IL DISASTRO ALER
L’emergenza abitativa e la fallimentare gestione da parte dell’ALER del patrimonio immobiliare pubblico sono problemi che arrivano da molto lontano e che ancora oggi continuano a produrre strascichi.
A denunciare tutto ciò non ci sono solo i vari comitati dei quartieri, la società di revisione BDO[1], che dicembre 2013 ha presentato alla Regione Lombardia un rapporto di oltre trecento pagine sui disastrati conti di ALER, l’immobiliare pubblica più grande d’Italia e tra le maggiori in Europa. Il documento, pubblicato nel 2015 dal gruppo Espresso[2], è stato richiesto dalla Commissione regionale d’inchiesta su ALER, nominata proprio per far luce sui conti dell’Azienda lombarda. Il quadro emerso è quello di un colosso che già allora era sull’orlo del fallimento. Ad oggi sono ormai 450 milioni di euro di debito solo verso le banche e fornitori che affliggono il bilancio; le entrate non riescono nemmeno a coprire le spese ordinarie di gestione.
Eppure l’emergenza sfratti e il fenomeno delle occupazioni nasce soprattutto da lì dalle case popolari vuote (e inutilmente riscaldate) perché fatiscenti, prive di manutenzioni e non assegnabili. A Milano ce ne sono quasi 10.000.
Fino al primo dicembre 2014, quando le 28.000 case del Comune di Milano sono passate alla gestione di Metropolitana Milanese. ALER amministrava 73.000 unità abitative, gran parte delle quali in pessime condizioni. Nel bilancio 2013 l’azienda regionale scrive chiaramente di non poter far fronte alle spese necessarie: “Risulta evidente che gli interventi di manutenzione straordinaria non possono essere finanziati se non tramite entrate straordinarie che derivino dalle vendite, in forte rallentamento , o da risorse da reperire sul mercato del credito, soluzione oggi impraticabile”.
E qui apre il capitolo più problematico della gestione ALER. La domanda sorge, spontanea: “Perché mai ALER non poteva chiedere prestiti alle banche?”. Semplicemente, perché ne erano già stati aperti fin troppi. Solo allora risultavano aperti 48 contratti di mutuo per 255 milioni di euro. Finanziamenti richiesti per le più svariate ragioni: dalla realizzazioni di nuove costruzioni fino alla manutenzione straordinaria e addirittura allo svolgimento delle attività correnti, ogni anno più dispendiose. Una montagna di soldi, chiesti a Intesa San Paolo (78 milioni), alla Banca Popolare di Sondrio (72 milioni, e l’istituto è anche tesoriere di ALER), al Monte dei Paschi di Siena (38 milioni), a BNL (26 milioni), a Dexia Crediop Spa (sempre BNL, per 17 milioni), alla Banca Popolare di Novara (quasi 10 milioni), alla Cassa Depositi e Prestiti (quasi 9 milioni) e alla Popolare di Milano (oltre 4 milioni).
A garanzia dei prestiti ottenuti ALER ha messo il suo stesso patrimonio immobiliare ipotecato, al 31 dicembre 2012 risultavano ipoteche sugli alloggi per un valore di 258 milioni. Appartamenti (e terreni) a Milano, Rho, Lainate, sul cui destino prende un grosso punto interrogativo. Ecco perché Gian Valerio Lombardi, ha accelerato il processo di messa all’asta degli alloggi popolari. Una soluzione in piena antitesi col concetto di edilizia pubblica e che non fa altro che aggravare l’emergenza abitativa. Vendere all’asta le case pubbliche, costruite coi soldi dei lavoratori, significa, questo sì, toglierle dalla disponibilità di chi ne ha bisogno. A causa di questa scelta, infatti, il patrimonio immobiliare pubblico continua ad impoverirsi. È quindi evidente, a questo punto, come l’attività principale di ALER non sia quella di rendere agibili ed assegnare le case, ma di lasciare vuoti gli appartamenti in attesa di venderli al migliore acquirente, portando avanti nei fatti un vero e proprio business.
Per contestualizzare, è importante fare un ulteriore passo indietro nella storia speculativa ALER. Come e quando è nata la voragine finanziaria che rischia di inghiottire l’ALER? La risposta è nelle carte: il 50% dei mutui è stato stipulato tra il 2006 e il 2007 e i derivati sono agganciati a finanziamenti decorsi tra il 2007 e il 2008. Lo stesso periodo in cui l’azienda intraprende una serie di avventure speculative che oggi pesano sui suoi bilanci come mattoni. Basti pensare alle “figlie” di ALER (ora tutte in dismissione), delle quale ASSETT è la più conosciuta.
L’inefficienza è sempre stata dominante in tutte le operazioni condotte non solo da ALER, ma anche dalle sue società satellite. Tra queste c’è ASSET, fondata nel 2005 e controllata da ALER al 100%, motivo per cui nel corso del tempo questi investimenti hanno scavato un’ulteriore voragine nei bilanci. Le operazioni condotte da ASSET riguardante lotti, vendita e commercializzazioni di complessi immobiliari, compresi alberghi, centri commerciali, turistici, industriali e ricreativi. Verrebbe da chiedersi che cosa abbia a che fare tutto ciò con l’edilizia popolare. Ma andiamo avanti. Per realizzarle, la società ha dovuto contrarre mutui per molti milioni di euro. Dove si concentrano le operazioni immobiliari? Una delle principali operazioni è quella di Pieve Emanuele, la quale acquista diversi stabili per ristrutturarli e vendere alloggi di edilizia pubblica (si stipulano mutui per 32 milioni accompagnati da 41 milioni di finanziamento regionale). Un altro importante acquisto è quello di un complesso immobiliare interamente destinato alla vendita (tra un finanziamento e l’altro ASSET si indebita per 66 milioni di euro). Di queste due operazioni cosa s’è n’è fatto? Nulla. Per quanto riguarda Pieve Emanuele l’area non è stata riqualificata, gli appartamenti a Garbagnate non sono solo rimasti invenduti, ma alcuni a causa del deterioramento, causato dall’abbandono, sono stati demoliti chiedendo un ulteriore prestito ad ALER.
