SHOCK E DEPROGRAMMAZIONE
La tortura è usata dai servizi segreti dei diversi paesi per soggiogare e piegare la mente dei prigionieri, prima in guerra, e in seguito come cavie umane per esperimenti di manipolazione sociale (come MK-ULTRA). Essa viene utilizzata ancora oggi in maniera lampante in prigioni come Guantanamo, o in centri di detenzione segreti sparsi per il mondo, come quelli della CIA in territori stranieri,[1] in cui vengono tuttora effettuati interrogatori duri e violenti su quelli che sono definiti “terroristi”[2] o presunti tali.
La paura, infatti, è solo uno dei tanti tasselli del processo di manipolazione sociale che le classi dominanti adottano da secoli. Si induce una crisi, o la si strumentalizza, per portare avanti delle politiche impopolari, ma che la percezione dello shock, indotto o reale che sia, legittima. In stato di paura, infatti, l’opinione pubblica si sente disorientata, smarrita, come il prigioniero vittima della tortura. La popolazione sotto la minaccia di un pericolo o dopo un forte trauma necessita una guida, in quanto “ha perso la bussola” e si sente paralizzata dal terrore a tal punto da accettare qualunque proposta o intervento che venga dall’alto.
Un’indagine condotto dopo l’11 settembre 2001, aveva rivelato che nove americani su dieci dichiaravano di soffrire di sintomi di stress.[3] Il terrore generalizzato indotto dagli attentati produsse un’opportunità per l’amministrazione Bush Jr, che ne approfittò su diversi fronti: da un lato, per legittimare la cosiddetta “guerra al terrore”, cioè di una guerra che non sarebbe stata accettata dalle masse popolari americane,[4] assicurare il consenso a un’impresa volta agli incrementi dei profitti delle multinazionali da un lato e dall’altro restringere i diritti dei cittadini statunitensi introducendo il Patriot Act.
Quello che la giornalista canadese N. Klein chiama il “capitalismo dei disastri” sfrutta i momenti di shock quali golpe, attacchi terroristi, crollo dei mercati, disastri naturali o guerre, che gettano la popolazione in uno stato di trauma collettivo, per spingere le masse ad accettare delle manovre impopolari, che in una condizione normale non tollererebbero.
Sull’onda dell’emotività di eventi tragici che coinvolgono la mente e la pancia delle masse, si possono introdurre provvedimenti che sarebbero stati immaginabili in un clima sociale sereno. Qualche volta, a questo scopo, può servire una “spinta”, una provocazione, affinchè avvenga una tragedia o si palesi una minaccia: da qui le falseflags (attentati sotto falsa bandiera) o le azioni di infiltrazione.
Nell’estate del 2002, un comitato di consulenti del Pentagono proposte: “la creazione di una squadra di un centinaio di uomini, il P2OG (Proactive Preemptive Operations Group; Gruppo di operazioni attive e preventive), con il compito di eseguire missioni segrete miranti a “stimolare reazioni” nei gruppi terroristici, spingendoli a commettere azioni violente che poi li metterebbe nelle condizioni di subire il “contrattacco” delle forze statunitensi.
Il paradosso di una simile operazione è spinto ai limiti estremi. Pare che il piano debba in qualche modo opporsi al terrorismo causandolo. (…) Un’organizzazione come questa è perfetta per creare confusione e depistaggi, quel genere di caos che si determina nel passaggio dall’infiltrazione alla provocazione. Il documento del Pentagono si spinge poi a spiegare che l’uso di questa tattica consentirebbe di considerare responsabile degli attentati terroristi provati in qui Paesi che ospitassero terroristi, a quel punto considerati dei Paesi a rischio sovranità”.[5]
Stragi, omicidi e attentati hanno però un obiettivo specifico: generare paura, consolidare il potere o, all’opposto, produrre un cambio al vertice; indurre colpi di Stato o ottenere un casus belli, per poter legittimare una guerra agli occhi dell’opinione pubblica; promuovere una svolta autoritaria o l’ennesima restrizione della libertà, che in tempi “normali” difficilmente si potrebbero proporre ai cittadini.
