore.
Bisogna dire che le lupare dei picciotti non ebbero nessun ruolo dal punto di vista militare. Si deve al particolare piano dei tedeschi il fatto che gli americani di Patton arrivarono a Palermo in tempi record mentre, invece, gli inglesi trovarono un’accanita resistenza nella Sicilia orientale. La strategia difensiva impostata dal quartiere generale tedesco prevedeva la costruzione di linee fortificate progressive sulle quali fermare gli Alleati. Linee che erano costruite dal loro genio militare sfruttando al massimo la natura del terreno. In Sicilia i tedeschi si arroccarono attorno alla parte orientale dell’isola, stringendosi progressivamente verso lo stretto di Messina, per garantire la ritirata delle loro divisioni e così l’avanzata di Patton verso Palermo fu rapida e priva di una vera resistenza.
Molti padrini furono nominati sindaci da Charles Poletti. Don Calogero Vizzini diventò sindaco di Villalba. Il controllo del territorio occupato era un elemento essenziale della strategia militare. Poco importava che fosse garantito proprio dai padrini e così la loro autorità, sopravvissuta al crollo dello Stato fascista, riemerse tra le macerie della guerra.
Anche da parte dei servizi segreti italiani si tentò un recupero della Mafia: “con i decreti-legge del 1941 e 1942 furono sospese le disposizioni di P.S. del 1925 (le famose ordinanze Mori) la prima delle quali porta la data del 5 gennaio 1925 (le ordinanze furono poi inserite nel decreto-legge del 1926, legge 2 giugno 1927). Fu così che venne permesso il rientro di Sicilia dei mafiosi che si trovavano nei luoghi di confino di polizia. Ufficialmente l’operazione venne giustificata con ‘motivi umanitari’, strani motivi se si pensa che i mafiosi erano stati allontanati dall’isola in tempo di pace. Farveli ritornare in tempo di guerra, quando l’isola era già zona di operazioni, poteva servire a migliorare le cose? La verità è che l’iniziativa partì dal superSim che fece pressioni sul ministero degli interni per poter utilizzare questi uomini. Sull’argomento molte cose potrebbero dire l’ex capo della polizia, Angelo Vicari, che è stato uno dei protagonisti dei servizi di sicurezza italiani per 35 anni”.[33]
Torna l’ombra di una superstruttura del Sim, appaiono i nomi di Angelo Vicari e lo spettro di un patto stretto tra mafiosi e servizi segreti italiani nel corso della seconda guerra mondiale con l’intento di favorire la vittoria delle potenze anglosassoni. Ritorna alla memoria anche il non tanto conosciuto art. 16 del Trattato di pace (e che io sappia tuttora in vigore) che conteneva: “fra le tante clausole destinate a rimanere segrete. Un preciso elenco di persone definite ‘in tutti i casi intoccabili’. Si tratta di 9600 nomi di ‘intoccabili’, forse anche con licenza di uccidere, fra questi più di mille nomi erano di mafiosi”.[34]
Si potrebbe ipotizzare che a una superstruttura nazionale, dopo la seconda guerra mondiale, si sostituì un’altra, sovranazionale, che si assunse precisi compiti politici potendo contare su una massa già collaudata di uomini. In sostanza si affidava a un’organizzazione criminale il compito di arruolare in forma permanente, sotto i propri simboli, nella battaglia contro il comunismo, in concorso con polizia e carabinieri e la gratitudine della magistratura. Ma chi poteva, al riparo di un segreto impenetrabile, utilizzare l’organizzazione mafiosa in difesa della “civiltà cristiana”, dell’integrità della famiglia contro sovversivismo ateo, privo di ogni principio morale, se non chi governava Stay-behind?
È noto che la Sicilia abbia rappresentato, nei piani militari elaborati fin dal secondo dopoguerra, il territorio sul quale in caso di invasione sovietica doveva rifugiarsi il governo italiano e dal quale doveva partire la controffensiva destinata a “liberare” il Paese. Con i suoi recedenti storici che garantivano la sua totale e incondizionata affidabilità, la mafia non poteva che essere inglobata nei piani di difesa dalla “sovversione rossa” elaborati dalla Nato, ed il suo arruolamento nelle Stay-behind o per meglio dire nell’Organizzazione fu automatico.
La conferma che nell’ambito delle cosche, l’esistenza di strutture segretissime dell’Alleanza atlantica era nota viene (solo per citare un esempio) dal fatto che è proprio un mafioso a rivelare che a Trapani opera una cellula di Gladio. Si legge in un articolo del Corriere della Sera: “Il sostituto procuratore Franco Messina ha deciso di interrogare l’ammiraglio Fulvio Martini, capo del Sismi all’epoca in cui a Trapani avrebbe operato una cellula di Gladio. Il magistrato cercherà la conferma di quanto sostenne il boss italo-americano John Cuffaro, secondo la il quale lungo la costa operava l’organizzazione Scorpione coordinata d Vincenzo Li Causi”[35]. Informazione rivelatasi esatta. Un mafioso, quindi, sapeva. E quanti altri dello stesso ambiente sanno per avervi fatto parte o per avervi collaborato?
Li Causi è un nodo importante nella storia inerente a Gladio. Nato a Partanna, in provincia di Trapani, si addestra con i duri del Comsubin, gli incursori della Marina. Punta di diamante del Sismi, era entrato nel servizio segreto militare (allora Sid) a soli 22 anni, nel 1974, e nell’organizzazione Gladio tre anni più tardi.
Li Causi faceva parte anche degli Ossi (Operatori speciali dei servizi italiani),[36] la struttura segretissima che effettuava operazioni di Guerra non ortodossa, ritenuta eversiva dell’ordine costituzionale dalla seconda Corte d’assise di Roma.[37]
L’esistenza è stata confermata, nel suo libro di memorie, dallo stesso ex direttore del Sismi, ammiraglio Fulvio Martini.[38]
Tra il 1980 e il 1981 Li Causi segue l’attività di Abu Abbas, il leader del Fronte per la liberazione della Palestina, che proprio in quel periodo si era recato più volte a La Spezia per preparare il sequestro della nave Achille Lauro (avvenuto poi nell’ottobre del 1985). Un sequestro di cui proprio gli addestratissimi uomini degli Ossi si occuperanno. Li Causi, inoltre, partecipa a operazioni importanti, come la liberazione del generale USA Dozier, rapito dalle BR nel 1981.
Li Causi era l’uomo di fiducia del generale Inzerilli, responsabile di Stay-behind, ovvero Gladio, andò nel 1987 in Perù per quella che fu definita “operazione Lima”, portando con sé, oltre a tecnici esperti, armi e apparecchiature tecnologiche sofisticate come ponti radio e sensori e sensori a raggi infrarossi, per un valore di cinque miliardi di lire italiane.[39]
I deputati di Rifondazione (tra i quali Tommaso Dorigo) che firmarono l’interpellanza parlamentare, nell’ottobre del 1992, si riferivano a un’indagine della Procura militare di Padova. Davanti ai giudici Benedetto Roberti e Sergio Dini, titolari di un ramo dell’inchiesta Gladio, testimoniò lo stesso ammiraglio Martini, allora titolare del Sismi. Durante la sua testimonianza, sostenne che “l’operazione Lima” fosse “un regalo di Bettino Craxi al suo amico Alan Garcia”.[40] Lo scopo della missione era proteggere il presidente peruviano da un possibile colpo di Stato da parte delle Forze Armate e soprattutto dare la caccia ad A. Guzman, nella sostanza aiutare il regime peruviano a combattere la guerra popolare condotta dal Partito Comunista del Perù. È molto probabile che gli italiani lasciassero ai servizi segreti peruviani non solo armi, apparecchiature e un background investigativo notevole, ma anche qualche pista che in seguito si rileverà determinante alla cattura di A. Guzman.
Tra il 1987 e il 1991, poi, Li Causi dirige il Centro Scorpione di Trapani, una delle 5 basi di addestramento di Gladio, incarico che svolge con un nome di copertura.
Scorpione, resta il più misterioso dei 5 centri operativi Stay-behind, creati in Italia dal Sismi sotto le gestione di Fulvio Martini. Basti pensare che le indagini su questa sede trapanese condotte con la scoperta dell’esistenza della rete Gladio non siano riuscite a ricostruire lo scopo, il lavoro svolto, le strutture utilizzate, i fondi impiegati.
Quando Falcone provò a scoprirlo, in relazione alle indagini inerenti all’assassinio del parlamentare PCI Pio La Torre, non ottenne il necessario via libera dal suo capo, l’allora procuratore capo Pietro Giammanco, che eluse la risposta. In seguito, Falcone lasciò Palermo, avendo accettato il posto di direttore degli Affari Penali che gli era stato offerto dal ministro della Giustizia Claudio Martelli.
A Roma, però, Falcone continuava a conservare l’archivio di Gladio nel suo computer e a tenere tanti altri appunti su questa indagine mai avviata. Il magistrato ricordava fra l’altro le parole del giornalista-sociologo della comunità Saman di Trapani Mauro Rostagno, che nell’estate del 1988, due mesi prima di essere ucciso, si era presentato all’improvviso al Palazzo di giustizia per raccontargli di armi, aerei, aiuti umanitari per la Somalia.
Li Causi fu indagato come presunto appartenente alla Falange Armata, la misteriosa organizzazione nata all’interno della VII divisione del Sismi: faceva parte dell’Ufficio K, l’apparato supersegreto voluto e creato da Fulvio Martini. Li Causi doveva tornare in Italia davanti ai giudici nell’ambito delle inchieste su Gladio.
Li Causi fu inviato in Somalia per operare con le truppe italiane che erano presenti in questo paese nell’ambito dell’operazione Ibis (che era il nome dell’intervento italiano nell’ambito della missione ONU Restore Hope).
Egli fu ucciso in un agguato in Somalia il 12 novembre 1993.
Senza dubbio Li Causi per il fatto di eseguire operazioni molto speciali al di là di ogni limite, era uno che sapeva troppo.
Secondo un uomo di Gladio intervistato alla trasmissione Report di RAI 3 afferma che Gladio si dedicava al traffico internazionale di armi e di rifiuti tossici e nucleari, e che Li Causi passava le informazioni inerenti a questi traffici.
A proposito di traffici di rifiuti tossici, un collaboratore di giustizia Francesco Elmo ha indicato agli investigatori una serie di cave e siti in cui la mafia trapanese avrebbe interrato materiale inquinante (siti che, tuttavia, non sono mai stati trovati).
Strana figura questo Francesco Elmo. Arrestato per reati minori, afferma di essere stato un attivista di estrema destra e di essere stato utilizzato dai servizi segreti. Egli a Trapani ha parlato dell’omicidio Li Causi, del traffico di stupefacenti e armi che sarebbe gestito dalla mafia, dalla massoneria e da elementi dei servizi segreti. Egli afferma che il Centro Scorpione era già operativo dal 1983 e che Gladio operava su tre livelli: il primo, composto da civili reclutati tra coloro che erano decisamente anticomunisti e avevano simpatie per le forze dell’ordine; un secondo livello composto da militari del tipo sottoufficiali e massoni; un terzo livello, la vera e propria Gladio che operava in diversi settori, composto da ufficiali in possesso del N.O.S. (nulla osta segretezza) anche a livello Nato e da massoni di alto livello. Il primo livello operava in diversi settori, tra cui quello universitario. Il secondo livello cui faceva parte Li Causi aveva compiti di infiltrarsi negli ambiti di estrema sinistra per effettuare un attività di sorveglianza.[41]
Infine, Elmo racconta dell’esistenza di alcuni campi di addestramento, due dei quali in Sicilia, dove si esercitavano, oltre agli appartenenti di questa struttura, anche terroristi mediorientali, uomini di Cosa Nostra ed estremisti di estrema destra. Indica tra gli addestratori di questi campi, anche il capitano Riccardo Trombetta, che era stato indicato dal P.M. Casson come capitano di completamento della Folgore e istruttore segnalato come presunto appartenente a Gladio, arrestato nel 1992 a Venezia nell’ambito dell’inchiesta su un megatraffico internazionale di armi da Israele verso la Croazia, insieme con esponenti della mafia siciliana legati al clan Fidanzati, e aggiunse che in questi campi Pietro Rampulla (che viene considerato l’artificiere della strage di Capaci), che era considerato uno degli esperti in esplosivi di Cosa Nostra, era stato addestrato da esperti arabi.[42]
Inoltre, egli afferma che Francesco Cardella, il guru della comunità Saman, fu ricattato dai servizi (il ricatto si basava su un traffico di stupefacenti gestito dalla comunità per uso interno), per utilizzare la sua comunità come base di appoggio per elementi terroristi arabi; per utilizzare la stessa comunità quale serbatoio elettorale e per utilizzare gli stessi canali per il traffico di stupefacenti.[43]
Cardella interessava i servizi segreti per i suoi rapporti con personaggi particolari. In sostanza, era sospettato di essere diventato il referente della sinistra trapanese di ambienti massonici e mafiosi, e ritenuto di essere il collegamento tra i socialisti italiani, la mafia trapanese, la massoneria e ambienti internazionali dediti al riciclaggio. In particolare, Cardella, era sospettato di avere utilizzato unitamente alla famiglia Minore di Trapani delle cave di tufo abbandonate del trapanese per lo stoccaggio di rifiuti chimici.
A livello nazionale era avere dei legami con Craxi e con altri uomini politici. A livello internazionale era indicato come legato ad Alvaro Robello, che si riteneva appartenente alla massoneria, che era stato l’ambasciatore del Nicaragua a Roma, e per questo sequestrato dai Contras e liberato dalla CIA.
Sia Cardella sia Robello erano indicati come appartenenti alla super Loggia Montecarlo.[44]
Tornando a parlare di mafiosi, Tommaso Buscetta è senza dubbio uno dei più famosi e indi per cui fa parte della categoria delle persone che la sanno lunga, ebbene egli viaggiava con quattro passaporti intestati a nomi diversi, rilasciati dalla Questura di Palermo a suo nome, un secondo intestato a nome di Aldo Calini, un terzo a Salvatore Guggianti, un quarto a Giovanni Gallucci. Analoghi vantaggi ne godevano altri boss mafiosi di alto spessore.
È scorretto dal mio punto di vista affermare che ci fu sottovalutazione del fenomeno mafioso da parte delle istituzioni, ma nella realtà, ci fu un legame con gli apparati dello Stato da parte dei mafiosi, che non badavano solamente ai loro affari criminali ma si occupavano d’altro come “salvare l’Italia dal comunismo”.
Racconta il mafioso catanese Antonio Calderone, oggi “pentito” che: “mentre Liggio si nascondeva a Catania ricevette la visita di due capi di Cosa nostra di Palermo, Salvatore Greco ‘Cichteddu’ e Tommaso Buscetta che dovevano discutere con lui di una questione di notevole importanza: la partecipazione della mafia ad un colpo di Stato al cosiddetto ‘golpe Borghese’ del 1970”[45].
Don Masino (come lo chiama certa stampa) si rivela persona non informata su questo avvenimento da sempre sottovaluto e, non a caso cancellato dalla magistratura romana, prima e in seguito sepolto dalla Corte di cassazione. Scrive Bruno Ruggero sul Giorno: “Buscetta ha ricostruito il suo viaggio, dagli Stati Uniti all’Italia, con tappa in Svizzera per sentire in cosa consisteva l’offerta fatta a Cosa nostra dal principe Junio Valerio Borghese, perché la mafia partecipasse al tentativo golpista previsto per fine del 1970. ‘Chi sapeva tutto dei miei movimenti era il col. Russo perché era parte del colpo’, ha detto Don Masino ai parlamentari. Russo, secondo o piani territoriali predisposti pe la fatidica ora X, ‘era incaricato di arrestare il prefetto di Palermo”[46].
Buscetta non è stato uno dei tanti picciotti usati una sola volta e poi abbandonati dallo Stato al loro destino criminale. No, Buscetta è stato un mafioso mobilitato per “salvare l’Italia dai comunisti”. Nel 1974 doveva esserci un altro golpe, ma lui don Masino, si trovava in galera, sia pure confortato dalla deferenza dei secondini, da dove sarebbe stato fatto scappare in concomitanza con l’evento, come egli stesso racconta: “Ho ricevuto dal mio direttore di carcere, dott. De Cesare, la notizia che dopo pochi giorni sarebbe successo un colpo di Stato, e che io sarei passato attraverso un brigadiere della matricola, per un cunicolo e sarei entrato in casa sua e sarei stato liberato”[47]. Quattro anni più tardi sequestrarono Aldo Moro, e Buscetta che si trovava ancora in galera, viene subito contattato da un uomo legato a Frank e a quanto pare ai servizi segreti italiani, per attivarsi per liberare Moro[48].
Un mafioso, Buscetta, a cui la Questura fornisce una grande quantità di passaporti, che concorre a destabilizzare l’ordine pubblico per stabilizzare quello politico, che partecipa ai golpe degli anni Settanta, che viene attivato per far liberare Aldo Moro, ha tutte le caratteristiche di quello che si potrebbe definire il “picciotto di Stato”, sia quello ufficiale che quello parallelo.
Altro che “guerra alla mafia”, con essa c’è stata da parte degli apparati dello Stato un legame istituzionale. I boss mafiosi non badavano solo ai loro affari, ma si occupavano d’altro come ad esempio di “salvare l’Italia dal comunismo”, degli autentici patrioti insomma.
PISTA ATLANTICA PER LE STRAGI DEL ’92 E ’93
Che una struttura di intelligence, probabilmente collegata alla Cia, monitorasse la stagione delle stragi del ’92 e del ’93 e le fasi della trattativa Stato-mafia, lo ipotizzò negli anni passati la stessa Procura di Caltanissetta che tra gli agenti di questa agenzia cercò invano il fantomatico “signor Franco”, l’uomo senza volto che Massimo Ciancimino aveva definito “l’agente italiano di influenza americana”, che avrebbe seguito tutti i passaggi del dialogo tra i boss e le istituzioni, e che finora non è mai stato individuato[49]. Lo stesso Ciancimino jr ai pm di Palermo rivelò che suo padre Vito, era stato un soldato della struttura atlantica Gladio. Gli inquirenti ne hanno trovato traccia un pizzino consegnato da don Vito in persona: un foglio A4 manoscritto, che si apre con la dicitura: “Gladio per SERRAVALLE[50] era una copertura, già nel passato in cui ne ero a capo ho sospettato che Gladio fosse una struttura che servisse da copertura a qualcosa di nascosto, a un magma che vi navigava sotto e che doveva restare segreto…”[51].
Il figlio Massimo confermò confermo che suo padre: “faceva parte di Gladio”, secondo Ciancimino jr questo rapporto risalirebbe allo sbarco degli americani in Sicilia: “Mio nonno Giovanni era stato assoldato all’epoca dello sbarco come interprete, perché era uno dei pochi corleonesi che sapeva l’inglese, perciò mio nonno è stato assoldato da quelli che a suo tempo si chiamavano i marines”. Un rapporto evidentemente ereditato da don Vito, che costituì le sue prime società con un colonello americano. Dichiarò Massimo a pm: “Difatti quelle licenze che voi avete sono le prime società import-export che mio padre costituisce insieme a questo colonello americano, perché il rapporto poi continua nel tempo”. Anche il misterioso agente dei servizi segreti Carlo Franco sarebbe stato a conoscenza dell’affiliazione a Gladio di don Vito, quale Massimo non conosce altri dettagli: “Partecipò a riunioni, ma mi sembrano cose così lontane dalla mia realtà… escludo ogni partecipazione di mio padre a strutture come massoneria e cose varie, mentre mi ha sempre parlato di Gladio. Un argomento non ho approfondito perché mi sembrano veramente temi… da film quasi”[52].
L’ombra americana prese corpo nel 2012 quando i pm nisseni valutarono addirittura di formulare una richiesta di accesso agli archivi di Washington per mettere a fuoco il ruolo e le funzioni di Duane Clarridge[53], ex capocentro della Cia in Italia, all’epoca ottantenne (è morto nel 2016), descritto in alcune biografie come un intermediario tra la P2 di Licio Gelli e l’ambasciata USA, fino a quando la P2 non fu sciolta. Tutte le ipotesi della Procura finirono in nulla poiché non ci fu alcuna trasferta dei pm per interrogare lo spione americano.
I quesiti rimangono tanti. Quello che si sa e che Clarridge dopo aver abbandonato la Cia nel 1991 aveva messo in piedi un’agenzia di spionaggio privata, la Eclipse Group, che forniva riservatamente i suoi servizi al Pentagono ricevendo fino al 2010 finanziamenti dal governo USA, e avvalendosi successivamente di fondi privati, come aveva consentito la privatizzazione dell’intelligence disposta dall’amministrazione Bush, dando via libera ai cosiddetti contractors. Al punto che alcune operazioni militari condotte anche recentemente nelle zone calde del mondo furono organizzate sulla base di informazioni raccolte dalla struttura parallela, definita una sorta di Cia-ombra, prima che l’amministrazione Obama decidesse di “licenziare” Clarridge[54].
Sarebbe stato lui secondo l’ipotesi nissena, a monitorare attraverso i collegamenti con agenti italiani, la stagione delle stragi e delle trattative. Perché? Solo per raccogliere informazioni o anche per orientare il cambiamento politico italiano in modo da salvaguardare gli interessi americani? Una tesi circolata per anni senza alcuna conferma ufficiale/istituzionale: già Paolo Cirino Pomicino, l’ex ministro democristiano, in un’intervista del 2010 aveva parlato di una “manina americana” nello stragismo indicando una convergenza di obiettivi tra Cosa Nostra e i servizi segreti atlantici per provocare in Italia uno scossone politico ed eliminare Craxi e Andreotti (Cirino Pomicino disse che “L’intelligence degli Stati Uniti ce l’aveva con loro dopo i fatti di Sigonella”)[55].
Repubblicano del New Hampshire, rampollo di una famiglia di estrema destra, Duane Clarridge aveva una biografia degna di un romanzo di spionaggio. Egli partecipò a molte delle operazioni condotte dai servizi segreti americani negli ultimi cinquant’anni. Su tutte, quella che nel 1973 portò al golpe contro il presidente socialista cileno Salvador Allende. Dal 1979 al 1981 Clarridge si trasferì a Roma, dove diresse la divisione italiana dei servizi USA.
Clarridge lasciò l’Italia nel 1981, quando venne nominato capo[56] della divisione Cia per il Sudamerica e cinque anni dopo contribuì alla fondazione del Centro antiterrorismo della Cia. Poi, però venne coinvolto nell’affare Iran-Contras, che nel 1985 portò alla luce i traffici illegali di armi dagli USA all’Iran (i cui proventi erano serviti a finanziare l’opposizione controrivoluzionaria al governo sandinista nicaraguense), e lo scandalo lo trascinò davanti ai giudici. Nel 1991 Clarridge venne condannato per aver mentito sul suo coinvolgimento davanti al Senato americano, ma venne graziato l’anno successivo dall’allora presidente Bush. Fu costretto a dimettersi dalla Cia ed a questo punto che fondò l’Eclipse Group[57]. È questo il periodo nel quale – secondo l’ipotesi della Procura nissena, Clarridge avrebbe puntato i riflettori della sua agenzia sulla crisi italiana.
RUOLO DELLA P2 E DEI FASCISTI
Non possiamo, a questo punto non affrontare uno dei nodi cruciali della questione riguardante le strutture parallele o le Stay-behind o l’Organizzazione o come ancora meglio si voglia definire lo strumento operativo dello Stato parallelo: la sua identificazione o meno con la Loggia Propaganda 2, diretta da Licio Gelli. Dal mio punto di vista è fuorviante la tesi che vuole identificare l’Organizzazione con la P2.
Il fatto che siano esistite due organizzazioni di carattere militare-massonico, collegate fra di loro dalla medesima esigenza di dare una risposta extra-istituzionale a quello che veniva considerato il “pericolo” dell’avanzata del PCI non deve far pensare che entrambi siano state in realtà avulse da quel contesto nazionale e sovranazionale all’interno del quale troviamo gli strateghi della guerra politica anticomunista. Nessuno, cioè, deve indursi a confonderle con il vertice nazionale, il centro propulsore unico di tutta la battaglia ideologica in tutti i suoi risvolti concreti in campo politico, economico, criminale e militare, condotta nel nostro paese dal 1945 in avanti.
Se la Massoneria ha svolto il ruolo di copertura agli organismi creati da questo che si potrebbe definire uno “Stato parallelo atlantico”, come dicevo prima sarebbe errato che essa sia assimilata a quest’organizzazione di cui si parla, e non invece come uno strumento potente e spregiudicato di questo “Stato parallelo atlantico” sovranazionale.
Bisogna dire che questa copertura allo “Stato parallelo atlantico” non fu all’interno della massoneria italiana un passaggio tranquillo. Decisivo a questo passaggio fu il ruolo della massoneria USA in particolare quello del Rito Scozzese.
Nel 1945 la Massoneria italiana si era presentata all’appuntamento della liberazione in ordine sparso, dopo la scissione del 1909 non più ricomposta fra Palazzo Giustiniani e piazza del Gesù. Questione aperta rimaneva il contrasto su chi fosse il vero depositario della tradizione della regolarità massonica, l’Obbedienza di piazza del Gesù era quella rimasta fedele, all’Obbedienza della Gran Loggia di Londra. Per questo motivo alle logge di obbedienza inglese a Roma, pur divise fra loro, si accostavano subito elementi americani.
Il Grande Oriente d’Italia raccoglieva l’eredità dell’obbedienza al Rito simbolico francese e l’eredità anticlericale risorgimentale.
Il 18 aprile 1945 Guido Lay Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, in un’occasione di un acceso discorso in cui egli riproponeva le linee dell’impegno post-risorgimentale in senso anticlericale, col sostegno a una a una repubblica chiaramente antifascista, con una coloratura socialista. È ovvio che questo discorso non entusiasmasse gli americani.[58]
Le pressioni americane per la riunificazione massonica portarono alla rottura tra il Grande Oriente d’Italia e il Grande Oriente di Francia e la fine della polemica anticlericale da parte del Grande oriente (il Vaticano era una componente fondamentale nell’ambito della cosiddetta guerra fredda per il fronte atlantico), si ricompattava così un fronte schierato a difesa di valori antitetici al materialismo (in altre parole al marxismo).
Questi contrasti massonici non c’erano ovviamente solo in Italia. Allende, socialista, che nel 1970 divenne Presidente della repubblica cilena, con un fronte composto da socialisti, comunisti e radicali, che cominciò una politica di nazionalizzazioni entrando così in contrasto con le multinazionali USA, era un massone.
Allende proveniva da una famiglia con forti tradizioni massoniche, suo nonno Ramon Allende era Gran Maestro della Gran Loggia del Cile.
