GLI OMICIDI DEL GRUPPO LUDWIG SONO STATI DELLE OPERAZIONI DI GUERRA PSICOLOGICA?
Tornare a parlare del cosiddetto Gruppo Ludwig, significa sviluppare un’ipotesi su come certi determinati fatti criminosi si sono svolti. Fatti criminosi che ufficialmente sono riconducibili a follia, non mossi a un disegno razionale, ma nella realtà parasafrando una definizione che definisco corretta che usa l’ex PM Paolo Ferraro, si potrebbe parlare di una “strategia della tensione non convenzionale”. Mentre la “strategia della tensione convenzionale”, come quella che abbiamo conosciuto in Italia negli anni 60 e ’70 c’è stato l’utilizzo di stragi e di una violenza politica esplicita, questa “non convenzionale” gli atti di violenza sono riconducibili follia oppure a moventi esoterici (pensiamo agli omicidi del cosiddetto “mostro di Firenze”). Ciò che li accomuna è l’uso costante e continua del depistaggio.
La costante è di trovare dei capri espiatori che magari (come Pacciani o Narducci nel caso del cosiddetto “mostro di Firenze”) non è escluso che potrebbero avere avuto dei ruoli in queste vicende sanguinose, ma sempre marginalmente.
I mandanti, gli ispiratori, gli ideatori rimangono fuori.
Quello che rimane nascosto è la sovragestione che nasce da quando nella classe dominante (la Borghesia Imperialista) prevale una concezione oligarchica del potere.
Da quando il Modo di Produzione Capitalista entrato nella sua fase imperialista si forma il capitale finanziario,e di conseguenza si crea all’interno della borghesia un’oligarchia finanziaria che tende a dominare la vita sociale e politica e quindi la Stato.
Questa oligarchia finanziaria è composta da capitalisti e anche a volte da grossi manager, in sostanza di personaggi come i Rockefeller, Morgan, Krupp, Rothschild ecc.
C’è senzadubbio una correlazione tra la teoria della classe eletta, che si è sviluppata alla fine del XIX secolo e che ha avuto in Italia il suo più alto sostenitore nel Pareto, e la base sociale costituita dal consolidarsi della oligarchia finanziaria.
Come vi è pure una correlazione, in certi momenti, di una più stretta unità del capitale finanziaria e la teoria del superuomo, del duce, del Führer.
Questa élite oltre a formazioni proprie di categoria, attraverso organismi vari (realtà associative, circoli culturali ecc.) e soprattutto il controllo dei media sviluppa il suo dominio nel piano della sovrastruttura. Essa cerca di dominare la sfera sociale nella formazione dei quadri tecnici, e intellettuali.
Nella sostanza cerca di creare cerca di creare le basi anche psicologiche per il dominio dello Stato. Questa élite è cioè la classe dirigente anche in senso politico e, specie nei regimi democratici borghesi, mantiene il suo dominio attraverso gli strumenti di cui abbiamo accennato prima, attraverso la vita che obbliga tutti gli elementi dirigenti a essere necessariamente incapsulati in un organismo capitalistico o nell’apparato direttivo dello Stato.
Quando questi metodi non bastano a conservare il dominio per via di una crisi che investe l’insieme dell società (crisi non solo economica ma anche politica e culturale) e si sviluppa pur con vari livelli di coscienza la mobilitazione delle masse popolari, le libertà democratiche (che sono una conquista di dure lotte) diventano fastidiose e i ceti dirigenti cercano di sopprimerle, com’è avvenuto nel passato con il fascismo e il nazismo. Naturalmente, se la volontà reazionaria di questa élite esiste sempre, non sempre esiste per essa (determinante sono i rapporti di forza che si stabiliscono nei diversi paese) la possibilità di realizzarla con un colpo di Stato.
Non è certamente un caso che all’interno di questa élite si sviluppino concezioni sinarchiche.
La Sinarchia fu elaborazione sorta nel XIX secolo, come una reazione al concetto di anarchia (e allo sviluppo del movimento operaio) e quindi il suo opposto. Ogni cosa e ogni persona hanno il posto e il suo scopo, mentre ogni deviazione da queste “leggi naturali” porta al disastro.
Il concetto che ognuno ha il suo posto e il suo posto preordinato significa che alcuni sono naturalmente destinati a comandare. La Sinarchia auspica il governo di un élite predestinata.
