GOVERNARE CON LA PAURA?
Il progetto P2 si proponeva il controllo degli organigrammi essenziali dei vertici degli apparati dello Stato e dell’informazione attraverso televisioni, quotidiani e periodici, della politica (comprando i vertici o costruendone nuovi se necessario): questo con l’obiettivo di eliminare le garanzie e di diritti che i lavoratori si erano conquistati con dure lotte.
A fronte della crisi generale in atto e dei relativi processi di decomposizione tutto questo non è più sufficiente, anzi è inadeguato. Come non sono sufficienti le strategie repressive tradizionali (gendarmerie europee, strategie geopolitiche militari, ecc.).
Si è messa in atto una strategia sotterranea, non visibile, molto sottile. Uno degli strumenti di questa strategia è quello della disinformazione, dove si miscela false informazioni mescolate, magari, a quelle vere.
Ma uno degli aspetti essenziali di questa strategia è quella di rendere il controllo pressoché sistematico. Le democrazie borghesi per quanto siano miglior involucro per il capitalismo per via della mistificazione della “volontà popolare”, presenta sempre il pericolo (per il capitale ovviamente) della possibilità di un un’autentica volontà popolare che risulterebbe difficilmente gestibile e il controllo dell’informazione e delle opinioni “collettive” non sarebbero sufficiente.
Occorre perciò una diffusa e sistematica capacità sugli individui, mediato anche dalle pubbliche autorità, usando la medesima trama di interventi per la “tutela sociale”, ma invertendone la funzione: allo Stato “sociale” (da mettere sociale tra virgolette, perché sotto il capitalismo non può esserci autentica socialità), che era un sottoprodotto della lotta di classe tendente a rovesciare il sistema, che con la sua ramificazione, tutelava bene o male le masse popolari (bisogna dire che se si parla dell’Italia, sotto il regime DC, si dovrebbe parlare di stato assistenziale e clientelare), emerge una sua caricatura che ha funzioni di puro controllo della popolazione in particolare di quella che una volta venivano definite “le classi pericolose”, oppure dei soggetti “deviati”.
Possiamo prendere come un esempio magistrale, di quello che sto affermando, quella rete che intreccia tra di loro, magistratura, servizi socio-sanitari e psichiatria. Questa rete alleva e forma un esercito di psicologi, educatori e laureandi di discipline medico-sociali. Che aiuta la formazione di imperi economici privati grazie alla formazione di un vero e proprio intreccio di attività, interventi e presenze.
Possiamo prendere come un esempio di questi intrecci, il fatto che dal 1995 direttore scientifico della Comunità Saman il prof. Luigi Cancrini, ben noto psichiatra nonché presidente del Centro Studi di Terapia e Relazione. Proveniente dal PCI è stato deputato del PdCI. Saman è una realtà dove ha operato sia Rostagno prima di essere assassinato, ma anche un avventuriero come Francesco Cardella, grande amico di Craxi, che costruì un impero economico, possiamo prendere come esempio la Holding Saman e altre attività economiche controllate da lui. Bisogna pensare che il fisco nel 1996 ha fatto su Cardella una relazione di duecento pagine.[1] Guardando alle sue attività economiche ci si trova una sfilza di sigle, da Saman International a Saman Italia, da Saman France (amministrato da Giorgio Pietrostefani).
Per far passare questo tipo di passaggio, da una democrazia borghese a un sistema di controllo più capillare fu decisivo il controllo della magistratura, dove tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, ci fu la resa dei conti tra la vecchia massoneria tradizionale piduista e la nuova schiera di magistrati, molto “efficentisti” e magari “democratici”.
Infatti, sotto una versione di “sinistra”, la tendenza emergente della magistratura parlando di diritti e progettando istituti che avrebbero dovuto tutelarli, in realtà si è portata a un risultato che è stato tutto l’opposto rispetto ai fini dichiarati.
Una vicenda che può prendere come esempio è quella che vede a braccetto Magistratura Democratica e Psichiatria Democratica.[2] Sin dal 1997 queste due associazioni “democratiche” invocarono una legislazione sull’istituto dell’Amministratore di sostegno, un istituto che avrebbe dovuto essere a “beneficio dei bisognosi, minorati, di tutela”. Tutto questo nascondeva in realtà un’idea d’ingegnerizzazione sociale mediante un uso mirato o più diffuso di quello che in linea teorica sarebbe stato necessario.
Nel 2004 è approvata dal Parlamento la legge sull’amministratore di sostegno, nel 2008 è sancito il potere assoluto di certificazione sulle “patologie” ai medici psichiatri. Non è un caso che l’inizio del XXI secolo ha visto l’attuazione della strategia della distruzione di molti individui mediante la scienza asservita. Nel 2012 il DSM, espande in sostanza il vaglio di criticità mentale in pratica a tutti gli aspetti del comportamento umano e alla sfera di condotte e reazioni che se non sono patologiche sono fisiologici (come dire l’identità umana, è in mano allo psichiatra di turno che ha un vaglio di discrezionalità tale, che neanche i parroci nel medioevo avrebbero potuto pensare).
Se facciamo una breve storia dell’evoluzione del DSM, si noterebbe che è una costante che a ogni revisione del Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) c’è un aumento costante di quelli sono chiamati “disturbi mentali”.
Nel 1952 l’associazione psichiatrica americana (APA) pubblicò il suo primo manuale Diagnostico dei disturbi mentali(DSM), che conteneva una lista di 112 tipi di disturbi. Nel 1968 il DSMII si conformò alla sezione dei disturbi mentali contenuti nella pubblicazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: la classificazione internazionale dei disturbi (ICD) che consisteva di 163 disturbi. Gli psichiatri americani sono stati coinvolti direttamente con i comitati che hanno stilato l’ICD.
