2020: ESERCITO NELLE CITTA’?
Il Pentagono facendo tesoro dell’esperienza molto amara appresa dalla guerriglia urbana dove le truppe americane si sono dimostrate regolarmente inferiori a nemici male armati ed equipaggiati, ma tremendamente determinati e abili ad approfittare della loro conoscenza del territorio, ha promesso ai soldati americani in difficoltà nella guerriglia urbana a Baghdad di avere nuovi armamenti. Questo non solo per quello che è successo a Baghdad, ma anche dall’esperienza di Mogadiscio del 1993 dove i Ranger subirono perdite del 60% per mano dei guerriglieri somali.
Il peggio per il Pentagono (come per le forze armate degli altri paesi imperialisti) è che nel futuro dovrà affrontare sempre di più questo tipo di situazioni di conflitto. Almeno un miliardo di esseri secondo dati ONU vive attualmente nelle grandi megalopoli del Sud del Mondo. Oramai quest’urbanizzazione ha raggiunto proporzioni mostruose: Lagos potrebbe avere nel 2015 venti milioni di abitanti, Karachi ne ha oggi 25 milioni, il Cairo 16 milioni.
I regimi militari sudamericani negli anni Sessanta e Settanta affrontarono il problema delle favelas (prodotto di un processi di urbanizzazione selvaggia) alla loro maniera: in Brasile con la scusa della minaccia guerrigliera venivano rase al suolo un’ottantina di favelas sulle colline di Rio del Janeiro, Pinochet espelleva dal centro di Santiago gli abusivi delle poblaciones e delle callampas e in Argentina Videla bonificava militarmente le villas miserias, radendo al suolo il 94% degli insediamenti “illegali” nella Gran Buenos Aires. Ovviamente questa politica repressiva non veniva attuata solo in Sud America. Nel 1977, in Egitto a seguito delle tante “rivolte del pane”, [1] e contro le misure imposte dal Fondo Monetario Internazionale, Sadat si scatena contro i “ladri guidati dai comunisti” per ripulire i quartieri centrali del Cairo.
Per questi motivi l’urbanizzazione diventa per le classi dominanti una “fonte di paura”, soprattutto nei centri dominanti dell’economia mondiale. Questa è trasmessa e riflessa e trasmessa teoricamente da think tank e da centri studi strategici , costretti a rivedere vecchie teorie militari e a procedure, protocolli di intervento e per adeguarli a quella che si potrebbe definire una “guerra tra la gente”. Tale percezione di mutamento della realtà sembra investire anche certo personale militare impegnato in operazioni che danno luogo a continui grattacapi. Ecco cosa afferma il Generale di Divisione Gian Marco Chiarini, Comandante di EUROFOR in Bosnia già comandante delle Brigata Ariete: “Il processo d’inurbamento degli ultimi decenni ha coinvolto gran parte dei Paesi di recente industrializzazione con conseguente elevato numero di megalopoli dai contorni impressionanti. Se in un passato non molto lontano le uniche città che si avvicinano alle ragguardevoli dimensioni di 10 milioni di abitanti erano Londra e New York, ora questi numeri vengono superati da Cairo, Istanbul, Città del Messico, Shangai. è sempre più frequente, quindi trovarsi di fronte a contesti urbani di notevoli dimensioni, che non solo rappresentano una concentrazione demografica importante, ma sono nodi di comunicazioni, centri economici e di affari, poli di sviluppo per l’intera regione circostante (…) Gli scontri urbani sembrano modificare le regole del combattimento, limando le differenze di ingaggio sembrano enormemente ridotte, in cui è difficile distinguere l’avversario dalla popolazione, in cui tutto l’ambiente circostante appare ostile (…), difficile cercare di mettere in pratica gli schemi addestrati imparati in precedenza (…) è naturale che nelle CRO’s (Crisis Response Operations), ci si possa trovare a dover fronteggiare miliziani armati, che scelgono di operar in città per sfruttarne le caratteristiche e compensare la propria carente preparazione e per dare maggior visibilità e risonanza alle proprie operazioni, cercando di apparire nei confronti della popolazione come “detentori del potere”.[2]
Ma a dimostrazione della dimensione internazionale dello scontro di classe e della controrivoluzione, anche le città delle metropoli imperialiste, sono diventare terreno di scontro e di sviluppo della militarizzazione.