Allende era l’esponente di quell’idea massonica che riteneva importante l’intervento nell’ambito sociopolitico quale preciso dovere e compiutezza dell’esperienza massonica. Era stato duramente attaccato dai media argentini di area conservatrice, che, falliti i tentativi di adombrarne per l’appartenenza massonica, studiarono di attaccarlo per il suo marxismo quale rinnegamento del massonismo. Questa critica fece presa su ambienti massonici, che criticarono l’apertura al mondo profano in favore del ripiegamento sul perfezionamento interiore o su operazioni meramente filantropiche. Allende spiegò nel suo intervento che l’impegno sociale faceva già parte della Massoneria cilena, citando fatti e personaggi massonici che hanno conformato la storia del paese.[59]
Dopo l’assassinio di Salvador Allende l’11 settembre 1973, e l’uccisione dei suoi collaboratori, molti dei quali erano massoni come il generale Alberto Bachelet (padre di Michele Bachelet che divenne in seguito Presidente della Repubblica del Cile), massacrato in carcere dai gorilla golpisti, si verificò una scissione nella Gran Loggia da parte dei massoni più sensibili all’impegno sociale e più vicini ad Allende, che non tollerarono l’equidistanza dell’istituzione massonica di fronte al regime, posizione che si spinse sino alla collusione con l’adesione attiva del Sovrano RSAA Pedro Castelblanco Aguero. Ebbe così origine il 21 giugno 1984 il Grande Oriente del Cile in esilio, che si prefiggeva di continuare il magistero di Allende contrapponendosi così alla collaborazionista Gran Loggia, che comunque conservava i riconoscimenti inglesi e americani delle Massonerie regolari.
Sembra un paradosso ma anche Augusto Pinochet era massone. Fu iniziato nel 1937 nella Loggia Victoire n. 15 di San Bernardo, un paese a circa 15 km a sud di Santiago, quando era tenente dell’esercito appena sfornato dell’accademia. Risulta che frequentò la Loggia solo 6 mesi, poi fu trasferito e si assonnò.[60]
Torniamo in Italia e poniamoci la domanda su che cosa fu veramente la P2. Una Loggia regolare come sostiene Aldo Mola, direttore del Centro Studi della massoneria?[61] O una Loggia riservata, che annovera fra i suoi iscritti persone che sono consapevoli di fare di far parte di un potente centro politico ed economico, ma non tutti erano in grado di comprendere, di sapere chi fosse Licio Gelli e quali fosse i suoi reali intendimenti?
Si potrebbe ipotizzare che non tutti gli iscritti alla P2 facessero parte di quel gruppo ristretto denominato “raggruppamento Gelli-P2” come Gelli ribattezzò la sua Loggia.[62]
Che all’interno del Grande Oriente d’Italia, in molti si accorsero, o vennero a conoscenza, dell’uso che lo Stato parallelo stava facendo della P2, lo dimostra il fatto che in tutto il periodo in cui Gelli ricoprì l’incarico di Grande Maestro, il Grande Oriente fu punteggiato da scontri e contestazioni durissime nei suoi confronti e contro quella parte dell’Obbedienza che lo sosteneva.
Ritengo che sia riduttiva definire la P2 una Loggia eversiva. Con grande chiarezza Armando Corona, l’ex Grande Maestro del Grande Oriente d’Italia dichiarò che “gli USA hanno patrocinato la nascita di Gladio, e qualcosa di simile è avvenuto per la P2”,[63] volendo così stabilire un parallelo che non può esser considerato casuale. Prosegue Corona “Solo così mi spiego come Licio Gelli. Che fino al giorno prima era stato un rappresentante di commercio della Permaflex, improvvisamente incomincia a ricevere i capi di Stato maggiore dell’Esercito, il segretario della camera dei deputati, giornalisti e direttori di grandi testate, presidenti di banche, finanzieri, insomma tutto il mondo che allora contava. Penso che gli Stati uniti abbiano favorito l’ingresso di questi personaggi influenti in una struttura che potesse garantire con più sicurezza gli interessi occidentali…”.[64]
Tina Anselmi, che presiedette la Commissione di inchiesta sulle attività della Loggia P2, che pur riuscendo in un senso a demonizzare la figura di Licio Gelli, senza però intaccare alcune segreto dell’apparato nel quale costui è inserito, si è sentita autorizzata ad affermare che: “Tutti i fatti giunti a conoscenza della Commissione d’inchiesta ci hanno portato alla convinzione che la P2 è stata creata con precise finalità politiche, ed ora, per la prima vola in undici anni, la conferma viene dalla stessa massoneria che riconosce il rapporto fra P2 ed ambienti americani e che indica con chiarezza come la loggia sia stata scelta come organizzazione di copertura per un’azione di controllo della politica…L’onorevole Anselmi, ha affermato che solo la presenza di una strategia politica, di cui, di cui Gelli era solo un direttore esecutivo, ma non certo l’ideatore, può spiegare il coinvolgimento di alti vertici dello Stato nella loggia massonica”.[65]
E lo stesso concetto lo ribadisce, nell’agosto del 1992, il settimanale di CL Il sabato, che scrive che la P2 “altro non era che una loggia di garanzia degli interessi americani in Italia, che ha operato anche dopo l’89”.[66] Insomma, a 11 anni della scoperta della Loggia, si comincia ad ammettere quello che prima si negava: che la Loggia era espressione diretta del potere atlantico e non a essa estranea se non addirittura ostile.
La Loggia P2, potrebbe essere considerata una sorta di agenzia dell’organizzazione, uno strumento creato ad hoc per operare in un certo modo, capace di coagulare attorno a sé centinaia di personaggi potenti, in Italia e all’estero, utili per interventi di carattere politico e finanziario, senza compromettersi.
Bisogna dire che a rendere complessa la lettura di cosa è stata la P2 (ma forse sarebbe meglio dire cosa è tuttora il piduismo), bisogna tenere conto che la realtà non è solo bianca o nera, ma quando parliamo di situazioni dove ci sono di mezzo servizi segreti o logge massoniche il colore prevalente è il grigio.
Dice a proposito il professor Aldo Giannuli[67] storico, politologo e saggista: “La P2 era un comitato di affari che si è sciolto in quanto loggia P2 dopo lo scandalo del 1981, ma che ha continuato a esistere fino ai giorni nostri, con figure che sono uscite e altre che sono entrate. Questa sorta di conglomerato di potere sostanzialmente è sempre esistito”[68].
Nonostante l’ultra-atlantismo di Gelli “la massoneria angloamericana non ha digerito i tentativi di chiamare in causa e riabilitare le massonerie del Sud del mondo. Nella P2 troviamo infatti colonelli argentini, capi di stato come Anwar Sadat (Egitto) e William Tolbert (Liberia) e figure chiave del regime rumeno di Ceausescu. Un qualcosa che agli angloamericani non piaceva per niente. La disgrazia di Licio Gelli comincia quando, essendosi probabilmente montato la testa, decide di creare l’Ompam.[69] Un’iniziativa non gradita dagli americani che gli fanno capire che agli italiani certe cose non spettavano. La P2 è una banda strettamente anticomunista, ma principalmente un gruppo di spregiudicati, ci si trova alti esponenti della Romania di Ceausescu, non a caso presenti anche nel Club di Berna organizzato dal piduista Federico Umberto D’Amato[70]. Accanto a essa troviamo mondi che fanno riferimento ad Andreotti e che fanno operazioni in Etiopia con la ditta Salini, strizzando l’occhio ai sovietici. Anche la vicenda di Sigonella è sintomatica: la pone in essere Craxi, ma non fu Andreotti a opporsi, bensì il repubblicano Spadolini”[71].
C’è indubbiamente un filorosso tra massoneria e servizi segreti “Tutti gli apparati statali degli anni Settanta erano a larga partecipazione massonica; c’è una voce che questo fil rouge sia continuato fino a oggi, e che persino Walter Bior[72] sia un ‘fratello’”.
Negli elenchi della P2 emersero figure di un certo livello come Carlo Alberto dalla Chiesa “I quesiti su dalla Chiesa e sulla volontà di infiltrare la P2 sono complessi e la verità in questo in questo caso sia grigia: come mi disse il generale Mori, dalla Chiesa quando si infiltrava in un ambiente voleva diventare quello che comandava, voleva fare della P2 il suo strumento di potere”[73].
Gelli, in maniera indiretta rivela di quale potere si tratta, quando dichiarava: “Non sono mai stato fra gli organizzatori di Gladio, anche se la conoscevo: una legione invisibile di persone oneste che ha salvato l’Italia”.[74] Certo nessuno ha mai collocato l’ex materassaio di Arezzo tra i soldati di Gladio. Però ci sono stati massoni che hanno fatto parte di Gladio: il friulano Giorgio Brusin, membro della giunta del Grande Oriente d’Italia, Antonio Melis detto “Salvatore”, responsabile della struttura clandestina in Sardegna, Francesco Dentice di Accadia e altri appartenenti al Rito Scozzese.
Come si vede ci sono massoni-gladiatori, ma come ci sono anche massoni-mafiosi e mafiosi-fascisti. Questo potrebbe far pensare che la Massoneria sia la cupola promotrice di strategie finanziarie e politiche a respiro internazionale. Ma non si potrebbe pensare che dietro gli Ordini ufficiali ci siano realtà parallele?
Ebbene qualcuno che non si potrebbe annoverare fra gli ultimi e sprovveduti in fatto di Massoneria, Giulio Di Bernardo affermi che “. In Italia non c’è più la Massoneria, ma un’altra entità più pericolosa. E compito dei magistrati scoprire cosa sia …”.[75]
Per quanto riguarda l’ambiente fascista, il Msi nasce come forza politica dalla quale reclutare, all’occorrenza decine di migliaia di giovani provenienti dall’esperienza militare della Repubblica Sociale Italiana, in grado di impiegare le armi in difesa, stavolta per conto dell’imperialismo USA. Il suo inserimento organico, come partito che conta migliaia di aderenti, nei piani segreti degli Stati maggiori occidentali, approntati in funzione anticomunista, potrebbe farsi risalire nel 1947 e il battesimo del fuoco nel 1948, quando la lealtà neofascista al nuovo regime, superò brillantemente la prova con la consegna delle armi avute in prestito (alla pari delle altre formazioni anticomuniste) dall’Esercito italiano.
La nascita della Nato, il varo del piano Demagnetize (che portò alla formazione delle reti Stay-behind) trasforma l’Msi nello strumento più docile dell’organizzazione e in un serbatoio illimitato dal quale quest’ultima poté arruolare elementi fidati e fedeli.
Tra apparati dello Stato e gruppi neofascisti orami è noto che esistevano rapporti stretti e organici. Sotto la facciata di Ordine Nuovo si nascondeva una struttura occulta all’interno della quale operavano personaggi come Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Paolo Signorelli e Pino Rauti.
Quello che voglio affermare che nel secondo dopoguerra ci fu un profondo legame tra neofascismo e potere atlantico, mentre, viceversa, non verticale ma di natura orizzontale sono stati i suoi rapporti con le organizzazioni massoniche e criminali , con le quali non ha stretto alcun patto avendo, al pari di loro, come stella polare lo stesso vertice che dei suoi uomini si è servito abbonando al poi al loro destino quelli che non potevano essere riciclati non sufficientemente rispettabili per quello che veniva spacciato il “nuovo” che avanza.
TRASFORMAZIONI DI COSA NOSTRA NEGLI ANNI OTTANTA, FINE DELL COSIDDETTA GUERRA FREDDA E LOTTA ALLA MAFIA
Un magistrale esempio di uso della criminalizzata organizzata e scaricamento dei suoi personaggi ritenuti “impresentabili” è quello che è successo a Cosa Nostra e alle organizzazioni criminali a partire degli anni Ottanta.
Gli anni ’70, videro passare la direzione della commercializzazione delle sostanze stupefacenti nelle mani di Cosa Nostra siciliana[76]. La Sicilia divenne in quegli anni il maggiore laboratorio di produzione delle sostanze stupefacenti.
Cosa Nostra siciliana conquistò in questo periodo una posizione di semimonopolio mondiale nel traffico degli stupefacenti. La conquista di tale posizione fu dovuta ad una serie di condizioni. Una di queste è che essendo il blocco dei Paesi socialisti tenuto al di fuori del mercato illegale del crimine dai revisionisti (pur essendo per via dei forti debiti contratti con le istituzioni finanziarie imperialiste integrato nel mercato mondiale capitalista), le mafie occidentali non dovevano fare i conti nel mercato criminale con competitori globali quali le mafie euroasiatiche: all’epoca la mafia russa era pressoché inesistente, e la mafia cinese, allora era incubata nelle comunità etniche d’origine come le Triadi in Cina e a Hong Kong.
Tra le mafie occidentali, quella siciliana mette in campo la risorsa strategica dell’alleanza con la mafia americana, nel cui ambito le famiglie d’origine siciliana avevano occupato posizioni di predominanza. Dopo lo smantellamento dell’asse turco-marsigliese nel campo del traffico internazionale degli stupefacenti a seguito della Task Force voluta dal presidente degli Stati Uniti Richard Nixon e diretta da Henry Kissinger, sarà appunto Cosa Nostra siciliana a conquistare in questo campo posizioni di semimonopolio.
Alla fine degli anni ’70 le famiglie siciliane mediante accordi con i fornitori turchi e asiatici monopolizzano l’acquisto di morfina base prodotta nei Paesi orientali. La morfina viene trasformata in eroina nei laboratori impiantati in Sicilia con un grado di purezza elevatissimo che la rende particolarmente appetibile. L’eroina prodotta viene trasferita negli Stati Uniti dove la stessa organizzazione siculo-americana provvede a distribuirla a volte cedendola ad altre organizzazioni criminali, a volte smerciandola direttamente al minuto.
Il monopolio si estende anche al mercato europeo, con l’eccezione di alcuni settori settentrionali che vengono lasciati in parte alla mafia turca e (sin dagli anni settanta) in parte ai settori criminali locali, collegati all’importazione da parte dei militari di stanza nelle basi americane, in particolare a Verona.
I miliardi così guadagnati vengono riciclati attraverso l’intervento di società create appositamente nei Paesi del Sud America, in Canada, in Inghilterra e in Svizzera.
Così Cosa Nostra si mondializza. Unendo i punti corrispondenti ai territori di produzione base (Oriente) a quelli di trasformazione del prodotto base (Sicilia) a quelli di smercio del prodotto finale (Nord America ed Europa) a quella del riciclaggio del capitale lucrato (Svizzera, Inghilterra, Florida, Aruba, Antille Olandesi, Canada, Venezuela, Brasile, Liechtenstein ecc.), si estendono i confini planetari del mondo della criminalità mafiosa siciliana dalla fine degli anni ’70 sino fine degli anni ’80.
Ovviamente la criminalità organizzata di altre regioni, pur meno organizzata, non sta a guardare: la camorra si porta in Spagna e in America Latina, la ndrangheta stabilisce rapporti privilegiati con i cartelli colombiani …
Sorgono così le Multinazionali Mafiose, ossia si passa dal collegamento tra le famiglie e le grandi finanziarie, all’autonomizzazione delle famiglie su scala mondiale, è questo che comporta la nascita della guerra alla mafia, sia negli Usa che in Italia.
Le quantità prodotte e commercializzate sono di livello industriale. La morfina base acquistata a 13.000 dollari al Kg viene rivenduta negli Stati Uniti a 110.000 dollari / Kg.
Operando un calcolo globale sulla base della capacità produttività dei laboratori della morfina in eroina individuati nella prima metà degli anni ’80 (in media circa 200 Kg al mese per ogni laboratorio), di altri indici obiettivi (quali per esempio le quantità di anidride ascetica – ben 4.229 Kg nei soli primi sei mesi del 1982) delle dichiarazioni dei collaboratori, si perviene alla stima di un fatturato globale decennale di svariate migliaia di miliardi di dollari[77].
Così Cosa Nostra entra nel club del capitalismo finanziario mondiale: in quegli anni emergono gli scandali di Sindona (“suicidato” con un caffè in una sezione a lui solo riservata nel carcere speciale di Voghera, direttore Aldo Fabozzi), di Calvi (“suicidato” sotto un ponte di Londra), di Gelli e della P2 (coinvolto nei depistaggi sulla strage di Bologna, arrestato in Svizzera, evaso con l’aiuto di un commando dotato di elicottero, ripreso in Francia, e lasciato quindi ai domiciliari presso la sua villa aretina), dello scandalo IOR. Cosa Nostra e Gelli, saranno coinvolti in vicende che hanno visto la diretta protagonistica partecipazione dei criminali nazisti dei “NAR”.
L’ingresso nel capitalismo finanziario internazionale comporta anche l’ingresso ufficiale di Cosa Nostra in alcuni circoli esclusivi del potere occulto nazionale e internazionale: in quegli anni alcuni capi della mafia siciliana entrano per esempio nella massoneria intessendo una ragnatela di rapporti, anche con esponenti dei servizi segreti nazionali e internazionali, entrando così nei sancta sanctorum del potere reale.
Il culmine di questa parabola viene raggiunto, quando Cosa Nostra dopo aver conquistato posizioni di quasi monopolio nel settore dell’eroina in Italia, nel Nord America e in Europa, divenendo a volte fornitrice e grossista per altre organizzazioni come la Camorra e la ’ndrangheta, tenta di conquistare il monopolio nel settore della commercializzazione della cocaina in Europa e in Italia.
Nell’ottobre del 1987 nell’isola di Aruba Cosa Nostra siciliana e il cartello colombiano di Medellin stipulano infatti un accordo commerciale di portata dirompente. L’accordo prevede lo scambio di eroina europea, monopolizzata da Cosa Nostra, con la cocaina prodotta in Colombia.
Riflettere sulla particolare situazione creatasi in Sicilia non significa dimenticare ed escludere che la diffusione di fenomeni e passaggi analoghi riguardò effettivamente anche altri territori, Calabria, Campania, Puglia soprattutto. In queste tre regioni e non solo in Sicilia, ogni anno, tra il 1980 e il 1985, in ogni città capoluogo vi erano decine e centinaia di omicidi l’anno, Catania, Reggio Calabria, Messina, Catanzaro, Napoli, Salerno, Caserta, Bari …
Nello stesso tempo al Sud come al Nord, nelle città più popolate, i morti di overdose erano 100-200 all’anno per città per esempio a Padova, molti di più a Milano e Torino, tanto per dare l’idea. Una generazione non doveva esistere, quella dei nati negli anni ’52-’62 in particolare, venne decimata dall’eroina.
La lotta affrontata dallo Stato con la repressione, non riuscì a portare fino in fondo la critica e la lotta alla diffusione delle “droghe pesanti”, questo anche grazie alla stupida retrograda (e funzionale alla mafia) politica ed ideologia dei partiti e degli ambiti sociali dominanti (Pci e Dc principalmente).
Alla metà degli anni ’80, Cosa Nostra mantenne il controllo sulle attività criminose in Lombardia. In Piemonte rimase solida la ndrangheta, in Veneto si estese la camorra.
È in Lombardia che alla metà degli anni ’80 avviene poi la saldatura tra Cosa Nostra, la malavita locale, ed il regime di Craxi che poi “passa” la mano a Berlusconi… il carcere di Opera sorge a questo scopo, per meglio agevolare i traffici nel milanese, poco gestibili dentro la “città nella città” di San Vittore … con la scusa della creazione di carceri sicure, si creano fortilizi criminali che operano sotto la protezione e il sostegno di parte delle stesse strutture adibite al controllo dei detenuti. Nel frattempo le politiche della “decarcerizzazione” e le presenze “umanitarie” vengono sfruttate per creare e tessere nuovi rapporti … la malavita organizzata di stampo mafioso si occupa delle “ricette sanitarie” della Lombardia, per esempio, attivando strutture economiche come Lombardia Informatica, di tutto rispetto, e sotto l’egida di nientepopodimeno del Cardinal Martini, affiancate e “legittimate” nell’ambiente criminogeno da figure televisive di prestigio come l’ex-Br Mario Moretti.
Lo sviluppo del capitalismo commerciale di Cosa Nostra interagisce con il colpo di Stato con il quale i corleonesi conquistano il vertice dell’organizzazione inaugurando una stagione senza precedenti nella storia della mafia.
Fino ad allora Cosa Nostra si articolava come una federazione di famiglie mafiose ciascuna delle quali aveva il proprio territorio e sceglieva i propri quadri di commando: il capofamiglia, i capidecina. In alcune famiglie, come quella della di Santa Maria del Gesù, i capi venivano eletti.
Questa articolazione determinava una frammentazione del potere tra le varie famiglie che si rifletteva anche sul piano dei rapporti di forza globali tra la struttura militare (dove la base di massa era di provenienza popolare) e quei settori del sistema mafioso che facevano parte della classe dirigente: politici, imprenditori, finanzieri, professionisti, amministratori pubblici.
I colletti bianchi si rapportavano non con l’intera organizzazione ma, di volta in volta con i componenti di questa o quella famiglia. Dietro il colletto bianco si proiettava l’ombra lunga dell’establishment di cui faceva parte per il suo stato sociale, dietro il mafioso militare l’ombra corta della singola famiglia di cui era membro.
Inoltre il colletto bianco particolarmente addentro a una singola famiglia godeva della protezione di quella famiglia al pari di uno dei suoi membri. Se il componente di un’altra famiglia gli avesse fatto uno sgarbo o avesse provato a intimidirlo, avrebbe creato un incidente diplomatico suscettibile di un conflitto e sarebbe stato possibile di deferimento alla “Commissione” per violazione delle regole. Esisteva dunque un sistema di pesi e contrappesi, un bilanciamento tra le varie signorie territoriali delle famiglie mafiose che impediva una concentrazione del potere in unico vertice.
Il colpo di Stato dei Corleonesi mediante lo sterminio di tutti i loro antagonisti interni, che venne definita la “seconda guerra di mafia” che scoppiò nel 1978 e finì circa nel 1983, provocò oltre 1060 omicidi.
Il “golpe” dei Corleonesi determinò una rivoluzione nel gruppo dirigente della struttura militare di Cosa Nostra e dei suoi rapporti con la classe dirigente politica e economica, ivi compresa quella sua componente (la borghesia mafiosa) che faceva parte del sistema mafioso.
Riina e i suoi infatti, pur lasciando formalmente inalterato il sistema di regole precedente, trasformano la struttura federale di Cosa Nostra in una dittatura, in una piramide controllata da un unico gruppo di comando che dal vertice dispone di tutte le risorse militari e relazionali con le varie famiglie in maniera ferrea e può decidere senza doversi più misurare con gli equilibri interni dei vari capimandamento o con poteri di veto di capi dissidenti.
In tal modo i corleonesi vengono a disporre di un’enorme concentrazione di potere in termini di risorse finanziarie e militari che squilibra il rapporto con i mondi superiori i cui esponenti si trovano a confrontarsi non più con singole famiglie mafiose dal potere limitato e controbilanciato da quello di altre famiglie, ma con un enorme potere evidentemente coperto dall’assetto politico dominante.
Questa ascesa dei corleonesi è stata favorita da aiuti esterni da Cosa Nostra, da servizi segreti o da qualcuno in grado di influenzarli.
Questa presa di potere ha avuto senza dubbio delle ripercussioni nelle diverse logge massoniche che in quegli anni erano sorte in Sicilia e collegavano mafiosi e imprenditori. Un ipotesi da tenere in considerazione è che ci sia un collegamento tra l’ascesa dei corleonesi, lo sterminio dei loro rivali e la bancarotta di Sindona[78].
Sindona riciclava i proventi del traffico di droga del gruppo Bontade-Badalamenti Inzerillo-Gambino, famiglie che erano determinate a recuperare il loro denaro e per questo motivo aiutarono il finanziere per settanta giorni nel suo finto rapimento in Sicilia dal 2 ottobre al 16 ottobre 1979.
Sindona è stato un finanziatore del golpe Borghese (1970), dall’inchiesta di Salvini risulta che una delle centrali dei finanziamenti USA al fascismo italiano era la Continental Illinois Bank di Cicero, Illinois che concentrava enormi capitali provenienti in massima parte dall’industria bellica statunitense. La Continental (come anche la Gulf and Western, che amministrava il capitale della mafia americana) forniva la copertura finanziaria alla Banca privata finanziaria, della quale si serve Sindona per la gigantesca operazione di trasferimento di medie industrie italiane sotto il controllo del capitale americano, che era iniziato nel 1968. Non casualmente la Continental Illinois crolla nel 1984, obbligando la Federal Reserve ad intervenire. Nel 1984 la crisi finanziaria americana è già sviluppata, in quel solo anno falliscono 100 istituti bancari negli Usa.
Perciò una delle ipotesi sull’ascesa dei corleonesi è che sia stata favorita da chi avesse interesse allo sterminio dei creditori di Sindona, in altre parole dello stermino della vecchia guardia mafiosa che aveva investito negli affari di Sindona.
Se si guarda la sequenza degli avvenimenti, questa tesi appare plausibile.
Nel 1970 si ha il tentato golpe Borghese, nel 1971 e 1972 ci furono i primi rapimenti ad opera dei corleonesi, nel 1974 inizia il crollo di Sindona, nel 1975 viene arrestato a New York Sindona (ma fu subito scarcerato), nel 1977 iniziano a circolare notizie di un elenco di 500 persone che tramite lui avevano esportato capitali fuori dall’Italia, nel 1978 inizia la mattanza della vecchia guardia mafiosa, nel 1979 viene ucciso Ambrosoli il liquidatore della Banca privata finanziaria, ai primi dell’agosto 1979 inizia il falso rapimento di Sindona che termina il 16 ottobre quando viene ricoverato in Ospedale. In concomitanza con le uccisioni dei mafiosi delle vecchie famiglie mafiose, iniziò lo sterminio degli investigatori che si stavano occupando dei flussi finanziari di Cosa Nostra. Infatti, vennero uccisi tutti coloro che stavano indagando sugli investimenti di Cosa Nostra. Furono omicidi commessi dai corleonesi ma che non riguardavano i loro traffici, bensì quelli dei loro predecessori.
L’11 luglio 1979 fu ucciso Ambrosoli, il 21 luglio 1979 l’investigatore della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano. Ambrosoli e Giuliano si erano in precedenza incontrati a Milano, perché l’investigatore indagando su flussi finanziari dei traffici di Cosa Nostra aveva intravisto il ruolo di Sindona in questi traffici.
Delle indagini di Giuliano si sarebbe dovuto occupare Cesare Terranova appena tornato di magistratura dopo alcuni anni da deputato indipendente eletto nelle liste del PCI. Il 25 settembre 1979 fu ucciso insieme al maresciallo Lenin Mancuso.
Le indagini di Boris Giuliano furono riprese dal procuratore Costa. Il 6 agosto 1980 Costa fu ucciso a Palermo.
Le sue indagini furono studiate da Pio la Torre, deputato del PCI. Il 30 aprile 1982 Pio la Torre fu ucciso a Palermo.
Il generale dei CC e massacratore di rivoluzionari prigionieri (gestì la strage nel carcere di Alessandria del 1974 e la trasformazione nelle prime 5 carceri per 700 detenuti tra brigatisti, nappisti e rapinatori di banche e sequestratori nell’estate 1977), divenuto prefetto, Dalla Chiesa, che in pratica fu una delle figure principali dello Stato italiano nel contrasto alla lotta armata operaia e proletaria, una volta esaurito il suo principale compito, venne inviato a Palermo e annunciò che non avrebbe risparmiato nessuno nelle sue indagini. Il 3 settembre 1982 Dalla Chiesa fu ucciso a Palermo con la moglie.
Il magistrato Rocco Chinnici iniziò a raccogliere il materiale che diede poi il via al maxiprocesso e il 29 luglio 1983 fu ucciso.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino svolsero il ruolo dell’accusa in quel processo e nel 1992 furono uccisi entrambi. In particolare Falcone era molto prossimo ai legami tra Cosa Nostra ed il giro craxiano che poi dette vita al berlusconismo. Borsellino lavorava con lui e seguì la stessa sorte. I loro assassini come nel caso dell’uccisione del gen. Dalla Chiesa, erano assai bene informati dei loro spostamenti.
Dunque se dietro la discesa dei corleonesi ci fosse il tentativo da parte di un soggetto esterno a Cosa Nostra che aveva come scopo di eliminare le tracce di un investimento dei capitali mafiosi e nello stesso tempo l’eliminazione degli stessi mafiosi creditori di questo investimento.