Nel 1980 fu pubblicata la terza edizione del DSM, al quale furono aggiunti 61 tipi di disturbi, raggiungendo un totale di 224 disturbi mentali.
Erano avvenuti alcuni interessanti sviluppi. Nella sezione “infanzia, fanciullezza e adolescenza” furono aggiunti 32 nuovi tipi di “disturbi mentali”, tra i quali: disturbo della condotta, disturbo da deficit dell’attenzione, disturbo della lettura, il disturbo del calcolo e il disturbo del linguaggio.
Nel 1987, nel DSMIIIR, il numero dei disturbi mentali aumentò arrivando a 253. In questa edizione si richiedeva che ci fossero almeno quattro delle caratteristiche indicate per fare una diagnosi di schizofrenia, e una selezione approvata delle quattro poteva essere: pensiero magico, telepatia o sesto senso; contatto sociale limitato; e ipersensibilità alle critiche.
Nel 1994 il DSMIV elencava un totale di 374 disturbi mentali e per quanto riguarda le caratteristiche richieste per una diagnosi di schizofrenia, furono ridotti a due, incluse per esempio, le allucinazioni e i sintomi “negativi” quali l’appiattimento negativo o il linguaggio disorganizzato o incoerente – oppure solo una caratteristica, se le illusioni sono considerate strane, o se le allucinazioni in una voce che continuasse a commentare il comportamento o i pensieri della persona.
La pubblicazione nel 2013 del DSM-5,[3] ha provocato – forse ancor più delle edizioni precedenti – una valanga di polemiche. Persino i due direttori della Task Force che aveva redatto i DSM precedenti, Robert Spitzer e Allen Frances,[4] hanno attaccato pubblicamente l’impostazione del nuovo DSM.
Accenniamo qui a vari tipi di critiche – spesso tra loro contraddittorie – sollevate:
già alcuni autori (Carlat 2000; Moynihan & Cassels 2005; Whitaker 2010) avevano fatto notare il vistoso abbassamento delle soglie (come si dice prima sopra) di molte diagnosi nei DSM precedenti. Ma è soprattutto col DSM-5 che molte più persone risultano “disordinate”, termine che ha sostituito il più crudo “malate”.
Insomma, il DSM creerebbe un’epidemia artificiale di malattie mentali nella popolazione (Angell 2011a, 2011b). Lo riconosce persino Frances (2013), responsabile del DSM-IV che ammette che quest’ultimo ha favorito la super-medicalizzazione soprattutto di molti bambini attraverso la categoria di disturbo bipolare nell’infanzia e nell’adolescenza. In effetti, grazie al DSM-IV le diagnosi di disturbo bipolare tra bambini e adolescenti sono aumentate di quaranta volte! Mentre gli adulti con disordine bipolare sono solo raddoppiati.
Negli ultimi 50 anni le persone diagnosticate come psicotiche sono quintuplicate nelle società iper-industriali. Le diagnosi di autismo sono aumentate di venti volte. Oggi si è convinti che in molti paesi (Italia compresa) ci siano otto autistici ogni 10.000 bambini sotto i cinque anni. I diagnosticati con deficit di attenzione, in altre parole gli iperattivi, sono triplicati nella popolazione.
Ciò comporta, tra l’altro, un aumento straordinario dei costi per il trattamento di disordini mentali appaiono sempre più frequenti. Questa dilatazione è impressionante soprattutto negli Stati Uniti. All’inizio del 2000, il costo per la presa in carico dei malati mentali in quel paese ammontava a 148 miliardi di dollari l’anno, in altre parole le cure psichiatriche assorbivano il 2,5% del prodotto interno lordo americano.[5] Gli Stati Uniti sono, però l’avanguardia di una psichiatrizzazione massiccia della popolazione, soprattutto infantile, fenomeno che sta avvenendo in tutti i paesi capitalisti più sviluppati.
Il DSM-5, quando articola una definizione formale e precisa di che cosa intenda per “disordine mentale”, non fa appello a principi utilitaristi, ma a un’altra filosofia, rivale dell’utilitarismo, che si potrebbe chiamare funzionalismo aristotelico. Si legge nel DSM-5: “Un disordine mentale è una sindrome caratterizzata da disturbi [disturbance] clinicamente significativi nella cognizione, nella regolazione emotive o nel comportamento dell’individuo, disturbi che riflettono una disfunzione [dysfunction] nei processi psicologici, biologici o di sviluppo sottostanti al funzionamento [functioning] mentale. I disordini mentali sono di solito associati con un’afflizione [distress] significativa in attività sociali, occupazionali o in altre importanti attività. Una risposta prevedibile, o approvata culturalmente, a un comune fattore di stress o a una perdita, come la morte di una persona amata, non è un disordine mentale. Un comportamento (ad esempio, politico, religioso o sessuale) che sia socialmente deviante e conflitti che siano prima di tutto tra l’individuo e la società non sono disordini mentali, a meno che la devianza e il conflitto non risultino da una disfunzione nell’individuo, così come è stata descritta più sopra.”
Un’analisi approfondita di tutto il DSM-5 mostra presto che il vero marcatore del disordine mentale rispetto a comportamenti e vissuti non disordinati è l’afflizione (distress). Il patologico, insomma, coincide con il fatto che il soggetto stesso o chi gli è accanto patisce un’afflizione e/o un social impairment, una menomazione sociale. Potremmo mostrare che questi marcatori discendono direttamente dai presupposti dell’etica filosofica utilitarista. Anche qui l’afflizione (distress) è evocata, ma con la clausola “di solito” [usually], come a dire: “Anche se molto spesso il disordine mentale produce afflizione nel soggetto, questa non è la condizione necessaria e sufficiente perché ci sia disorder”. Questo significa che ci può essere disordine senza afflizione, mentre d’altro canto la presenza di afflizione non implica ipso facto disordine mentale. Questo contrasta col fatto che invece in molti disordini per il DSM sono proprio l’afflizione e la menomazione sociale, le condizioni necessarie anche se non sufficienti per marcare certi modi di essere come patologici.