Prendiamo come esempio gli U.S.A. Negli ultimi 25 anni, i vari uffici di polizia hanno organizzato unità paramilitari (PPUs) variamente denominate: SWAT, SRT, equipaggiate per operare in tenuta di combattimento con armi automatiche ad alto potenziale come fucili d’assalto e granate assordanti, accecanti, gas paralizzante e automezzi corazzati. Il numero di queste unità e il numero delle situazioni nelle quali vengono dispiegate sono aumentate rapidamente. Con i prevedibili risultati: civili coinvolti, poliziotti uccisi da fuoco amico ed un crescente antagonismo tra forze di polizia militarizzate e popolazione.
All’interno di questi corpi d’élite molto militarizzati hanno accresciuto la cultura della violenza e dell’antagonismo razziale. Uno studio fatto dai professori Peter Kraska e Vicotor Kappeler della Scuola di studi di polizia dell’Università dell’Eastern Kentacky rileva il livello di inaccettabilità che queste squadre di polizia paramilitare hanno raggiunto nelle comunità afroamericane e ispaniche.[3] Negli ce stato un incremento di queste squadre. Nel 1982 il 59% dei dipartimenti di polizia aveva tra i suoi effettivi un’unità paramilitare. Quindici anni dopo quasi il 90% dei 48 dipartimenti ha in attività unità paramilitare. Queste unità sono chiamate per compiti di normale amministrazione per le forze di polizia, come pattugliare le strade o eseguire mandati di perquisizione.
Le comunità nere delle città sono le prime a subire l’impatto con queste unità dove il razzismo cresce.
Nel 1983 e nel 1989 ci furono due cambiamenti del Posse Comitatus Act, che era stato emesso per porre fine allo stato di legge marziale che regnava negli stati del Sud dopo la guerra civile, che hanno portato l’istituzione militare e poliziesca a lavorare a fianco a fianco. Dopo questi emendamenti al Posse Comitatus Act, i militari hanno potuto fornire servizi d’intelligence, materiali e mezzi e addestramento così come partecipare a operazioni antidroga in pratica pressoché tutte le attività di ricerca, attività di ricerca e arresto.
La somiglianza tra le attività di polizia e quelle dei militari ha creato un forte allarme riguardo alle libertà civili. Nel maggio 1997 una squadra dei marines che stava portando avanti una missione di “addestramento antidroga” sul confine messicano, ha ucciso un pastore di pecore che stava portando la sua lana dal Messico al Texas. I quattro soldati che agivano ha volto coperto, affermarono che il pastore – armato di un fucile a colpo singolo che usava per difendersi dai coyote – aveva fatto fuoco su di loro.
L’esercito va assumendo funzioni di polizia civile, così la polizia agisce e appare sempre più come un reparto di soldati.
La strada verso armamenti high tech è stata spianata dalla fine della cosiddetta guerra fredda, quando a fronte delle riduzioni della spesa militare, si è creato un surplus a prezzi stracciati nel mercato di tali armamenti. I fabbricanti di armi iniziarono una politica aggressiva di marketing verso i dipartimenti di polizia al fine di poter piazzare armi automatiche e altro, infatti, le aziende tengono seminari e spediscono dépliant colorati con tutte le figurine e i manichini abbigliati ninja-style. Questa confluenza di esperienza, con artiglieria militare, immersione nella cultura militare e l’immaginario creato dai media stanno velocemente creando un nuovo tipo di agente, che si comporta sempre di più come un soldato in guerra che come un poliziotto in pattuglia.
Come si diceva prima l’urbanizzazione a livello mondiale le città si stanno espandendo mostruosamente, le megalopoli abitate da milioni e milioni di abitanti, concentreranno al loro interno tutte le contraddizioni della società capitalista.
L’attuale tendenza all’interno delle metropoli capitaliste dell’accentuazione delle differenze di classe e il costante e continuo azzeramento dei servizi sociali portano ad accentuare il conflitto di classe, dentro un quadro del restringimento costante e continuo delle tradizionali mediazioni riformiste sia a livello politico sia a livello sindacale.