Ma in cosa poteva consistere questi investimenti? Tanto da fare una macelleria per eliminare qualsiasi traccia.
Proviamo formulare delle ipotesi.
Uno dei capitoli più controversi nella battaglia di Wojtyla contro il blocco “socialista” è quello dei finanziamenti segreti fatti arrivare a Solidarnosc.
Nel biennio 1980-1981 il Banco Ambrosiano tramite il suo presidente Roberto Calvi inizia a versare capitali enormi al sindacato di Walesa. Tutto questo è avvenuto nel più assoluto segreto.
Insieme a Roberto Calvi, deus ex macchina dell’intera operazione è Marcinkus, l’anima nera dello IOR, la banca del Vaticano. Con Roberto Calvi, Marcinkus imbastisce una rete d società fantasma nei paradisi fiscali di mezzo mondo, dove arrivano fiumi di soldi. Forte della benedizione vaticana, Calvi allaccia relazioni con Sindona, e il giro della P2. Quando nel 1981 viene condannato per reati valutari, e finisce in carcere a Lodi (dove tenterà il suicidio) il banchiere ha un problema che gli toglieva il sonno: deve restituire decine di milioni di dollari al mafioso Pippo Calò e parrebbe anche alla cosiddetta “banda della Magliana”. Lo IOR negli anni ’70 e ’80 diventa uno strumento del riciclaggio di denaro mafioso. Questi soldi sono utilizzati per contrastare il blocco “socialista” nell’Est europeo e impedire ogni avanzata delle forze comuniste e progressiste nell’America Latina[79].
Se si analizza il ruolo del Banco Ambrosiano ha avuto sul piano internazionale, si vede che con una serie di proprie banche il Banco Ambrosiano ha finanziato tutti i regimi di destra in America Latina.
Il Banco Ambrosiano ha finanziato l’acquisto di armi, molto spesso di industrie italiane, per l’Argentina, per il Nicaragua e tutti i Paesi governati da regimi di destra. In Cile costituì una finanziaria insieme con Pinochet. In Nicaragua, quando Somoza entrò in crisi, il Banco di Managua, che faceva capo al Banco Ambrosiano, dirottò centinaia di milioni di dollari per sostenere il dittatore.
In sostanza il Banco Ambrosiano è stato uno strumento dell’intervento politico del Vaticano in accordo con l’imperialismo USA.
Il retroterra del buco dell’Ambrosiano sta appunto nel finanziamento di questi regimi[80]. Ottocento milioni di dollari, su un buco di milleduecento, furono dirottati all’estero sulle finanziarie sudamericane del Banco Ambrosiano.
Bisogna tenere conto che il “caso Calvi” avviene proprio in cui in Italia si chiude la fase del compromesso storico e si apre quella della riconversione politica, che punta non più al coinvolgimento del PCI ma al suo isolamento. Siamo nel 1980-81, dove si apre una nuova fase del capitalismo italiano attraverso il rilancio della finanza, della borsa, dell’autofinanziamento e dell’attività abnorme di speculazione finanziaria da parte dei grandi gruppi.
Proprio in questo periodo, Calvi era riuscito a mettere assieme circa il 25% delle società quotate in borsa, le più ricche, quelle che fanno gola. Ad esempio, le compagnie di assicurazioni: attraverso l’alleanza con Pesenti e Bonomi, Calvi contava sulle Toro e sulla Ras. Era riuscito a mettere assieme la più grande banca privata italiana con la fusione tra il Banco Ambrosiano, la Banca Cattolica del Veneto e il Credito Varesino; a mettere le mani sull’informazione. Aveva capito, che il gioco in borsa si conduce attraverso messaggi da lanciare ai risparmiatori sui giornali e attraverso l’orientamento del risparmio fatto dalle banche e delle compagnie di assicurazione, che raccolgono grandi liquidità e poi le giocano in borsa. Proprio quando il capitalismo italiano tende a lanciarsi in questo senso, Calvi diventa un personaggio ingombrante, un personaggio che gioca pesante. E chi subentra a Calvi? Agnelli, che acquista la Toro; Rizzoli e il Corriere della Sera tornano nelle sue mani, e nel frattempo acquista pure la quota di maggioranza del Banco Ambrosiano.
Vediamo adesso le conseguenze che l’ascesa dei corleonesi ha comportato nel settore dell’economia.
La novità è che nel settore degli appalti pubblici, i capi dell’organizzazione decidono di non limitarsi più a taglieggiare a valle le imprese aggiudicatrici ma di entrare direttamente nella cabina di comando nella quale fino allora i vertici politici e imprenditoriali regionali e nazionali avevano monopolizzato la manipolazione dei grandi appalti.
Cosa Nostra pretende e ottiene di sedere con i propri uomini al tavolo delle trattative di vertice; partecipa alle operazioni di pianificazioni e a volte arriva a imporre a politici e imprenditori le proprie condizioni con la minaccia di morte o lo strumento del ricatto.
In questo nuovo sistema, i politici continuano a svolgere il ruolo di sempre occupandosi dei finanziamenti, mentre Cosa Nostra pianifica una turnazione nell’aggiudicare le gare di appalto che garantisce a quasi tutti gli imprenditori che contano l’aggiudicazione a rotazione degli appalti pubblici. Questo sistema consente di azzerare la concorrenza tra imprenditori nelle gare d’appalto e di predeterminare l’aggiudicazione tramite offerte concordate con ribassi minimi. Il maggior guadagno conseguito risparmiando sul ribasso d’asta è destinato a finanziare la percentuale di tangente destinato ai politici pari al 2%, quella di Cosa Nostra, pari a un altro 2% e quella riservata agli organi di controllo, pari allo 0,50%.
Questo meccanismo coinvolgeva per ogni gara manipolata circa 50 persone in media tra politici, imprenditori, mafiosi, professionisti, pubblici amministratori, funzionari, soggetti inseriti negli enti di controllo. Se si moltiplica questo dato numerico per centinaia e migliaia di gare d’appalto, si ha la proiezione macrosistemica del fenomeno.
Questo modello oltre che in Sicilia Cosa Nostra prese piede anche in Campania e in Calabria.
Un altro indice del mutamento dei rapporti di forza tra mafia militare e i vertici politici emerge dalla decisione di Cosa Nostra, in occasione delle elezioni politiche nazionali del 1987, di dare una “lezione” alla DC, da sempre il partito di riferimento dell’organizzazione e della cui politica i vertici mafiosi erano insoddisfatti. I corleonesi ordinarono di dirottare il consenso elettorale pilotato dall’organizzazione verso il PSI e il Partito Radicale che in quel periodo si erano fatti portatori di una linea politica fortemente critica nei confronti della magistratura, sfociata nella campagna per la promozione di un referendum sulla responsabilità civile dei magistrati. Nei quartieri popolari di Palermo la DC registra un vistoso calo consensi che si riversano sul PSI e sui radicali. Il partito del garofano a Palermo passa dal 9,8% al 16,4%. I radicali, che sino allora in città quasi non esistevano, raccolgono il 2,3% dei voti. Tuttavia i legami tra il regime Craxi ed i corleonesi non nasce dal garantismo del PSI, bensì dalla politica reazionaria in campo sociale (blocco della scala mobile, limitazione del conflitto sindacale, abrogazione dell’equo canone, privatizzazioni) portata avanti dai governi del decennio craxista. Ancora quindici vent’anni dopo, l’unico politico rispettato nelle discussioni tra i detenuti mafiosi, era quella buon anima di Craxi e ovviamente Berlusconi.
All’inizio degli anni ’80 in Sicilia si assisté allo sviluppo di tre gravi fenomeni, oltre al terrorismo mafioso, ci fu l’installazione dei missili nucleari e la militarizzazione a tappeto.
La Sicilia ha sempre avuto una centralità strategica, per il suo essere collocata al centro del bacino del Mediteranno, sia dal punto di vista militare che in quello commerciale.
Come si diceva prima, durante la seconda guerra mondiale in previsione dello sbarco in Sicilia, il servizio segreto militare degli Stati Uniti reclutò diversi esponenti della mafia italo-americana ai quali fu affidato il compito di informare i servizi sulla situazione siciliana e di preparare il terreno e il personale politico per amministrare l’isola una volta conquistata.
Nell’agosto del 1981 ci fu la notizia che a Comiso sarebbe dovuta essere installati 112 micidiali missili Cruise. Per quale ragione fu scelta la Sicilia e in particolare Comiso? La risposta sta nella carta geografica. Prendendo come ipotetico bersaglio dei Cruise quella parte dell’Unione Sovietica sulla quale sono piazzate le rampe degli SS-20, Comiso appare una delle zone di lancio più lontane. Se però il bersaglio si trovasse sull’Africa settentrionale e nel Mediterraneo, la Sicilia sarebbe la zona di lancio ideale. Perciò la scelta della Sicilia è una chiara espressione della volontà di allagare la volontà verso il sud il raggio di azione della NATO.
In Sicilia si è andato concentrando un dispositivo militare impressionante. Ci sono missili atomici, aerei americani e italiani che possono essere armati con bombe nucleari, gli aerei radar più avanzati del mondo e i caccia più moderni di cui disponga l’aeronautica italiana; poi 20.000 ettari furono destinati a un enorme poligono di tiro. Dalle installazioni maggiori (Comiso, Sigonella, Trapani, i Nebroidi) alle decine di base secondarie; non c’è deposito, installazione radar, pista di aeroporto che non siano interessati dal processo di “ampliamento” e “ammodernamento”.
Contro l’installazione dei missili a Comiso si sviluppò in Sicilia, in Italia e in tutta l’Europa occidentale, un forte movimento di lotta. Ci furono parecchie iniziative che avevano l’obiettivo di bloccare o almeno di ostacolare i lavori all’interno della pace. A Comiso si tenne il meeting internazionale contro i Cruise (Imac). Questo movimento in Sicilia s’impegnò non solo contro l’installazione dei missili a Comiso, ma anche contro i nuovi annunciati casi di militarizzazione: da Centuripe ai Nebrodi. Il progetto colossale poligono dei Nebrodi, che alcuni considerano il paravento di un’area di dispersione privilegiata dei Cruise di Comiso, dà l’occasione per realizzare un’unità di azione tra i militanti del movimento contro l’installazione dei missili e le popolazioni locali.
Allora c’è un possibile nesso tra aumento del terrorismo mafioso e installazione dei missili e militarizzazione dell’isola?
Torniamo a Sindona quale fu il vero scopo della sua fuga in Sicilia? Il bancarottiere e i suoi complici mafiosi e massoni hanno dato tante spiegazioni, molto frammentarie e poco convincenti. Si ha ragione a credere che Sindona e il suo clan venne in Sicilia per compiere una missione politica criminale, in cambio di non si sa quali vantaggi personali: comprare l’appoggio e il sostegno armato dei più potenti gruppi di Cosa Nostra a un progetto reazionario, destabilizzante (per poi stabilizzare in senso conservatore) e dichiaratamente anticomunista da attuare in Sicilia. Sindona doveva garantire con il “prestigio” che la sua persona aveva in questi ambienti quest’alleanza. Mandanti e ispiratori sarebbero stati settori del Partito Repubblicano, esponenti del Pentagono e della CIA.
Guarda caso al processo di New York Sindona ha esibito lettere di esponenti del Pentagono[81] presentandole come le credenziali, l’avallo preventivo dato da autorevoli ambienti statunitensi a progetto di Colpo di Stato in Sicilia. Ovviamente i giudici americani, come in altre occasioni del genere, non hanno voluto approfondire questa pista, che rischiava di portare molto ma molto in alto.
A quanto si diceva sopra del ruolo di finanziatore di progetti politici e economici di Sindona, si può aggiungere quello che diceva il rapporto che fu presentato al Congresso degli Stati Uniti dal deputato Pike “Sindona fu un elemento chiave nella distribuzione di milioni di dollari della Cia a partiti italiani di centro e di destra; parte di questi soldi servirono a finanziare il fallito colpo di Stato fascista del dicembre 1970”[82].
Dopo la visita di Sindona la violenza mafiosa a Palermo fece un salto di qualità, assumendo connotazioni inedite, tanto che per definirle fu coniato il termine di “terrorismo mafioso”. A Palermo si registrò un’agghiacciante sequenza di assassini: vittime furono fatto assolutamente nuovo, personalità politiche, magistrati funzionari di polizia; i grandi delitti di Palermo decapitarono in breve tempo tutti i vertici politici e istituzionali.
La stessa operazione si riproduce oggi, nel tempo della guerra delle notizie, delle intercettazioni e del controllo sul piano globale, con il MUOS, operazione indubbiamente necessaria SOLO ai poteri forti ed alle loro appendici militari e dei servizi segreti.
Curiosamente i media non sono sensibili alle lotte contro il MUOS, e tantomeno i politici. Forse perché è questa una “guerra” che riguarda anche l’importanza ed il potere del loro “complesso”, quello mediatico, divenuto sempre più centrale e luogo vero della definizione del consenso attorno alle politiche reazionarie.
Torniamo negli anni ’80, in questo periodo il Mediterraneo non era più un mare americano ma un mare in tempesta. Al centro della tensione c’è la lotta del popolo palestinese contro il sionismo. Ma oltre alle guerre arabo-israeliane (1948-49, 1956, 1967 e 1973) c’è la guerra civile in Libano e il relativo intervento bellico israeliano, la questione cipriota e la lotta di liberazione del Polisario nel Sahara occidentale. C’erano i sintomi dell’offensiva rivoluzionaria, tendenza che si ebbe con la rivoluzione iraniana del 1979, dove fu centrale il ruolo della classe operaia e come controtendenza si ebbe la controrivoluzione islamica e la successiva aggressione voluta dagli Usa, da parte dell’Iraq.
Per completare il quadro della situazione nell’area bisogna ricordare i travagli interni nella Jugoslavia (in particolare nel Kossovo), il colpo di Stato in Turchia nel 1980, l’assassinio di Sa’adat nel 1981, in Tunisia dove nel gennaio 1984 ci furono i tumulti per il pane, in Marocco ci fu l’assassinio del generale Dlimi a seguito di un complotto antimonarchico, in Irlanda la lotta dell’IRA si andava internazionalizzando, in Spagna c’era la guerriglia di ETA e dei GRAPO e in Corsica come anche in Sardegna era notevolmente diffusa la lotta irredentista. A ciò si aggiunga la diffusione di azioni antimperialiste in particolare contro Usa e Nato in Germania, Belgio, Italia, Francia attorno alla metà degli anni ’80. In Europa occidentale operavano poi anche nuclei guerriglieri palestinesi che agivano con blitz spesso “suicidi” in aeroporti ed importanti capitali. I servizi occidentali non stavano con le mani in mano, omicidi venivano organizzati anche dal Mossad, dalla CIA, dai servizi nazionali.
A questo crogiolo di tensioni e di conflitti le grandi potenze hanno reagito passando da una strategia basata sulla proliferazioni di basi e punti di appoggio a una nuova strategia basata sulla limitazione delle basi permanenti a pochi paesi considerati sicuri e sul continuo potenziamento della presenza delle flotte navali e dell’arsenale nucleare di cui erano dotate[83].
Questa risposta delle grandi potenze deve essere inquadrata nella controffensiva da parte dell’imperialismo che ci fu a partire dall’abbattimento del “muro di Berlino”, passando per il golpe interno al regime rumeno, e per la sostituzione della struttura statale dell’URSS con la Russia di Eltsin a bombardare il Parlamento. Questa offensiva trovò nella “guerra dell’Iraq” a partire dal 1991 (primo intervento organizzato militare multinazionale della Nato) l’inizio di una fase che tuttora è aperta, in cui l’imperialismo ha diffuso una concezione militarista di guerra “globale” per il mantenimento del proprio controllo politico ed economico sul mondo.
Le misure più importanti applicate nei paesi occidentali furono orientate in tre direzioni:
- Continuare la guerra fredda con il riarmo ideologico del progetto borghese (passare dalla lotta difensiva interna caratterizzata dalla creazione dello Stato “sociale”, alla lotta offensiva interna: postmodernismo, nuovo individualismo e contendere lo spazio occupato dal Movimento Comunista Internazionale e dai movimenti antimperialisti utilizzando la penetrazione dei nuovi mezzi di comunicazione di massa (cinema, musica, televisione, ecc.).
- Attuare la progressiva eliminazione nei paesi imperialisti dello Stato sociale, trasformando i servizi pubblici in mercato di profitto.
- Riprendere il controllo dell’orientamento delle politiche dei paesi dipendenti e controllati. Per questo sono applicati le misure più diverse: i colpi di Stato (America Latina, Africa), l’attacco contro il sistema delle Nazioni Unite, concentrando il potere nel Consiglio di Sicurezza e provocando la crisi finanziaria degli organismi vincolati al Nuovo Economiche internazionale (NOE), come l’UNCTAD o l’UNESCO; vince il dogma della stabilità politico economica globale, divenuto elemento prioritario della politica di controllo, di dominio imposto nel mondo anche attraverso organismi politico-economici internazionali (WTO, BM, BEI, OCSE, WTO ecc.).
Come prima nel colonialismo, dopo la batosta dei paesi dell’Indocina, riprende con forza la politica militarista come assetto fondamentale. Negli Stati Uniti la corsa agli armamenti fa parte del sistema di accumulazione capitalista, in altre parole esso assorbe gran parte delle spese pubbliche anche se chi ne beneficia non sono imprese pubbliche, essa è servita indirettamente al funzionamento del sistema capitalistico dal punto di vista dell’accumulazione, poiché, attraverso la via militare, si è riusciti a trasformare l’impegno militare in produzione di beni e servizi per la distribuzione universale. Gli investimenti militari sono stati finanziati con il bilancio pubblico e il Pentagono era l’unità economica pianificata più grande del mondo. Gli USA sono consapevoli che senza egemonia militare non potrebbero imporre al mondo il finanziamento dei loro deficit, che gli consente di mantenere in maniera del tutto artificiale, senza alcun stabile e strutturale retroterra in alcun sistema macroeconomico.
La strategia americana (non possiamo imputare al presidente Reagan, pupazzo dell’imperialismo ed ex attore costruito dai servizi, l’importanza di una scelta degli Usa come paese imperialista di punta) rivolta al Mediterraneo si articolava in tre direzioni principali:
- Gli accordi di cooperazione con Israele. Il 30.11.1981 gli Stati Uniti e Israele sottoscrivono un accordo di cooperazione strategica allo scopo di “scoraggiare qualsiasi minaccia proveniente dall’URSS nella regione”. Le clausole specificamente militari dell’accordo sono sempre rimaste segrete.
- La costituzione della Rapid deployment force (Rdf). La Rdf rappresenta il compimento di un progetto lanciato da Carter fin dal 1977. Nella metà degli anni ’80 era composta da 230.000 uomini e dal 1983 il suo quartier generale era costituito c/o il Centcom (Comando centrale americani) in Florida. La Rdf ha l’obiettivo di proiettare la forza militare americana nel più breve tempo possibile a più di 10.000 Km di distanza.
- Ruolo dell’Italia. L’Italia in questo contesto è destinata a svolgere un ruolo di rilievo grazie alla sua posizione geostrategica. Un esempio: è di questo periodo lo spostamento del comando delle forze navali americane in Europa da Londra a Napoli, dove si è andato ad unire al comando NATO del sud Europa. Il ministro della “difesa” italiano dell’epoca il “socialista” Lagorio mette in discussione il “vecchio modello di difesa”, basato essenzialmente sulla “soglia di Gorizia”. La nuova “minaccia” viene dal Sud.
Il primo episodio di tale impostazione della politica italiana è stato l’impegno italiano a garantire la “neutralità” di Malta. L’accordo del 15 settembre 1980 contiene l’impegno dell’Italia di intervenire anche militarmente in caso di “violazione della sovranità di Malta”. Quest’accordo nasceva dalla richiesta di Malta di essere sostenuta nella vertenza in atto con la Libia sul diritto di ricerca d’idrocarburi nella zona di mare di Medina. L’accordo è viziato da un’assurdità esplicita: come può un paese come l’Italia che è integrato in un’alleanza militare la NATO ad impegnarsi a garantire la neutralità di un paese?
Il 1982 vede l’inaugurarsi l’era delle spedizioni italiane in Medio oriente. La prima spedizione italiana è collegata all’attuazione degli impegni di Camp David tra USA, Israele e Egitto. Il governo italiano decide di contribuire con tre dragamine e un contingente militare alla Forza multinazionale da inviare nel Sinai e autorizza che il quartier generale sia insediato a Roma. Non passano tre mesi e l’invasione – scattata nel 1982 – fornisce l’occasione per ripetere in grande l’invio di forze militari NATO nella regione, al di fuori della cornice dell’ONU e con il pretesto del mantenimento della stabilità dell’area. Francia, Gran Bretagna, USA e Italia inviano dei contingenti di truppe che s’impegnano ad impedire l’ingresso delle truppe israeliane a Beirut. L’OLP con Al Fatah diretta da Arafat, riesce ad evacuare dalla capitale libanese. Ma proprio sotto gli occhi di tutto il mondo ci furono e orrende stragi di Sabra e Chatila da parte degli israeliani. Con il passare dei mesi, il carattere della Forza Multinazionale appare in maniera evidente che il suo reale scopo non è certo quello di garantire la pace, ma di essere lo strumento d’intervento militare della NATO al di fuori dei confini dell’Alleanza Atlantica per sostenere il governo di destra di Beirut e combattere le opposizioni mussulmane e le forze della resistenza palestinese. In pieno agosto 1984 il governo egiziano si rivolge a Francia, Gran Bretagna, USA e Italia per lo sminamento di alcuni tratti del Mar Rosso.
Uno dei fattori che portò (ufficialmente…) a combattere le varie organizzazioni mafiose all’interno dei vari paesi imperialisti, fu senza dubbio la fine della cosiddetta guerra ferra con la fine del “blocco socialista” e del revisionismo moderno che governava questi paesi.
Questo fato determinò una modifica degli equilibri internazionali, determinando per quanto riguarda l’Italia una serie di effetti a catena che sconvolsero gli equilibri interni del sistema politico.
Uno degli effetti della caduta del muro è stata l’apertura dei territori dei Paesi dell’Est all’economia del mercato illegale, e la conseguente tumultuosa crescita, della mafia russa e delle altre mafie euroasiatiche. Mafie che nel crollo delle vecchie strutture statali conquistano le leve di comando di alcuni centri nevralgici, presentandosi nel mercato illegale della droga come nuovi competitori globali che occupano progressivamente tutti i posti in precedenza occupati dalla mafia occidentali, riducendo e poi annullando la posizione monopolista che era stata conquistata dalla mafia siculo – occidentale. Il secondo effetto è quello di una riformulazione delle gerarchie di priorità nell’agenda politica degli Stati Uniti e delle altre potenze imperialiste occidentali.
La fine del “pericolo rosso” tra gli obiettivi che mettono al primo posto c’è la lotta alla droga. In precedenza in funzione anticomunista ci fu l’utilizzo della criminalità mafiosa. Ma l’inarrestabile diffusione di massa degli stupefacenti (soprattutto cocaina) nelle midlle class statunitense (in sostanza della base di massa e di consenso del sistema statunitense) viene ritenuta un pericolo che rischia di tarlare la stessa società statunitense.
Ci sono numerose testimonianze che possono suffragare questa tesi. In occasione del processo a carico contro Andreotti, Mino Martinazzoli ha dichiarato che nel corso degli incontri che lui ha avuto in qualità di Ministro della Giustizia con esponenti qualificati del governo americano, costoro gli avevano anticipato che in previsione del crollo del regime politico vigente in URSS, il governo americano aveva posto tra le priorità assolute la lotta al traffico di droga e alla criminalità mafiosa.
Per dimostrare tale volontà politica gli era stato proposto che l’ambasciatore statunitense a Roma fosse presente alla prima udienza del maxiprocesso[84], proposta che Martinazzoli declinò perché riteneva che in tal modo si rischiava di caricare il processo di un’eccessiva valenza politica simbolica[85].
Deponendo come teste nello stesso dibattimento, l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli dichiarò che il governo USA sollecitò ripetutamente quello italiano ad approvare una legge per incentivare il fenomeno dei collaboratori di giustizia, che nell’esperienza statunitense aveva dato ottimi risultati.
Lo steso ministro ha ricordato che dopo la caduta del muro di Berlino il cancelliere tedesco Kohl subordinò pubblicamente l’ingresso dell’Italia nell’Unione Europea al varo di una rigorosa normativa antimafia, per scongiurare il pericolo che in seguito dell’abbattimento della barriere doganali le organizzazioni mafiose invadessero gli altri paesi europei.
Analoghe pressioni vennero formulate da alcuni vertici politici europei.
In questo contesto sembra cambiare tutto. La grossa borghesia, che in precedenza era stata silenziosa nei confronti della criminalità mafiosa, in questo periodo prende posizione.
Cesare Romiti, in un audizione dinanzi a una Commissione parlamentare, denuncia che fino a quando nel Meridione d’Italia la criminalità mafiosa avrà il sopravvento non sarà realistico varare un programma di sviluppo industriale in questa parte del Paese.
Per la mafia le tre ricadute principali del crollo del muro sono state:
- La fine del monopolio nel traffico di stupefacenti internazionale.
- La fine della tolleranza (e della collaborazione nascosta) da parte dei poteri pubblici.
- L’inizio della fine della parentesi corleonese.
Dopo la condanna delle famiglie Gambino di New York e dei Caruana e Cuntrera in Canada, la condanna di John Gotti, l’ultimo grande padrino plenipotenziario, sembra segnare l’ingresso della mafia siculo-americana in un cono d’ombra.
In Italia questa tendenza di lotta alla mafia si connetteva con una classe dirigente che era sempre più insofferente delle pretese egemoniche della mafia militare.
Un conto era avere a che fare con personaggi come Bontade e Badalamenti, che sapevano stare alloro posto, che agivano nell’ombra, rispettosi delle gerarchie sociali esistenti e si facevano garanti di una gestione del disordine (omicidi e intimidazioni) funzionale al mantenimento dell’ordine reale fondato sui privilegi dei pochi e sulla sopraffazione dei più. Altro affare era invece chi doveva subire soggetti come i corleonesi che non solo con la loro violenza omicida avevano trasformato Palermo in un Far West, facendo accendere i riflettori dei media nazionali e internazionali sulla Sicilia, ma soprattutto non sembravano accettare la propria minorità sociale e ambivano addirittura nelle loro ambizioni a un avanzamento del loro ruolo sociale e politico, insensibili alle ragioni di carattere politico generale che potevano a volte rendere impraticabile da parte dei referenti politici dell’organizzazione opporsi apertamente all’emanazione di leggi antimafia.
In sostanza all’interno della classe dirigente, si stavano creando i presupposti di una volontà politica di risposta globale alla mafia.
Il primo segnale di tale nuova volontà politica si manifesta con l’appoggio incondizionato dato dal ministro della Giustizia Martinazzoli e da quello degli Interni Oscar Luigi Scalfaro al Pool di Palermo nella gestione del maxiprocesso. Grazie all’impulso di Scalfaro viene costruita nell’arco di pochi mesi con procedura di urgenza l’aula bunker dell’Ucciardone che consente la celebrazione del processo a carico di 459 imputati.