Ciò che appare qui necessario e sufficiente di una patologia è qualcosa di disfunzionale: si suppone insomma che ci sia un funzionamento mentale sano, non disordinato, dei “processi psicologici, biologici e di sviluppo”, e che invece ci sia materiale per la psichiatria quando questi processi non funzionano più come dovrebbero. Ma la trappola è proprio nel termine “funzionale” e “disfunzionale”, spie di una visione antropologica che oggi nemmeno gli estensori del DSM-5 possono accettare più.
Possiamo dire che un’auto non funziona più bene – “è rotta” – quando non svolge le funzioni per cui è stata costruita. Ma possiamo dire che un’auto non funziona più proprio perché è una macchina, ovvero è un utensile fatto per svolgere certe funzioni, per servire agli esseri umani. Il concetto di funzionamento è inscindibile da quello di servire a, in altre parole qualcosa funziona bene quando serve a fare la cosa per cui è stata costruita. Possiamo anche dire che un impiegato alle poste, ad esempio, “funziona” perché svolge bene il suo lavoro postale per cui è stato assunto; è una macchina umana, se vogliamo, ma pur macchina è. Ora, se cerchiamo di montare un cavallo e questo, non essendo stato domato, scalcia e ci manda gambe all’aria, possiamo dire che “quel cavallo non funziona bene”? Un’espressione del genere ci sorprenderebbe, perché nessuno pensa che i cavalli esistano per essere cavalcati dagli esseri umani. Se un cavallo non si lascia cavalcare, si comporta da cavallo come si deve; non possiamo dire “quel cavallo è pazzo”.
Ora, dire che un assassino sadico soffre di un disordine mentale perché alcuni suoi processi mentali o biologici non funzionerebbero significa dare per scontato che i nostri processi mentali e biologici sono sani solo quando ci comportiamo con gli altri in modo non sadico. Ma si tratta di un presupposto arbitrario, tutto da dimostrare. Chi e con quali argomentazioni ha mai dimostrato che se uno è buono “funziona bene” mentre se uno è cattivo, e gode nel far soffrire gli altri, “funziona male”? Affermazioni del genere danno per scontato che gli esseri umani siano stati ‘costruiti’ come macchine in vista di uno scopo, di un dover servire a qualche cosa – un presupposto ammesso da certe visioni religiose o metafisiche, ma non certo da una visione naturalistica e materialista dialettica come vorrebbe essere quella del DSM. Per questa, le cose che esistono – quindi anche gli esseri umani – esistono perché esistono, non esistono per svolgere una funzione predeterminata.
Certo la maggior parte di noi non è funzionale a molte cose. Ma la filosofia naturale di oggi esclude che Homo sapiens esista sulla terra per qualche scopo, per svolgere una qualche funzione.
Inoltre, il DSM-5 distingue in modo banale sofferenze “culturalmente giustificate e attese” – come il vivere un lutto severo per la scomparsa di una persona cara o per una sconfitta nella vita – da sofferenze “disordinate”. Ma quale è il criterio di questa distinzione? Fino a che punto la sofferenza per una perdita o una sconfitta è normale e da quale momento diventa patologica? Si dirà: “una cosa è essere depressi per un lutto, altra cosa è essere depressi senza una chiara ragione comprensibile”. Certo ci sono più modi depressivi diversi, ma cosa ci autorizza a dire che il lutto è “ordinato” mentre altre forme di depressione sono “disordinate”? Se si dice che il depresso che si suicida soffre di una disfunzione, si dà dogmaticamente come evidente il fatto che un essere umano “funziona bene” quando non è depresso. Il che implica un assioma antinaturalistico, come abbiamo visto.
L’idea della malattia come disfunzione presuppone tutta un’antropologia metafisica che dà per implicito il fatto che l’essere umano vada pensato come una macchina volta a uno scopo. E questo funzionamento può essere stato stabilito solo da un dio, o da una Natura deificata. Anche se il DSM-5 non parla di Dio e nemmeno di Natura con la N maiuscola, la sua definizione di disordine presuppone entrambe le istanze come condizioni fondamentali del “disordine mentale”. Si è disordinati nella misura in cui non si funziona più secondo una norma implicita di vita “normale”.
Qui il DSM-5 cerca di distinguere “un comportamento (ad esempio, politico, religioso o sessuale) che sia socialmente deviante” ma non patologico da una parte, da un comportamento socialmente deviante e patologico dall’altra. Ovvero, ad esempio, se sono omosessuale in una società dove l’omosessualità è molto riprovata e anche criminalizzata (come in molti paesi islamici), certo mi esporrò a gravi rischi e andrò incontro a “afflizioni e menomazioni” anche molto serie, ma non sono un caso psichiatrico. Se invece, sono convinto di essere un uomo che si è trasformato in donna grazie a dei miracoli divini dato che Dio mi vede come donna, questo certo mi mette in conflitto con il sistema cognitivo della mia società, che non crede a questo tipo di trasformazioni miracolose; però in questo caso sono un paziente psichiatrico. Ma appunto, quale criterio mi fa distinguere un caso dall’altro? Che cosa mi ha fatto decidere di inscrivere nel patologico il transessuale delirante e non l’omosessuale infelice? Tanto più che fino a pochi decenni fa il secondo caso era inscritto nel patologico non meno del primo nelle nostre società. La differenza è data come qualcosa che va da sé, ma non va per niente da sé, perché i principi discriminativi che fanno concludere in due modi diversi nei due casi non vengono mai enunciati. Si dice solo dogmaticamente: “L’omosessuale anche se deviante rispetto al suo contesto sociale non soffre di disfunzioni psicologiche, biologiche o di sviluppo, non è disordinato. Il transessuale delirante non solo è deviante rispetto al suo contesto sociale, ma soffre di disfunzioni psicologiche, biologiche o di sviluppo”. E in che cosa consisterebbe invece un corretto funzionamento psicologico, biologico o di sviluppo? Nel non delirare. Ci troviamo evidentemente di fronte a un argomento circolare. I concetti di “disordine” e “disfunzione” rimandano l’uno all’altro, senza che l’uno fornisca all’altro il criterio ultimo.
