RUSSIA E USA TENTANO DI LEGITTIMARE LE ARMI LETALI AUTONOME (I “KILLER ROBOT”)?
La Russia e gli Stati Uniti stanno conducendo una battaglia contro il Trattato internazionale riguardante le armi letali autonome (LAWS), i cosiddetti “killer robots”.[1]
La maggior parte degli Stati che partecipano ai colloqui diplomatici sui sistemi letali di armi autonome hanno infatti espresso il proprio forte desiderio di negoziare un nuovo Trattato per rispondere alle crescenti preoccupazioni su questa tipologia di armi. Alla riunione di Ginevra della Convenzione sulle armi convenzionali (CCW) che si è svolta in Giordania hanno partecipato 29 stati che esortano a vietare i robot killer, al fine di mantenere il controllo umano sull’uso letale della forza. Gli Stati appartenenti alla CCW[2] hanno discusso delle preoccupazioni sollevate dai “Killer Robots” già in otto incontri alle Nazioni Unite a Ginevra a partire dal 2014.
Alla riunione i diplomatici degli Stati hanno discusso fino alle ore notturne senza però riuscire a concordare un documento finale significativo, il che si traduce in semplici scambi di parole e nessuna azione normativa concreta. Nella sessione appena conclusa la CCW si è allontanata ancora di più da uno strumento giuridicamente vincolante o da qualsiasi risultato credibile per il proprio lavoro.
Russia e Stati USA hanno ripetutamente respinto qualsiasi riferimento nel rapporto finale della riunione sulla necessità di un “controllo umano” sull’uso della forza. Entrambi i Paesi stanno investendo fondi significativi per sviluppare sistemi di armi con un controllo umano decrescente sulle funzioni critiche di selezione e coinvolgimento degli obiettivi. Cioè con un controllo umano decrescente sulle
decisioni di vita o di morte.
Durante la negoziazione del rapporto finale la Russia ha affermato che è “prematuro” discutere i potenziali pericoli dei sistemi di armi autonome letali “fino a quando non vengano prodotti”. Ha anche sostenuto che l’autonomia non è una caratteristica o un aspetto centrale delle LAWS.
Le molte preoccupazioni di natura morale, etica, legale, operativa, tecnica, di proliferazione, di stabilità internazionale sollevate dai “Killer Robots” si stanno moltiplicando anziché diminuire e al di fuori delle stanze delle Nazioni Unite continua a crescere il sostegno ad un percorso che ha come obiettivo un Trattato di divieto. Il 9 luglio, l’assemblea parlamentare dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) ha adottato una dichiarazione che sollecita i 57 Stati membri dell’OSCE a “sostenere i negoziati internazionali per vietare armi autonome letali”. Migliaia di scout hanno partecipato al 24° World Scout Jamboree in West Virginia il mese scorso, visitando una mostra della Campagna Stop Killer Robots e ponendosi domande determinate da sincera preoccupazione.
L’ONG olandese PAX ha pubblicato un sondaggio su 50 aziende tecnologiche in 12 Paesi che analizza le attività e politiche attuali in relazione al potenziale sviluppo di sistemi di armi autonome letali. Il Rapporto rileva come Google sia all’avanguardia in questo senso poiché si è impegnata a non “progettare o distribuire” Intelligenza Artificiale utilizzabile per la realizzazione di armi e sta mettendo in atto adeguate garanzie. Un numero crescente di lavoratori impegnati in campi tecnologici si rifiuta di lavorare su progetti che potrebbero aprire la strada a una “guerra autonoma” e in tal senso si uniscono a oltre 4.500 esperti di intelligenza artificiale che hanno richiesto un nuovo Trattato per vietare letali sistemi di armi autonome in varie lettere aperte a partire dal 2015.