Il nucleo dei concetti filosofici sinarchici è essenzialmente mistico. L’élite è in armonia spirituale con le leggi universali, è in pratica una casta sacerdotale. La Sinarchia è quindi una forma di teocrazia, di governo di sacerdoti o re-sacerdoti.
La Sinarchia arriva a suggerire che quest’élite illuminata sia in diretto contatto con le intelligenze spirituali che governano l’Universo e da cui riceve istruzioni (un po’ come i faraoni dell’antico Egitto, che erano allo stesso tempo sovrani secolari e intermediari tra gli dei e il popolo), ma in ultima analisi le élite sono sempre frutto di un’autoinvestitura.
Molti membri di questa élite si raggruppano in organismi, come le Ur-Lodges (superlogge internazionali). Esse hanno origine dal coordinamento internazionale di molte logge all’inizio del XIX secolo, non solo all’interno dell’organizzazione rituale, ma anche al di fuori di essa, per via dell’impegno di molti massoni verso un mutamento profondo delle istituzioni politiche dell’epoca nel senso democratico e liberale.
Secondo Magaldi l’autore che nel libro Massoni, società a responsabilità illimitata, questa cupola di superlogge sovranazionale, che vantano l’affiliazione di presidenti, banchieri, industriali sarebbe 36 e sono divise tra di loro tra di loro tra “progressiste” e conservatrici. Inoltre, sarebbero state loro a sponsorizzare le associazioni para-massoniche come la Trilateral e il Bilderberg.
Ora per capire il terrorismo attuale in Europa, bisogna partire dal fatto che a varie forme e livelli coscienza, è in atto una ribellione delle masse popolari europee contro questa Europa, dove è dominante il capitale finanziario. Il terrorismo ha, appunto, la funzione di impedire che le masse popolari europee di liberarsi dal gioco monetario delle banche e dalla soggezione del potere finanziario, scopo che rende indispensabile la conservazione di un potere politico utile e comodo per la permanenza dello status quo. Il terrorismo salda il rapporto tra il popolo e il potere col collante della paura.
Il sovragestore può avere non solo obiettivi primari, ma anche secondari come punire o intimidire governi o enti economici, politici, culturali, religiosi e militari.
Possiamo definire così la sovragestione: un ristretto numero di persone che hanno legami di potere, o che fanno parte della finanza o della politica internazionale, che ha loro volta manovrano pezzi di governi, di amministrazioni pubbliche, di servizi segreti, di logge massoniche o para-massoniche, strutture religiose di varia estrazione, istituzione bancarie, e parti di esponenti dell’economia.
E infine ci sono i soggetti manovrati. È del tutto indifferente se essi siano consapevoli di quanto stia accendendo.
Nella sostanza c’è una rete ad anelli, dove esiste una regola aurea: ogni anello conosce soltanto l’anello che gli è immediatamente superiore e quello che gli è immediatamente inferiore e nulla di più.
IL GRUPPO LUDWIG
La storia del Gruppo Ludwig è ambigua, strisciante e complicata. Questo sodalizio e criminale, che ha visto coinvolti ufficialmente solo Abel e Furlan, i due nazisti di Verona arrestati nel 1984 in flagranza di reato, che ha portato avanti un disegno lucido, criminale con un risvolti politici, che aveva lo scopo di portare il terrore a livelli più subdoli di un attentato.
Il gruppo che ha usato la sigla di Gruppo Ludwig o che ha rivendicato i delitti (specificando i particolari trovati sulla scena del crimine) inizia il suo triste lavoro a Verona (la città nera che è la culla degli estremisti nazisti) ed esattamente il 25 agosto 1977.
Il Gruppo Ludwig se la prende con il nomade Guerrino Spinelli. L’auto in cui dorme è centrata da quattro bottiglie molotov, dove due finiscono all’interno dell’auto e le altre due all’esterno. Spinelli morrà una settimana dopo l’attentato nel centro gestioni nel centro ustionati di borgo Trento. Il caso sarà archiviato il 28 febbraio 1978 da giudice istruttore di Verona, Mario Sannite.[1]
Il 19 dicembre 1978 il gruppo assassino toglie la vita a Luciano Stefanato, un omosessuale di 44 anni, originario di Meduna di Livenza (Treviso). Stefanato è trovato all’interno della sua Alfa Romeo con due coltelli da cucina ancora conficcati nella schiena.