Ora, la “definizione” di disordine da parte del DSM-5 porta a queste impasse perché qui il DSM assume una filosofia molto antica, il funzionalismo aristotelico. In particolare, la dottrina aristotelica dell’entelechia, ripresa poi da Leibniz e da Hans Driesch (1905), la quale afferma che ogni organismo tende spontaneamente al proprio compimento, alla propria perfezione, e la salute sarebbe il raggiungimento di questo pieno sviluppo. La malattia è una lesione per cui l’organismo non funziona più come dovrebbe rispetto al proprio fine. L’organismo è concepito come una macchina nel senso originario, in altre parole come oggetto costruito per svolgere una certa funzione. L’organismo sano è la macchina che realizza adeguatamente i fini per cui è stato “costruito”, da Dio o dalla Natura.
Ma perché qui il DSM adotta questa visione funzionalista che cozza con la visione naturalista di oggi? E cozza in particolare con l’utilitarismo, per il quale, come abbiamo visto, se si può parlare di funzione nella vita umana, essa si riassume in una sola: massimizzare il piacere e minimizzare il dolore.
Rispolvera il funzionalismo per una ragione molto semplice: che la visione funzionalista è l’unica che dia senso alla nozione di malattia o di disordine. E’ l’unica cioè che permetta di dare una parvenza di coerenza all’idea di “disordine mentale”. In questo modo il DSM è costretto a giocare su due tavoli tra loro incompatibili; come se uno giocasse con uno stesso mazzo di carte contemporaneamente il poker e il bridge. Quando si tratta di descrivere specificamente un disordine – potremmo mostrarlo per quasi tutta la diagnostica DSM – questo adotta la visione utilitarista e, sullo sfondo, l’empirismo naturalistico; una visione però che non fornisce alcuna giustificazione alla differenza sano/malato. Quando invece si tratta di descrivere il disordine mentale in generale, e quindi di giustificare una psichiatria medica in generale, deve ricorrere a presupposti funzionalisti in contraddizione con l’utilitarismo naturalista. Nella misura in cui il DSM si situa in continuità con la tradizione medico-psichiatrica, usa concetti aristotelizzanti; nella misura in cui segna una discontinuità perché adotta come criterio l’individualismo utilitarista, riprende, di fatto, una visione naturalista per cui non esiste una differenza categoriale tra sano e malato.
Sarà il caso di mostrare che tutto il DSM-5, come del resto i precedenti, è incastrato in questa contraddizione tra due filosofie, tra due antropologie, che non riesce a sintetizzare né a conciliare.
Da osservare: nonostante le pretese tecniche, il DSM non è mai entrato nella storia della scienza e, la realtà, non ha mai rappresentato una scoperta scientifica per nessuno degli addetti ai lavori, tranne che per gli psichiatri stessi.
Il motivo è che la maggior parte dei disturbi che gli psichiatri definiscono mentali è sconosciuta e non esiste alcuna prova organica che ne attesti l’esistenza. In altre parole, nessuno dei disturbi elencati nel DSM è sostenuto da un qualsiasi criterio di osservazione diagnostica oggettiva!
Quindi: non vi è alcuna prova che uno dei 374 “disturbi mentali psichiatrici” esista del tutto; essi esistono perché la psichiatria dice che esistono.
Da diversi anni a questa parte, oggi in modo assiduo e martellante, la diffusione di psicofarmaci nei vari ambiti del sociale ha preso piede anche in Italia in un modo talmente rapido e veloce che nessuno ha mai avuto l’opportunità o l’inclinazione a chiedersi come mai hanno assunto un ruolo così importante nella vita quotidiana degli individui.
Gli psicofarmaci sono usati intensamente nelle scuole, nelle case di riposo, nei centri di riabilitazione dalle droghe, nelle carceri, nei centri di permanenza temporanea per immigrati/e, e molte persone ricorrono a essi anche per “aiutarsi” a controllare il peso, per i problemi in matematica e di concentrazione, per la mancanza di autostima, per l’ansia e per i piccoli o grandi dispiaceri di tutti i giorni. Insomma, gli psicofarmaci sono divenuti la panacea per le pressioni, oppressioni e stress della vita moderna.
Tuttavia, benché siano legali e sponsorizzati costantemente dai medici, psichiatri e neurologi, che li definiscono “medicine”, sono molto doversi dai farmaci usati solitamente per la cura delle malattie organiche. Essi sono dei farmaci che alterano la mente e l’umore; ciò significa che sono in grado di cambiare non solo il modo di pensare, di sentire e di agire di una persona, ma anche di alterare quello che una persona vede. Per quanto allucinante possa essere farmacologizzare la vita degli individui, riteniamo che a nessuno debba essere negata la possibilità di scegliere l’assunzione degli psicofarmaci per se stesso, ma in tale scelta bisogna comunque avere chiaro che questi non curano, reprimono solo i sintomi fornendo altresì una temporanea fuga dalla fonte dei problemi.
La maggior parte di questi può avere degli effetti collaterali talmente gravi da incidere in tutto il corpo e soprattutto sul sistema nervoso, provocando un’immediata dipendenza.