La Campagna internazionale “Stop Killer Robots” (di cui in Italia fanno parte Rete Italiana per il Disarmo e USPID) è quasi raddoppiata nell’ultimo anno, raggiungendo ad oggi un totale di 113 organizzazioni non governative in 57 diversi Paesi. Il prossimo 15 novembre 2019 la riunione annuale della CCW deciderà se accettare le raccomandazioni in vista del proseguimento del proprio lavoro su questo tema. Se la CCW non potrà o riuscirà a produrre un risultato credibile dovranno essere perseguiti percorsi alternativi per evitare concretamente un futuro di guerra e violenza decise e condotte da sistemi autonomi e non controllati dall’uomo.[3]
Bisogna chiarirsi su cosa si deve intendere per robot.
Con il termine “robot” si indica innanzitutto un sistema automatico in grado di sostituire l’uomo nell’esecuzione di operazioni complesse, basate sull’interazione sensoriale e cinetica con l’ambiente- L’ultima precisazione è necessaria, per distinguerlo dal computer da tavolo.
Essendo la robotica militare un fenomeno relativamente nuovo, non esiste ancora una terminologia convenzionalmente accettata. Per tale ragione, quella che è la prassi preliminare in ogni lavoro scientifico, ovvero fare chiarezza su termini e concetti, è un’esigenza che assume ancora maggiore significato in questo contesto. Negli ambienti militari e politici degli USA – uno dei paesi più impegnati sul fronte dello sviluppo e dell’uso di questi prodotti tecnologici – è stato introdotto il termine-concetto “unmanned system”, per indicare sistemi d’arma che non richiedono la presenza in essi di esseri umani. Tali sistemi sono guidati (teleguidati, radioguidati) a distanza da esseri umani, oppure – nei progetti più evoluti – sono dotati di una più o meno ampia autonomia decisionale e d’azione. Non è affatto facile tradurre in italiano le locuzioni “manned system” e “unmanned system”, mantenendo la sinteticità e la brevità che consente la lingua inglese. Gli equivalenti più precisi sono forse, rispettivamente, “sistema con operatore umano” e “sistema senza operatore umano”. Inoltre, gli stessi giornalisti di lingua inglese nei loro reportage preferiscono utilizzare altri termini più evocativi, come “war robot” o “armed robot” o “combat robot” o “robot soldier” (robot da guerra, robot armato, robot da combattimento, soldato robotico), anche se a ben vedere utilizzano queste espressioni solo in relazione agli “unmanned systems” più evoluti e perciò controversi, ovvero di qualche interesse giornalistico.
Nella nostra ricerca, ci risolviamo di adottare l’espressione “sistemi d’arma robotici” (SAR) come termine tecnico generico, per rendere il concetto di “unmanned sytem” per usi bellici. Considereremo inoltre le espressioni “armi robotizzate” o “armi robotiche” come un equivalente letterario di SAR, mentre parleremo di “soldato robotico” soltanto in presenza di un sistema d’arma particolarmente evoluto, dotato di una certa autonomia decisionale, e destinato al combattimento vero e proprio.
I SAR si dividono in tre grandi famiglie, a seconda dell’ambiente in cui operano: l’aria, la terra, l’acqua. Abbiamo dunque SAR attrezzati per la guerra aerea (UAS – Unmanned Aircraft System), per la guerra terrestre (UGV – Unmanned Ground Vehicle) e per la guerra navale. Questi ultimi si dividono a loro volta in due categorie: di superficie (USV – Unmanned Surface Vehicle) e sottomarini (UUV – Unmanned Undersea Vehicle). I “robot volanti” sono stati ribattezzati dalla stampa “droni”. La scelta è da ricondurre alla forma di questi velivoli.
Del proliferare di
queste armi robotizzate si è accorta anche la stampa, come attesta un resoconto
recentemente apparso su un quotidiano italiano.[4] P.
Feletig, Robot per mare, per cielo e per terra ormai in guerra si va senza
uomini, la Repubblica, 01 febbraio 2010. : “Un
colpo, un bersaglio raggiunto, zero militari impegnati. È l’evoluzione nei
sistemi di difesa ai quali le guerre in corso danno una forte accelerazione.