Il giorno 12 dicembre 1979 è trovato il corpo senza vita di Claudio Costa, ucciso nei calli di Venezia. Il volantino con la rivendicazione di Ludwig arriva alla redazione del Gazzettino nel novembre del 1980.
Il 20 dicembre del 1980 a Vicenza fa un freddo, sul marciapiede accanto alla stazione ferroviaria, per Alice Maria Baretta, 52 anni di Como, dove svolge il lavoro di prostituta.
D’improvviso si accorge che non è sola su quel marciapiede, vede un uomo, un giovane, poi si accorge che ce n’è un altro alle sue spalle ma non ha il tempo di proferire neanche una parola che sul capo cala un colpo terribile che le fa piegare le gambe. Sul corpo ormai inerte a colpi di accetta l’uomo completa selvaggiamente il suo lavoro. Ma viene scorto da un automobilista di passaggio, che vede l’individuo accanirsi sulla donna. Si sente scoperto e assieme al complice fugge nell’oscurità del Campo Marzio.
L’allarme è dato e poco dopo la zona si riempie di macchine della polizia, arriva anche un’autoambulanza che poi correrà a sirene spiegate verso l’Ospedale San Bortolo. Ci vorranno quindi giorni perché Alice, muoia, liberandosi così di una crudele agonia.
Le indagini coinvolgono subito il testimone, ma i suoi ricordi sono vaghi, gli uomini erano coperti da giacconi scuri e portavano dei berretti di lana con il fiocco.
Dopo due giorni, giungono notizie in Questura in Questura. Un giovane vicentino, Giuseppe Verico, si era confidato, forse un po’ alticcio, con gli avventori di un bar, chiamando in causa un amico minorenne, Maurizio De Cao, che tornando a casa, nell’abitazione che condivideva con il Verico, gli si era presentato tutto sporco di sangue.
De Cao gli dice che ha colpito una donna con l’accetta, mentre stava rubando un’auto poiché l’aveva visto e che con lui c’erano altre due persone.[2]
La polizia fa presto a identificare il complice, Franco Munari, e l’indagine va avanti. Ma la deposizione di Verico appare subito fragile, poiché egli ha problemi di droga e di alcol. Infatti, l’iter giudiziario, il 10 dicembre del 1982, si concluderà con un’assoluzione per insufficienza di prove per Munari e De Cao.
Questa storia sarebbe stata archiviata come uno dei tanti casi irrisolti se a riaprire la ferita ci pensa nel febbraio del 1981 un volantino, scritto con carattere runici e siglato Gott mit uns, con un’aquila sormontata dalla sigla LUDWIG e un cerchio sottostante con la svastica firmano il messaggio.
La polizia esamina il volantino esaminando eventuale contraddizioni ed errori. In Questura che ci ipotizza che la rivendicazione potrebbe essere un’appropriazione di un delitto commesso da alti.
Il 20 luglio 1982 Ludwig è di nuovo in azione, a Vicenza. Le vittime questa volta sono Fra Giuseppe (Mario Lovato) e Fra Gabriele (Giovanni Batista Pigato), appartenenti all’Ordine dei Serviti, un antico Ordine che sin dal 1435 custodisce il santuario della Monte Berico.
I due religiosi verso il tramonto scelgono di prendere un po’ di aria facendo una passeggiata e si dirigono verso Gogna. Essi non si accorgono di essere seguiti, il loro passo è lento, stanno parlando e non pensano neanche di rappresentare un obiettivo per un gruppo di assassini.
La gragnola di colpi arriva all’improvviso e non lascia scampo. I corpi cadono sul terreno in una pozza di sangue. Vicino sono poi ritrovati alcuni sacchetti di plastica e un’accetta che non presenta tracce di sangue. I martelli, l’arma del delitto, di marca UPEX, hanno degli adesivi sul manico di legno. In un sacchetto sono trovate due sciarpe di lana.
L’allarme è dato da una copia di giovani fidanzati ai frati del convento. Fra i primi ad accorrere c’è Padre Graziano Casarotto che trova ancora rantolante Fra Gabriele, ancora vivo, che sarà trasportato all’ospedale, ma si spegnerà il mattino del 21 luglio. Fra Giuseppe, invece, era morto sul colpo, il suo corpo era già freddo.
Il volantino a firma LUDWIG, con la rivendicazione, arriva il 23 luglio alla sede dell’ANSA e sconvolge tutte le ipotesi, apre scenari mai considerati e molti impegnativi.