In questo contesto le normali forze di polizia non saranno in grado di condurre operazioni tra folle “ostili” o semplicemente “complici” senza il rischio di forti perdite o di addirittura di ritirate come nelle banlieue francesi. L’utilizzo dell’esercito condotto con armi convenzionali diventa controproducente, poiché potrebbe far scatenare di più le folle, e in più ci sono gli inconvenienti a livello politico.
In merito a questo problema un ricercatore meridionale Antonio Camuso in un articolo[4] ipotizza che l’attuale utilizzo dell’esercito nelle città italiane, faccia parte di progetti condotti dalla NATO e riguardanti l’utilizzo degli eserciti regolari nelle megalopoli del futuro.
Si tratterebbe di un progetto che si chiamerebbe NATO UO 2020 prodotto da un gruppo di studio che si chiamerebbe SAS 30 Urban Operations in the 2020, al quale avrebbero partecipato dal 1998 esperti di sette nazioni della NATO (Italia, Canada, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda e USA).[5]
L’UO 2020 è uno studio che esamina la natura probabile dei campi di battaglia, i tipi di forze terrestri, le loro caratteristiche e capacità. Lo studio ipotizza l’andamento entro l’anno 2020, il 70% della popolazione mondiale dovrebbe superare i 7,5 miliardi e ciò sarà causa di una spaventosa crescita demografica nelle città incrementando l’urbanizzazione, e con relativa crescita della povertà incrementando conseguentemente le tensioni sociali.
Perciò, da parte dei paesi imperialisti, necessita una presenza militare su periodi prolungati. Ma questo necessariamente entrerà in contraddizione con le richieste da parte del mondo politico per azioni rapide, decisive e chirurgiche.
In sostanza ricapitolando secondo questo studio:
- Le guerre future saranno all’interno delle città.
- Si avrà l’esercito lungo le strade. Si deve far accettare alla popolazione che l’esercito nelle città sia una cosa normalissima. L’obiettivo è attraverso strumenti di guerra psicologica (campagne di stampa, manipolazione delle notizie ecc.) è che siano i politici e i cittadini a chiedere l’intervento dell’esercito.[6]
- Che le forze militari utilizzeranno ogni sorta di armi (letali e “non letali”).
- Che sommosse, scontri sociali, manifestazioni potranno essere sedate anche dall’esercito (Genova 2001, gli interventi polizieschi in Val di Susa, a Vicenza, a Chiaiano sarebbero delle prove generali di come sarebbe gestito il conflitto sociale).
Per questi motivi, lo studio U02020 consiglia di iniziare gradualmente in base alle necessità a utilizzare l’esercito in funzione di “ordine pubblico”. Nel frattempo, ogni paese aderente a questo gruppo (Italia compresa) deve creare dei reparti che appositamente si specializzino per operazioni di contenimento delle folle e di controllo del territorio, compresi i rastrellamenti per la caccia a “sovversivi” e “agitatori”[7].
L’Italia è considerata dagli USA come uno dei migliori fornitori di personale addestrato a operazioni antisommossa.
L’addestramento nel territorio nazionale è condotto in luoghi come il Centro di addestramento alle CRO (Crises Response Operation/Operazioni di risposta alle crisi) con la certificazione del 2° Corso per Istruttori della Forza Armata di “Controllo della folla”. In questi corsi il programma consiste:
- Nell’approfondire e sviluppare la dottrina esistente, con specifico riguardo al controllo della folla, alla lotta del crimine organizzato, agli arresti ad alto rischio, alla sicurezza delle prigioni, alla protezione di obiettivi sensibili, alla sicurezza elettorale, alla sicurezza dei VIP ed al controllo delle frontiere.
- Fornire un addestramento che permetta l’interoperabilità con forze puramente militari, con istituzioni civili e con altre componenti di polizia schierate e coinvolte nelle PSO.
- Fornire un sistema per verificare in loco le capacità acquisite dalle forze di polizia addestrate da coloro che hanno frequentato i corsi del CoESPU.
- Eseguire una valutazione apprese nel corso delle varie missioni, da inserire nei futuri addestramenti.
- Coordinare la standardizzazione degli equipaggiamenti da utilizzare nelle operazioni internazionali, in armonia con i propri metodi di addestramento.