Leoluca Orlando era stato uno dei politici più vicini a Piersanti Mattarella e aveva vissuto da vicino la sua progressiva emarginazione. Qualche anno dopo l’omicidio, egli crea una frattura all’interno della classe dirigente denunciando pubblicamente l’omertà culturale e politica che aveva sino allora celato come quello della mafia come un affare di famiglia all’interno della classe dirigente che poteva trovare soluzione politica solo rompendo un unanimismo di facciata dietro il quale si celavano insieme alle vittime anche i carnefici e i loro protettori. La sua denuncia pubblica che la mafia era dentro le istituzioni e il suo indice puntato contro Lima e Andreotti come i massimi referenti politici e protettori della mafia crea uno scandalo politico che non ha precedenti, sparigliando i giochi politici.
Ma uomini come Scalfaro e Orlando possono aprire una breccia anche perché accanto a loro cominciano ad affiancarsi potenti allearsi: gli Stati Uniti e alcuni Paesi dell’Unione Europea.
Il rapporto tra determinati settori della classe dirigente e la struttura mafiosa entra in uno stato di fibrillazione che raggiunge l’apice quando nel gennaio 1992 la Corte di Cassazione conferma l’impianto accusatorio e le condanne del maxiprocesso.
La sentenza del maxiprocesso deve molto a quello che fu detto impropriamente il “teorema Buscetta”.
La collaborazione di Tommaso Buscetta nel 1984 aveva contribuito a svelare l’organizzazione interna della mafia militare e aveva consentito di ricondurre la responsabilità di molti omicidi ai componenti dell’organo di vertice (la Commissione) che deliberava sugli affari di interesse generale quali l’esecuzione di omicidi eccedenti.
La vera sfida del maxiprocesso stava nel fatto che per la prima volta si incastrano i generali di Cosa Nostra i quali erano fino a quel momento erano sempre rimasti immuni dal rischio di ergastoli, che ricadeva solo sugli esecutori materiali. Non era mai stato possibile infatti ipotizzare e dimostrare che i killer avevano agito su mandato di un unico organo deliberativo centrale.
Dietro le quinte del maxiprocesso, la segreta interlocuzione con i referenti politici non riguarda in realtà la sorte dei killer, abbandonati al loro destino, né quella degli altri uomini d’onore incriminati per associazione mafiosa e per reati minori, ma solo l’affossamento del cosiddetto “teorema Buscetta”.
Così come accade spesso nelle guerre, la truppa è carne da cannone, i soldati sono massa fungibile, i generali non rischiano mai in prima persona e quando le cose volgono al peggio sono i primi a lasciare il campo di battaglia e firmare armistizi per mettersi al sicuro. L’armistizio era: si salvino i quadri dirigenti e si sacrifichino i quadri inferiori.
Quando alcuni esponenti della base di Cosa Nostra, si resero conto che i capi erano in realtà interessati solo alla propria impunità, organizzano un colpo di Stato contro il vertice corleonese per imporre una nuova dirigenza più sensibili ai destini e agli interessi dei soldati. È il colpo di Stato organizzato da Vincenzo Puccio, detenuto all’interno del carcere dell’Ucciardone. Il piano prevedeva la fuga dal carcere e il successivo omicidio di Riina e soci.
Il piano dei congiurati viene scoperto grazie anche ad alcune spie interne e tutti i vengono ferocemente assassinati dentro e fuori al carcere.
Questa vicenda poco nota dimostra le difficoltà di Riina nel gestire la partita del maxiprocesso, coniugando interessi dei quadri dirigenti dell’organizzazione, interessi dei quadri militari e interessi dei referenti politici.
Da questi ultimi durante tutti i gradi del processo, Riina riceve il messaggio che occorre pazientare, che i mutati equilibri politici non consentono di prendere di petto in sede politica il maxiprocesso e impediscono un’opposizione aperta un’opposizione aperta e incisiva contro le nuove leggi antimafia approvate.
Il messaggio è che occorre stringere i denti, che la partita non si gioca sulla scena politica ma nella camera di consiglio della Cassazione dove, stando a quanto promettevano i messaggeri, il collegio presieduto da Carnevale alla fine avrebbe annullato la sentenza del maxiprocesso.
Su questo difficile equilibrio Riina si era giocato la propria credibilità, già messa a repentaglio dalla rivolta di Puccio.
Quando la Corte di Cassazione conferma le condanne del maxiprocesso, Riina e suoi, vivono questa sentenza come un tradimento, da parte di coloro che per anni avevano assicurato che occorreva pazientare e che alla fine tutto sarebbe stato risolto ed aggiustato in Cassazione.
Con l’assassinio di Lima, Ignazio Salvo e la programmazione di altri omicidi, la mafia militare voleva ricontrattare la propria impunità con una prova di forza.
Ma c’è dell’altro: tra la fine del 1991 e gli inizi del 1992, Riina e i suoi, avuta la certezza che i vecchi referenti politici erano divenuti inidonei a garantire le protezioni e le impunità del passato, avevano deciso di varcare il Rubicone e di gettarsi nell’avventura. In questo periodo, con la crisi del regime democristiano (quello che venne definita “fine della prima Repubblica”), molti che avevano costruito il proprio potere e le proprie ricchezze sull’equilibrio armato tra USA e URSS cominciano a entrare in fibrillazione. Molti cominciavano a temere una storica resa dei conti, i più la fine dei lucrosi affari condotti con la complicità del potere, altri temevano la fuoriuscita di tutti gli scheletri degli armadi. Il che avrebbe significato la rovina e l’ergastolo per tanti che a vario titolo erano stati coinvolti a vario titolo in stragi, omicidi e affari sporchi di ogni genere. Nel suo pragmatismo, il vertice della struttura militare della mafia gioca la sua carte contemporaneamente su due terreni. Pronta a far rientrare l’organizzazione nell’ordine esistente, qualora il vecchio tramite la trattativa l’impunità per i suoi vertici, ma altrettanto pronta, se ciò non fosse stato praticabile, rovesciare quell’ordine dando il proprio contributo militare per instaurazione di un nuovo ordine progettato da diversi settori della classe dirigente e alla quale collabora pezzi di apparati dello Stato (servizi segreti in particolare).
In sintesi questo piano consisteva:
- Destabilizzare politicamente il Paese mediante un’escalation progressiva di stragi da attuarsi nel corso del 1993 e da attribuire a fantomatici gruppi come la Falange Armata, sigla con la quale vennero rivendicato alcune azioni stragiste. Il terrore conseguente a quelle stragi anonime avrebbe generato panico nella pubblica opinione, accelerando il crollo del vecchio quadro politico, già prossimo al collasso a causa dei mutati equilibri internazionali sui cui si reggeva e da Tangentopoli.
- Disarticolare alcuni punti di resistenza istituzionale, come il ministero della Giustizia, retto da Claudio Martelli di cui si pianifica l’omicidio e la presidenza della Repubblica allora retta da Scalfaro, che doveva essere travolto nello scandalo dei fondi neri del SISDE.
- Azzerare alcuni vertici politici del vecchio sistema che, messi al corrente del piano e invitati a partecipare, si erano tirati indietro.
- Creare un nuovo soggetto politico finalizzato a dare vita a un quadro nazionale di alleanze per realizzare una riforma federale dello Stato. Tale nuovo soggetto doveva essere una Lega Meridionale, costruita sul modello della Lega Nord allora in piena ascesa. L’alleanza tra le due leghe avrebbe dato vita a una forza politica in grado di fare da ago della bilancia dei futuri equilibri e imporre una riforma federale dello Stato.
Tale riforma si proponeva di disarticolare l’Italia in tre macroregioni, simili a Stati autonomi, con una propria polizia, una propria magistratura, un proprio sistema tributario. La macroregione del Nord si sarebbe liberata della “zavorra” di un Meridione considerato incapace di reggere la sfida dell’economia mondiale capitalista in aperta fase della “globalizzazione” e si sarebbe agganciato al carro d’Europa. Il Meridione sarebbe stato abbandonato alle mafie, con un economia autonoma particolare: quella criminale. Sarebbe stata un’economia tipica dei porti franchi: defiscalizzazione, case da gioco e paradiso offshore per tutti i capitali del mondo. La Sicilia si candidava a essere una sorta di Singapore del Mediterraneo.
In questo quadro, Cosa Nostra avrebbe conseguito non solo l’impunità del passato, ma anche il controllo politico-economico della Sicilia.
Questo progetto nella sua globalità era noto solo a pochi. Alcuni conoscevano solo la parte politica e non quella eversiva – stragista, altri, viceversa conoscevano solo quest’ultima e non quella politica.
Così alcuni di coloro che si mobilitavano sul piano delle iniziative politiche non erano consapevoli che tali iniziative erano strumentali a un piano destabilizzazione dello Stato (in particolare a quanti si erano impegnati alla costituzione di movimenti leghisti nel Sud).
Questo progetto fallì per vari motivi. La mano mafiosa delle stragi del 1993 venne subito individuata. Alcune stragi non vengono eseguite per banali incidenti tecnici. Ma soprattutto il vecchio quadro politico istituzionale invece di collassare mostrò i muscoli, dimostrando un grado reattività imprevista. Tutto ciò portò ad un abbandono della strategia terroristica. Alla fine prevalse la linea di coloro che propugnavano una soluzione politica incruenta e graduale.
Mi rendo conto che tutto ciò è una risposta parziale che trascura diversi elementi che ritengo fondamentali: Gladio e Falange Armata.
L’ex ambasciatore Francesco Paolo Fulci, ex rappresentante italiano alle Nazioni Unite, deponendo nel processo sulla trattativa stato-mafia il 25 giugno 2015, rivelò di aver ricevuto da un funzionario del Sisde, tale Davide De Luca (poi morto di cancro), due cartine topografiche: “In una c’erano due luoghi da dove partivano tutte le telefonate della Falange Armata, nell’altra i luoghi dove sono situate le sedi periferiche del Sismi… e queste due cartine coincidevano perfettamente”. Fu proprio la coincidenza tra quelle cartine a suscitare in Fulci una serie di dubbi sulle missioni top secret di alcuni agenti della VII divisione del Sismi che “maneggiavano dinamite e armi” e costituivano una cellula speciale, con obiettivi di “guerriglia urbana” da lui stesso definito totalmente estranei ai compiti istituzionali[86].
Segretario del Cesis, l’organismo di coordinamento dei servizi segreti, dal maggio del 1991 all’aprile del 1992, Fulci era riuscito a individuare “i dei componenti di questa cellula” (quindici agenti, appartenenti al reparto K)[87], convincendosi che quegli agenti potevano aver avuto un ruolo, forse quello di telefonisti, nelle operazioni della Falange Armata. Ha ricostruito l’ex ambasciatore “Mi sono convinto che questa storia della Falange Armata faceva parte di quelle operazioni psicologiche previste dai manuali Stay Behind… facevano esercitazioni…come si può creare il panico… e creare le condizioni per destabilizzare il paese”[88].
Riprendendo la teoria di Fulci, i pm di Reggio Calabria nell’inchiesta denominata “Ndrangheta stragista”, scrivono che l’idea di rivendicare le stragi con la sigla Falange Armata, attuata dalla Ndrangheta e da Cosa Nostra, fu partorita da “alcuni appartenenti a strutture deviate dello Stato (il cui nucleo forte era costituito era costituito da una frangia del Sismi e, segnatamente, dal alcuni esponenti del VII reparto, i cosiddetti ‘Ossi’”: il che vuol dire che la rivendicazione Falange Armata proviene da “settori dei servizi sicurezza legati a Gladio e all’anticomunismo, ostili al nuovo e legati al passato”. A tirare le fila – concludono i pm calabresi – è sempre Licio Gelli, che “in modo tanto arrogante quanto spudorato, sui mezzi di nazionali, nel 1993, quasi rivendicò la posizione degli stragisti, attribuendola un diffuso e giustificato malcontento contro la cosiddetta “partitocrazia”, che altro non era che la vecchia classe politica sotto la quale Gelli e i mafiosi avevano prosperato per alcuni decenni, ma che nell’attualità, evidentemente non offriva più sponde”[89].
La Gladio è descritta da numerose ricostruzioni giudiziarie come una cellula in collegamento con la P2 di Gelli, struttura sotterranea a sua volta finanziata dalla Cia. I legami tra la Cia e la P2 sono confermati pubblicamente per la prima volta nel 1990 o un’intervista fatta al Tg1 a Richard Brenneke e Ibrahim Razin, ex agenti della Cia, che al giornalista Ennio Remondino parlarono dei finanziamenti dei servizi segreti americani alla P2[90]. Dalle loro dichiarazioni presero l’avvio le inchieste che portarono a scoprire della Banca di credito e commercio internazionale (Bcci), definita anche “Kriminal Bank” usata dalla Cia e dai trafficanti internazionali di valuta e armi.
La Bcci nel giro di un anno della sua fondazione nel 1971, aprì sei uffici, a Londra, a Lussemburgo, a Beirut e negli Emirati arabi del Golfo. Si trovò in breve ad avere 146 filiali in 32 paesi, di cui 45 filiali nel Regno Unito dove divenne la più potente banca straniera.
L’istituto si divise in due società diverse, una con sede a Lussemburgo, l’altra nelle isole Cayman.
La Bcci riusciva a conquistare nuovi clienti muovendosi nella tradizione dell’antica città di Lahore.
Gli uomini della Bcci si procuravano nelle antiche città d’oriente bellissime donne giovani per i loro clienti.
I clienti della Bcci avevano tutti una grande passione per l’esotismo.
Nell’imponente hacienda del padrino colombiano della droga, Pablo Escobar, appena fuori Medellin, c’era uno zoo esotico che accoglieva tra l’altro di cacatua del valore di 14.000 dollari ciascuno e un canguro ammaestrato capace di giocare a
calcio.
In Pakistan Abedi era visto come un grande benefattore: forniva posti di lavoro, borse di studio, cure mediche ai poveri e (importante in un paese musulmano) consentiva ai mussulmani privi di mezzi di compiere il loro pellegrinaggio alla Mecca.
Abedi riuscì a far entrare l’istituto negli Stati Uniti grazie a figure chiave a Washington, come Clark Clifford (ex segretario alla “Difesa” 25 e figura di spicco del Partito Democratico), che fece poi da avvocato, e Bert Lance, responsabile del Bilancio sotto la presidenza di Jimmy Carter.
La Bcci acquistò quattro banche negli USA, la più grande delle quali, la Financial General (FG), era anche la più importante di Washington e deteneva i conti personali delle persone più importanti della capitale: successivamente prese il nome di First American.
Tra i prestanome della banca, vi erano numerosi suoi azionisti, come il saudita Gaith Pharaon e Kamal Adham, capo dei servizi segreti militari dell’Arabia Saudita. Il primo provvedeva agli agganci nel mondo degli affari; il secondo curava i rapporti con Washington.
Nel 1976, la Bcci aprì a Ginevra la Banque de Commerce et de Placements (Bcp), che avrebbe svolto un ruolo essenziale in operazioni sui cambi collegate a transazioni petrolifere.
Nel 1977 il generale Zia rovesciò Bhutto e prese il potere in Pakistan. Il suo regime permise agli associati della Bcci di acquistare il grosso dei pozzi pachistani di petrolio. Il 4 ottobre 1978 veniva costituita una società, l’Italfinanze, che mise insieme intorno a interessi petroliferi operatori pachistani e italiani.
A partire del 1979 ci furono una serie di avvenimenti che propiziò un più stretto legame tra i servizi segreti americani e i governi del Medio Oriente.
Il primo fu il rovesciamento nel 1979 dello Scià Reza Pahlavi, che era un fedele alleato di Washington nella regione. Il secondo fu l’invasione da parte dell’URSS dell’Afganistan e il terzo lo scoppio della guerra fra Iraq e Iran.
La Bcci con i suoi stretti legami con Washington e Riyadh, ovviamente fu coinvolta profondamente in queste vicende. Il Pakistan cercò aiuti finanziari nei paesi arabi per far fronte alla minaccia dell’URSS. Il generale Zia volò immediatamente in Arabia per battere cassa e si recò successivamente negli Stati
Uniti. Insieme con il governo pachistano, la CIA s’impegnò in una campagna di sostegno ai ribelli afgani e fu in quest’operazione che la Bcci emerse ancora una volta, e sempre più chiaramente, come uno strumento di collegamento dei servizi.
La Bcci aveva agito in diverse operazioni segrete per conto dei sauditi: con i suoi denari aveva aiutato l’UNITA angolano (formazione controrivoluzionaria creata dalla CIA per ostacolare l’ascesa del MPLA) e Noriega a Panama. In seguito fu utilizzata dal National Security Council, per la compravendita di armi nel progetto Iran-Contras e la stessa CIA usufruiva regolarmente dei conti della Bcci di Monte Carlo. Grazie all’impegno della banca, i sauditi erano riusciti a impossessarsi dei missili cinesi Silkworm e l’istituto fungeva addirittura da intermediario negli acquisti di armi delle agenzie di spionaggio israeliane e occidentali.
Con il coinvolgimento della Bcci, si creò all’interno della banca un istituto bancario occulto. La sua sede era Karachi, città della quale la rete svolgeva il ruolo di operatore finanziario per tutte le esigenze della CIA. Con i suoi 15.000 dipendenti agiva con le stesse modalità della Mafia, ed era un’organizzazione
profondamente integrata: finanziava e promuoveva la compravendita occulta di armi fra diversi paesi, effettuava spedizioni con una flotta di sua proprietà, le assicurava
con una sua agenzia e forniva la manodopera per garantire la sicurezza lungo il percorso. I funzionari della Bcci in Pakistan sapevano chi corrompere, quando e come farlo. Alla metà degli anni ’80 questa rete nera controllava il porto di Karachi e gestiva tutte le operazioni doganali delle spedizioni della CIA dirette in Afghanistan, comprese le indispensabili tangenti per l’ISI (il servizio segreto pakistano). Era suo compito anche assicurarsi che le armi e le altre attrezzature militari fossero scaricate prima possibili.
Con il procedere del conflitto, i costi continuavano a lievitare lungo la pipeline che alimentava i mujaheddin, il denaro non bastava mai, e per questa ragione l’ISI e la CIA cominciarono a cercare altre fonti di finanziamento. Una che si dimostrò
accessibile fu il contrabbando di droga. L’Afghanistan era un importante produttore d’oppio, ma riforniva solo i piccoli mercati delle regioni circostanti; l’ISI si assunse dunque il compito di aumentare la produzione, di lavorare l’oppio e di contrabbandare l’eroina sui mercati occidentali. Ai mujaheddin che avanzavano e conquistavano nuove regioni fu detto di imporre una tassa sull’oppio per finanziare la guerra. Per pagarla i contadini piantavano più papaveri, e i narcotrafficanti iraniani, che si erano trasferiti in Afghanistan dopo la rivoluzione iraniana, concedevano a loro degli anticipi sul valore del raccolto, mettendo inoltre a disposizione le competenze necessarie per raffinare l’oppio in eroina. In meno di due anni la produzione di papavero conobbe una crescita considerevole, e in breve alla tradizionale economia agricola se ne sostituì una fondata sulla droga. Con l’aiuto dell’ISI, i mujaheddin aprirono centinaia di raffinerie per la produzione di eroina. Nello stesso periodo la zona di confine tra il Pakistan e l’Afghanistan divenne il maggiore centro mondiale di produzione dell’eroina, che finì nelle strade americane, soddisfacendo il 60% della domanda di narcotici degli Stati Uniti. Si è calcolato che i profitti oscillassero fra i cento e i duecento miliardi di dollari all’anno.[91]
La strada preferita dai contrabbandieri passava dal Pakistan: l’ISI utilizzava l’esercito pakistano per trasportare la droga, mentre la Bcci forniva l’appoggio finanziario e logistico a tutta l’operazione. Gran parte dell’eroina era venduta e consumata nel Nord America. Nel 1991 la produzione annua nell’area tribale
controllata dai mujaheddin aveva raggiunto la sorprendente cifra di 70 tonnellate di eroina di primissima qualità, con un aumento del 35% rispetto l’anno precedente.
I principali finanziatori di questa jihad anti russa furono gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita. Lo scopo principale da parte degli americani era quello di infliggere un colpo mortale all’Unione Sovietica. Già nel 1983, i russi si erano resi conto dell’errore commesso e stavano meditando di ritirarsi, e nel 1985, quando Gorbaciov salì al potere, il Politburo del PCUS era favorevole a uscire dal conflitto nel giro di un anno. L’amministrazione americana, invece, intensificò lo scontro, la CIA propose addirittura che l’ISI portasse la guerra oltre i confini dell’Afghanistan, fin nelle regioni dell’Asia centrale. In pratica, nel 1986 fu l’incremento degli aiuti americani che impedì ai russi di abbandonare l’Afghanistan.
Nel frattempo, però, l’ufficio del Servizio doganale USA di Tampa (Florida) iniziò l’operazione C-Chase, un’investigazione segreta tesa a identificare i riciclatori del denaro derivante dalla droga: un agente doganale aprì il conto presso la filiale della
Bcci di Tampa. Poco dopo tramite alcuni funzionari della banca, iniziò un’operazione di riciclaggio di denaro proveniente dai traffici di droga.
Fu l’inizio della fine per la Bcci: un trafficante confessò agli inquirenti che lui e Noriega utilizzavano la Bcci per i propri traffici.
Il 4 febbraio 1988 un giuria federale accusò Noriega di traffico di stupefacenti, di riciclaggio di denaro, di aver fornito assistenza ai maggiori trafficanti di droga, di aver versato milioni di dollari di tangenti. Durante il periodo dell’incriminazione, la Bcci aiutò Noriega a nascondere 23 milioni di dollari in conti bancari europei.
La Bcci, quell’epoca, aveva 417 uffici in 73 paesi e 1.300.000 clienti, con un attivo totale di 20,6 miliardi di dollari. Era diventata la settima banca privata del mondo.
Nell’agosto 1989, l’FBI fece un’incursione nella filiale di Atlanta della BNL italiana e “scoprì” che aveva prestato bilioni di dollari all’Iraq. In seguito si “scoprirono” i rapporti che erano intercorsi tra la BNL e la Bcci.[92]
Il 20 dicembre 1989 le truppe americane invasero Panama. Il 3 gennaio 1990, Noriega si arrese. Fu chiamato in giudizio il giorno dopo alla Corte federale di Miami. Il 5 febbraio successivo un giudice federale di Tampa accolse la dichiarazione di colpevolezza della Bcci e applicò una sanzione di circa 14
milioni di dollari.
Nell’ottobre 1990, Abedi e Naqvi furono obbligati a dimettersi dalla banca. Il Dipartimento della “Giustizia” Amerikano annunciò la messa in stato d’accusa del precedente manager della filiale di Atlanta (Georgia – USA) che fu accusato di frode in connessione con i prestiti della BNL all’Iraq.
Il 5 luglio 1991, la Commissione d’inchiesta formata da Stati Uniti, Gran Bretagna, Lussemburgo, isole Cayman, Spagna, Svizzera, e Francia sospese l’attività della Bcci. Nelle settimane successive seguirono nuove rivelazioni con notizie precise sui
legami con i servizi segreti e sui collegamenti con il terrorismo.
Negli anni 1991-92, il liquidatore della Bcci dichiarò la banca responsabile dei reati contestati dagli USA e convenne di confiscare tutti gli utili USA della banca, per un valore stimato in 550 milioni.
Per comprendere l’incredibile sviluppo internazionale della banca è necessario tenere conto del fatto che, fin dalla metà degli anni ’70, grazie alla sovrabbondanza di petrolio si era sviluppata una produzione sfrenata nei paesi arabi produttori. Si creò
così una triangolazione: le metropoli imperialiste cercano di trarre profitto dal riciclaggio dei petroldollari con la vendita di qualsiasi prodotto verso i paesi dipendenti, mentre i leader di questi paesi cercano di mantenere fondi nazionali/personali nei paesi imperialisti. Di conseguenza, la stessa necessità di
assicurare un flusso di liquidi vero le metropoli imperialiste determinò un’accelerazione dei finanziamenti.
I governi dei paesi imperialisti, soprattutto quello di Washington incoraggiarono le banche ad aiutare questo processo finanziario attraverso un pompaggio di denaro verso i paesi dipendenti, sotto forma di prestiti aggiuntivi che servivano ad assicurare una liquidità valutaria.
In sostanza le banche dei paesi imperialisti avevano la funzione di salvare i fondi che gli stessi leader dei paesi dipendenti avevano sottratto ai loro paesi, per poi riprestarli nuovamente. In questa situazione, l’economia dei paesi dipendenti cominciò a mostrare il collasso. Con la crisi che cominciava a mostrare i suoi primi effetti, le banche dei paesi imperialisti soprattutto quelle degli Stati Uniti presero le distanze.
Come si vede l’imperiamo non rende nemmeno i borghesi delle diverse nazioni uguali fra di loro, ma confina quelli dei paesi periferici ad una condizione di paria, cui è concesso pure di arricchirsi, o di mandarsi i propri figli in prestigiosi college internazionali, ma a condizione di aprire completamente le porte ai voleri e alle esigenze del grande capitale internazionale, a svendere completamente il proprio paese. In caso contrario sono destinati a subirne la distruzione, la rimozione manu militare dei loro governi.
Torniamo alle dichiarazioni di Richard Brenneke e Ibrahim Razin. I due agenti parlarono anche di qualcosa molto simile a Gladio, e si scoprì che Razin era stato un supervisore della Gladio europea. L’intervista scatenò una delle prime esternazioni di Kossiga e portò alla rimozione del direttore del telegiornale Nucio Fava, e all’esautorazione di Remondino, autore dell’inchiesta.
A proposito dell’attentato di Capaci, la giornalista Stefania Limiti nel suo libro Doppio livello riporta l’intervista inedita a un ex Gladiatore siciliano (anonimo) che su Capaci racconta: “Non penserà mica che fu opera soltanto di quattro mafiosi? … Mi creda, quei poveri scemi piazzati nella casetta sopra la curva dell’autostrada credono davvero di aver compiuto un attentato con tutti i crismi della professionalità… non si sono accorti che altri, ben più all’altezza di tali situazioni, hanno fatto tutto con grande capacità, lasciando a loro solo l’effimera illusione di essere veri criminali”[93].
Ora è spuntato anche un nuovo pentito, l’ex agente di polizia penitenziaria Pietro Riggio, che per la prima volta ha messo in dubbio la verità secondo cui il telecomando dell’attentatore fu premuto da mano mafiosa, in particolare dal boss Giovanni Brusca, alludendo a presenze di servizi libici sulla collinetta di Capaci. Riferendosi a una conversazione con un altro poliziotto, tale Giovanni Peluso, detto “il Turco”, che Riggio accusa di essere tra gli esecutori materiali della strage, il pentito ha ricordato nell’aula d’appello del Capaci bis (udienza del 30 novembre 2019) che l’ex collega a un tratto gli chiese: “Ma tu sei sicuro che fu Giovanni Brusca a premere il telecomando”[94]. Riggio riferisce che a quel punto raggelò e cominciò a pensare: “Si sapeva che fosse stato Brusca e la Mafia. In quel momento, invece, capii che oltre a loro c’erano altre persone che si erano interessate di questa situazione. Capii che mi trovavo in pericolo e che stavo giocando un gioco più grande di me”[95]. Tutte le tracce di DNA isolate su questi reperti sono risultate incompatibili con i dodici componenti del commando mafioso condannati per la strage di Capaci, e finora non sono mai state identificati.[96]
Il neofascista Bellini, rinviato a giudizio il 15 febbraio 2021 per la strage di Bologna, ha rilanciato la pista americana. Ai magistrati Bellini ha riferito le confidenze ricevute da Gioè: “Questo mi disse Gioè nell’ultimo incontro, in una cava di Altofonte”, detta a Verbale Bellini, “Gioè mi raccontava di Capaci e ripeteva ‘Ci hanno consumati’, ‘Ci hanno usati’. E poi mi spiegò che Riina aveva un ulteriore canale di trattativa, con lo scopo di ottenere benefici per l’organizzazione mafiosa. Era una trattativa triangolare fra l’Italia e gli Stati Uniti d’America, nel senso che Cosa Nostra aveva dei tramiti negli Stati Uniti per una trattativa da condurre in porto con ambienti italiani che Gioè non mi disse”. Chi sono i protagonisti di questa “trattativa triangolare” tra le due sponde dell’Atlantico? Gioè, non ha avuto il tempo di aprire bocca sul tema. E il suo “suicidio” è avvolto ancora oggi nel mistero. Diceva Loris D’Ambrosio (morto nel 2012) consigliere giuridico dell’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano, parlando al telefono con Nicola Mancino: “Questo storia del suicidio di Gioè è un segreto che ci portiamo dentro”[97].