L’aquila nazista, il motto Gott mit uns, i caratteri runici, è considerato una “firma”, da non sottovalutare. Sono, anche dei segni di un terrore sottile che s’insinua nelle menti dei cittadini comuni, che devono lavorare in territorio che è considerato “sicuro”, “normale”, “ordinato”. Se si ragiona bene, è proprio questo il motivo LUDWIG ha colpito.
Dopo il delitto di Vicenza il gruppo criminale si sposta a Trento, dove il 26 febbraio 1983 aggredisce Padre Armando Bison che muore l’8 marzo. A Milano, il 14 maggio 1983 incendia il cinema a luci rosse Eros. I morti sono sei. A Monaco di Baviera il gennaio 1984 va a fuoco la Sex Diskothek Liverpool. Molti gli ustionati, la barista Cristina Tartarotti muore il 27 aprile.
Il 4 marzo 1984 a Castiglione delle Stiviere il gruppo tenta di appiccare il fuoco alla discoteca Melamara con due taniche di benzina. E qui inizia il vero caso LUDWIG, non più solo sigle o volantini farneticanti, ma due giovani in carne in ossa che sono bloccati dai buttafuori. I due sono identificati e trascinati via dai carabinieri che li sottraggono a un tentativo di linciaggio da parte di centinaia di giovani che avevano rischiato di perdere la vita.
I due giovani sono:
- Marco Furlan, nato a Padova, il 16 gennaio 1960 risiede al momento dell’arresto nel quartiere di Borgo Trento ed è il figlio del primario del Centro Ustionati dell’Ospedale Civile Maggiore di Verona. Sta per laurearsi in Fisica presso l’Università di Padova.
- Wolgang Abel, nato a Monaco di Baviera il 23 marzo 1959, figlio di un consigliere della compagnia assicurativa tedesca ARAC, vive a Negrar in provincia di Verona. È laureato in matematica e pieni voti e lavora con il padre.
A procedere formalmente contro i due imputati è chiamato il giudice istruttore Mario Sannite.
Il gruppo Ludwig è ritenuto responsabile della morte di 14 persone.
Il primo dicembre 1986 ha inizio il processo di primo grado a Verona. Marco e Wolfgang avevano entrambi provato dei tentativi di suicidio. Abel si dimostra sprezzante ma il suo comportamento è solo di difesa. I due prima non si parlano, stanno lontano l’uno dall’altro poi si avvicinano e riprendono il loro rapporto di amicizia.
Entra nel processo anche l’ipotesi del terzo uomo, presenza-assenza che fu notata in parecchi delitti firmati da Ludwig.
I giudici in camera di consiglio devono affrontare la mole dei delitti firmati LUDWIG e nel frattempo devono tenere conto delle prove raccolte. Per alcuni delitti l’accusa ha dimostrato e i giudizi tengono conto della condanna che per quanto riguarda ad esempio l’omicidio dei due frati di Monte Berico (Vicenza) si sono raggiunte conclusioni certe di responsabilità. Questo anche per la strage del cinema di Milano e per l’incendio della discoteca Liverpool di Monaco di Baviera. Il resto dei delitti di LUDWIG resta insoluto.
La Corte si pronuncia nei confronti dei due imputati: “un delirio, di sopravvalutazione dei propri giudizi e valori rispetto al mondo di vita altrui, dapprima hanno rivendicato omicidi forse non commessi e poi, preso atto del successo raggiunto, della notorietà delle loro imprese e della sigla dietro cui si celavano sono passati all’azione, usando i preannunciati ferro (martello) e fuoco (benzina) per purificare questo mondo dai peccati, ma soprattutto dai peccatori, progressivo crescendo, in cui dai singoli omicidi a più grandiosi e spettacoli che hanno causato morte di più persone”.[3]
I medici psichiatri incaricati di seguire i due imputati coinvolgono anche le famiglie. Il padre di Abel informò gli specialisti che il figlio era molto chiuso in se stesso, in particolar modo da quando era ritornato da Monaco nel 1978. Il genitore era stato avvisato dai dirigenti dell’istituto scolastico, dove Abel era iscritto che erano stati trovati dei fogli su cui Abel aveva annotato le sue idee sul suicidio e sulle cliniche psichiatriche. Il padre di Abel riporta perciò a Verona il figlio che continua a isolarsi, a non avere amici e a frequentare solo Furlan.