Come ha spiegato lo stratega USA di origine polacca Zbigniew Brzezinski – membro del CFR e cofondatore della Commissione Trilaterale, già consigliere per la Sicurezza Nazionale sotto Jimmy Carter e mentore di Obama – che l’unico modo per ottenere il consenso dell’opinione pubblica o addirittura sviluppare una mobilitazione generale e l’accettazione di gravi sacrifici, è che si palesi una grave minaccia “estrema e globale”. Soltanto la percezione di un pericolo esterno, immediato e diffuso, può compattare la popolazione e spingerla ad accettare sacrifici altrimenti impensabili.
Non è però necessario che tale minaccia sia reale o che la sua genesi – qualora effettivamente di manifesti – sia avvenuta nei termini in cui verrà divulgata alle masse. Una minaccia esterna può nascere infatti in seguito a ripetute azioni, messe deliberatamente in atto per infastidire e spingere alla reazione chi o cosa si è deciso di far diventare il nemico di turno; la reazione verrà poi strumentalizzata come casus belli di fronte all’opinione pubblica, per giustificare interventi di diversa natura, financo la guerra.
Nel 1997, ne La Grande Scacchiera Brzezinski citava infatti il caso di Pearl Harbor: prima di tale evento, la popolazione era contraria alla guerra, ma in seguito al trauma collettivo per l’attacco giapponese “la partecipazione alla seconda guerra mondiale trovò consensi”. E questo era proprio ciò che voleva l’amministrazione Roosevelt per entrare in guerra.
COSA SERVE CREARE UNO SHOCK
Nell’attuale società si instilla nell’opinione pubblica la percezione di una minaccia costante, in modo da tenere la popolazione sotto shock in maniera più sottile e permeamene, ma altrettanto efficace e ottenere un consenso su provvedimenti altrimenti impresentabili in un ordinario stato delle cose.
Nel suo Shock Economy Naomi Klein paragona il progetto di manipolazione mentale del progetto MK-ULTRA alla dottrina dello shock elaborata dal premio Nobel Milton Friedman, che sfrutta i momenti di trauma collettivo per dedicarsi a “misure radicali di ingegneria sociale ed economica”: in Capitalismo e libertà, edito nel 1962, egli aveva osservato che “soltanto una crisi – reale o percepita – produce un vero cambiamento. Quando quella crisi si verifica, le azioni intraprese dipendono dalle idee che circolano (,) finché il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile”.
I seguaci della Scuola di Chicago, secondo l’autrice, si sarebbero resi complici di colpi di Stato e di torture perpetuate nei confronti di chi si ribella a questo tipo di politiche che spesso e volentieri sono a favore delle multinazionali. Per questo motivo, la Klein afferma: “la dottrina dello shock imita alla perfezione questo processo (tortura e tecniche MK-Ultra) cercando di ottenere su vasta scala ciò che la tortura ottiene da una singola persona in una cella per interrogatori. L’esempio più chiaro è stato dallo shock dell’11 settembre che, per milioni di persone, ha “fatto esplodere il mondo a loro familiare”. E ha dato il via a un periodo di forte disorientamento e regressione, che l’amministrazione Bush ha sfruttato con estrema abilità (…) E’ così il funziona il capitalismo dei disastri: il disastro originario – il colpo di Stato, l’attacco terroristico, il crollo dei mercati, la guerra, lo tsunami, l’uragano – getta l’intera popolazione in uno stato di shock collettivo. Le bombe che cadono, le grida di terrore, venti sferzanti sono più efficaci, nel rendere malleabili intere società, di quanto la musica assordante e i pugni nella cella di tortura non indeboliscono i prigionieri. Come il prigioniero terrorizzato che rivela i nomi dei compagni e abiura la sua fede, capita che le società sotto shock si rassegnino a perdere cose, che altrimenti avrebbero protetto con le unghie e con i denti”.[6]
Friedman è stato il fondatore della scuola monetarista: la sua regola di politica economica è stata utilizzata dalla Federal Reserve (FED) negli USA e dalla Banca Centrale Europea (BCE), mentre le sue teorie hanno esercitato una forte influenza sul governo britannico di Margaret Thatcher e su quello USA di Ronald Reagan negli anni ’80. Anche Pinochet intraprese una serie di “riforme”[7] economiche di stampo liberista, che seguivano gli orientamenti e che lo stesso Friedman si premurò di raccomandare personalmente al dittatore cileno nel 1975.