Nel frattempo, un altro tassello è stato incastrato nel grande puzzle della “ipotesi atlantica” da Antonino Giuffrè, braccio destro di Bernardo Provenzano, e ultimo dei grandi pentiti. La morte di Giuffrè, è stata decretata anche in America. Poco prima delle stragi, i cugini americani della famiglia Gambino mandarono un loro avvocato a Palermo, per rimediare i danni causati dalle dichiarazioni dei pentiti Tommaso Buscetta e Francesco Marino Mannoia. All’epoca, quell’avvocato fu pedinato dalla polizia, ma nessuno sapeva che cosa fosse venuto a fare in Sicilia e perché ricevesse visite all’elegante Hotel Igiea di Palermo. Lo ha spiegato Giuffrè, raccontando le lamentele che arrivavano dall’America per l’azione di Falcone e dei suoi colleghi siciliani[98].
Il poliziotto Gioacchino Genchi, componente della squadra investigativa che indagò sulle stragi del 1992, è convinto che solo l’analisi dei traffici possa condurre alla vera natura della strage di Capaci, ha detto in un’intervista videoregistrata in occasione del 28esimo anniversario del botto sull’autostrada per il sito ilsicilia.it: “Il Gotha di Cosa nostra, i corleonesi, non avevano la capacità organizzativa, militare, strategica, di intelligence, per organizzare un attentato come la strage di Capaci. L’elemento principale non era l’esplosivo utilizzato, ma le informazioni su quando Falcone sarebbe andato da Roma a Palermo. Sono quelle telefonate che io per prima ho accertato partito dalle celle di Roma quando Falcone si stava approssimando a uscire dal ministero della Giustizia, per andare all’aeroporto di Ciampino da dove un volo di Stato dei servizi lo avrebbe portato a Palermo. Falcone viaggiava in un aereo dei servizi segreti col piano di volo coperto da segreto di Stato. Non doveva e non poteva saperlo nessuno. Chi lo ha saputo, l’ha saputo dagli apparati dello stato. Infatti le telefonate che io trovato partivano da Roma. L’obiettivo (della strage di Capaci, nda) era impedire l’elezione di Andreotti a presidente della Repubblica. Quindi la strage è stata congegnata in quel modo, in quel luogo e in quella data, solo con quello scopo. Non entro nel merito della figura di Andreotti, ma resta un fatto: che quel governo Dc ha varato i provvedimenti più duri contro la mafia. Quell’elezione non faceva comodo agli Usa che avversavano Andreotti per la politica estera di distensione con la Russia di Gorbaciov, con papa Wojtyla e contro le guerre; quando in Usa sta per essere eletto Bush, candidato delle potenze internazionali delle industrie degli armamenti, che voleva investire in armamenti, missili, carri armati, cannoni, per fare le guerre. La politica di Andreotti e la distensione europea avrebbero compromesso l’imperialismo americano, e quindi andava bloccato impedendone l’elezione a presidente della Repubblica. Come si entra a gamba tesa? Con una strage che ha avuto un effetto deflagrante: la fine della Prima Repubblica, della Dc, dei partiti tradizionali e l’avvento di un nuovo corso politico che abbiamo quale essere stato”[99].
SERVIZI SEGRETI E STRUTTURE OCCULTE
Per quanto riguarda i servizi segreti essi dovevano rispondere al loro operato anzitutto in sede atlantica. I generali dipendevano dai comandi Nato prima ancora che dal governo nazionale. Catene che si sono dimostrate funzionali dalla fine degli anni ’60 nella gestione della Strategia della tensione. Bisogna aggiungere a tutto questo che i vari governi nazionali che si sono succeduti in Italia dal secondo dopoguerra, hanno rinunciato al loro diritto-dovere di esercitare la loro autorità sulle Forze Armate; e che esistono catene occulte che corrono parallele a quelle palesi, come si conviene alla doppia struttura, segreta e clandestina da un lato, ufficiale dall’altra, in cui si articola l’Alleanza atlantica.
C’è da chiedersi se Gladio coincidesse con l’organizzazione di cui stiamo parlando, oppure una parte di essa, o come pretende certa magistratura italiana qualcosa di totalmente estraneo.
A dare ascolto al Generale Gerardo Serravalle, che di Gladio è stato per alcuni anni il comandante, dovrebbe essere valida la seconda ipotesi, quella cioè che vede Gladio come parte sacrificata per coprire tutto, inteso quest’ultimo l’organizzazione, la cui esistenza non potrà mai essere ammessa perché strumento portante del dominio USA in Europa. Serravalle afferma che: “…Da una parte, difatti, c’è una struttura segreta denominata Stay-behind, a tenuta ermetica, che dispone di armi ed esplosivi mantenuti occultati in vari punti del territorio nazionale…dall’altra sembra di intravedere un filigrana una specie di magma delle varie denominazioni, di natura eversivo-terroristica. È il magma dei ‘salvatori della patria’ che hanno fruito del segreto politico-militare dello Stato”.[100] E, in maniera più esplicita, subito dopo: “La struttura era dunque tale da poter essere utilizzata come schermo per il magma ‘patrioti-professionisti’ al riparo delle coperture istituzionali per poter dare uno scossone al Paese? Il sospetto è legittimo e fondato…”.[101] E ancora: “Viene inevitabile supporre almeno in linea di ipotetica che chi predispone una struttura segreta tipo Gladio e la pone al comando di un militare professionale, intenda che la struttura stessa debba essere impiegata eventualmente con assoluta sicurezza secondo compiti istituzionali (resistenza all’invasore e ai collaborazionisti), secondo i criteri della dottrina militare sulla ‘guerra non ortodossa’, oppure si è voluto costruire un paravento, una facciata rispettabile con tutti i requisiti dell’ufficialità, i benefici del segreto di Stato ed il manto protettivo dell’Alleanza atlantica a vantaggio, diciamo così del potere. Questo il nodo della vicenda Gladio. Nelle Stay-behind operano funzionari civili di carriera dei rispettivi servizi. Ho avuto modo di constatare in essi, con molto stupore, una pressoché assoluta carenza di preparazione tecnico-tattica, necessaria ad una corretta impostazione ed eventuale condotta di quella forma particolare di guerra”.[102] Partiamo dal fatto che il generale Serravalle è ben lontano dall’essere una vittima e soprattutto, un’ufficiale democratico, tanto che quando di congeda dall’Esercito nel 1986, partecipa, come consulente civile di un gruppo italoamericano, operante nel campo di quel progetto che fu denominato Guerre Stellari.
Egli è colpevole al pari degli altri suoi colleghi, arrogante nella presunzione di poter informare, quando spesso e volentieri disinforma. Non dice tutta le verità quando afferma che tra i compiti istituzionali di Gladio e di essere utilizzata contro i “collaborazionisti”, secondo i criteri di impiego della dottrina militare della guerra non ortodossa, dove finge di dimenticare due cose fondamentali: che quello che definisce i “collaborazionisti” che essi vanno identificati nei dirigenti, nei quadri e nei militanti dei partiti comunisti occidentali; e che la guerra non ortodossa non può essere assimilata alla pura e semplice guerra di guerriglia alla quale era ufficialmente destinata la struttura Gladio. E’ necessario ricordare (non a Serravalle ovviamente) che la guerriglia contro un esercito invasore avrebbe avuto fine con la riconquista dello spazio geografico, mentre la Guerra non ortodossa ha come fine la difesa dello spazio politico. Difatti, negli scenari bellici costruiti dagli Stati maggiori degli eserciti Nato prevedevano la conquista la conquista pacifica del potere, mediante le elezioni, da parte dei partiti comunisti italiano e francese che giunti al potere avrebbero richiesto l’aiuto delle forze del Patto di Varsavia. Questo era il vero pericolo da scongiurare, con ogni mezzo: la perdita dello spazio politico.
Ora lo spazio geografico non è mai stato minacciato. Nel 1948, gli unici ad approntare piani di attacco, per di più atomico, furono predisposti dagli USA contro l’URSS che, era ben lontana dall’aver risanato le immense distruzioni provocate dalla seconda guerra mondiale. Nel 1950, con il terrore che prendendo come pretesto della guerra di Corea gli USA attaccassero l’URSS, Togliatti offrì al governo italiano una cessazione dell’opposizione da parte del PCI in cambio di una politica estera di pace. Nel 1956, l’ingresso dell’Armata Rossa in Ungheria (4 novembre) fu contemporanea all’azione diplomatica USA-URSS che obbligò le truppe britanniche e francesi a ritirarsi precipitosamente dal canale Suez, che avevano occupato il 1° novembre.
Lo spazio geografico italiano non è mai stato minacciato, quello politico (nel senso che potenzialmente avrebbe potuto mettere in discussione gli equilibri politici del paese) sì. E a difendere quest’ultimo sono state le Stay-behind, che sono lo strumento perfezionato e raffinato della guerra non ortodossa.
Certamente è difficile a mettere assieme i pezzi di questo mosaico, ebbene l’impunito Kossiga, nelle dichiarazioni rilasciate a ruota libera, non ha lesinato frammenti di verità sulle Stay-behind in Europa che contrastano, in modo plateale con le conclusioni ufficiali. Non si concilia la sua definizione di “potente organizzazione interalleata” a una struttura che, a dire del suo caro amico Fulvio Martini, era invece povera cosa, composta di 622 persone.
E ancora più interessante appare il riferimento, fatto da Kossiga, al governo di Stay-behind ristretto, a sentir lui, a 22 uomini politici, gli unici in Italia sapevano tutto perché evidentemente, erano gli unici a sapere tutto perché evidentemente erano i soli a dare tutte quelle garanzie di fedeltà che gli USA e la Nato pretendevano. Kossiga non fa i nomi di tutti quelli che componevano il governo occulto, ma, quelli che fa (Spadolini, Taviani, Rognoni, Andreotti, Restivo e Tanassi) sono sufficienti per delineare le coperture politiche al cui riapro hanno agito gli uomini delle Stay-behind in Italia. Questi uomini politici avrebbero rappresentato la cerniera fra lo Stato parallelo e quello ufficiale, e che, molto probabilmente, sono stati sostituiti da altri che non anno ancora un nome e un volto.
E se sul piano politico, vi era una direzione unitaria che non teneva conto del partito di appartenenza (DC-PLI-PSDI-PRI) ma solo dell’incondizionata dipendenza ai voleri degli USA e della Nato, anche sul piano militare ed operativo l’organizzazione sicuramente non poteva non avere un unico vertice, capace di coordinare le multiformi attività dei subalterni impegnati nelle più diverse realtà italiane ed europee.
Si configura così un potere parallelo che agisce in piena sintonia con quello ufficiale ma da quest’ultimo troppo impacciato nei suoi movimenti dal rispetto formale delle regole della democrazia, si differenzia per l’agibilità dei movimenti, la totale libertà di azione, la scelta degli obiettivi, dei metodi, dei mezzi e degli uomini da impiegare con assoluta spregiudicatezza.
Tutto ciò non è certamente una novità. Nella nazione guida del mondo cosiddetto “libero” (gli USA), l’esistenza di un potere parallelo a quello ufficiale, all’interno di del quale si prendono le decisioni cruciali per la politica estera USA, è stato più volte riconosciuto, anche se tutto ciò è presentato come una necessità contingente e quindi non istituzionalizzata.
Scriveva Panorama nel novembre del 1986: “Adesso si scopre che all’interno della Casa bianca le più spericolate e clandestine operazioni sono affidate a un gruppo di personaggi-ombra, di cui nessuno fuori dall’ambiente aveva mai sentito parlare. È questo un governo clandestino che, all’insaputa di tutti ha condotto l’operazione ostaggi, guidato la guerra segreta in Nicaragua, l’intervento Usa nel mediterraneo ai tempi della crisi dell’Achille Lauro e, prima ancora, l’invasione di Grenada”.[103]
Pochi giorni dopo più tardi, su Repubblica appariva un articolo sullo stesso argomento: “… Tra le molte vicende che quest’ultima crisi (l’Irangate) ha rilevato, c’è anche questa: l’esistenza di un piccolo gruppo formatosi nel Vietnam che, sulla base di un approccio teorico totalmente nuovo, ha tentato un rinnovamento nell’establishment… L’approccio elaborato da questa nuova razza di militari è un po’ l’uovo di Colombo, ma ha fatto molta strada ed ha testi di riferimento: le opere del generale a due stelle Lansdale, il quale dalla sua esperienza, nelle Filippine in particolare, ha ricavato alcune riflessioni. Per combattere il comunismo i militari hanno tradizionalmente contatto su due fattori: l’uso di molti mezzi di guerra e molti soldi. Con questa strategia, tuttavia, si perse il Vietnam. Lansdale sostiene invece che questi due fattori funzionano solo se essi vengono integrati con misure sociali ed operazioni politiche. Che, insomma, non si può vincere una guerra e poi creare condizioni politiche favorevoli, ma si deve operare su entrambi i fronti contemporaneamente. Per esempio, l’amministrazione Reagan, all’inizio era tutta immersa dentro questa idea di un massiccio riarmo, e questa era l’altra faccia dell’amministrazione Carter che invece era immersa dentro stupide teorie sociali. La separazione fra le due cose ha sempre reso effettiva l’una e l’altra”.[104]
Anche se la giornalista dimostra di ignorarlo (non si sa se volutamente o meno), il fondamento delle teorie che espone, non è certo una novità, poiché stanno alla base della dottrina della Guerra non ortodossa, scaturita dalle osservazioni prima così è visto dai nazisti e in seguito dai francesi in Indocina e in Algeria, dagli inglesi in Malesia e dagli stessi americani nelle Filippine. In questa che è stata definita la “quarta dimensione della guerra”, come si è affermato in precedenza, la separazione tra civile e militare è stata abolita e a dirigerla sono stati chiamati gli Stati maggiori allargati, che comprendono uomini provenienti sia dagli ambienti politici, accademici, economici, che da quelli militari. Perché è una guerra che pur prevedendo il ricorso alle armi da fuoco, preferisce, quelle della persuasione, magari usando (come specchietto delle allodole) le prospettive di un miglioramento economico.
Questi articoli fanno notare il fatto che negli USA la politica estera è affidata non al Dipartimento di Stato ma a un piccolo gruppo di persone che nessuno conosce. Perciò non ci si dovrebbe meravigliare che questa prassi sia adottata anche in sede di Alleanza atlantica.
E dovrebbe meravigliare pensare che il vero motore della politica statunitense sia una realtà extraistituzionale: il Council of Foreign Relations (CFR)’
Realtà nata da una setta segreta, nata in Inghilterra.
Nell’Inghilterra vittoriana nell’ambiente dell’Università di Oxford intorno alla figura di John Ruskin, un critico estetico, riformatore sociale e nonché un profeta politico, si raccolse un gruppo di persone imbevute di teorie che aveva come obiettivo, secondo le parole di Ruskin: “Il mio scopo costante è stato quello di mostrare l’eterna superiorità di alcuni uomini su altri”.[105]
Nel 1891 un gruppo di discepoli oxoniani imbevuti di tali dottrine – tra i quali spicca l’energico uomo d’azione e di affari Cecil Rhodes, fondatore della colonia che prese il nome di Rhodesia – avrebbe costituito una società segreta caratterizzata da una fanatica vena di pananglismo razzista; imporre al mondo il predominio britannico, tale programma nato nella tradizionale atmosfera del Rule Britannia, ma animato da un affatto nuovo, che dalla nazione sposta l’accento alla razza, postulando l’esigenza di un’alleanza tra le nazioni di razza anglosassone. Dopo la morte di Rhodes un’altra figura di proconsole sudafricano, lord Alfred Milner, organizza una cerchia esterna, la Rounde Table, che deve assicurare alla società segreta, di cui non si conosce il nome (nome che forse, per maggior segretezza, si evitò di coniare) un ambiente di “simpatia” e di fattiva collaborazione. Nel 1914 funzionano gruppi di Round Table in Inghilterra, Sud Africa, Canada, Australia, Nuova Zelanda, India e Stati Uniti. Il coordinamento della loro attività intellettuale vie assicurata per mezzo di un organo trimestrale, The Round Table, che esce completamente anonimo, allo stesso modo della rivista dei gesuiti, La Civiltà Cattolica; analogia non casuale, se si pensa che la Compagnia di Gesù costituiva il modello organizzativo di Cecil Rhodes.
Alla fine della prima guerra mondiale, quando ormai è chiaro che gli Stati Uniti sono destinati ad assumere un’importanza sempre più grande nel concerto mondiale, il gruppo americano della Round Table offre la piattaforma per la creazione del Council of Foreign Relations (CFR) delineato nei colloqui anglo-americani di Parigi, che assume il compito contrastare la tendenza isolazionista della borghesia americana (e della sua influenza nell’opinione pubblica degli Stati Uniti) e indirizzare la politica estera del governo statunitense nel senso voluto dalla società segreta, nel senso cioè di una affermazione planetaria della razza anglosassone.
È dagli ambienti gravitanti intorno al CFR è derivato l’impulso per l’intervento degli USA nel secondo conflitto mondiale, ed è dagli stessi ambienti che è impostata la strategia della cosiddetta guerra fredda, che sarebbe stata abbandonata in seguito constatazione della sua sterilità. Essendo impossibile abbattere in modo frontale il campo socialista, è dai cervelli del CFR che nasce la strategia alternativa, basata sull’indebolimento dei paesi socialisti, che l’avvento del revisionismo ha portato nel Movimento Comunista Internazionale e nei paesi socialisti ha facilitato in maniera determinante, il cui sgretolamento era assicurato dalla penetrazione commerciale occidentale e dal contagio ideologico rappresentato dagli eurocomunisti (i partiti comunisti dell’Europa occidentale).
Un fattore base della costituzione di questo potere parallelo da parte di frazioni molto ristrette di borghesia, negli USA, è stato quello militare. La convinzione di una permanente minaccia di guerra conferisce ai militari una posizione di privilegio e giustifica il controllo che essi esercitano, politicizzandoli. L’integrazione tra militari, grande industria e politici avviene nel passaggio del baricentro dell’attenzione degli USA dai problemi interni a quelli esterni con lo scoppio della guerra nel 1941. Politici, militari e industriali stabiliscono un contatto diretto nella gestione e nel coordinamento dello sforzo bellico a livello industriale e militare. Rafforzandolo dopo il 1950 con l’inizio della cosiddetta guerra fredda contro l’URSS. L’élite del potere si sviluppa anche grazie al vuoto rappresentato dalla mancanza negli USA di organismi, tradizioni e meccanismi di tipo democratico espressamente dedicati alla gestione degli affari internazionali.
Un altro fatto nell’affermarsi di queste élites che costituiscono questo potere parallelo (che alla fine è quello realmente determinate) è economico e risiede nello stabilizzarsi di un’economia e nell’esistenza di gruppi privati di dimensioni molto grandi. Il capitalismo USA è un capitalismo militare, in cui coincidono gli interessi dei grossi industriali con quelli dei “signori della guerra”, e che è inserito in un sistema di democrazia formale. L’integrazione di militari e grossi imprenditori relega a un ruolo più subordinato i politici di professione. Certo questa élite e tutt’altro che monolitica, essendo spesso attraversata da profondi attriti tra i gruppi che la compongono, ma alla fine riesce ad accordarsi al suo interno sui punti fondamentali, specialmente in occasione di crisi.
Realtà come il CFR, il Bilderberg e la Trilaterale sono delle forme organizzata della classe capitalista multinazionale. Essa è la frazione dominante della borghesia, che è il prodotto dello sviluppo capitalistico degli ultimi cinquanta anni. Essa succede all’alta finanza, egemone tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, e alla borghesia delle grandi imprese monopoliste, che dominarono tra gli anni ’10 e ’70 del XX secolo. Essa è la sintesi più avanzata, delle diverse fasi del capitalismo che l’hanno preceduta. Comincia a formarsi come strato superiore e dominante della classe capitalista, dalla fine della seconda guerra mondiale, quando si ricostruisce un’economia mondiale. Ma è soltanto a partire dagli anni ‘70-’80 che si afferma pienamente. La sua ascesa è legata alla trasformazione del capitalismo dalla forma nazionale a quella internazionale, alla sua mondializzazione.
Questo non significa certo armonia. Con l’accentuarsi della crisi e con la crescita del gigantismo la lotta diventa più accanita. Anche questa classe capitalistica multinazionale è composta da fratelli nemici, fratelli quando di tratta di opporsi agli avversari, nemici quando si tratta spartirsi la torta, specialmente in tempo di crisi. In un certo senso organismi come il Bilderberg e la Trilaterale (e anche il CFR) assolvono anche la funzione di camere di compensazione delle contraddizioni tra i diversi settori di capitale.
LA FRANCIA: UN CASO ESEMPLARE D’INTERFERENZA
Con la fine della seconda guerra mondiale, nacque la Quarta Repubblica francese (1945-1958), caratterizzata da una grande instabilità politica nella quale i vari partiti si contendevano il potere.[106] A sinistra il Partito Comunista Francese (PCF), era diventato popolare per il suo ruolo guida nella resistenza. Quando il 6 giugno 1944 gli alleati occidentali sbarcano in Normandia, il numero dei partigiani mobilitati raggiunge di colpo il numero di 500.000 (la metà dei quali inquadrati nelle formazioni comuniste). Il 19 agosto, respingendo le proposte di tregua golliste, Parigi insorge all’appello dei partigiani. Il 25 si arrende il generale che comanda le forze tedesche della capitale.
Il 31 agosto si riunisce a Parigi liberata il Comitato Centrale del partito: è Duclos a presentare il rapporto. Si ha un bilancio delle perdite del partito, valutate a decine di migliaia di fucilati (10.000 solo tra i ferrovieri).
Il 26-30 giugno 1945 si svolge a Parigi il X Congresso. Il partito ha raggiunto i 545.000 iscritti. Mentre alle elezioni che si svolsero il 21 agosto 1945 per l’Assemblea costituente, prende 5.005.336 voti (il 26% dei voti espressi) e 152 deputati il Partito Comunista Francese è il primo partito.[107] A destra, i collaborazionisti di Vichy (che non furono epurati), gli alti ufficiali dell’Esercito e i potentati economici, non erano certo entusiasti che la Francia cadesse in mano comuniste, indipendentemente dal fatto che ciò avvenisse per via insurrezionale o elettorale. Ancor più rilevante era che Stati Uniti e Gran Bretagna fossero strenui oppositori del PCF. Pertanto, in Francia, come in Italia, dopo il 1945 continuò una guerra segreta contro i comunisti e il sindacalismo classista, da parte dei servizi segreti americani e dell’establishment politico, militare, poliziesco ed economico francese, che guidarono l’esercito occulto Stay-behind.
Per iniziativa delle Forze Speciali britanniche e dei servizi segreti americani fu allestito in Francia un esercito segreto – il suo nome di copertura era Piano Blu – con il compito di prevenire l’ascesa al potere (a prescindere da come sarebbe avvenuta) da parte del PCF. Le SAS britanniche, specialiste nella guerra segreta, contattarono l’appena istituito servizio segreto francese, la Direction Générale des Recherches (DGER), con cui si accordarono per allestire un esercito segreto nel nord della Francia e in Bretagna.[108]
Cellule dell’esercito clandestino, nelle quali erano coinvolti numerosi agenti e ufficiali della DGER, furono costituite in ogni parte della Francia. Vale la pena notare che in quel periodo dentro la DGER, sotto la direzione di Andrè Devawrin c’erano elementi comunisti che avevano fatto la resistenza. Gli agenti più reazionari e gli americani consideravano queste presenze un rischio, soprattutto per ciò che riguarda le operazioni segrete contro i comunisti francesi, come il Piano Blu. Il DGER fu sciolto nel 1946 e rimpiazzato da un nuovo servizio segreto militare, rigorosamente anticomunista, lo SDECE agli ordini di Henri Alexis Ribiere, epurato di ogni presenza comunista.
Mentre la Francia era scossa da grandi scioperi che paralizzavano l’intero paese, gli agenti del Piano Blu avvicinarono gli industriali per farsi finanziare la loro guerra segreta. Quando alla Renault scoppiò un imponente sciopero sostenuto dal PCF oltre che dalla CGT, la tensione aumentò in tutto il paese. Il primo ministro, il socialista Paul Ramadier, ordinò il blocco dei salari come risposta alle richieste di aumento provenienti dagli scioperanti. Era uno scontro duro. I comunisti votarono contro il blocco dei salari, mentre i socialisti esortavano Ramadier a non dimettersi, dopo di che con una mossa inaspettata, il 4 maggio 1947, espulse i comunisti dal suo governo. Questi ultimi, assai sorpresi, subirono senza replicare sperando che si trattasse di un ostracismo temporaneo. Solo, in seguito, si scoprì che Washington era coinvolta in questo colpo di mano. Il generale Revers, capo di Stato Maggiore francese, riferì in seguito che il governo americano aveva sollecitato Ramadier a rimuovere i ministri del PCF. In particolare, i socialisti avevano anticipatamente discusso del problema con l’ambasciatore USA Caffery, il quale aveva detto loro chiaramente che gli aiuti economici americani non sarebbero arrivati fintanto che gli esponenti comunisti fossero rimasti al governo.[109]
Un mese dopo l’espulsione dei comunisti dal governo i socialisti francesi attaccarono la destra militare e la CIA e denunciarono l’esistenza dell’esercito clandestino del Piano Blu. Il 30 giugno 1947 il ministro socialista dell’interno Edouard Depreux svelò il segreto e dichiarò a una sconcertata opinione pubblica che un esercito occulto di destra era stato istituito in Francia alle spalle dei politici per destabilizzare il governo. Spiegò Depreux che “Verso la fine del 1946 siamo venuti a sapere dell’esistenza di una rete di resistenti composta da estremisti di destra, collaboratori di Vichy e monarchici”, che“Hanno un piano segreto di attacco chiamato “Piano Blu”, che avrebbe dovuto essere messo in atto alla fine di luglio o il 6 agosto (1947)”.[110]
Secondo le gravi accuse del ministro degli interni, la CIA e l’MI-6, insieme a forze paramilitari francesi di destra avevano pianificato un colpo di Stato in Francia per l’estate del 1947. Sulla scia di queste rivelazioni si ebbero delle indagini e furono effettuati degli arresti. Tra i cospiratori figurava il conte Edme de Vulpian. Il suo castello vicino a Lamballe, nel nord della Francia, servì presumibilmente da quartiere generale per gli ultimi preparativi del golpe. Dalle indagini svolte dal commissario Ange Antonini, emerse che nel castello erano nascosti armamenti pesanti, piani operativi e ordini di battaglia. I piani rilevavano che, come componente essenzialmente del programma di guerra occulta, i cospiratori del Piano Blu intendevano far crescere la tensione politica eseguendo atti terroristici e incolpando la sinistra, creando così le condizioni favorevoli per un colpo di Stato. Questi comportamenti erano già stati nelle operazioni segrete condotte in Italia, Grecia e in Turchia. I cospiratori avevano un piano per assassinare De Gaulle e suscitare un moto di pubblica indignazione.[111]
Ci sono altre fonti, che pur ammettendo che in Francia si stesse combattendo una guerra occulta, affermano che nella realtà non ci fosse stato nessun tentativo di colpo di Stato, ma che nella realtà era una mossa dei socialisti ridimensionare la destra dopo aver colpito i comunisti.[112]
La CIA riuscì a creare una scissione nella CGT, poiché era un formidabile strumento di mobilitazione egemonizzato dal PCF, creando la moderata Force Ouvrière, che dagli anni ’50 finanziò con più di un milione di dollari l’anno.[113]
Un altro obiettivo della guerra segreta nella Quarta Repubblica fu la polizia francese. Quando, nella primavera del 1947, i ministri comunisti furono espulsi dal governo, anche l’intera amministrazione governativa fu epurata dagli elementi comunisti o considerati tali, mentre contemporaneamente gli anticomunisti furono promossi.