La psichiatria, con una lista di diagnosi dagli altisonanti termini scientifici, privi realmente di significato, affianca a un prontuario di farmaci psicotropi che causano numerosi effetti collaterali e sintomi d’astinenza, convince gli individui che diagnosi e droghe siano la risposta autorevole per qualsiasi problema, grande o piccolo che sia.
Insomma, ogni motivazione individuale o sociale è ridotta a un “problema” di salute mentale.
La “medicina” sperimenta accanitamente sulla vita di bambini, adulti, anziani e animali, obbedendo a ordini di controllo e di tortura inerente a un vasto progetto di morte sociale di cui la psichiatria è una delle pratiche più diffuse.
L’unica metodologia di comprensione adottata dalla psichiatria è l’utilizzo della forza e della violenza in cui la punizione è la sola terapia efficace per imporre le proprie menzogne spacciandole per verità e renderle così, assolute e incontestabili.
Molti psicanalisti e psicoterapisti, invece di un processo di classificazioni che avrebbe portato e spesso alla detenzione, all’internamento, e alla medicazione con farmaci antipsicotici che alterano la mente, hanno pensato che anche nei casi gravi di ritiro schizoide non perdevano necessariamente tempo se tentavano di ripristinare la salute mediante il difficile compito di districare le esperienze al fine di comprendere la malattia. In questa maniera la psicanalisi nella sua forma più radicale si potrebbe dire che è una critica a una società che non esercita l’empatia immaginativa nel giudizio della persona. Il Lavoro di Harry Stack Sullivan, Fromm, di Laing – tutti psichiatri e tutti ribelli contro le procedure tradizionali – ha fornito un modo di lavorare con le persone con le persone diverso dal modello psichiatrico, che sembrava incoraggiare la repressione della malattia da parte della di una società malata (e come si potrebbe definire una società divisa in classi sociali dove un pugno di persone possiede i capitali e dunque di mezzi di produzione della ricchezza?) creando un gruppo nettamente distinto portatore della malattia stessa. Tuttavia, è difficile credere, quando si ascolta la storia di una vita, che la persona considerata “schizofrenica” non stesse subendo gli effetti di essere stata resa, più o meno inconsapevolmente portatrice (tutto ciò, naturalmente, tenuto nascosto) dei mali della famiglia.
Per chi sente la propria mente andare a pezzi, l’essere messo nella situazione stressante di un esame psichiatrico, anche se lo psichiatra si afferma con gentilezza, la situazione della procedura stessa della valutazione può essere un modo efficace per far diventare qualcuno pazzo o più pazzo. Ma se fare il resoconto di esperienze considerate strane garantiva, più o meno, una nuova bollatura o un giro in un reparto psichiatrico, ci sono ancora altri motivi di indignazione per un nuovo gruppo di persone sul metodo di diagnosi dei loro sintomi. Viene imposta una sentenza doppiamente crudele agli individui che sono vittime del più orribile attacco per mezzo di esperimenti militari-scientifici, con una società che è totalmente indifferente nei loro confronti.
Tornando all’amministratore di sostegno, si deve notare un uso distorto delle nomine dell’amministratore di sostegno per fini diversi dal “sostegno”. Quello che emerge oggi in maniera eclatante concettualizzazione ed applicazione concreta di istituti finalizzati ad un controllo sociale autoritario diffuso, dove psichiatri, psicologi, educator e assistenti sociali sotto l’egida dei primi e dei magistrati di settore “sensibilizzati” plasmati attraverso informazioni e nozioni “manipolatorie”, entrano in modio deviato e deviante nelle sfere individuali, talvolta condotti per mano alla finalità della distruzione e del controllo dei soggetti colpiti.
Se si va a vedere, si riscontra che c’è un dedalo accuratamente costruito mediante il controllo di professionalità, ruoli, che ci interfaccia con le componenti della magistratura “consapevoli” (del ruolo di controllo sociale s’intende) e un uso spregiudicato degli strumenti e degli ambiti, “di tutela”.
Che si tratti di conflitti genitoriali, di minori o conflitti parentali, e di soggetti speciali o ordinari, le logiche degli interventi accuratamente teorizzati a monte, indicano un principio di sottrazione, di intervento sociale autoritario, che crea dolore, orientando scelte ingiuste con argomenti soavi e spesso sul piano meramente formale difficili da contestare.
Con la chiave di lettura dello scontro tra genitori all’interno delle famiglie, e per “tutelare” i minori, si arriva che per sottrargli al conflitto, si ingenera un fenomeno di adduzione dei minori verso case-famiglia (e il relativo business) ma anche verso pratiche e situazioni, come soluzioni “comunitarie” come quelle del Forteto dove i minori erano soggetti non solo di molestie ma anche di violenze sessuali.
In questo scenario incombono le proposte di una nuova normativa sul T.S.O. che in linea teorica avrebbe dovuto essere per malati psichici in grave stato e situazioni urgenti, da strumento eccezionale, sottoposta al meccanismo della doppia certificazione (l’ordinanza del sindaco e la verifica di legittimità della stessa) ed essere operativa per periodi di 7 giorni rinnovabili con un limite breve, diverrebbe nelle intenzioni dei proponenti uno strumento di carcerazione sulla base di una sola certificazione a monte, addirittura di un solo medico, tutto ciò costituisce presa di potere da parte dei psichiatri nell’apparato sanitario. Essi sviluppano la collaborazione con il circuito giudiziario, che nel frattempo di struttura per agevolare la “tendenza normativa”. Con queste proposte si avvierebbe in via definitiva il controllo sociale di tutti gli individui “certificati”. Qualunque obiezione formale o del tipo “vedere il caso concreto” crolla miseramente, dinanzi a un quadro storico così nitido e chiaro.