- Interagire con organizzazioni internazionali e regionali, quali le Nazioni Unite, la NATO, l’OCSE, l’EU, l’AU e l’ECOWAS; le accademie e gli istituti di ricerca; le istituzioni di ricerche militari nazionali e internazionali e infine con la Gendarmeria Europea.
Il futuro soldato dell’Esercito italiano dovrà impiegare per le operazioni urbane armi convenzionali ultratecnologiche e le “armi non letali”. L’Esercito italiano non è nuovo in operazioni di polizia, prendiamo solamente le esperienze recenti:
- Le cosiddette “operazioni umanitarie” all’estero.
- Collaborazione con le forze di polizia nell’operazione Vespri Siciliani in Siciliani nel 1992, dopo le uccisioni di Falcone e Borsellino.
- L’invasione della Sardegna nel corso del 1992, costata anche in assai in termini di immagine e politico-militare allo Stato emergenziale.
- Operazioni antimmigrazione sulle coste del Salento.
- L’accerchiamento di Napoli in ripetute operazioni di polizia coordinate da Ministero degli Interni nei primi anni di questo millennio.
- Le disposizioni del governo Berlusconi, inerenti alla distribuzione in una serie di città “pilota” di militari dell’Esercito Italiano in funzioni di polizia, che, svolte da normali poliziotti costerebbero molto meno.
LE “ARMI NON LETALI” COME STRUMENTI DI CONTROLLO POLITICO E PER LA GUERRA ALL’INTERNO DELLE METROPOLI
Le tecnologie della repressione sono il prodotto dell’applicazione della scienza e della tecnologia al problema della neutralizzazione dei nemici interni dello Stato. Sono dirette principalmente contro la popolazione civile, solo raramente uccidono poiché sono indirizzate principalmente al cuore, alla mente e al corpo e sono usate sia nelle guerre esterne, che nei conflitti civili interni, le rivolte ecc.
Questo nuovo tipo di armamenti ha rivoluzionato lo scopo, l’efficienza e la crescita del potere repressivo della polizia che certamente è molto diverso da nazione a nazione. Vedere le riflessioni del maggiore dei carabinieri Rosario Castello nella pagina web: http://www.carabinieri.it/Inernet/Editoria/Rassegna-Arma/2003/4/Informazioni-e-segnalazioni/01_Rosario_Castello.htm dove fa delle riflessioni sull’utilizzo delle “armi non letali”. Castello comincia la riflessione con un classico della strategia militare Sun Tzu: “Quando duemila anni fa circa, Sun Tsu affermò che per annientare il nemico non era necessario distruggerlo fisicamente, ma annientarne la volontà di vincere”, ci fa capire che queste armi sono politicamente convenienti perché evitano inutili spargimenti di sangue con tutti gli inconvenienti a livello mediatico e politico (possiamo prendere come esempio quello che è successo in Birmania, cosa sono le conseguenze a livello politico di una repressione fatta alla luce del sole e davanti ai media internazionali). Sono armi per una guerra a bassa intensità che però hanno lo svantaggio di una loro possibile proliferazione e utilizzo da parte di gruppi criminali/terroristi.
Questo fatto ha preoccupato settori di opinione pubblica, poiché la commissione STOA del Parlamento Europeo (Scientific Tecnological Options Assessment – Commissione per la Valutazione delle Opzioni Scientifiche e Tecnologiche) ha ordinato uno studio per conto della Commissione libertà civili e affari interni dell’Unione Europea.[8]
Questo rapporto del 1998 dal titolo emblematico “Una valutazione delle tecnologie di controllo politico” ha confermato i primi interessi da parte degli scienziati in Europa (ma non negli U.S.A.).
Il rapporto STOA ha disegnato un agghiacciante quadro delle innovazioni repressive, con le seguenti opzioni:
1° Sistemi semi intelligenti della zona di rifiuto. Questi sistemi di guardia automatizzati adottano reti neurali capaci di utilizzare modelli di riconoscimento e “imparare” così che possano pattugliare zone sensibili e utilizzare secondo l’opportunità armi letali o sub letali.