Per i genitori di Marco Furlan il figlio era intelligente e ironico, ma in concreto la famiglia ammetterà di aver seguito poco Marco, erano invece preoccupati dell’amicizia con Abel, che professava idee di destra.
Abel nel corso delle conversazioni con i periti psichiatri fornisce spiegazioni contorte e sfuggenti. Alla domanda sul perché negava di aver detto al giudice di Mantova la sua opinione sulle discoteche (luoghi di perdizione). Abel sostiene di essere stato condizionato, dal momento, dalla persona. Questa sua risposta è depositata presso il Tribunale di Verona.[4]
Marco Furlan autorizza la perizia psichiatrica un po’ a sorpresa (1988). Infatti, l’imputato aveva sempre rifiutato i periti psichiatrici. Durante i colloqui che si svolgono in carcere, offre di sé un’immagine rassicurante. Controllato, fornisce una cronistoria della sua vita. Molto attento all’uso delle parole dimostrando di avere un buon controllo di sé. Per lui i periti trovano una personalità in difesa esente però da patologie gravi. Non vi sono elementi per concludere una diagnosi di schizofrenia.
Per i periti gli elementi d’immaturità e un’aggressività derivante (a loro dire) da mancanza di sicurezza denotano una “personalità abnorme e peculiare”. Furlan dimostra adesso disponibilità perché che gli anni passati in carcere e una nuova situazione giudiziaria abbia cambiato il quadro della sua situazione. Dimostra, quindi, secondo i periti, di vivere la sua imputabilità in modo assolutamente razionale.
Il processo d’appello si apre il 15 gennaio 1988. Il 15 giugno 1988 la Cassazione annulla la decisione della Corte di Appello sulla durata della custodia cautelare. Pertanto Marco e Abel sono liberati e sono in “libertà vigilata”, devono risiedere in comuni che abbiano meno di cinquemila abitanti, hanno l’obbligo di firmare il registro dai carabinieri tre volte al giorno, non sono autorizzati a superare il confine dei paesi a loro assegnati.
Il processo riprende nel gennaio del 1990 tra perizie e contestazioni della difesa che vuole annullare anche la prova numero uno cioè quella dei “solchi ciechi” sui fogli bianchi.[5] Il 10 aprile dello stesso anno il presidente della Corte legge la sentenza. La pena è ridotta a 27 anni. La motivazione: “Ludwig nei delitti non cerca piacere, ma uccide per missione in quanto scelto per missione in quanto scelto da entità superiore”.[6]
Viene anche considerato la perizia psichiatrica del professor Introna che considera un “vizio parziale di mente all’epoca di omicidi”.[7]
Furlan dieci giorni della sentenza definitiva della Corte di Cassazione , il primo febbraio 1991, dopo aver firmato nella caserma dei carabinieri, sparisce. L’11 febbraio la Corte Suprema di Cassazione rigetta i ricorsi degli avvocati e conferma la sentenza della Corte di Appello, ventisette anni di reclusione Abel reagisce on rabbia, anche verso l’amico.
Anche Abel, tenta la fuga molto probabilmente impaurito dalla condanna. Scappa dalla casa, dove abita e vaga per i campi. È intercettato da una pattuglia della Guardia di Finanza che lo riporta dai carabinieri. Rientra così in carcere, a Padova, dove comincia uno sciopero della fame.
L’attenzione dei giudici e della stampa è tutta concentrata su Marco Furlan. Molti gli interrogativi sulla sua fuga. Alcuni parlano di un gruppo neonazista che lo avrebbe fatto espatriare. La latitanza di Furlan dura finisce nel maggio del 1995 quando una copia in vacanza nota la somiglianza con le foto raffiguranti Furlan di un impiegato di una ditta con sede presso l’aeroporto Heraklion di Creta.
Al sospetto è scattata una foto che poi è fatta pervenire alla polizia italiana. Così il 16 maggio arriva a Creta il capo della Criminapol veneta con alcuni agenti. Il mattino seguente è eseguito l’arresto di Furlan.
Viene anche interrogato il coinquilino di Furlan che riferisce agli agenti italiani delle visite periodiche di una donna vestita di nero che portava con sé una valigetta che lasciava nell’appartamento. Furlan si era ben integrato nell’ambiente cretese, facevo ripetizioni, la guida turistica e guadagnava bene.