Dopo la scoperta del Piano Blu nel 1947, il primo ministro Paul Ramadier si assicurò che i fidati dirigenti di quel piano non fossero rimossi dai servizi segreti.
Passata la tempesta, Ramadier ordinò al capo dello SDECE: Henri Ribiere di organizzare un nuovo esercito segreto anticomunista che avrebbe preso il nome in codice di Rosa dei Venti. Il nome in codice era stato ben scelto perché quando era stata creata la NATO, nel 1949, con quartiere generale a Parigi lo SDECE coordinava la sua guerra segreta anticomunista con una cooperazione molto stretta con l’alleanza militare.[114] I soldati clandestini sapevano bene che la rosa dei venti è il disegno che si trovava nella bussola, sotto l’ago, grazie al quale è ristabilita la rotta quando la barca rischia di andare alla deriva.
Dato che la cooperazione segreta con gli Stati Uniti si intensificava, lo SDECE nell’aprile del 1951 aprì una sede a Washington.[115]
L’addestramento dei soldati segreti della Rosa dei Venti ebbe luogo in varie parti della Francia e all’estero in stretta cooperazione con le Forze speciali francesi. In particolare, il più coinvolto era il reggimento di paracadutisti, altamente specializzato, denominato Undicesimo d’Assalto. Esso operò in Indocina e in Algeria, ed era specializzato in operazioni sporche. Nel 1954 300 uomini di questo reparto giunsero in Algeria. Gran parte di loro era molto esperta in operazioni coperte e antiguerriglia. Uno dei più illustri membri di questo reparto era Yves Guérin Sérac, che aveva prestato servizio in Corea e in Indocina, e coinvolto personalmente nell’allestimento dell’esercito segreto anticomunista.
La lotta di liberazione nazionale algerina fu un fattore determinante per la crisi della Quarta Repubblica francese. Quello che non comprese la classe dirigente francese, che questa lotta non era frutto di un “complotto comunista” ma era parte integrante del grande moto antimperialista di massa dei popoli coloniali e semicoloniali, moto che è sempre stato (a partire dalla rivoluzione messicana 1917-1938, alla tiepida “rivoluzione costituzionale” in Iran 1951-1953) parte costituente e determinante dello scontro di classe internazionale e locale insieme. Dentro questo quadro si è avuto un movimento per le nazionalizzazioni più radicali che è stato tutt’uno con la scesa in campo degli sfruttati arabi (si possono prendere come esempio: la detronizzazione per via insurrezionale della monarchia hashemita in Iraq nel 1958, la stessa guerra di liberazione nazionale algerina, la “rivoluzione dall’alto” in Libia che però era stata preceduta da una forte ondata di lotte anche operaie).
I francesi persero, perché non avevano compreso che la loro sconfitta in Indocina, prima ancora che da fattori militari e era che si trovavano contro una guerra popolare che aveva mobilitato le masse popolari indocinesi. Per lo stesso motivo persero in Algeria perché, al contrario del FLN algerino non riuscirono a guadagnare alla loro causa, la massa del popolo algerino.
Quando, nel maggio 1958, la lotta per l’indipendenza dell’Algeria si fece seria, il debole governo della Quarta Repubblica non si dimostrò in grado di adottare una linea precisa, mentre l’esercito e il servizio segreto erano ben decisi a far restare la Francia in Algeria. Molti personaggi presenti nei ranghi militari e dello SDECE consideravano gli uomini politici della Quarta Repubblica “deboli, potenzialmente o attivamente corrotti, una categoria di pusillanimi la cui tendenza era quella di scappare dall’Algeria”.[116] Tutto questo determinò che gli esperti delle operazioni clandestine dei servizi segreti e dell’esercito cominciarono a preparare un piano per il colpo di Stato che doveva rovesciare il governo di Parigi e riportare al governo De Gaulle.
Molti reparti di fronte a questo fatto si trovarono divisi. L’Undicesimo d’Assalto è uno di questi. Il 24 maggio 1958, elementi di questa formazione con base a Calvi, diede via al golpe coordinando l’occupazione di tutta l’isola con formazioni paramilitari. Mentre altri membri dell’Undicesimo d’Assalto, non erano d’accordo con questa insurrezione e lasciarono la loro base d’addestramento di Cercottes vicino a Orléans per proteggere gli obiettivi identificati dai cospiratori gollisti e dalle unità paramilitari che li sostenevano.[117] Uno dei bersagli dei congiurati era lo stesso capo del servizio segreto francese, generale Paul Grossing. Quando quest’ultimo ebbe sentore del piano fece immediatamente circondare il quartiere generale dello SDECE a Parigi, in boulevard Mortier, dai membri dell’Undicesimo d’Assalto che gli erano fedeli.
Nel maggio del 1958 la Francia stava affondando nel caos. Il capo del potente servizio segreto interno DST, stava per avviare un piano segreto anticomunista chiamato operazione Resurrezione. Il piano consisteva nel rapido lancio del cielo di paracadutisti, che avrebbero dovuto prendere il controllo dei centri vitali di Parigi. Questo piano prevedeva anche l’arresto di un certo numero di politici, tra cui Miterrand, Mendès France e tutta la direzione del PCF.[118]
Nel frattempo, ad Algeri si era costituito un Comitato “rivoluzionario di salute pubblica” che era stato promosso dai generali Raoul Salan e Jacques Massu. Questa rivolta coinvolgeva oltre i militari, anche i coloni francesi in Algeria i cosiddetti pied noirs.
Il 27 maggio, poco prima che l’operazione Resurrezione si scatenasse, De Gaulle diede la disponibilità a formare un nuovo governo. Il 28 maggio il primo ministro Pierre Pflimlin si dimise. La mattina del 29 maggio il presidente della Repubblica Renè Coty rese pubblico il fatto di avere invitato De Gaulle a formare un nuovo governo. Solo 24 ore dopo il generale si presentò di fronte all’Assemblea Nazionale e chiese pieni poteri per sei mesi, quattro mesi di “vacanze forzate” per i deputati e l’autorità per proporre egli stesso una nuova Costituzione. Le richieste di De Gaulle furono approvate con 329 voti contro 224 (votarono contro il PCF, la metà dei socialisti e qualche radicale).
Molti tra i militari e i membri dei servizi segreti che avevano sostenuto il colpo di Stato di De Gaulle si aspettavano che il generale sostenesse con forza la politica di un’Algeria francese, ossia che avrebbe fatto qualsiasi cosa per mantenere l’Algeria sotto il dominio coloniale. Quando, però, De Gaulle avviò il progetto di disimpegno dall’Algeria, i soldati dell’esercito clandestino erano furiosi. Ci fu una divisione all’interno dell’esercito clandestino tra l’obbedienza a De Gaulle e lasciare l’Algeria o invece di opporsi alla linea del governo di Parigi.
Già il 24 gennaio 1960 gruppi di coloni innalzarono barricate al centro di Algeri che gendarmeria ed esercito a prezzo di gravi scontri riuscirono a levarle (in un conflitto a fuoco in boulevard laferrière si contarono venti morti e 150 feriti). Ma il punto di svolta si ebbe in aprile quando De Gaule dichiarò che la Francia stava considerando una soluzione che avesse messo fine il suo dominio in Algeria, avviando quel percorso che porterà all’indipendenza dell’Algeria.
Nel gennaio si crea l’Organisation Armée Secrete (OAS) che aveva due obiettivi dichiarati: mantenere il controllo della Francia – e pertanto combattere contro l’FLN con ogni mezzo – e rovesciare la Quinta Repubblica del presidente De Gaulle per sostituirla con un governo forte anticomunista.
Il 21 aprile 1961 ci fu quello che fu denominato il “Putsch di Algeri”, promosso dal generale Maurice Challe (ex comandante capo delle forze francesi in Algeria) e dai generali Raoul Salan, Edmond Jouhaud e André Zeller.
Inizialmente le truppe da loro guidate, il cui nerbo era costituito da un gruppo di colonnelli veterani della guerra di Algeria, si impadronirono di Algeri e della regione circostante. Dai rivoltosi furono arrestati il comandante dell’esercito di Algeri Fernard Gambiez e il ministro Robert Buron in visita nella colonia.
I generali speravano in un intervento americano a loro favore. D’altronde quattro giorni prima si era consumata l’avventura della Baia dei porci a Cuba.
In Francia l’appoggio non poteva che essere sotterraneo, da parte della CIA, che assieme alle formazioni segrete della Nato e al Pentagono appoggiarono il colpo di Stato contro De Gaulle.
Dieci giorni prima del golpe, c’era stata una riunione clandestina a Madrid, dove erano presenti oltre ai golpisti dei membri del servizio segreto americano che si lamentavano con veemenza della politica di De Gaulle che “stava paralizzando la NATO e rendeva impossibile la difesa dell’Europa”, assicurando che, se il putsch dei generali capeggiati da Challe avesse avuto successo, Washington avrebbe riconosciuto il nuovo governo entro 48 ore.[119]
In Francia una parte delle forze armate si schierò con i ribelli. Ma il ministro dell’Interno Roger Frey soffocò sul nascere il tentativo di marcia sulla capitale arrestando il generale Jacques Faure e altri cospiratori. A tale scopo erano stati radunati nella foresta di Orléans, la sera del 22 aprile, 1800 paracadutisti mentre altri 400 attendevano in quella di Rambouillet. Queste forze avrebbero dovuto muovere su Parigi, per occuparvi l’Eliseo e altri punti chiave dell’amministrazione.
Di conseguenza il governo proclamò lo stato di emergenza.
Fu anche decreto l’arresto totale del traffico aereo su Parigi, degli autobus, e dei treni. Furono persino chiusi i cinematografi. Rimasero aperti solo i caffè, anche per far ascoltare per televisione e via radio, alle otto della sera di domenica 23 aprile, l’intervento deciso di De Gaulle che lanciò un messaggio molto chiaro: “In nome della Francia, ordinò che si impieghino tutti i mezzi – ripeto: tutti i mezzi – affinché a costoro sia sbarrata ovunque la strada (…) E proibisco a ogni francese, e ma soprattutto ai soldati, di eseguire qualsiasi loro ordine”.[120]
Il suo discorso fece notevole presa proprio sui soldati semplici, sulle reclute e sui riservisti d’Algeria non consultati dai rispettivi ufficiali e fin dall’inizio tiepidi nei confronti della sollevazione. Tra l’altro i generali si erano dimenticati di disturbare le emissioni dalla Francia.
Il giorno dopo, lunedì 24 aprile, in segno di protesta contro il putsch ci fu uno sciopero generale promosso dalle sinistre che ebbe pieno successo.
La Francia, in conclusione, si mobilitò in massa a favore del governo di De Gaulle. Anche l’idea dei golpisti di lanciarsi su Parigi insieme a reparti di paracadutisti provenienti dall’Algeria non poté attuata a causa della defezione dei responsabili del trasporto-truppe.
Prendendo atto dell’isolamento, il generale Challe, nonostante il parere contrario degli altri generali, si arrese. Tutti gli altri generali dell’Oranese e Costantina si erano schierati contro. I reggimenti a favore del golpe erano rimasti solo quelli dei paracadutisti. Il fallimento del golpe fu l’inizio dell’avvio dell’azione terrorista dell’OAS.
L’OAS perpetrò numerosissimi attentati sia in Francia sia in Algeria. Secondo alcune stime, tra il maggio 1961 e il 1962, assassinarono almeno 2700 persone, tra cui 2400 algerini.[121]
Tra le vittime eccellenti: il giovane avvocato liberale di Algeri Pierre Popie, impegnato a difendere i detenuti del FLN algerino, il segretario generale del Partito Socialista di Algeri William Lévy, il commissario Gavoury, incaricato della caccia all’OAS, e il sindaco di Evian, alla vigilia dei primi colloqui di pace.
L’OAS cercò anche di assassinare più volte De Gaulle, responsabile, ai loro occhi, di abbandonare l’Algeria. Particolarmente pesanti nei suoi confronti furono i tentativi dell’8 settembre del 1961, quando un commando dell’OAS cercò di far saltare l’auto su cui viaggiava il capo dello Stato, e quello del 22 agosto del 1962 nel cuore di Parigi, quando contro l’auto presidenziale furono sparati 150 colpi con armi automatici, di cui 14 andati a segno, senza che miracolosamente nessuno rimanesse colpito.
Oltre che in Francia e in Algeria i soldati segreti dell’OAS portarono la loro guerra anche in altri stati europei, tra cui Spagna, Svizzera e Germania, dove squadre speciali si dettero ad assassinare esponenti dell’FLN, e i loro sostenitori finanziari e fornitori di armi.[122] In Germania ebbero la collaborazione dei soldati clandestini delle reti Stay-behind e da parte della BND (il servizio segreto tedesco).
Alla fine, la guerra segreta dell’OAS, che aveva coinvolto i soldati clandestini della rete Stay-behind della NATO, non riuscì né a rovesciare De Gaulle né a impedire che l’Algeria diventasse indipendente.
Anche in Francia era stato creato uno Stato parallelo atlantico, non si capirebbe il fatto che gli organismi di sicurezza francesi fecero il meno possibile per neutralizzare gli uomini dell’OAS e paralizzare la loro azione. Questo fatto costrinse De Gaulle a creare un corpo di polizia parallela che potesse proteggerlo dagli attentati di cui era oggetto, e potesse in qualche modo contrastare questi ribelli che il più della volta erano impuniti.
La fuga di Marc Robin, una delle figure di maggiore spicco dell’OAS, il 2 maggio 1964 dall’ospedale civile di La Rochelle, è uno degli episodi che meglio evidenziano gli appoggi di cui godevano gli uomini dell’OAS. Benché fosse condannato a 20 anni di reclusione dal Tribunale militare e all’ergastolo dalla Corte di sicurezza della repubblica, Marc Robin, detenuto dal marzo 1962, era stato trasferito da un penitenziario di massima sicurezza ad un ospedale civile da dove evase tranquillamente, sottoposto com’era alla sorveglianza di un solo poliziotto. Lo scandalo che ne seguì indusse il governo a scaricare ogni responsabile le responsabilità sul prefetto di La Rochelle, Claude Massol, che fu sacrificato per non ammettere errori fra i più stretti collaboratori di De Gaulle e soprattutto per non alimentare il sospetto di complicità dell’OAS in seno al personale ministeriale della Quinta Repubblica.[123]
Un sospetto più che legittimo perché altre figure di spicco dell’OAS, prima di Robin, si erano sottratti alla detenzione con fughe tempestive, se non “impossibili”, se non fossero state favorite da uomini piazzati ai vertici dello Stato francese. Ma qualcosa di singolare si verificò anche al di fuor dello Stato francese, in questi Paesi europei che per opportunità, prassi consolidata, solidarietà con il governo francese, avrebbero dovuto collaborare con le autorità francesi nella ricerca e nella cattura degli uomini dell’OAS sparsi in mezza Europa e non lo fecero.
George Watin, che aveva attentato nel 1962 alla vita dei De Gaule (la sua azione ispirò il romanzo Lo sciacallo), venne in seguito arrestato in Svizzera, “ma le autorità svizzere e rifiutarono l’estradizione e preferirono espellerlo. Watin si trasferì in Spagna, ed infine in Sudamerica, dove in Paraguay nel 1965”.[124]
Yves Guerin Serac, invece, a dispetto della condanna a morte riportata si stabilisce in Portogallo, dove continua a svolgere in maniera proficua con la creazione di Aginter Presse nel 1966, un’agenzia che era una copertura per servizi spionistici e aveva un apparato clandestino, che aveva dei campi dia addestramento oltre che in Portogallo anche nel Sud Ovest della Repubblica Sudafricana, specialista in operazioni sporche tra le quali collaborazione per la strage di Piazza Fontana.
In Italia, il governo non perseguì mai gli uomini dell’OAS né per i reati commessi in territorio francese, né per quelli compiuti introducendosi con documenti falsi, e spesso armati, nel nostro territorio. Ricorda l’ex questore Molinari, quando nel 1962, l’Algeria divenne indipendente molti uomini dell’OAS si rifugiarono in Italia. Soprattutto nella Riviera ligure di ponente. Qui avevano protezione del potentissimo direttore dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale, Umberto Federico d’Amato. Il capo degli 007 del ministero dell’Interno.
D’Amato, uomo di provata fede atlantica, seguiva con scrupolo le indicazioni della CIA. E cioè dava protezione e assistenza ai fuoriusciti dell’OAS in funzione antigollista. Per la CIA, come abbiamo visto, infatti, gli uomini dell’OAS, erano un prezioso strumento per cercare di destabilizzare il governo del generale De Gaulle.
Molinari racconta che la polizia e i servizi segreti italiani facevano di tutto per proteggere gli estremisti di destra francesi, ai quali i servizi segreti di Parigi davano una caccia spietata. Soprattutto la Section Action dei servizi segreti.[125]
Non è certo un caso che quando nel 1966 De Gaulle cacciò i comandi NATO dal territorio francese e ritirò la Francia dall’Alleanza atlantica, lo fece con una motivazione inequivocabile, ovvero, in base: “L’esistenza di protocolli segreti della Nato che affidavano ai servizi segreti dei Paesi firmatari la prevenzione dell’avanzata comunista emerse fin dal 1966, quando il presidente De Gaulle decise di ritirare dalla Francia dal sistema militare integrato della Nato, denunciando quei protocolli come una palese violazione della sovranità nazionale”.[126]
La partita rimase aperta.
Quando, come risposta alla situazione rivoluzionaria in atto in Francia nel maggio del 1968, nelle strade francesi sfilarono soldati armati e mezzi corazzati in ostentazione di forza da parte di De Gaulle. Ebbene egli che era il comandante supremo delle forze armate francesi, si deve umiliare a chiedere il sostegno del suo esercito, recandosi in Germania dove c’era il generale Massu, ufficiale di Indocina e d’Algeria.
Il risultato non tardò. Nel settembre del 1968 un’amnistia cancellò i reati compiuti dagli uomini dell’OAS, in forma radicale, totale e definitiva. L’avventura sanguinosa dei “soldati perduti” veniva cancella dalla storia giudiziaria della Francia. De Gaulle, fatto oggetto di attentati, apponeva la firma a un progetto che graziò i suoi mancati assassini.
INTERMEZZO MASSONICO
Una breve parentesi sul ruolo della Massoneria in queste vicende. L’ex Gran Maestro Giulio Di Bernardo alla domanda di un giornalista che gli chiese “A chi si rifanno i suoi avversari del Grande oriente”, gli risponde Di Bernardo “Sono collegati al Grande oriente di Francia, cioè ad una fratellanza che teorizza addirittura l’impegno politico ed il peso del potere e degli affari”, all’intervistatore che non ritenendo sufficiente la risposta, insiste di ulteriori precisazioni, Di Bernardo ribadisce che la sua contrarietà al Grande Oriente di Francia “Perché rappresenta una tradizione ispirata dall’ateismo, perché come ho detto l’impegno politico non solo non è bandito ma è determinante, e perché contare sempre di più nella vita economia rappresenta benemerenza”.[127] Tutto fa rendere evidente un mondo massonico che è sempre riuscito a restare in sordina, ma che evoca scontri durissimi e trame poco pulite come le strategie di potere che queste forze hanno utilizzato per i loro fini.
Questa intervista fu fatta nel periodo che un magistrato di Palmi, Agostino Cordova aveva avviato l’inchiesta nei confronti dei rapporti che logge massoniche, avevano con traffici d’armi e ndrangheta. Di Bernardo che all’epoca era il Gran Maestro del Grande Oriente, non solo divenne l’accusatore dei suoi confratelli, ma prendendo pretesto della presunta corruzione della Comunione massonica che dirigeva, si dimise da Gran Maestro fondando nel 1993 una nuova obbedienza massonica che ottenne subito la benevola attenzione di Londra che si affrettò a ritirare il riconoscimento al Grande Oriente per assegnarlo alla neonata Gran Loggia Regolare d’Italia. Indubbiamente la Massoneria inglese fece un buon lavoro diplomatico che le consentì di recuperare prestigio e peso nella Massoneria internazionale. L’Italia non fu l’unico paese a subire uno scossone di questo tipo in ambito massonico. India, Grecia e Portogallo subirono lo stesso trattamento degli italiani. La Gran Loggia Unita d’Inghilterra revocò il riconoscimento ai massoni greci, accusandoli di collusione con la politica e a quelli indiani di politeismo!! Gli italiani furono ritenuti colpevoli perché al loro interno riconoscevano il Rito di Memphis legato alla Francia. Anche i belgi erano stati condannati alcuni anni prima perché legati alla Francia.
L’iniziativa di Giuliano Di Bernardo mirava a creare in Italia una Massoneria di stampo inglese. L’interesse inglese era di stampo coloniale e religioso ed ebbe, infatti, all’epoca l’adesione di alcune frange cattoliche. Nel febbraio 1995 i settimanali cattolici Avvenimenti e L’altra repubblica ripresero, condividendoli, gli attacchi di Di Bernardo al Grande Oriente e parlarono di una Massoneria buona (la sua ovvero la GLRI) che combatteva una Massoneria fascista, razzista, di destra che faceva capo alla Germania. Questo fatto darebbe credito a un’ipotesi che vedeva nell’operazione Di Bernardo il tentativo di fondare in Italia una Massoneria cristiana con l’appoggio inglese.
Si disse che gli inglesi temessero la contiguità delle massonerie latine e il progetto di una federazione continentale che avrebbe legato i paesi europei, dalla Grecia, alla Germania, al Portogallo. Per impedirlo avevano colpito le Comunioni massoniche più piccole o comunque più vulnerabili, come quella italiana, favorendo la nascita di un’Obbedienza filoinglesi come premessa per il successivo disconoscimento dell’Istituzione massonica nazionale.
Si può dire che in Italia quest’operazione non sia pienamente riuscita, poiché se è vero che i membri del Grande Oriente che nel 1992 erano circa 18.000, sono crollati a 11.00 mila circa negli anni successivi, ma la Gran Loggia Regolare è rimasta di modeste proporzioni, fallendo clamorosamente la missione assegnatale; inducendo Londra a guardare con rinnovato interesse al Grande Oriente.[128]
Il crollo del revisionismo nei paesi dell’Est ha cambiato inevitabilmente gli equilibri nel mondo massonico, dove in passato le logge militari avevano assolto anche il compito di penetrazione e di controllo del territorio.
All’inizio degli anni ’90 c’è stata una corsa a penetrare nei paesi dell’Est e le massonerie estere si sono trasformate in centri di affari.
In questo periodo si è giocata sullo scacchiere internazionale una partita decisiva per la ridefinizione dei nuovi equilibri mondiali, e in particolare modo, europei, tra chi voleva un rilancio di un progetto di casa comune europea e chi, al contrario, progettava il rafforzamento dell’influenza degli USA nei territori che fino a poco tempo prima rientravano nella sfera del Patto di Varsavia.
Questo fatto nasce dal fatto che la crisi generale del capitalismo mette l’uno contro l’altro le maggiori potenze imperialiste. Ogni gruppo imperialista deve assicurare la valorizzazione del suo capitale. La massa del capitale finanziario ha raggiunto dimensioni tali che non solo non è più di sollievo all’economia reale capitalista, ma la succhia e soffoca. Ogni potenza imperialista deve assicurare la stabilità al suo potere entro i confini del suo Stato e questo fine deve spogliare e devastare agli altri popoli e paesi. Il sistema internazionale dei gruppi imperialisti è la troupe teatrale di questa catastrofe che incombe su tutti noi. L’imperialismo USA guida la marcia. Le sue frazioni borghesi dominanti ne scrivono il copione, mentre i presidenti della repubblica (che siano Bush oppure Obama è indifferente) recitano la parte del capo nel teatro dei burattini.
Inizialmente il Vaticano era favorevole al progetto europeo. Mentre la Massoneria, soprattutto, quella che faceva riferimento alla Giurisdizione Sud del Rito Scozzese antico e accettato, legata al Dipartimento di Stato degli USA, era contraria, poiché intravedeva in questo progetto la formazione di blocco imperialista concorrente con quello USA.
Gli schieramenti erano pieni di contraddizioni al loro interno. Nella Massoneria, alcuni settori del Grande Oriente di Francia e, in misura minore del Grande Oriente d’Italia, avevano assunto una posizione decisamente europeista.
Nel quadriennio 1989-1993 questo “conflitto segreto” è stato particolarmente aspro. La Massoneria filoamericana ha mirato a conquistare l’Est sia da un punto di vista politico che economico, attraverso la “rinascita” (capitalista) di questi paesi e il controllo delle attività produttive. Proprio in quegli anni il progetto di casa comune europea è stato messo in crisi dall’esplosione della “questione etnica”, sfociata in conflitti locali e soprattutto, nella guerra civile jugoslava (che è da vedere nell’ambito dell’aggressione imperialista nei confronti di questo paese). Una situazione analoga a quella prospettata negli anni ’60 e ’70 dai teorici della Stay-behind, che avevano pianificato di fomentare i conflitti tra le etnie e i popoli per innescare meccanismi di crisi che potessero mettere in difficoltà i paesi aderenti al Patto di Varsavia. La pianificazione dei contrasti tra i popoli membri della Repubblica Federativa Jugoslava, era stata realizzata da comandi NATO.