2° Sistema di sorveglianza globale. Il software di riconoscimento vocale può intercettare e rintracciare individui e gruppi, mentre supercomputer classificano automaticamente la maggior parte delle chiamate telefoniche, fax, e-mail. Sistemi di “Data veglianza” tracciano immigrati o altri obiettivi, attraverso l’uso delle tecniche biometriche per identificare le persone tramite il riconoscimento del DNA, la retina o le impronte digitali. Un esempio di applicazione di questo sistema di sorveglianza globale è il Progetto europeo Erodac. Questo progetto diventato operativo il 15 gennaio 2003 prevede che uno Stato membro dell’U.E. potrà raffrontare le impronte digitali dei richiedenti Asilo o dei cittadini terzi presenti “illegalmente” nel proprio territorio per verificare se hanno presentato domanda di asilo in un altro Stato membro.
3° Profilo dati. Le polizie di stato sono state in grado di usare la sorveglianza dei dati per compilare “mappe di amicizia” o legami, attraverso l’analisi di chi Telefona o spedisce posta elettronica e di chi la riceve. In Guatemala si è usato il sistema Tadiran[9] localizzato nel palazzo nazionale per creare liste di gente da assassinare.
4° Sub-letale o armi inabilitanti. Pepper spray (spray al pepe), CS gas e schiuma chimica, può essere usati sia nelle prigioni, che nel controllo di massa, così come nelle operazioni di conflitti sotterranei diversi dalle guerre (o come si ama chiamarli attualmente Conflitti a bassa intensità). Il Pepper gas, un impianto tossico, è stato bandito nel 1972 dalla Convenzione delle Armi Biologiche per l’uso in guerra, è invece consentito nell’uso per la sicurezza personale. “La schiuma adesiva” un adesivo chimico, può essere usato su varie superfici, o l’uno con l’altro. La schiuma può essere usata per formare barriere che bloccano tutte le vie di fuga e facilitano gli arresti di massa.
5° Munizioni dalla punta morbida. Con il pretesto di proteggere civili innocenti, i proiettili soft point sono venduti come più sicuri delle regolari munizioni con rivestimento in acciaio, che potrebbero passare attraverso i muri, e colpire civili aldilà del campo di vista. Queste munizioni sono tra le più usate da SWAT e dalle altre forze speciali delle polizie.
6° Veicoli d’ordinanza mimetizzati. Progettati per dissimulare, soprattutto per la televisione, questi veicoli delle forze di sicurezza mimetizzati spesso come ambulanze, possono dispiegare una formidabile quantità di armamenti e sono stati usati per dare una prova di forza in paesi come la Turchia, o per spruzzare sostanze chimiche o tinture sui manifestanti, come hanno fatto le forze di sicurezza in Indonesia.
LE ARMI PER IL CONTROLLO DI MASSA
Queste tecnologie di repressione stanno diventando più sofisticate, e più potenti, e più diffuse in stati come la Cina e il Guatemala.
Molti di queste armi sono considerati dai produttori come “inoffensive”. Esse sono usate sia contro le rivolte che per il controllo di massa (eufemismo per parlare di proteste e di opposizione politica).
Quando si parla di “non letalità” di queste armi, pensiamo ai proiettili di plastica che sono stati frequentemente casi di cecità, oltre che di serie ferite mortali sia dei manifestanti che dei passanti. Tutti i proiettili di plastica comunemente disponibili e usati in Europa vanno molto al di fuori dei parametri di danno da armamenti ad energia cinetica stabiliti nel 1975 dagli scienziati militari U.S.A.
Negli U.S.A. il pepper gas è diventato un attrezzo di routine per la polizia dal 1987 anno di adozione da parte dell’FBI. Un rapporto dell’Associazione Internazionale dei capi della polizia, ha documentato 113 “morti accidentali” collegate al pepper gas in U.S.A. principalmente causate da asfissia posizionale.[10] C’è stato un grande abuso di questo mezzo: in California, membri della polizia, tenendo fermo le teste dei manifestanti, hanno aperto loro le palpebre e depositato il liquido urticante direttamente sui loro bulbi oculari. Amnesty International ha definito questo impiego contro attivisti ecologisti pacifici, “equivalente alla tortura”.[11]
GUERRA “NON LETALE”
Gli eserciti sono impazienti di imbracciare la dottrina della “guerra non letale”. Il concetto nacque negli U.S.A. nel 1990, i suoi difensori erano prevalentemente scrittori futuristi come Alvin e Heidi Toffler,[12] i quali trovarono uno spunto nei laboratori di armi nucleari di Los Alamos, Oak Ridge e Laurence Livermore. Questa dottrina trovò un campione nel Coll. Jhon Alexander, che era diventato famoso per il programma Phoenix nella guerra del Vietnam[13] (più tardi diventato un proponente della guerra psichica).[14] Il Pentagono e il Dipartimento di Giustizia chiamati a raccolta intorno alla dottrina della “guerra non letale” speravano di trovare un “proiettile magico” che potesse neutralizzare “il fattore CNN” e che in qualche modo permettesse al sistema di potere vigente senza pubblico spargimento di sangue.