GOVERNARE CON LA PAURA
La paura e il relativo bisogno di protezione e di certezza non sono solo una delle radici della cultura ma anche uno dei fondamenti del governo politico. Il fatto che la paura sia una cosa ritenuta ineliminabile dalla condizione umana, che essa rimanga sullo sfondo di ogni aggregazione sociale, la rende un abituale strumento di governo. Cose come governare la paura è un compito essenzialmente politico, governare per mezzo della paura è una delle forme che la politica può assumere specialmente quando viene meno il consenso che sostiene il ceto politico. Freud spiega così il rapporto fra paura e governo politico: crescendo la paura l’individuo ritorna bambino e questi: “non può fare a meno della protezione contro potenze superiori sconosciute, egli presta a queste i tratti della figura paterna, si crea degli dei, che teme, che cerca di propiziarsi, e ai quali nondimeno affida la sua protezione. Il motivo del desiderio del padre coincide pertanto col bisogno di protezione contro le conseguenze della debolezza umana”.[6]
Si governa con il consenso e con la forza, ma la forza in fondo non è che la capacità di incutere, cioè un’altra via per ottenere consenso non spontaneo. Così la paura attraverso le differenze di forza, sia che passi attraverso l’immaginario collettivo, diventa uno strumento di governo. E poi quando viene meno un nemico, se ne crea un altro. La paura nata nel mondo psichico entra per diverse vie nell’ordine politico e viene usata dai diversi regimi politici, nelle situazioni di crisi, o anche, quando bisogna garantire la compattezza della classe dirigente. La paura allora diventa manipolazione, blocco dell’azione o della reazione, schermo per giustificare una decisione o un’azione.
È predominante nella sociologia e negli altri campi di analisi della società, ritenere che le relazioni sociali abbiano raggiunto una tale densità da sfuggire a ogni controllo e a ogni rappresentanza sistemica. In sostanza secondo questa tesi, per quanto la classe dominante si sforzi con l’aiuto della tecnologia di introdurre nuove tecniche di controllo sociale, quasi a generare una sorta di militarizzazione della vita collettiva, essa nella realtà diventa un’impresa impossibile per via della complessità delle relazioni sociali. Questo tipo d’impostazione, comporta da un punto di vista politico, che ci si debba limitare alla conservazione dello status quo, al massimo si possono tamponare i numerosi imprevisti che insorgono nella vita sociale. In sostanza l’immutabilità di una società divisa in classi sociali.
Ma quest’analisi salta di fronte all’evidenza dei fatti. La crisi in atto accentua e allarga la polarizzazione sociale, le masse anziché assuefarsi in una comunità totalmente alienata, pur in maniera confusa e contradditoria si muovono, in barba a tutte le teorie sull’integrazione dei lavoratori (questi “grandi” teorizzatori dimenticano – volutamente o meno ma ciò non ha importanza – il semplice fatto che in quanto forza-lavoro, sono parte integrante del rapporto capitalistico) e per questo si inventano le “de-integrazioni”.
L’INFAMIA CONTEMPORANEA
Ritengo che sia il titolo più appropriato per concludere.
Quello che abbiamo assistito nel nostro paese è stata nella sostanza una guerra civile a bassa intensità.
La cordata che faceva parte gli elementi della P2 in parte in si è riciclata e in parte è stata annullata politicamente. La P2 ha svuotato gli apparati della democrazia borghese, tramite il controllo degli apparati e dei gangli dello Stato, ed è intervenuta pesantemente su partiti, sull’informazione e la formazione degli uomini, col Progetto di Rinascita Democratica. Progetto questo che alla fine è stato fatto da tutte le forze politiche presenti in parlamento, comprese quelle di sinistra anche quella cosiddetta “radicale”, che non opporsi alle varie modifiche costituzionali in atto.
Nel frattempo, è andata avanti un’operazione, più complessa e sotterranea, coperta, portata avanti da strutture che un ex magistrato Paolo Ferraro chiama Supergladio, ma che si potrebbe definire in tanti altri nomi. Strutture che sono la parte nazionale di strutture internazionali.
Strutture che avevano come compito l’accentuarsi del controllo sociale. A esse molto probabilmente partecipano:
- Psichiatri a doppio ruolo, infiltrati nelle varie istituzioni giudiziarie, poliziesche, militari, carcerarie e sanitarie.
- Magistrati affiliati a una massoneria “illuminata” e “progressista”
- Settori della polizia, dei carabinieri (bisogna includere molto probabilmente anche guardie forestali e carcerarie).
- Membri degli apparati statali in particolare dei servizi segreti (dove ci sono molti militari).
- Settori dell’esercito.
- Professionisti o personaggi legati al mondo delle professioni e alle attività forensi o sociali.
- Uomini politici legati al progetto.
Questo progetto che non è solamente italiano, ma è internazionale.
Non è certamente un caso, il ridimensionamento dei servizi antiplagio e delle squadre antisetta del Ministero dell’Interno. Bisognava proteggere questo progetto e l’organizzazione, ed eliminare i punti di attrito istituzionali e il pericolo che il tutto fosse capito e scoperto.
Ma queste organizzazioni che nella realtà per quanto si possa venire delineando come un insieme di strutture aveva la necessità di farsi propaganda, ed avendo la necessità di rimanere segreta, ha usato per fini di omertà e contemporaneamente di casta, di una casta fortemente elitaria, ma anche per terrorizzare viene usato tra le i membri di queste élite l’esoterismo (nella versione occultista, con lo scopo non dichiarato ma esplicito di tagliare fuori le masse, non far comprendere le reali dinamiche),[7] e soprattutto il linguaggio simbolico.
Alla fine tutti gli omicidi “strani”, i “mostri” (pensiamo a quello di Firenze) e tutte le altre nefandezze (pedofilia, tossicodipendenza ecc.) sono divenute foriere di ricatto (pensiamo al caso Marazzo), paura e viltà negli stessi apparati statali, si crea il mito negativo (del serial killer, della madre “assassina”, i figli “assassini” ecc.) dove tutta una serie di situazioni, dopo la stagione stragistica, tendente a creare tensione, terrore, soprattutto negli ambiti privati (famiglia, tra moglie e marito, tra genitori e figli) proprio dove le persone vivono la quotidianità della propria esistenza.