Ricognizione, attacco, trasporto, ricerca e salvataggio, sono compiti
attribuiti sempre più spesso a robot che aprono la strada a scenari di
belligeranza automatizzata prefigurati nei film di fantascienza. Chiamati
genericamente Unmanned Systems, questi armamenti che funzionano senza guida
umana, si sono imposti dapprima nell’aviazione e ora sono arrivati ai
motoscafi, agli elicotteri, agli automezzi”. L’autrice dell’articolo,
Patrizia Feletig, riferisce che il primo esemplare di “drone” è stato
utilizzato da Israele durante la guerra del Yom Kippur e che sessant’anni di
belligeranza continua e un’industria hitech di punta hanno favorito il primato
israeliano nello sviluppo della generazione di armamenti senza equipaggio, “superando la grintosa industria militare
statunitense e la patria della robotica, il Giappone”.[5] Così
continua l’articolo: “Nella prima guerra
del Golfo, nel 1991, l’Air Force aveva un centinaio di droni: oggi ne volano
7mila e si sfornano sempre nuovi modelli per stare dietro a una domanda che
tira come poche. Questa corsa contro il tempo è all’origine dell’alto numero di
incidenti: 100 volte la frequenza di quelli nell’aviazione con piloti secondo
uno studio del Congresso. Il 2009 è l’anno spartiacque: l’aviazione statunitense
ha addestrato più piloti che stanno davanti a uno schermo con un joystick che
quelli che siedono nel cockpit impugnando la cloche. Meno vittime, meno costi
di formazione ma sicuramente maggiore frustrazione tra gli aspiranti top gun”
. A voler essere precisi, bisognerebbe ricordare che aerei telecomandati erano
già stati utilizzati dagli americani negli anni Quaranta, durante i test sugli
effetti delle prime bombe atomiche. Con ciò non si vuole certo disconoscere il
notevole impegno tecnologico di Israele nel campo. Secondo il quotidiano sono circa quaranta i
paesi che sviluppano tecnologie UAV. Per quanto riguarda il contributo
italiano, viene menzionato lo sforzo dell’Alenia Aeronautica, proprietaria dei
brevetti di SkyX e SkyY, nonché partecipante al programma nEUROn per la
costruzione di un velivolo da combattimento europeo senza pilota e al progetto
di ricerca Molynx, volto a sviluppare un bimotore robotico da alta quota con
autonomia fino a 30 ore. “La rivoluzione
dei veicoli senza conducente, di superficie o aerei – continua l’articolo – ha
come primo fine naturalmente quello di diminuire il rischio per i soldati. Ma
ha anche quello di contribuire, un po’ come i satelliti nello spazio, alla
complessa rete di sensori e comunicazioni virtualmente stesa sul teatro delle
operazioni. Si aggiungono considerazioni economiche: l’abbattimento di un
drone, che vola in qualsiasi condizioni meteo, equivale a mandare in fumo di 45
milioni di dollari, per un caccia sono 143 milioni, oltre naturalmente alle perdite
umane. Nelle forze armate Usa si punta entro il 2015 alla creazione di un parco
di veicoli autoguidati pari ad un terzo del totale. Stime di mercato prevedono
che il giro d’affari del settore degli Uav possa arrivare . a 5 miliardi di
euro in Europa tra il 2010 e il 2020, per raddoppiare nei 10 anni successivi e
totalizzare a livello globale 45 miliardi di euro entro il 2030”.[6]
[1] https://unita.news/2019/08/22/russia-e-stati-uniti-tentano-di-legittimare-le-armi-letali-autonome-i-killer-robots/
[2] Sarebbe la Convenzione delle Nazioni Unite su certe armi convenzionali.
[3] https://www.disarmo.org/rete/a/46764.html
[4] P. Feletig, Robot per mare, per cielo e per terra ormai in guerra si va senza uomini, la Repubblica, 01 febbraio 2010.
[5] C.s.
[6] C.s.