Questa esigenza era sentita sia da parte della polizia dopo il pestaggio di Rodney King a Los Angeles, dall’A.T.F. e dall’FBI dopo Waco e Rubi Ridge[15] e dall’esercito che bruciava l’umiliazione subita in Somalia. Tutti cercavano una “soluzione tecnica”.
Si costituì un gruppo di lavoro integrato composto da: i Marines, l’Air Force, il Comando per le Operazioni Speciali, l’Esercito, la Marina, la Giunta dei Capi Unificati di Stato Maggiore, e i dipartimenti del Trasporto, della Giustizia e dell’Energia. Uno dei ruoli di questo gruppo di lavoro è stabilire collegamenti con governi amici. Questo gruppo ha sponsorizzato delle conferenze a Londra sul “Futuro delle armi non –letali” Nel corso della conferenza del 1997, Hildi S. Libby, direttrice del programma militare per i sistemi non letali, propugnava lo sviluppo di una vasta gamma di avanzate tecnologie destinate a “essere inserire nei programmi di armamenti esistenti”. Il suo intervento era centrato senza che nessuno se ne sorprendesse sulle munizioni che permettono di isolare una determinata zona.[16] In effetti, gli Stati Uniti rifiutano di firmare il trattato sulle mine antiuomo prima del 2006, per avere il tempo di sviluppare “adeguate” soluzioni alternative.
Tra i progetti presentati da Libby, si possono elencare: una mina antiuomo “non letale”, basata sulla classica mina M1*A1; una carica “non letale” di 66 mm per contenere o reprimere la folla un sistema di tiro costituito da munizioni di tipo diverso (pallottole di gomma, gas, mine invalidanti, ecc.); una mina immobilizzante antiuomo, che chiude la vittima in una rete. Tra i “miglioramenti” già sperimentati di questa mina: l’aggiunta di materiale adesivo o irritante, di elettroshock o di un effetto “lama di rasoio” che costringe le persone colpite a rimanere completamente immobili per evitare ulteriori ferite laceranti.
Le conferenze del 1997 e 1998 hanno permesso di scoprire alcune armi su cui si era fino allora mantenuto il segreto: la pistola Vortex, che emette onde d’urto verso il corpo umano, e alcune armi acustiche dagli effetti regolabili che, secondo l’esperto americano William Arkin, possono, a scelta, provocare un “lieve fastidio” oppure “emettere onde di 170 decibel capaci di ledere organi, creare cavità nel tessuto umano e causare traumi potenzialmente letali”.
La conferenza del 1998 è stata l’occasione per presentare il “concetto di difesa a strati”, concepito come una cipolla i cui strati più esterni sono i meno letali ma che, man mano ci si avvicina al centro, diventa sempre più distruttiva. Era poi proiettato un video dimostrativo in cui si vedevano alcuni soldati fare uso di armi a microonde, e al loro fianco personale medico che si prendevano cura delle vittime in coma.