Funzionale a questa strategia è l’uso dei media in particolare dello strumento televisivo. La televisione, come ormai è ben noto, è il canale più comunemente usato nella pratica della diffusione di modelli e tendenze ed è il più utilizzato da chi vuole controllare le masse nelle metropoli imperialiste, definite in altri termini “paese democratici”. Non si tratta, di dire che abbia il potere di decidere cosa le persone devono pensare.
I PRODOTTI DI QUEST’INFAMIA
In sostanza tutto ciò prodotto una forma di fascismo moderno che si potrebbe definire tecno-fascismo. Dove per l’organizzazione del potere e del consenso diventa centrale l’uso dei media e della televisione in particolare.
Non nel senso che è la televisione decide cosa le persone cosa le persone devono pensare. Ma essa lavora su quel fenomeno che la sociologia Tavistockiana chiama Agenda Setting, ovvero la facoltà decidere “riguardo a cosa” la massa deve pensare. E’ importante per capire di quello che si sta parlando di capire la genesi di quest’Agenda. Il 15 gennaio 1934 uno spaventoso ciclone sconvolse la provincia indiana del Bihar. Per qualche tempo, nelle regioni vicine a quella colpita, si diffusero allarmistiche che predicevano nuovi e peggiori disastri. Queste voci, circa venti anni dopo dovevano cadere sotto gli occhi di Festinger, uno dei più importanti studiosi americani, che era allora impegnato a ordinare e integrare teoricamente la grande quantità di dati che erano stati, sono allora raccolti nel campo della comunicazione dell’influenza sociale. L’esame di questi dati inerenti alle voci allarmistiche costituì la molla da cui doveva nascere e diffondersi così facilmente alla teoria della dissonanza cognitiva. Come mai, si chiese Festinger, in una situazione del genere potevano nascere e diffondersi così facilmente delle voci terrorizzanti? Non sarebbe stato più logico che tra quelle popolazioni, già in preda al terrore, nascessero invece delle voci che tendessero a ridurre la paura? La risposta di Festinger è che queste voci non erano destinate a provocare paura, bensì a giustificare quella che già la gente aveva. Esisteva cioè una discordanza tra quanto queste persone, non direttamente colpite dal terremoto, vedevano attorno a loro, e la paura che provavano e che non era giustificata da quanto vedevano. A questa discordanza tra elementi cognitivi (intendendo per elemento cognitivo ogni conoscenza, opinione o credenza che un individuo o un gruppo ha su se stesso o sul mondo che lo circonda) venne dato il nome di dissonanza cognitiva. Secondo la teoria che nacque allora esiste in ogni persona, in presenza di una dissonanza, una pressione tendente a ridurla, tanto maggiore quanto è più forte è la dissonanza. La riduzione può ottenersi (ed è il caso delle popolazioni indiane) aggiungendo nuovi elementi consonanti (le voci di prossime sciagure); potrebbe però aversi, ha seconda delle circostanze anche cambiando glie elementi dissonanti o diminuendone l’importanza. La portata della teoria così abbozzata è indubbiamente molto ampia, e abbraccia gran dei problemi della psicologia sociale, particolarmente nel campo delle comunicazioni. Dai processi decisionali e dalle conseguenze delle decisioni all’induzione forzata di un comportamento esteriore in contrasto con le opinioni private dell’individuo, ai problemi della comunicazione e di diffusione delle informazioni, al comportamento dei gruppi, ai fenomeni di massa, Festinger analizza in un quadro unitario, in conformità a numerose ricerche sperimentali, il potere predittivo e interpretativo della teoria. Dunque, progetto Tavistock e Agenda Setting potendo decidere gli argomenti su cui le persone ragioneranno, si scambieranno pareri, si formeranno opinioni, chi controlla la TV è in gradi di creare una realtà parziale ed omettere da questa ciò che non vuole si conosca.
È dunque l’omissione, il vero potere, l’omissione di tutti quegli argomenti, quei valori, quei modelli, quelle sensazioni, quegli atteggiamenti, quei comportamenti che siano ostili al leader e al regime.
Infatti, se si nota il comportamento di molti giornalisti televisivi o dei conduttori di programmi d’intrattenimento, il loro atteggiamento non si limita a fare domande, ma quello di evitare di approfondire argomenti importanti, e spesso prendere le difese delle personalità che sono contestate.
Oppure c’è l’omissione della realtà inserendo fatti concreti in minestroni fatti da magia, esoterismo, numerologia ecc.
In sostanza la “verità” consiste in un consenso preconfezionato che è stato deciso aprioristicamente, a tavolino e chiunque non si adatta viene bollato come estremista, catastrofista e cose del genere.
La gestione del potere e del consenso comporta anche il processo d’inclusione-esclusione. Non è un caso che attualmente mobbing e stalking sono diventati un fenomeno di massa. Fenomeno favorito dall’utilizzo della tecnologia elettronica (e dall’utilizzo delle onde telepatiche) che ha portato nei fatti anche se non giuridicamente l’affermarsi nella società di un nazismo genetico fatto di controllo e sperimentazione sulle persone sensibili. In sostanza una psichiatrizzazione di massa che comporta lì innesto di meccanismi elettronici a persone sensibili. E da un punto di vista culturale la perdita di valore e dignità delle donne, dove nessuno contesta più se il lavoratore sia solo merce (un’ideologia fascista che giustifica il licenziamento) è perciò giustifica e legittimizza il mobbing di massa nei luoghi di lavoro e in quelli sociali.