Nell’Est europeo, storicamente, la Massoneria ha avuto la sua “testa di ponte” in Romania, Ceausescu ha sempre mantenuto stretti contatti con Licio Gelli, con Giancarlo Elia Valori, espulso dalla P2 e con il principe Aliata di Montereale. Un’altra prova di questo legame è rappresentata dal documento La Romania oggi che fu ritrovato nella valigia di Maria Grazia Gelli, nella stessa busta in cui era contenuto il Piano di Rinascita Democratica. Bisogna tenere conto che Ceausescu ha sempre mantenuto una strettissima diplomazia segreta con gli Stati Uniti, e manteneva i rapporti con organismi imperialisti come il Fondo Monetario Internazionale[129] e condannò l’intervento russo contro la Cecoslovacchia nel 1968. In ambienti massonici, anche se non sono state date fino ad ora prove documentate, si afferma che Ceausescu sia stato iniziato “sulla spada”.[130]
Che ci sia stato una conquista dell’Est usando obbedienze massoniche come copertura, lo afferma un documento, scritto da un esponente di quello che si potrebbe definire l’ala europeista della Massoneria: “Molti sono i viaggiatori verso l’Est europeo: rappresentanti di gruppi economici, di singoli operatori finanziari, di portatori di opinioni riservate, come la Massoneria, di spregiudicati faccendieri, di esponenti della delinquenza organizzata (…) Se un ministro come De Michelis prende certe iniziative di appoggio a tesi relative al mondo che si dibatte nelle strettoie, con manifestazioni, talvolta sanguinose, ha il dovere di usare la massima prudenza perché parla a nome dell’Italia; se un elemento rispettabile quale il Grande Oratore del Grande Oriente d’Italia che si è recato in Jugoslavia molte volte ed anche in Cecoslovacchia ed in Ungheria, se non va per motivi personali, deve pur sapere valutare quali implicazioni comporta la sua presenza in quei luoghi per la massoneria italiana se la Fiat od altro gruppo industriale italiano voglia dare il suo apporto alla penetrazione occidentale nell’Est deve tener conto che non rischia solo il proprio, ma anche qualcosa che è patrimonio e sudore del popolo italiano”.[131] Prosegue il documento: “Mesi orsono Famiglia Cristiana ha attribuito al ministro De Michelis il seguente intervento presso le autorità jugoslave: “se ci sarà una pronta restaurazione della massoneria, si avranno maggiori possibilità di investimenti di capitale estero nel vostro in Jugoslavia”. Tale frase non è mai stata smentita e stranamente in Jugoslavia si fa vedere frequentemente un avvocato romagnolo, Oratore del Grande Oriente d’Italia, ex missino passato al Pri, seguace di Pacciardi, il quale fu sempre legato alle posizioni americane”.[132] Il documento conclude con l’auspicio di un chiarimento interno all’interno della Libera Muratoria: “Ma allora quante sono le fazioni nelle logge? Quanto è influente la longa manus do oltre oceano? (…) Non sarebbe male se un chiarimento venisse effettuato dal mondo massonico italiano, allo scopo di frugare sospetti, che sprovveduti suoi personaggi danno ragione di ingenerare. Tanto più che funzione primaria della massoneria nera è di gestire i collegamenti internazionali per il traffico di armi e droga”.[133
LA STRATEGIA DELLA NATO
Se l’organizzazione di cui si parla è il braccio politico-militare della NATO, bisogna cercare di sforzarsi di capire qual è la sua strategia.
Partiamo dal fatto che la NATO continua a essere il principale strumento di dominazione politico-militare, sotto la leadership degli USA e il principale ostacolo a un’effettiva sovranità dei popoli europei (e non solo a loro ovviamente).
Attraverso la NATO, durante cosiddetta la guerra fredda, gli USA hanno mantenuto il loro dominio sugli alleati europei, usando l’Europa, nel confronto, anche nucleare col Patto di Varsavia (fondato nel 1955, sei anni dopo la costituzione della NATO).
La fase iniziale della storia della NATO, se si analizza da un punto di vista economico, è caratterizzata, dal secondo dopoguerra fino alla metà degli anni ’70, da un ciclo economico espansivo (con intermezzi di crisi cicliche). Dalla metà degli anni ‘70 comincia la crisi generale di sovrapproduzione assoluta di capitale.
In tutto questo periodo la contraddizione principale rimane quella Operai/Capitale, in una situazione caratterizzata fino alla metà degli anni ’50 dalla presenza di un campo socialista e di un Movimento Comunista che al di là della presenza di componenti revisioniste faceva sì che la contraddizione tra imperialismo e socialismo, era presente. In seguito, con l’affermarsi del revisionismo all’interno del Movimento Comunista Internazionale fa sì che il campo socialista dominato dai revisionisti attui una politica socialimperialista, e a livello politico ci si trova di fronte a un intreccio delle contraddizioni fa socialismo e imperialismo, tra imperialismi rivali e tra popoli oppressi e imperialismo.
Il manifestarsi della crisi capitalistica dalla metà degli anni ’70 comportò un aumento dell’aggressività dell’imperialismo USA, in particolare, nei confronti del “campo socialista” e dei paesi che tentavano di liberarsi dal gioco imperialista (Angola, Nicaragua ecc.).
Gli anni ’80 è stato caratterizzato da un enorme spesa militare da parte degli USA. L’amministrazione Reagan spese per un totale di 2.200 miliardi di dollari per il settore militare, nel 1984 superò il bilancio militare del 1969, l’anno di massima spesa per la guerra del Vietnam. Mai sino allora il bilancio militare statunitense aveva registrato un aumento del 50% in periodo di pace.
Circa il 50% dei fondi destinati al Pentagono all’acquisto di armamenti era andato ai 20 maggiori contrattisti, che avevano monopolizzato la produzione dei più importanti sistemi. Si era così consolidato ulteriormente il monopolio che i colossi dell’industria avevano costruito negli ultimi decenni.
Nel 1983 fu varato il programma denominato Iniziativa Difesa Strategica (S.D.I.). Originalmente tale progetto la realizzazione di un complesso sistema a tre stadi, noto come “scudo spaziale” capace di intercettare i missili balistici intercontinentali (I.C.B.M. – Intercontinental Ballistic Missile) con base di lancio a terra e i missili nucleari con base di lancio sottomarina (S.L.B.M – Submarine Launche Missile), e le loro testate nucleari, durante tutte le fasi della loro traiettoria.
L’architettura della S.D.I. prevedeva una serie di piattaforme, dotate di vari tipi di sensori e armi, e sistemi di intercettazione con base a terra: alcune piattaforme avrebbero avuto la funzione di identificare e tracciare i missili in fase di lancio, elaborare con i computer di bordo i dati per la loro intercettazione; altre, la funzione di distruggere i missili, nella prima e seconda fase di lancio, con armi a energia diretta (raggi X, fasci di particelle neutre); altre, la funzione di distruggere i veicoli di rientro, nella terza e quarta fase, con armi a energia cinetica (missili intercettori con guida terminale lanciati da piattaforme orbitanti o da rampe a terra).
Da parte di molti scienziati ed esperti di questioni strategiche, si metteva in evidenza che uno Stato in possesso di uno “scudo spaziale”, anche se imperfetto, avrebbe potuto lanciare un attacco nucleare di sorpresa, sapendo che lo “scudo” sarebbe stato in grado di neutralizzare uno scoordinato colpo di rappresaglia. Inoltre, le armi a energia cinetica, che apparivano le più fattibili per uno spiegamento a breve termine rispetto a quelle a energia diretta, avrebbero potuto essere usate per distruggere i satelliti militari dell’avversario che, “accecato”, sarebbe stato più vulnerabile in un attacco nucleare.
Risulta che nel 1991 erano attivi 300 satelliti, 170 dei quali erano militari,[134] che svolgevano importantissime funzioni civili e militari. Tra quelle militari vi sono la raccolta d’informazioni, le comunicazioni e l’allarme precoce in caso di attacco.
I satelliti costituiscono un sistema nevralgico di primaria importanza.
L’aspetto fondamentale, in questo periodo, da un punto di vista politico e militare nel rapporto tra gli Stati imperialisti era quello di contrastare le forze che avevano rotto (o tentavano di rompere) la catena dell’imperialismo, mentre i contrasti tra i diversi paesi imperialisti occidentali venivano messi in secondo piano.
Un altro aspetto importante della posizione USA in questo periodo “è la sua sostituzione alle altre potenze imperialiste (…) per molti aspetti l’intera storia del dopoguerra è stata una fase dell’avanzata americana per assumere le posizioni di sicurezza che erano state in precedenza abbandonate dalla Gran Bretagna, dalla Francia, dall’Olanda e dal Belgio (…) Mentre le aziende americane controllavano prima della seconda guerra mondiale meno del 10% di grezzo del Medio Oriente, e il 72% era controllato dalla Gran Bretagna, oggi le posizioni sono rovesciate: gli USA controllano il 59% mentre la quota britannica è scesa a poco più del 29%. Le ragioni di questo rovesciamento non si devono cercare in una maggiore abilità o ingegnosità dell’industria petrolifera americana, quanto piuttosto nella politica verso il Medio Oriente, nell’impiego, durante la seconda guerra mondiale, del meccanismo americano degli “affitti e prestiti”, nei programmi postbellici di aiuti all’estero”.[135]
A ridosso della liberazione, Saigon (1975), comincia a profilarsi la crisi dell’URSS e dei paesi “socialisti” a lei economicamente e militarmente legati (COMECON, Patto di Varsavia) e con la contemporanea e graduale ritirata dei movimenti antimperialisti, dal Centro America al Sud Est asiatico, al Corno d’Africa.
Per capire meglio le dinamiche che hanno portato al dissolvimento del “campo socialista”, lo strumento principale è la teoria della lotta tra le due linee nel partito e quella inerente alla lotta di classe che continua nella società socialista.
L’altro aspetto, è che finché la divisione della popolazione in classi sociali nei paesi socialisti non si è estinta, la lotta per la sua estinzione (o mantenimento) oggettivamente governa, che se ne abbia o no la coscienza.
Nell’URSS e negli altri paesi socialisti, era stata eliminata per l’essenziale la proprietà privata dei mezzi di produzione, esistevano solo la proprietà pubblica e la proprietà cooperativa. Ma la capacità di lavoro era ancora proprietà privata degli individui (quindi sostanzialmente non era ancora applicato il principio “da ognuno secondo le sue possibilità”) e i rapporti tra gli individui nell’attività lavorativa non avevano ancora eliminato buona parte delle caratteristiche ereditate dalla vecchia società. Nella distribuzione a sua volta sostanzialmente non era ancora applicato (né in generale poteva esserlo) il principio “a ognuno secondo il suo bisogno”. La distribuzione corrispondeva sostanzialmente ancora alla vecchia divisione delle classi e al sistema a essa connesso di costrizione della massa della popolazione. Di conseguenza solo un’infima minoranza riceveva secondo il suo bisogno. Quindi la transizione dal capitalismo al comunismo aveva fatto solo un tratto di strada ed era a certe condizioni in una certa misura ancora reversibile. E tenendo conto di questi aspetti si può individuare, dove era la borghesia nei paesi socialisti. Essa era costituita da quei dirigenti del Partito, dello Stato e delle organizzazioni di massa che si opponevano ai passi in avanti e necessari verso il comunismo sia nei rapporti di produzione, sia nella sovrastruttura. Più precisamente erano quelli che si opponevano:
- Alla cancellazione della divisione tra dirigenti e diretti, tra lavoratori manuali lavoratori intellettuali, tra uomini e donne, tra adulti e giovani, tra città e campagna, tra paesi, regioni e settori arretrati e paesi, regioni e settori avanzati.
- Alla gestione collettiva delle forze produttive.
- All distribuzione secondo il principio “a secondo i suoi bisogni”.
I revisionisti portarono l’URSS e i paesi socialisti a integrarsi nel mercato mondiale. Determinate a questa integrazione è che dalla metà degli anni ’70 con l’avvio della crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale, i capitali in eccedenza cercavano nuovi mercati per valorizzarsi. Questo è stato uno degli elementi decisivi che hanno determinato il crollo dei regimi revisionisti, poiché la borghesia sia quella costituita dai dirigenti del Partito, dello Stato e delle altro organizzazioni di massa, come quella internazionale necessitavano di una sovrastruttura politica funzionale alla situazione economica in atto (bisognava privatizzare per creare spazi maggiori per gli investimenti di capitale).
Lo scenario cambia nel 1991, quando si dissolvono l’URSS e il Patto di Varsavia.
In questa fase la contraddizione principale diventa quella tra popoli oppressi/imperialismo (pur rimanendo quella operai/capitale quella fondamentale), poiché si sviluppano le guerre popolari nel Tricontinente (a partire da quella peruviana).
La crisi generale di sovrapproduzione assoluta di capitale porta alla mondializzazione del Modo di Produzione Capitalista.
Ebbene, nel 1991, approfittando del crollo del revisionismo, di fronte alle prime avanguardie dell’offensiva strategica della Rivoluzione Proletaria Mondiale (guerre popolari in Perù, India, Filippine, situazioni classiste e antimperialiste in molte lotte di liberazione nazionale), l’imperialismo mette in atto una controffensiva controrivoluzionaria generale. Dalla guerra di aggressione contro l’Iraq (1991), motivata dall’occupazione del Kuwait, gli USA pretendono di ergersi a superpotenza egemonica. È un’offensiva generale perché si manifesta su tutti i piani, ideologico, politico ed economico, quantunque l’aspetto centrale sia quello politico.
Dentro questo quadro gli USA riorientano la propria strategia con la propria strategia con la prima guerra del Golfo. Premendo sulla NATO perché faccia altrettanto: vi è, infatti, il potenziale pericolo che gli alleati europei facciano scelte divergenti o ritengano perfino inutile la NATO nella nuova situazione geopolitica. Il 7 settembre 1991 il Consiglio atlantico, riunito a Roma, vara la prima versione del “nuovo concetto strategico”, in cui si ristabilisce che la “sicurezza” dell’Alleanza non è scritta dell’area nord-atlantica.
Poco tempo dopo di esso è messo in pratica nei Balcani. In Bosnia, la NATO interviene nel 1994 con la prima azione di guerra della fondazione dell’Alleanza. Segue la guerra di aggressione contro la Repubblica Federale Jugoslavia nel 1999.
Mentre è in corso la guerra, il vertice NATO convocato a Washington impegna i paesi membri a “condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’art. 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza”.
Inizia così l’espansione della NATO nel territorio nei territori dell’ex Patto di Varsavia e dell’ex URSS.
Nel 1999 essa ingloba Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria; nel 2004 Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Romania, Slovacchia, Slovenia; nel 2009 Albania e Croazia. È preparato l’ingresso nell’Alleanza di Macedonia, Ucraina, Georgia e Montenegro. Significativa la pressione della NATO sul Caucaso, con il conflitto lanciato dalla Georgia a riconquista dell’Abkhazia e la guerra che ne segue con la Russia nell’estate 2008. Cresce in tal modo l’influenza USA in Europa, poiché i governi dei paesi dell’ex Patto di Varsavia e dell’ex URSS, entrati prima nella NATO e quindi quasi tutti nella UE, sono legati più a Washington che a Bruxelles.
La successiva fase nella strategia della NATO si ha con il summit dei capi di Stato e di governo della NATO, svoltosi il 19-20 dicembre 2010 a Lisbona, dove si annuncia il varo dello “scudo” antimissile, che gli Stati Uniti vogliono estendere all’Europa. Progetto cui la Russia si oppone, considerandolo una minaccia nei propri confronti, e che la NATO cerca di far digerire a Mosca, dichiarandola di volerla coinvolgere nel progetto.
In questo summit rispetto al controllo delle linee di rifornimento energetiche, tenendo conto che un attacco alle linee di rifornimento possono avere effetti drammatici, nel caso in cui le petroliere occidentali non potesse più transitare dallo Stretto di Hormuz (all’imboccatura del Golfo Persico tra Iran e Oman). Per questo motivo occorreva per la NATO investire di meno nelle forze statiche, dislocate all’interno dei 28 membri dell’Alleanza, e di più nelle forze mobili, in grado di essere proiettate rapidamente fuori dal territorio della NATO.
La NATO si impegna, sulla scia della strategia USA, in diverse “missioni” militari fuori della sua area geografica: in Kossovo, dove opera per “costruire la stabilità e la pace”; nel Mediterraneo dove conduce operazioni navali “contro le attività terroristiche”; in Sudan, dove “aiuta” l’Unione Africana a “porre fine alla violenza e migliore umanitaria”; nel Corno d’Africa, dove conduce “operazioni anti-pirateria” controllando le rotte marittime strategiche; in Iraq, dove contribuisce a “creare efficienti forze armati”; in Afghanistan, dove ha assunto con un colpo di mano nel 2003 la leadership dell’Isaf.
Non è un caso che il nuovo “scudo” approvato dal summit di Lisbona è concepito per difendere, non certamente le popolazioni ma le forze schierate per operazioni belliche in aree esterne al territorio geografico dell’Alleanza.
Il sistema, denominato Active Layered Theatre Ballistic Missile Defence System (Altbmd), dovrebbe essere in grado di intercettare i missili balistici a corto e medio raggio (con gittata massima di 3.000 Km). Il programma Altbmd, avviato nel 2005 dopo uno studio di fattibilità durato sette anni con la partecipazione di otto paesi tra, è diretto da un generale di brigata, Alessandro Pera. Il sistema, che ha raggiunto da poco la capacità operativa, dovrebbe essere preparato entro il 2018.
Un altro aspetto importante della nuova strategia della NATO è l’aperto e dichiarato sostegno a Israele.
Nel 2001 Israele firma al quartiere generale della NATO a Bruxelles <l’accordo di sicurezza>, impegnandosi a proteggere le “informazioni classificate” che riceveranno nell’ambito della cooperazione militare.
Nel giugno 2003 il governo italiano stipula con quello israeliano un memorandum d’intesa per la cooperazione nel settore militare e della “difesa”, che prevede tra l’altro lo sviluppo congiunto di un nuovo sistema di guerra elettronica.
Nel dicembre 2004 è data notizia che la Germania forniranno a Israele due sottomarini Dolphin, che si aggiungere ai tre (di cui due regalati) consegnati nel ’90. Israele può così potenziare la sua flotta di sottomarini da attacco nucleare, tenuti costantemente in navigazione nel Mediterraneo, Mar Rosso e Golfo Persico.
Nel febbraio 2005 il segretario generale della NATO compie la prima visita ufficiale a Tel Aviv, dove incontra le massime autorità militari israeliane per “espandere la cooperazione militare”.
Nel marzo 2005 si svolge nel Mar Rosso la prima esercitazione navale congiunta Israele-NATO. In giugno, la marina israeliana partecipa a un’esercitazione NATO nel Golfo di Taranto. In luglio, truppe israeliane partecipano per la prima volta a un’esercitazione NATO “antiterrorismo”, che si svolge in Ucraina.
Nel giugno 2006 una nave da guerra israeliana partecipa a un’esercitazione NATO nel Mar Nero allo scopo di creare una migliore interoperabilità tra marina israeliana e le forze navali Nato nell’ambito dell’operazione denominata <Dialogo mediterraneo>, il cui scopo è “contribuire alla sicurezza stabilità della regione”. In tale quadro, Nato e Israele si accordano sulle modalità del contributo israeliano all’operazione marittima della Nato Active Endeavour. Israele è così premiata dalla NATO per l’attacco e l’invasione del Libano. Le forze navali israeliane, che insieme con quelle aeree e terrestri hanno appena martellato il Libano con migliaia di tonnellate di bombe facendo strage di civili, vengono integrate nell’operazione NATO che dovrebbe “combattere il terrorismo nel Mediterraneo”.
Il 2 dicembre 2008, circa tre settimane prima dell’attacco israeliano a Gaza, la NATO ratifica il “Programma di cooperazione individuale” con Israele. Esso comprende una vasta di campi in cui Nato e Israele coopereranno pienamente: antiterrorismo, tra cui scambio d’informazioni tra i servizi segreti; connessione di Israele al sistema elettronico NATO; cooperazione nel settore degli armamenti; aumento delle esercitazioni militari congiunte NATO-Israele; allargamento della cooperazione nella lotta contro la proliferando nucleare (ignorando deliberatamente che Israele, è l’unica potenza nucleare della regione, che tra l’altro ha rifiutato di firmare il Trattato di non proliferazione).
L’11 gennaio 2009, circa due settimane dopo l’inizio dell’attacco israeliano a Gaza, il segretario della NATO Japp de Hoop Scheffer si reca in visita ufficiale in Israele nell’ambito del “Dialogo mediterraneo”. Nel suo discorso, ribadisce che “Hamas, con i suoi continui attacchi di razzi contro Israele, si è addossata la responsabilità delle tremende sofferenze del popolo che dice di rappresentare”. Loda quindi Israele per aver aderito con il “massimo entusiasmo” al “Dialogo mediterraneo”, il cui scopo è “contribuire alla sicurezza e stabilità della regione”. In quello stesso momento le forze israeliane stanno massacrando la popolazione di Gaza.
L’interventismo NATO proseguì, nell’ottobre 2008, quando un gruppo navale della NATO entra nell’Oceano Indiano.
Essa fa parte si una delle tre componenti dello Allied Joint Force Command Naples, il cui comando è permanentemente assegnato a un ammiraglio statunitense, lo stesso che comanda le Forze navali USA in Europa.
L’area in cui opera lo Snmg2[136] non ha ormai più confini, poiché esso costituisce una delle unità della “Forza di risposta della NATO”, pronta a essere proiettata per qualsiasi missione in qualsiasi parte del mondo.
Scopo ufficiale della missione dell’Oceano Indiano è condurre “operazioni anti-pirateria” lungo le coste della Somalia, scortando i mercantili che trasportano gli aiuti alimentari, del World Food Program delle Nazioni Unite.
In questo “sforzo unitario”, la NATO “continua a coordinare la sua assistenza con l’operazione Enduring Freedom a guida Usa”.
È chiaro che, dietro questa missione NATO, vi è ben altro. Nella strategia USA e atlantica, la Somalia è importante per la sua stessa posizione geografica sulle rotte dell’Oceano Indiano. Per controllare quest’area è stata stazionata a Gibuti, all’imboccatura del Mar Rosso, una task force USA.
L’intervento militare, diretto e indiretto, in questa e altre aree s’intensifica con la nascita del Comando Africa degli USA. È nella sua “area di responsabilità” che è inviato il gruppo NATO.
Esso ha però anche un’altra missione ufficiale: visitare alcuni paesi del Golfo Persico (Kuwait, Bahrein, Qatar, ed Emirati arabi uniti), partner NATO nell’ambito dell’iniziativa di cooperazione di Istanbul.
Le navi da guerra della NATO vanno così ad aggiungersi alle portaerei e a molte altre unità che gli USA hanno dislocato nel Golfo e nell’Oceano Indiano, in funzione anti-Iran e per condurre, anche con l’aviazione navale, la guerra aerea in Afghanistan.
Questo interventismo imperialista nell’Oceano Indiano, riconduce in mente la questione dei due marò e della manipolazione del linguaggio.
Come si fa a giustificare la presenza di militari a bordo di una petroliera privata? Semplice, s’incaricano le agenzie di stampa di cambiare la ragione della loro presenza a bordo.
La logica che si muove questo tipo d’informazione è quella della guerra, secondo cui “noi abbiamo ragione” e il nemico ha torto. Per principio.
Una di queste agenzie la TmNews afferma che i due Marò che hanno ucciso due pescatori indiani operavano nell’ambito di un’operazione “antiterrorismo”.[137]
Operazione antiterrorismo? Ma se facevano parte, insieme ad altri quattro commilitoni, di un gruppo affittato dallo Stato italiano a una compagnia privata come scorta su una petroliera!
Insomma, qualcosa di poco rispondente alle funzioni tipiche di militari e più confacente a dei contractors privati (maniera elegante per definire i mercenari). Certo a differenza di un contractors non è stata una loro scelta andare nella petroliera, ma erano stati mandati sulla petroliera dai propri superiori, in obbedienza a un contratto firmato – presumibilmente – dal Ministero della “Difesa”.
Nel corso di questo servizio hanno ucciso due pescatori del Kerala scambiandoli per pirati. Il problema sorge dal fatto che le zone dove sono segnalate la presenza di pirati sono però al largo delle coste della Somalia, alcune migliaia di chilometri più a ovest. Oppure tra Indonesia, Malesia ecc. alcune migliaia di chilometri a est. Ma al largo del Kerala non è stato segnalato nessun caso di pirateria.
È probabile che sia stato un errore che però è costato la vita a due innocenti.
E questo è uno dei motivi che a livello informativo si definisce “missione antiterrorismo” lo scopo per cui erano nella petroliera. Bisogna dire che la loro presenza aveva uno scopo istituzionale, anzi “meritorio”. Perciò se dei soldati sono impegnati in una “missione antiterrorismo”, si può giustificare lo stato di tensione che potrebbe giustificare così l’apertura del fuoco contro civili disarmati. Così da rendere inspiegabile – per il disinformato lettore (o ascoltatore) italiano – la ragione dell’insistenza indiana di processarli.
Bisogna ricordarsi che agenzie stampa forniscono il “precotto” ai quotidiani e alle televisioni. Che in genere, su notizie di questo tipo (riguardanti interessi diplomatici italiani avvenuti dall’altra parte del mondo in questo caso), difficilmente si mettono ad approfondire cercando fonti alternative oppure andando sul posto. La “missione antiterrorismo”, in questo modo, diventa una menzogna semiufficiale che è ripetuta da quasi tutti.
In sostanza si tratta di disinformazione di guerra in tempi di “pace” (se la si può definire così la guerra non dichiarata che l’imperialismo ha dichiarato ai popoli oppressi).
Vediamo adesso in breve il coinvolgimento dell’Italia nelle strategie NATO.
La strategia del “nuovo modello di difesa, è stata fatta propria dall’Italia, dal momento in cui nel 1991, sotto il governo Andreotti, essa partecipa alla guerra del Golfo: i Tornado dell’aeronautica italiana effettuano 226 sortite per complessive 589 ore di volo, bombardando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. È la prima guerra cui partecipa la Repubblica Italiana, violando l’articolo 11 della Costituzione.
Subito dopo la guerra del Golfo, durante il settimo governo Andreotti, il ministero della “Difesa” italiano pubblica, nell’ottobre 1991, il rapporto Modello di Difesa/Lineamenti di sviluppo delle FF.AA. negli anni ’90.
Il documento riconfigura la collocazione dell’Italia, definendola “elemento centrale dell’area geo-strategica che si estende unitariamente dallo Stretto di Gibilterra fino al Mar Nero, collegandosi, attraverso Suez, col Mar Rosso, il Corno d’Africa e il Golfo Persico”. Considerata la “significativa vulnerabilità strategica dell’Italia” soprattutto per l’approvvigionamento petrolifero, “gli obiettivi permanenti della politica di sicurezza italiana si configurano nella tutela degli interessi nazionali, nell’accezione più vasta di tali termini, ovunque sia necessario”, in particolare di quegli interessi che “direttamente incidono sul sistema economico e sullo sviluppo del sistema produttivo, in quanto condizione indispensabile per la conservazione e il progresso dell’attuale assetto politico e sociale della nazione”.
Il “nuovo modello di difesa” passa di mano in mano, da un governo all’altro, senza mai essere discusso poiché tale in Parlamento. A elaborarlo e applicarlo sono i vertici delle forze armate, ai quali i governi lasciano piena libertà decisionale, pur trattandosi di una materia di basilare importanza politica per la Repubblica italiana.
Nel 1993 lo Stato maggiore della difesa dichiara che “occorre essere pronti a proiettarsi a lungo raggio” per difendere ovunque gli “interessi vitali”, al fine di garantire quelli che sono definiti gli “interessi della nazione”(eufemismo per dire gli interessi della borghesia italiana), mantenendo la disponibilità delle fonti e vie di rifornimento dei prodotti energetici e strategici.
Nel 1995, il governo Dini, lo Stato maggiore fa un ulteriore passo, affermando che “la funzione delle forze armate trascende lo stretto ambito militare per assurgere anche a misura dello status e del ruolo del paese nel contesto internazionale”.
Nel 1996, durante il governo Prodi, tale concetto è ulteriormente sviluppato nella quarantasettesima sessione del Centro alti studi della difesa. Afferma il generale Angioni “La politica diventa uno strumento della politica della sicurezza e, quindi, della politica estera”.