Oltre alle possibili violazioni del giuramento di Ippocrate, Steven Aftergood, direttore della Federazione degli scienziati americani, sottolinea il carattere estremamente intrusivo di queste armi: “Non prendono di mira solo il corpo delle persone. Sono programmate per disorientarle o destabilizzarle a livello mentale“. Ordigni di questo tipo possono interferire con i regolatori biologici di temperatura del corpo umano; le armi a frequenza radio, per esempio, agiscono sulle connessioni nervose del corpo e del cervello; i sistemi laser provocano, a distanza, scosse elettriche “tetanizzanti” o “paralizzanti”.[17]
Diverse organizzazioni non governative si sono schierate contro le “armi non letali”, sottolineando la contraddizione in termini insita in una tale definizione. Si teme che, nel bel mezzo di un’operazione di polizia, lo stress possa spingere alcuni a non limitarsi a fare uso di opzioni invalidanti, ma a usare le opzioni più violente, a portata di interruttore con il rischio che semplici operazioni di vigilanza si trasformino in esecuzioni sommarie. Tali armi potrebbero poi essere utilizzate in contesti molto diversi da quelli previsti dai loro fabbricanti. L’enorme numero di esecuzioni quotidiane che ha caratterizzato il conflitto in Ruanda è stato in buona parte determinato dalla tecnica paralizzante utilizzata: si tagliava il tallone d’Achille delle vittime, per poi tornare e dar loro il colpo di grazia. La caligine adesiva che incolla al suolo le vittime, i prodotti chimici che stordiscono le masse e i sistemi paralizzanti che impediscono alle persone di muoversi potrebbe quindi paradossalmente rendere le zone di conflitto ancor più letali, considerato l’effetto anestetizzante che esercita sulle vittime. In Irlanda, sorta di laboratorio per la prima generazione di armi non letali, si è verificato un effetto boomerang: l’uso di queste armi ha rinfocolato ed esacerbato il conflitto.[18]
[1] Rivolta del pane è il nome tradizionalmente dato a vari movimenti di protesta. Già in epoca romana era politica delle autorità di curare tramite le frumentationes la distribuzione di grano a prezzo calmierato o addirittura gratuito. Un esempio classico di rivolta del pane è quella descritta da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi (capp. XI, XII, XIII), che si svolte nel 1628 nella Milano afflitta dalla peste. Allora, l’aumento del prezzo del grano e di conseguenza del pane aveva portato all’esasperazione le folle affamate. Le autorità pubbliche che accusavano i fornai di nascondere la farina per fare alzare il prezzo del pane, decisero l’imposizione di una legge che stabiliva un tetto massimo ai prezzi al consumo per il pane, un bene di prima necessità, per contrastarne l’aumento eccessivo. Questa legge, che lasciava scontenti i fornai costretti a produrre molto a prezzi bassi con scarsi guadagni, fu revocata per la gioia dei fornai, ma scatenò il popolo.
Tra il 2007 e il 2011, le “rivolte del pane” hanno interessato molte aree del pianeta. In particolare, media italiani hanno enfatizzato quelle del Nord Africa (Egitto, Tunisia, Algeria). Alcune rivolte sono state:
- Dicembre 2010-gennaio 2011. La rivolta in Tunisia. La protesta contro il rincaro dei generi di prima necessità nel Paese è stata la scintilla che ha accesso la rivolta. A questa si sono aggiunte le richieste di democrazia e riconoscimento dei diritti umani in un paese dominato dalle relazioni clientelari del regime autoritario di Ben Alì (presidente dal 1989 al 2011.
- Tra il 2007 e il 2011, le “rivolte del pane” hanno interessato molte aree del pianeta. In particolare, i media italiani hanno enfatizzato quelle del Nord Africa (Egitto, Tunisia, Algeria).
- Un esempio lampante di rivolta legata ad un bene di prima necessità si è verificato in Messico nel 2007. L’aumento del 400% del prezzo del mais ha fatto lievitare il prezzo delle tortillas, l’alimento-base per oltre 110 milioni di abitanti. L’impossibilità di far fronte ad un bisogno primario ha portato le folle a scendere in strada: è stata la “rivolta delle tortillas”. La problematica si è ripresentata con forza nel 2010 ed è proseguita nel 2011 quando, un ulteriore aumento del 50% del mais, ha costretto il governo del presidente Felipe Calderón a intervenire creando una sorta di mercato di futures sulla materia prima, il mais, per controllarne il prezzo. Lo scopo era di ridurre il rischio determinato dall’incertezza sulle quotazioni del mais, impegnandosi ad acquistarne una certa quantità ad un prezzo e ad una scadenza definiti al momento della sottoscrizione del contratto e stabilizzandone quindi il prezzo.