Una realtà, dove alla base stanno multinazionali farmaceutiche e delle protesi uditive ed acustiche, che si serve di centri di ricerca universitari e militari (neurologia, psichiatria, neurofisiologia e, cibernetica) strettamente connessi tra di loro (scienza asservita = guerra), di parlamentari (magari connessi a servizi segreti o a polizie speciali), dei servizi segreti (e attraverso i servizi carcerari utilizzano molti detenuti nel loro sporco lavoro), delle organizzazioni mafiose (e il carcere è uno dei luoghi dove collaborano con i servizi), di organizzazioni terroristiche per creare i capri espiatori, di intellettuali ecc.
[1] http://archiviostorico.coriere.it/1996/luglio/25/Cardella_spunta_impero
[2] Costituzione di una Commissione nazionale di studio in materia di funzioni del Giudice Tutelare e dell’Amministratore di Sostegno.
Psichiatria Democratica e Magistratura Democratica hanno costituito una Commissione di Studio perché il Paese si doti di uno strumento di legge (Amministratore di sostegno) che serva a sostenere adeguatamente le persone in difficoltà, soprattutto oggi che progressivamente si vanno svuotando gli Ospedali Psichiatrici. L’obiettivo che ci si prefigge è quello da un lato di limitare ai soli casi estremi il ricorso agli istituti dell’inabilitazione e dell’interdizione e dall’altro a far sì che l’attenzione si sposti dalla “roba” alla quotidianità della persona. Responsabili della Commissione sono stati designati i dottori E. LUPO e L. ATTENASIO per P.D. e il dottor AMATO per M.D.
Roma 1997
Comunicato Stampa
PSICHIATRIA DEMOCRATICA MAGISTRATURA DEMOCRATICA
In relazione al Progetto di Legge relativo alla costituzione dell’ Amministratore di sostegno per i cittadini in difficoltà anche temporanea a causa di menomazioni o malattie o a causa dell’età, presentato dal governo lo scorso luglio, Psichiatria Democratica, attraverso i rispettivi Segretari nazionali dott. Emilio LUPO e Vittorio BORRACCETTI, richiamano l’attenzione del Governo e del Parlamento tutto, acchè sia promossa sul tema una ampia e rapida consultazione di quelle realtà nazionali impegnate a fianco dei meno garantiti.
P.D. ed M.D. auspicano che in tempi brevi il Paese si doti di uno strumento che garantisca diritto di cittadinanza e dignità di vita a quei a quei cittadini cui oggi è concessa la sola interdizione.
LUPO e BORRACCETTI si dicono, infatti, preoccupati dal fatto che, in assenza di disposizioni più adeguate e rispondenti alle necessità del singolo in difficoltà, possa concretizzarsi il pericolo che in talune realtà, nel corso del processo di chiusura dei manicomi si promuovano interdizioni di massa.
Settembre 1997
Invito al Governo ed al Parlamento perché riprenda e concluda la discussone sui progetti di legge psichiatria Democratica e Magistratura Democratica invitano il Governo ed il Parlamento a voler adoperarsi perché la Commissione giustizia della Camera dei Deputati riavvii la discussione ed il confronto – in Commissione Giustizia – sul testo unificato dei progetti di legge nn. 960 e 4040, relativamente alle “Disposizioni in materia di funzioni del Giudice tutelare e dell’Amministratore di sostegno”. Le due Associazioni che nei mesi scorsi hanno trovato nell’Onorevole Giuliano PISAPIA (allora presidente della Commissione) un attento e sensibile interlocutore, oggi rinnovano l’invito a tutti che hanno a cuore lo sviluppo di pratiche dei diritti, perché il testo della Commissione – con le opportune modifiche ed integrazioni – costituisca l’utile base di una discussione rapida e definitiva.
Napoli, Gennaio 1999
[3] Edito dall’American Psychiatric Association, Washington DC, London. Tr.it. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Raffaello Cortina, Milano, 2014
[4] Spitzer (2011), Frances (2010; 2010-13; 2012b; 2013), Spitzer & Frances (2011).
[5] OMS 2003, p. 3.
[6] Freud, Il disagio della civiltà.
[7] Quello che fu definito Bunga Bunga potrebbe essere stato un rito di magia sessuale praticato in molti ambienti altolocati. Afferma a proposito Magaldi: “Infatti, a differenza della P2, che trascurava molto l’aspetto “rituale”, al Fratello Silvio l’Esoterismo e le cerimonie occulte piacciono molto…specie quelle di magia sessuale… Specie quelle che coinvolgano in un “sol colpo” alcuni presunti Illuminati Massoni e alcune fanciulle scelte all’uopo per la loro potenzialità erotico-iniziatica “sottile” (Julius Evola docet) e non per un’adeguata qualificazione spirituale. Questo, almeno, accadeva prima che il Fratello Silvio perdesse la bussola della propria Via contro-iniziatica e iniziasse a praticare il Bunga-Bunga de noantri… Ma le/i testimoni di quei riti più raffinati restano: spetta solo alla libera informazione italica (se c’è) di convincerle/i a “vuotare il sacco”. Di lì, da quei riti di magia sessuale che, al contrario del Bunga-Bunga (in cui il Grande Satiro è pressoché l’unico Fruitore), vedevano coinvolti molteplici importanti (e qualificati) personaggi dell’entourage berlusconiano, non sarà difficile risalire ad alcuni importanti componenti della “Loggia del Drago”, tra le cui attività non è mai mancata la possessione rituali di “Vergini”, intese in senso “iniziatico”, come con rara precisione e raffinatezza ebbe a dichiarare la steineriana Veronica Lario”. http://www.grandeoriente-democratico.com/il_massone_fascista_Licio_Gelli_l_Anello_della_Repubblica_e_la_perdurante_ignoranza_degli_italiani_sulla_Massoneria.html