La teoria di Klein secondo la quale le “riforme” liberiste sarebbero applicabili solo tramite shock violenti che pieghino la volontà delle masse popolari fino a farle accettare le cosiddette “riforme” che difficilmente in una situazione “normale” verrebbero accolte. Questa tesi ha avuto la conferma, in maniera lampante, dall’ex premier “tecnico” italiano Mario Monti quando, nel febbraio 2011, ha dichiarato che “abbiano bisogno di crisi, per fare dei passi avanti”.[8]
Paragonando le teorie neoliberiste alla tortura vera e proprie, Klein nota infine che: “dal Cile alla Cina all’Iraq, la tortura è stata un partner silenzioso, nella rivoluzione liberista globale. La tortura, però, è ben più di uno strumento utile per imporre politiche indesiderate a chi si ribella è anche una metafora della logica alla base della dottrina dello shock!”[9]
Nei manuali della CIA, infatti, si chiariva come, per piegare le menti di coloro che oppongo resistenza occorra creare rotture violente tra i prigionieri e la loro capacità di dare un senso al mondo che li circonda: in primo luogo, eliminando ogni input sensoriale (con cappucci in testa, tappi alle orecchie, manette, isolamento totale) e poi bombardandone il corpo con stimoli estremi (luci stroboscopiche, musica a tutto volume, percosse, elettroshock). Spiega la Klein: <Lo scopo di questa fase di “ammorbidimento” è di provocare una specie di uragano nella mente: i prigionieri subiscono una regressione tale, e sono così spaventati, che non riescono più né a pensare razionalmente né a proteggere i loro interessi. È in questo stato di shock che la maggior parte dei prigionieri dà a chi interroga ciò che desidera: informazioni, confessioni, abiura di convinzioni precedenti. Uno dei manuali della CIA fornisce una spiegazione particolarmente esplicita: “C’è un intervallo – che può essere estremamente breve – di animazione sospesa, una sorte di shock o di paralisi psicologica. È provocata da un’esperienza traumatica o subtraumatica che fa esplodere, per così dire, il mondo che è famigliare al soggetto, oltre all’immagine che egli ha di sé stesso entro quel mondo. Gli specialisti riconoscono questo effetto, quando si manifesta, e sanno che in quel momento la fonte è molto più aperta ai suggerimenti, molto più disposta a collaborare di quanto non fosse appena prima di subire lo shock”>.[10]
Arrivati a questo punto, il torturatore può iniziare lo psychic driving, ovvero il ricondizionamento mentale, ricostruendo da capo la psiche della vittima.
E qua è possibile fare un possibile fare un parallelo con la tortura usata per condizionare la mente, come avvenuto con il progetto MK-UKTRA.
MK-ULTRA
Sono ormai da tempo, tristemente noti gli esperimenti in questo campo condotti dalla CIA in modo segreto e illegale dalla CIA negli ’50 e ‘60’ su persone fatte rientrare nel progetto MK-ULTRA, che suscitò un autentico scandalo nell’opinione pubblica americana quando fu reso pubblico, nell’agosto del 1977, durante un’audizione speciale del Senato USA.
Il progetto fu ordinato dal direttore della CIA, il 13 aprile 1953, con lo scopo ufficiale di contrastare gli studi russi, cinesi e coreani sul “lavaggio del cervello”.
La definizione di “lavaggio del cervello”, fu coniata nel 1951 dal giornalista E. Hunt, è spesso usata come sinonimo di controllo mentale. Hunter aveva tradotto la parola cinese hsi nao, “lavare il cervello” per descrivere il processo con cui gli americani catturati durante la guerra di Corea (1950-1953) confessavano i loro crimini.