[2] http://www.esercito.difesa,it/root/chisiamo/docs_rivmil3_articolo.pdf
[3] http://www..tmcrew.org7csa/138/wwi/caq62ogs.htm
[4] Link dell’articolo http://www.pugliantagonista.it/osservbalcanibr/fut_2_mil_2.htm
[5] Link in inglese dello studio
ftp://ftp.rta.nato.int/PubFullText/RTO/TR/RTO-TR-071/TR-071-$$TOC.pdf
[6] Sarebbe da dire che una pandemia è un ottimo argomento per mettere paura alle persone. Nel 2019 ci furono rivolte di ampie proporzioni (con cortei di decine di migliaia di persone, in alcuni casi di oltre un milione) con scontri con la polizia, o addirittura le forze armate in diverse città del mondo come a Hong Kong, Barcellona, Beirut, Parigi, il Cairo, Santiago del Cile. I motivi di queste mobilitazioni sono stati i più svariati: da quelli sociali come il carovita la disoccupazione o economici come la pressione fiscale ci sono stati obiettivi politici come le riforme o che attaccano la stessa configurazione territoriale dello Stato (come in Catalogna). Una delle caratteristiche è che per la maggior parte di questi movimenti non sono organizzati e talvolta non sono stati neppure riconoscibili dei leader della protesta sono stati tutti (o quasi) movimenti ideologicamente compositi. È da notare la sostanziale assenza in questi movimenti dei sindacati concertativi che si muovono sul terreno della collaborazione di classe. I partecipanti a questi movimenti oltre a lavoratori sono ceti medi e giovani (in particolari studenti). Le politiche neoliberiste attuate dai vari governi determinate dalla crisi economica del capitalismo hanno creato dappertutto, oltre a colpire i proletari, hanno causato una crescente pauperizzazione dei ceti medi e offre prospettive disperanti soprattutto occupazionale ai giovani. La povertà cresce nelle metropoli imperialiste. Solo in Italia si parla tranquillamente di altri 19 milioni di nuovi , poveri (circa il 16/17% della popolazione). L’esplosione della pandemia e del relativo lockdown ha fermato lo scontro, proprio per l’impossibilità di riunirsi e manifestare.
[7] Un esempio di criminalizzazione degli “agitatori” è l’articolo del Corriere della sera del 21 settembre 2008 che può trovare nel Link http://archiviostorico.corriere.it/2008/settembre2/Dai_rom_alle_case_occupate_co_7_080921056.shtml dal titolo emblematico Dai rom alle case occupate. Il presenzialista no global. Fabio Zerbini uno dei leader delle mobilitazioni anti-razziste. Da via Adda fino al corteo di ieri. La caratteristica di quest’articolo sta:
1) La personalizzazione. Il singolo individuo diventa il centro dell’argomento e non la problematica, in questo caso il razzismo fa semplicemente da sottofondo.
2) Le mobilitazioni e le varie forme di protesta ci sono non perché esiste il problema ma perché esistono gli
“agitatori”.
3) Le menzogne e la disinformazione. Fabio Zerbini non ha mai fatto parte dei No Global.
[8] Per trovare tale rapporto sul web vedere http://JYA.com/STOA-atpc.htm oppure come ziped file http://jya.com/STOA.atpc.zip
[9] È prodotto dalla società israeliana Tadilan Electronic Sistems.
[10] s (VT) Feb. 22, 1998, p. 1
[11] Amnesty international, AI-USA: Police Use of Pepper Spray is Tantamount to torture, 0711.1997.
[12] A. Toffer e H. Toffler, War and Anti-War. Survival at the Dawn oft e 21 st Century (Londra, Lttle Brrown & Morris, 1994).
[13] Programma della CIA che aveva lo scopo di individuare ed eliminare gli attivisti vietcong nei villaggi. Si calcola che almeno 60.000 persone furono assassinate in conformità a questo programma.
[14] John Alexander, scrivendo su Military Review (n. 12, dicembre 1980), la rivista specializzata scrisse: “esistono sistemi di armi il cui funzionamento si basa sui poteri mentali, e cui caratteristiche letali sono già state sperimentate”. L’articolo molto lungo si intitolava: The New Mental Battlefield (La nuova strategia mentale).