ASSET è atterrata anche in Libia nel 2007, dove si costituisce una nuova società per occuparsi di ristrutturare i palazzi storici. Perché invece di ristrutturare le case popolari, che sono da sempre lasciate cadere a pezzi, si è andati a sperperare denaro in Libia? Nel 2010 la società viene dichiarata fallita con annesse perdite per centinaia di migliaia di euro. Il fallimento di tutte le operazioni intraprese da ASSET è stato totale, è sempre andata in rosso, verrà fusa solo recentemente con ALER che ne acquisirà oltre al patrimonio immobiliare anche i 99 milioni di debiti.
ALER è un secchio bucato. Perde soldi a ciclo continuo. Solo per l’elaborazione delle buste paga per i dipendenti, la spesa annua è di un milione di euro. Tra le carte, spunta un ennesimo mutuo (30 milioni) per il fondo pensione integrativo dei dipendenti ALER. Il fondo non era ancora stato costituito, mentre i 30 milioni costavano 500 mila euro di interessi passivi ogni anno e, perlomeno tra il 2011 e 2015 (periodo per quale si trovano dati disponibili), si sono pagati interessi a vuoto.
ALER è dunque un’azienda di edilizia pubblica che nega alle masse popolari il diritto di ottenere un’abitazione, collettivizzando le perdite e privatizzando gli utili. In piena emergenza sfratti, bisognerebbe ampliare e non ridurre il patrimonio pubblico, per garantire a tutti il diritto alla casa e una vita dignitosa. Ma non è così. La politica adottata da Regione Lombardia nello stabilire i criteri di assegnazione è iniqua e paradossale. Addirittura, nel 2020, in piena pandemia determinata dal COVID-19 che ha accentuato gli effetti nefasti della crisi di sovrapproduzione di capitale, dove sono stati bruciati migliaia di posti di lavoro, la quota riservata ai nuclei familiari indigenti è stata diminuita dal 40% al 20%. Tutto questo con l’obiettivo di assicurare flusso di cassa all’Azienda, nonostante la recente retromarcia concordata col comune di Milano abbia riportato, almeno nel capoluogo lombardo, la soglia delle assegnazioni per le famiglie indigenti al 40%.
Sono dunque ALER e Regione Lombardia in primis i veri responsabili delle condizioni dei quartieri popolari, che hanno subito anni di abbandono e speculazione. Ci sono 10 mila case vuote e riscaldate, interi stabili chiusi per mancanza di ristrutturazione, case piene di infiltrazioni e a rischio folgorazione. Gli sgomberi non sono dunque la soluzione al problema abitativo, al contrario non fanno altro che aggravarlo. Anzi, a causa degli sgomberi, le case ricadono in uno stato di abbandono, senza considerare le migliaia di euro spesi per effettuarli. Quando si dice che cacciare gli occupanti sarebbe la soluzione si dice una falsità. Di case a disposizione ce ne sono già in abbondanza e il quadro che ne emerge è ancora più scandaloso se si considerano i 27.000 assegnatari in graduatoria in attesa di un appartamento.
Infine, qualche nome e cognome. Chi sono i responsabili di tutta questa situazione? Sono i volti del centro-destra presenti nell’album delle foto di famiglia di ALER. Allora come oggi, Regione Lombardia ed è guidata da Attilio Fontana (Lega), degno erede di Formigoni (arrestato e responsabile dei tagli e della privatizzazione della sanità pubblica, di cui oggi più che mai si pagano le conseguenze) e Maroni, le cui parole d’ordine erano “Prima i lombardi”. Quest’ultimo ha stabilito come criterio fondamentale per l’accesso all’edilizia pubblica, “L’anzianità di residenza” solo chi può vantare una residenza anagrafica o lo svolgimento di attività lavorativa in Lombardia da almeno 5 anni ha diritto all’ingresso nelle liste di assegnazione (Legge Regionale 16/2016). Tra gli amministratori dell’azienda c’è un nome ricorrente quello di Domenico Ippolito. Entrato nel 1991 per non uscirne più prima come responsabile amministrativo, poi come direttore del personale ed infine come direttore generale dal 1999 al 2013. Dal 2005 anche come amministratore delegato in ASSET e in CSI (controllata ALER). Un manager delle amicizie discutibili, era stato rimosso perché nel 2012 un’inchiesta lo vedeva coinvolto sulla compravendita di voti a favore dell’ex assessore regionale alla casa Domenico Zambetti (che fu arrestato), con la ‘Ndrangheta. Finì sotto l’occhio del ciclone per l’appartamento dato in affitto a Teresa Costantino, figlia del boss Eugenio Costantino, che nel 2011 venne contattata personalmente dalla segretaria di Ippolito, Monica Goi, e assunta da ALER proprio presso la Direzione Centrale.
[1] https://www.bdo.it/it-it/home-it
[2] https://espresso.repubblica.it/attualita/2015/02/04/news/lombardia-il-disastro-delle-case-popolari-serve-piu-di-un-miliardo-per-rimetterle-a-posto-1.198102/