Nel 2005, durante il governo Berlusconi, il capo di Stato maggiore della difesa annuncia in due documenti ufficiali che, di fronte alla “minaccia globale del terrorismo” e alla “trasversalità e imprevedibilità delle future minacce”, occorre “sviluppare capacità di prevenzione e quando necessario di intervento efficace e tempestivo anche a grande distanza della madrepatria”. Le forze armate italiane devono operare nelle “aree di interesse nazionale”, ossia in quelle zone geografiche “nelle quali e verso le quali è possibile che l’autorità politica decida di intraprendere iniziative, anche di carattere militare, al fine di salvaguardare gli interessi del Paese”.
Al primo posto vi sono le aree di “interesse strategico” che al momento comprendono, oltre a quelle della NATO e dell’UE, i Balcani, l’Europa orientale, la regione del Caucaso, l’Africa settentrionale, il Corno d’Africa, il vicino e Medio Oriente e il Golfo Persico.
Viene in tal modo una nuova politica militare e, contestualmente, una nuova politica estera la quale, usando come strumento la forza militare, viola il principio costituzionale, affermato dall’articolo 11, che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Questa politica, introdotta attraverso decisioni apparentemente tecniche, viene, di fatto, istituzionalizzata passando sulla testa di un parlamento che, in stragrande maggioranza, se ne disinteressa o non sa neppure che cosa precisamente stia avvenendo.
Il 20 gennaio 2009, mentre i riflettori dei media sono puntati sull’inauguration day del presidente Obama, passa pressoché inaugurazione di grande rilevanza per l’Italia e l’Europa: quella del sistema Nato Ags (Alliance Ground Surveillance) a Sigonella in Sicilia.
Il sistema AGS servirà a sorvegliare non il territorio dei paesi NATO, ma il terreno, fornendo informazioni prima e durante le operazioni NATO in altri paesi. Dovrebbe fornire un quadro dettagliato del territorio da occupare, permettendo anche di individuare e prendere di mira veicoli in movimento. Si tratta del più sofisticato sistema di spionaggio elettronico, finalizzato non alla difesa dell’Alleanza, ma al potenziamento della sua capacità offensiva fuori area, soprattutto in quella mediorientale.
Inoltre, ad aggravare tutto ciò, c’è l’installazione sempre in Sicilia, e precisamente a Niscemi, all’interno di una riserva naturale, di uno dei quattro terminali terrestri del MUOS (Mobile Objective System), il nuovo sistema di telecomunicazione satellitari della Marina militare degli USA.
Il MUOS dovrà assicurare il collegamento della rete militare USA (centri di comando, controllo e logistici, le migliaia di utenti mobili come cacciabombardieri, unità navali, sommergibili, reparti operativi, missili Cruise, droni ecc.), decuplicando la velocità e la quantità delle informazioni trasmesse nell’unità di tempo e rendendo sempre più automatizzati e disumanizzanti i conflitti del XXI secolo. Con la conseguenza di accrescere sempre di più il rischio di guerra (convenzionale, batteriologica, chimica e/o nucleare) anche per un mero errore di elaborazione da parte del computer.
Il terminale MUOS di Niscemi sarà costituito da tre grandi antenne paraboliche del diametro di 18,4 metri per le trasmissioni verso i satelliti geostazionari con frequenze che raggiungeranno i 31 GHz e due trasmettitori di 149 metri di altezza per il posizionamento geografico con frequenze tra i 240 e i 315 MHz. Un mixer di onde elettromagnetiche che penetrano nella ionosfera con potenziali effetti devastanti per l’ambiente e la salute dell’uomo. In sostanza il rischio che sia usato per manipolare il clima e l’ambiente.
[1] Un tentativo di elaborare una strategia militare fu fatto nel 1928 da un gruppo di comunisti, sotto la supervisione e la direzione della Segreteria dell’Internazionale Comunista e dello Stato Maggiore dell’Armata Rossa che redasse l’opera intitolata L’insurrezione armata, che fu pubblicata con la firma di A. Neuberg. Con tale opera si cercava di fornire al movimento operaio e comunista una guida per l’organizzazione e la conduzione delle insurrezioni future.
[2] “Attraverso la ripetizione, ciò che inizialmente appariva solo come accidentale e possibile, diventa qualcosa di reale e consolidato”, G.W.F. HEGEL, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, in Sämtliche Werke, Frommann, Stuttgart-Bad Cannstatt, 1971, Bd. 11, p. 403.
[3] GUSTAVE LE BON, Psicologia delle folle, Milano 1982, pp. 111-112; il libro significativamente fu letto e studiato da chi aveva a che fare con i fenomeni politici e sociali di massa, da Mussolini a Lenin, oltre che dalle polizie di tutti i paesi.
[4] P. Willan, I burattinai, Pironti, Napoli, 1993, p. 37.
[5] Gianni Cipriani, I mandanti, Editori Riuniti, Roma, p. 16.
[6] Gianni Barbacetto, Il grande vecchio, B.U.R., Milano, p. 223.
[7] Si pensi alla Coldiretti, alla combinazione di cooperative, casse rurali e banche popolari, alla Federconsorzi, all’estensione delle prestazioni INPS ai coltivatori diretti (1953), agli artigiani (1959), ai commercianti (1966), ecc.
[8] Nel luglio 1981 fu avviata la separazione della Banca d’Italia dal Ministero del Tesoro (il cosiddetto divorzio): la Banca d’Italia fu esonerata dall’obbligo di acquistare i BOT che il Tesoro non riusciva a vendere ad altri, fermo restando la possibilità del Tesoro di finanziarie le sue spese indebitandosi col conto corrente che ha preso la Banca d’Italia (rientrando ogni fine mese dallo scoperto). Nel gennaio del 1983 la Banca d’Italia rifiutò al Tesoro 8.000 miliardi di lire che il Tesoro chiedeva.
[9] Per correttezza si può dire che il PCI negli anni ’80 passò dall’essere un partito revisionista che diceva che voleva il socialismo senza esserne conseguente, a essere un partito della sinistra borghese. Questo già con Berlinguer con la scelta a favore della NATO (1976), la cosiddetta “terza via”, e soprattutto con la cosiddetta “questione morale”, con la quale Berlinguer si faceva garante rispetto alla Borghesia Imperialista italiana delle esigenze di risanamento e di rilancio dell’economia.
[10] G. De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Editori Riuniti, p. 141.
[11] C.s. p. 111
[12] Andrea Ceresini, internazionale nera la vera STORIA DELLA più misteriosa organizzazione terroristica europea, CHIARELETTERE, Milano, 2017, p.e. 69-70
[13] C.s. p.e 81-82
[14] https://guidosalvini.it/wp-content/uploads/2018/10/LAginter-Press-e-il-Piano-Caos-relazione-ROS-Carabinieri-Roma-26-luglio-1996.pdf
[15] Andrea Ceresini, internazionale nera la vera STORIA DELLA più misteriosa organizzazione terroristica europea, CHIARELETTERE, Milano, 2017, p. 83.
[16] C.s. p.84
[17] G. De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Editori Riuniti, p.e 111-112
[18] C.s. p. 112
[19] C.s. p. 129
[20] Lo scoppio dello scandalo inerente alla Loggia P2, insieme agli altri scandali che emergevano in quel periodo, era un sintomo evidente della spaccatura in seno alla classe dominante su come si doveva affrontare la crisi del capitalismo in atto dalla metà degli anni ’70. Crisi che non è solo economica ma anche politica che vuol dire che i capitalisti che compongono la Borghesia Imperialista non riescono più a regolare i contrasti di interessi tra loro né a dirigere le classi subordinate con le istituzioni, i modi e le concezioni con cui negli anni precedenti. La costituzione materiale della società non è più adatta alla situazione. Per questo ne occorre un’altra. Crisi culturale vuol dire che le idee, le immagini, i sentimenti e i modi di fare con cui gli uomini hanno rappresentato e diretto la propria vita va a pezzi perché essi gli uomini non potrebbero immaginare, concepire, combattere e vivere le lotte che le condizioni concrete impongono a essi.
[21] G. De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Editori Riuniti.
[22] P. Willan, I burattinai, Pironti, Napoli, 1993, p. 80.
[23] V. Vinciguerra, Ergastolo per la libertà, Arnaud, Firenze, 1989, p. 181.
[24] G. Salvi /a cura di/, La strategia delle stragi, Editori Riuniti, Roma, p. 107.
[25] AA.VV. Servizi segreti, Avvenimenti.
[26] Così Gladio si addestrava col tritolo, Il Giorno, 4 agosto 1993.
[27] G. Rossi, G. Lombrassa, In nome della loggia, Napoleone, Roma, 1981, p. 158.
[28] Lollo era il notaio che custodiva la documentazione della società Milnar di Carboni e Domenico Balducci (uno dei capi della banda della Magliana).
[29] D. Mastrogiacomo, Così la P2 mi cacciò dall’Ambrosiano, Repubblica, 8 dicembre 1993.
[30] L. Grimaldi, Da Gladio a cosa nostra, Kappa Vu, Udine, 1993, p. 32.
[31] Renzo Rocca, morto “suicida” nel 1968, era uno che si distinse nel campo dei rapporti tra il mondo industriale e i servizi segreti, inoltre, aveva arruolato illegalmente nel servizio segreto numerosissimi civili. Lo strumento per quest’operazione fu l’ufficio Rei (controspionaggio industriale) del Sifar, in stretto collegamento con Vittorio Valletta, amministratore delegato della Fiat fino al 1966.
I rapporti fra l’ufficio Rei e la Confindustria erano così stretti che l’associazione industriale aveva un ufficio nello stesso stabile, Palazzo Doria in Via del Corso 303, che ospitava una sede di copertura del Rei, con sigla Siati.
Rocca, era stato introdotto nel mondo della grande industria da uno che può essere definito uno dei padri spirituali di Gladio, l’on. Paolo Emilio Taviani (che fu ministro degli interni in diversi governi), fu impiegato nella raccolta nel mondo industriale di fondi e finanziamenti anticomunisti e per le sue mani passarono molti miliardi che, di fatto, erano provvigioni per commesse militari, appalti, esenzioni e licenze per l’esportazione di armi.
Nel 1968, poco prima del “suicidio”, Rocca che ufficialmente aveva lasciato i servizi segreti, aveva un ufficio mimetizzato come dipendenza Fiat, si stava occupando di un traffico internazionale di armi.
[32] S. Turone, Partiti e mafia dalla P2 alla droga, Laterza, Bari, p. 22.
[33] Sandro Atanassio, Gli anni della rabbia, Mursia, 1984, p. 23.
[34] C.s. p. 24
[35] Trapani, inchiesta su Gladio, Corriere della Sera, 6 luglio 1992.
[36] Come dichiarato da Falco Accame (ex presidente della Commissione difesa della Camera) in una lettera datata 23 settembre 1997 e spedita ai presidenti delle Commissioni antimafia e di controllo dei servizi segreti.
[37] Si veda la Sentenza della Corte d’assise di Roma del 21 dicembre 1996: “Il documento, infatti, si prefigge lo scopo di definire le caratteristiche degli Operatori speciali del servizio italiano e di delineare i procedimenti e il quadro di impiego e di dare un cenno sulla organizzazione della Guerra non ortodossa (Gno). Nel documento si legge, quindi, che gli Ossi sono raggruppati in Gruppi operazioni speciali (Gos) e cioè in nuclei organicamente precostituiti, che rispondono alle normali esigenze di impiego, costituiti, tra l’altro, da uno specialista explos-sabotaggio e da uno specialista armi e tiro e con il compito di azioni dirette, così definite perché “condotte direttamente contro il nemico e il suo potenziale bellico con scopi informativi, di sabotaggio, di disturbo” e azioni indirette, così definite perché si concretizzano in “attività di promozione e organizzazione della resistenza, supporto a unità della resistenza”. I compiti addestrativi dei Gos riguardano, poi, lo studio e la sperimentazione di tecniche, armi, materiali, ed equipaggiamento speciali; il reclutamento degli operatori avviene mediante la selezione di personale di leva delle forze armate. Orbene, la Corte non può non rilevare il clima che ha caratterizzato l’accertamento dell’Autorità nazionale per la sicurezza, prima, e quello dibattimentale, poi, circa la natura, provenienza e la portata del documento in questione. E si tratta di un clima che appare pienamente coerente con il contenuto del documento, dal momento che in esso si ipotizza, da parte di organismi dello Stato destinati ad assolvere non compiti operativi e militari, ma funzioni di informazione e sicurezza ai fini della difesa dello Stato e all’interno degli organismi stessi, l’esistenza di un’organizzazione costituita anche da appartenenti alle forze armate e preordinata al compito di azioni di guerra, ancorché non ortodossa, al di fuori dell’unica istituzione che, in base all’ordinamento costituzionale deve legittimamente ritenersi incaricata dello svolgimento di attività di difesa della patria, e cioè al di fuori delle forze armate e al di fuori di un qualsiasi controllo da parte dello Stato che, ai sensi dell’art. 87 della Costituzione, di queste ha il comando. In sostanza, il documento in questione deve essere ritenuto eversivo dell’ordine costituzionale (…) e come tale insuscettibile di apposizione di segreto”.
[38] Fulvio Martini, Nome in codice Ulisse, Rizzoli, Milano, 1999.
[39] Quest’operazione coperta fu finanziata con i fondi della cooperazione italiana allo sviluppo.
[40] Giuliano Naria, sendero luminoso Perù: tra l’utopia sociale e l’egemonia del samurai, Tullio Pironti Editore, Napoli, 1994, p. 163.
[41] Luigi Grimaldi, Luciano Scalettari, 1994 l’anno che ha cambiato l’Italia, dal caso moby prince agli omicidi rostagno e ilaria alpi. Una storia mai raccontata, chiarelettere, Milano, 2010, p. 305-311.
[42] Interrogatorio davanti ai magistrati di Trapani del 15 aprile 1997.
[43] Dal verbale di interrogatorio di Francesco Elmo del 26 marzo 1997.
[44] Dichiarazioni rese alla Procura di Trapani il 12 settembre 1996.
[45] P. Arlacchi, Gli uomini del disonore, Mondadori, Milano, 1992, p. 92.
[46] B. Ruggero, Un intreccio golpe-massoneria, Il Giorno, 18 novembre 1992.
[47] Così intervenni per liberare Moro, Repubblica 7 dicembre 1993.
[48] C.s.
[49] Cfr. Stragi e trattativa, ora si indaga su un uomo Cia, di G. Lo Bianco e S. Rizza, Il Fatto Quotidiano, 29 marzo 2012.
[50] Gerardo Serravalle era il generale a capo della Stay Behind italiana.
[51] Giuseppe Lo Bianco – Sandra Rizza, DIETRO LE STRAGI bombe, gladio e P2: il segreto della repubblica nell’ultima intervista di franco di Carlo, PaperFirst il Fatto Quotidiano, Roma, 2021, p. 96.
[52] Giuseppe Lo Bianco – Sandra Rizza, Mio padre, soldato di Gladio e uomo della trattativa Stato-mafia, Il Fatto Quotidiano, 13 gennaio 2012.
[53] Cfr. Stragi e trattativa, ora si indaga su un uomo Cia, di G. Lo Bianco e S. Rizza, Il Fatto Quotidiano, 29 marzo 2012.
[54] C.s.
[55] C.s.
[56] C.s.
[57] C.s.
[58] Fabio Zanello, italia la massoneria al potere dalla fine della seconda guerra mondiale alla p4, le radici politiche e ideologiche del presidenzialismo e la storia occulta delle logge eversive nella ricostruzione inedita di un disegno nato insieme alla repubblica italiana, CASTELVECCHI, Roma, 2011, p. \98-2011.
[59] Francesco Guida, Vita massonica di Salvador Allende, Hiram, 4/2007, p. 39.
[60] C.s. p. 43-44
[61] La P2 era regolare e non segreta, La Stampa, 23 settembre 1992.
[62] M. Teodori, P2, la controstoria, Sugarco, Milano, 1986, p. 19.
[63] P2, Cia, Gelli e i finanziamenti americani, La Stampa, 14 luglio 1992.
[64] P2 voluta dagli americani, Corriere della sera, 14 luglio 1992.
[65] S. Andrini, Tina Anselmi appoggia Corona: è vero che gli Usa si servirono della P2, L’Avvenire, 18 luglio 1992.
[66] A. M. Capretini, Il sabato denuncia. “Tendenze piduiste nella Chiesa”, Il giorno, 19 agosto 1992.
[67] Intervista di Ferruccio Pinotti ad Aldo a Giannuli, 22 aprile 2021. Ferruccio Pinotti, Potere massonico, Chiarelettere, 2021, pp. 298-300.
[68] C.s.
[69] Si tratta dell’Organizzazione mondiale per l’assistenza massonica. Sulla carte il progetto avrebbe dovuto essere un organismo internazionale della filantropia massonica, che avrebbe dovuto soccorrere le popolazioni in caso di disastri, aiutando i paesi “in via di sviluppo”. Tuttavia si proponeva anche Come mediazione in caso di crisi internazionali, come punto di riferimento di gruppi di paesi, come veicolo di accordi commerciali internazionali.
[70] Era il capo della potentissimo Ufficio affari riservati.
[71] Intervista di Ferruccio Pinotti ad Aldo a Giannuli, 22 aprile 2021. Ferruccio Pinotti, Potere massonico, Chiarelettere, 2021, pp. 298-300.
[72] Walter Bior è un ufficiale della marina militare italiana, arrestato per spionaggio nell’aprile 2021. È accusato di aver passato informazioni militari confidenziali e riservate a uomini dei servizi segreti russi a Roma.
[73] Intervista di Ferruccio Pinotti ad Aldo a Giannuli, 22 aprile 2021. Ferruccio Pinotti, Potere massonico, Chiarelettere, 2021, pp. 298-300.
[74] La vera mafia sono i politici, La Stampa, 13 agosto 1992.
[75] M. G., Politici in cerca di loggia, Repubblica, 28 gennaio 1994.
[76] Nell’ottobre del 1957, in una sala riservata dell’Hotel delle Palme, al centro di Palermo, i capi delle famiglie di
Cosa Nostra venuti dagli Stati Uniti incontrarono i capi delle famiglie siciliane. Per quattro giorni, indisturbato dalle autorità italiane, si svolse il primo summit mondiale della mafia, dove si discusse di droga e sigarette e si posero le basi per gli assetti futuri dell’organizzazione. L’accordo fu che le famiglie mafiose siciliane avrebbero dovuto operare come fornitrici di droga alle consorelle americane che, gestivano il monopolio della commercializzazione negli Stati Uniti e nel Canada. Tutto questo durò appunto fino agli anni ’70
[77] Saverio Lodato, Roberto Scarpinato, IL RITORNO DEL PRINCIPE LA CRIMINALITÀ DEI POTENTI IN ITALIA, Chiarelettere.
[78] Maurizio Torrealta, IL QUARTO LIVELLO la prima inchiesta sul livello più alto della trattativa tra Stato e mafia. Da un elenco firmato da Vito Ciancimino, che li accusa di essere i grandi burattinai italiani, uomini delle istituzioni e dei Servizi su cui atti nessuno aveva ancora fatto chiarezza. BUR Rizzoli.
[79] Giacomo Galeazzi, Ferruccio Pinotti, WOJTYLA SEGRETO LA PRIMA CONTROINCHIESTA SU GIOVANNI PAOLO II, Chiarelettere.
[80] http://www.fondazionecipriani.it/Scritti/calvi.html
[81] Paolo Gentiloni, Alberto Scampinato, Agostino Spataro, MISSILI E MAFIA LA SICILIA DOPO COMISO, Editori Riuniti.
[82] Editori Riuniti. Henrick Kruger, Il grande colpo dell’eroina: droghe, spie e fascismo internazionale.
[83] Uno dei motivi da parte dell’imperialismo USA della presenza diretta in quest’area è legata al peso crescente delle materie prime proveniente dai paesi del cosiddetto Terzo Mondo e dalla necessità di garantire sbocchi al riciclaggio dei petroldollari e ai propri prodotti.
[84] Saverio Lodato, Roberto Scarpinato, IL RITORNO DEL PRINCIPE LA CRIMINALITÀ DEI POTENTI IN ITALIA, Chiarelettere.
[85] La mafia doveva essere ridotta a un fatto di criminalità comune.
[86] Cfr. Le stragi 1992-1993 furono rivendicate dai servizi segreti, di Sandra Rizza, Il Fatto Quotidiano, 25 giugno 2015.
[87] C.s.
[88] C.s.
[89] Cfr. Gli attentati ai carabinieri, i servizi segreti e la Falange armata, così la ‘ndrangheta partecipò alla strategia della tensione, di Lucio Musolino, Il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2017.
[90] Cr- Il libro nero della Prima Repubblica, di Rita Di Giovacchino, Fazi editore, 2019, pag. 113.
[91] Loretta Napoleoni, Terrorismo S.p.A. il Saggiatore.
[92] È doveroso mettere tra virgolette la parola scoperta. Ho un ricordo personale, durante una
manifestazione, ebbi l’occasione di conoscere un ex funzionario della BNL in pensione. Egli mi assicurò che il cosiddetto scandalo di Atlanta, era nato dal fatto che gli americani nell’operazione di finanziamento all’Iraq, non dovevano comparire, la funzione della BNL fu in sostanza di intermediare in prima persona, senza che dovessero comparire gli istituti bancari ma soprattutto i servizi americani che stavano dietro questa operazione.
[93] Cfr. Stefani Limiti, Doppio livello, Chiarelettere, 2013, pagg. 413-414.
[94] Cfr. Processo Capaci bis: la testimonianza del pentito Riggio sulle ombre dell’Attentattuni, di Karim El Sadi 30 novembre 2019, http://wwwantimafiaduemila.com/dossier/processo-capaci-bis/76783-processo-capaci-bis-latestimonianza-relato-del-pentito-riggio-sulle-ombre-dell-attentatuni.html
[95] C.s.
[96] C.s.
[97] Cfr. Intercettazioni Dia (inchiesta sulla trattativa Stato-mafia) sull’utenza di Nicola Mancino. Telefonata Mancino Loris D’Ambrosio del 21 novembre 2011.
[98] Cfr Capaci bis, Giuffrè: “Anche la massoneria voleva fermare Falcone”, di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu, antimafiaduemila.com, 1° ottobre 2014.
[99] Cfr. Salvo Palazzolo, Speciale strage di Capaci, Genchi: Non fu solo mafia. Gli americani dietro l’attentato, 02/06/2020, il sicilia.it.
[100] G. Serravalle, Gladio, Ed. Associate, Roma, p. 46-47. 30 novembre 2019, http://wwwantimafiaduemila
[101] C.s. p. 49.
[102] C.s. p. 36-37.
[103] M. Conti, Quei clandestini di Reagan, Panorama, 23 novembre 1986.
[104] L. Annunziata, Oliver North, il colonnello che voleva ispirare il potere, Repubblica, 4 dicembre 1986.
[105] Gianni Vannoni, le società segrete dal Seicento al Novecento, Sansone Editore, 1985, p. 324.
[106] La Prima Repubblica francese seguì la Rivoluzione Francese dl 1789 e durò dal 1792 al 1799. La Seconda Repubblica coincise con il periodo delle rivoluzioni europee e si protrasse dal 1848 al 1852. La Terza Repubblica iniziò nel 1870 e terminò nel 1940 con l’occupazione della Francia da parte delle truppe tedesche, durante la seconda guerra mondiale.
[107] Antonio Rubbi, I partiti comunisti dell’Europa Occidentale, Teti editore, Milano, 1978, p. 84.
[108] Daniele Ganser, gli eserciti segreti della nato Operazione Gladio e terrorismo in Europa occidentale, Fazi Editore, Roma, 2005, p. 103-106.
[109] Edward Rice-Maximin, Accomodation and Resistance. The French Left, Indochina and the Cold War 1944-1954, New York, Greenwood Press, 1986, p. 53.
[110] Roger Faligot – Pascal Krop, La Piscine. Le Services Secrets Français 1944-1948, Parigi, Editiond du Seuil, 1985, p. 84.
[111] C.s. p. 85
[112] C.s. p. 56
[113] Daniele Ganser, gli eserciti segreti della nato Operazione Gladio e terrorismo in Europa occidentale, Fazi Editore, Roma, 2005, p. 109.
[114] Roger Faligot – Pascal Krop, La Piscine. Le Services Secrets Français 1944-1948, Parigi, Editiond du Seuil, 1985, p.88.
[115] Spotlight: Western Europe: Sty-Behind, in Intelligence Newsletter. Le Monde du Renseignement, periodico francese, 5 dicembre 1990.
[116] Douglas Porch, The French Secret Services. From the Dreyfus Affaire to the Gulf War, New York, Farrar, Strauss & Giroux, 1995m p. 395.
[117] C.s.
[118] Questa descrizione dell’operazione Resurrezione è tratta da Ph. Bernert, Roger Wyhbot et la bataille pour la DST, citato in Jean-François Brozzu-Gentile, p. 286.
[119] Daniele Ganser, gli eserciti segreti della nato Operazione Gladio e terrorismo in Europa occidentale, Fazi Editore, Roma, 2005, p. 116.
[120] A. Horne, La guerra di Algeria, Milano, Rizzoli, 1980, p. 512.
[121] Saverio Ferrari, i denti del drago Storia dell’Internazionale nera tra mito e realtà, BFS edizioni Biblioteca Franco Serrantini, 2013, p. 38.
[122] Come rivelato, ad esempio, dall’ex comandante dell’Undicesimo d’Assalto Erwan Bergot nelle sue memorie: Le Dossier Rouge. Services Secrets Contre FLN, Parigi, Grasset, 1976.
[123] G. Bonazzi, Colpa e potere, Il Mulino, Bologna, 1983, p. 131.
[124] È morto Watin, lo ‘sciacallo’. Attentò alla vita di De Gaulle, Repubblica, 21 febbraio 1994.
[125] http://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2005/07/16/SL3PO_SL301.html?refresh_ce
[126] P. Willan, I burattinai, Pironti, Napoli, 1993, p.33-34.
[127] A. Marcenaro, Io, Di Bernardo dico a Cordova di tirarsi avanti, Il Giorno, 11 luglio 1993.
[128] Anna Maria Isastia, Massoneria tra realtà storica e mito, HIRAM 4/2005, Erasmo Editore.
[129] Serviva a finanziare l’industrializzazione.
[130] Gianni Cipriani, I mandanti, Editori Riuniti, Roma, 1993, p. 183.
[131] C.s. p. 188-189.
[132] C.s.
[133] c.s.
[134] D. Bovet, M. Dinucci, Tempesta del deserto, edizioni ECP.
[135] Harry Magdoff, L’età dell’imperialismo. L’economia della politica estera USA, p. 75-79.
[136] https://it.wikipedia.org/wiki/Standing_NATO_Maritime_Group_2
[137] http://www.resistenze.org/sito/os/ip/osipdc19-012500.htm
TUTTO SEGNANTE, PREGNANTE MA MANCA UN SOLO DATO, IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA: TANTO QUANTO FURONO MAGNETIZZATE LE ORDE DESTROVERSE DA QUESTO MECCANISMO COSI BEN DESCRITTO LO FURONO ANCHE QUELLE SINSITROVERSE. AVENDO MANCATO DI DESCRIVERLO IL PEZZO PERDE DI CREDIBILITA’. INOLTRE, IL CIRCOLO OVE SI PARLAVA SOLO FRANCESE ERA IL CERCLE PINAY.