Ma com’è stato possibile che militari nordamericani – anche ufficiali di altro grado in Corea e in seguito in Vietnam, ripudiassero la causa per la quale combattevano, l’ideologia del loro paese?
Il “lavaggio del cervello” è uno dei temi che appaiono nelle riviste di psichiatria e psicologia, è stato oggetto di studi specialistici come quella di Merlo (The Rape of the Mind) e di Saragant (La Conquista della mente umana).
Il controllo mentale (mind control) avrebbe dovuto portare a chi lo praticava numerosi vantaggi, come la creazione di assassini inconsapevoli o il controllo di leader stranieri scomodi. Il progetto sarebbe stato sovvenzionato con un totale di 25 milioni di dollari e vi furono coinvolte almeno 80 istituzioni, tra cui 44 Università e 12 ospedali. In base a quello che emerse dagli oltre 22.000 documenti statunitensi declassificati e riportati alla luce nel 1977, gli esperimenti prevedevano il ricorso ad abusi fisici e psichici, radiazioni, elettroshock, ipnosi, e infine la somministrazione di sostanze psicotrope quali l’LSD, utilizzate come agenti deprogrammanti.
Stando ai documenti recuperati, le cavie degli esperimenti erano dipendenti della CIA, personale militare, agenti governativi, prostitute, pazienti con disturbi mentali, detenuti e persone comuni. Lo scopo ufficiale degli esperimenti, ispirati dalle ricerche psichiatriche condotte da Ewen Cameron, era quello di preparare gli agenti americani a un’azione di difesa a fronte del pericolo di un’aggressione da parte di agenti russi.
Fermo restando che ormai è noto che queste tecniche sono usate nelle prigioni speciali come quella di Guantanamo. Le ricerche di Cameron vennero sviluppate in segreto e continuarono finché non vennero rese pubbliche e ufficialmente sospese. Le inchieste del Senato americano fecero emergere come, oltre alle tecniche di tortura utilizzate per i prigionieri, ne fossero state elaborate altre più sofisticate, per manipolare, controllare e ricondizionare il cervello condotto alla decognizione: in una parola riscriverlo.
Già nel 1958, Ritorno al mondo nuovo, Huxley spiegava quello che si sarebbe scoperto soltanto venti anni dopo, ossia che uno shock indotto e prolungato può far ottenere “uno stato di suggestionabilità assai intensificato”,[11] sulla base del quale è possibile condizionare la psiche della vittima.
Uno dei modi per indurre la percezione di una minaccia terribile e persistente è quello di creare una minaccia esterna, un nemico pubblico a cui addossare, grazie alla giusta propaganda, il rischio di un conflitto globale o qualche disastro umanitario, che richiederà l’intervento bellico.
[1] http://www.internazionale.it/storia/attesa-per-la-pubblicazione-del-rapporto-sulle-torture-della-cia
[2] Nella realtà questa definizione viene data a chiunque si opponga all’imperialismo (in particolare a quello USA).
[3] Enrica Peruchietti, prefazione di Marcello Foa, fake news, Dalla manipolazione dell’opinione pubblica alla post-verità come il potere controlla i media e fabbrica l’informazione per ottenere il consenso, Arianna Editrice, p. 138.
[4] Klein N, Shock Economy, Rizzoli, Milano 2007.
[5] Cabras Pino, Strategie per una guerra mondiale. Dall’11 settembre al delitto Bhutto, Aisara, Cagliari 2008, pp. 40-41.
[6] Klein N, Shock Economy, Rizzoli, Milano 2007, pag. 24 e s.
[7] Metto tra virgolette la parola riforme poiché nella tradizione del movimento operaio la parole riforma si è sempre intesa come miglioramento, graduale certamente, ma sempre miglioramento. In questo caso si tratta di un deciso peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori.
[8] http://www.yotube.com/watch?v=nTHN0yitxBU Archiviato il 10 luglio 2013.
[9] Klein N, Shock Economy, Rizzoli, Milano 2007, pag. 24 e s.
[10] C.s.
[11] Huxley A., Ritorno al mondo nuovo, p. 290.