Arrestato dalla polizia greca e interrogato da un agente di polizia dal nome di nome Soldatos confessò davanti a lui e altri poliziotti venuti da Atene, Furlan confessò di essere il colpevole dei reati che gli venivano contestati in Italia, parlo del suo amico Abel che si trovava in carcere in Italia, con il quale aveva costituito un’organizzazione nazista quando ancora avevano fra i 16 3 i 17 anni.
Nel 1995 processato a Creta, Furlan è condannato a 7 mesi di carcere. E il 5 gennaio 1996 rientra in Italia per scontare definitivamente la pena.
In carcere i due sono detenuti modello. Isolati dalla maggioranza dei detenuti che li chiamavano “i Ludwig” passano i loro giorni leggendo molti libri. Furlan appare come la personalità più forte, mentre Abel per un breve momento ha una crisi psicotica.
Alla fine il duetto riacquista la libertà. Prima Furlan nel gennaio del 2007 e in seguito Abel nel 2012. Tutto finito dunque. In apparenza si potrebbe dire che il carcere abbia avuto, secondo il dettato costituzionale (disprezzato da entrambi), una funzione riabilitativa e che dopo aver espiato rientra nella società.
Tutto finito, e chiaro fino a quando nel 2007 nel programma Le iene il giornalista conduce un’intervista con un anonimo, intervistato ma ripreso di spalle.[8]
Un’intervista con la quale l’intervistato disconosce l’impostazione ideologica nazista, ma che Furlan disconosce, affermando di non essere mai stato intervistato.
Mentre Abel in un’intervista alla giornalista concessa alla giornalista Monica Zornetta, parla della sua vita in carcere, di sua madre, di quello che sta facendo. Ma soprattutto si proclama innocente, egli afferma di volere la verità:
- Ma quale verità? Esiste forse un’altra verità?
- Certo. La verità politica, quella che ha voluto mettere al centro della vicenda Ludwig solo perché sono cittadino tedesco. Poi mi hanno messo vicino a Marco Furlan che, ha quanto pare, fa parte del gruppo Ludwig. Quella che tutti conosciamo è solo verità di Stato.
- Ma non ti puoi dichiarare innocente, vi hanno arrestato in flagranza al Melamara.
- E’ per questo che hanno messo Furlan vicino a me, a lui hanno dato sedici anni e a me ventitré compresi tre anni di casa di lavoro a Sulmona anziché cure psichiatriche? Siamo stati condannati entrambi a ventisette anni.
- Forse perché lui ha confessato?
- Non ha confessato, a meno che non si chiami confessione quella sceneggiata (riferendosi all’intervista dell’uomo misterioso alle iene). E ti aggiungo che, secondo me, nemmeno a Creta ha parlato, il poliziotto ha detto così per darsi un po’ di importanza. Se una persona viene messa in libertà dopo sedici anni è perché o ha parlato o non deve parlare. Non c’è una terza possibilità. Lui ha chiesto la semilibertà e l’hanno mandato a casa direttamente, guarda un po’. Ho fatto ricorso ai tre anni di casa lavoro, cioè il carcere duro ma l’ho perso sia in appello che in Cassazione. Eppure ero bisognoso di cure essendo stato condannato con seminfermità, è da quel momento che ho capito he i miei diritti erano stati sospesi. Figurati solo dopo Sulmona il giudice si era accorto che Abel aveva bisogno di cure. Mi hanno fatto fare la perizia, mi hanno messo per quattro mesi agli arresti domiciliari con cure psichiatriche, poi è venuta la libertà vigilata con controlli periodici. Una misura che continua ancora oggi.
- Che cosa è successo al Melamara?
- In quella discotecuccia? È successo che c’era stato già prima di quel triste episodio, ricordo che stavo ballando e degli individui istituzionalizzati (i buttafuori) mi hanno calpestato i piedi. E una, e due volte. E poi ancora, venivano lì mentre ballavo. A un certo punto non c’è l’ho fatta più e sono andato via. Il loro, è stato un atto di vigliaccheria, con quei fisici da macho, si sono accaniti su una persona debole che arrivava da fuori. Quando sono tornato a Verona, ho proposto a Marco Furlan di fare uno scherzo a quei due, abbiamo preso la benzina e siamo andati. Ma non c’era volontà di fare del male alle persone.
La banda c’è esiste. Fin qui tutti d’accordo. È una banda composta da quattro o cinque persone più un paio di fiancheggiatori. È ovvio che i fiancheggiatori ci siano perché, ad esempio, io che vivo a Verona non posso sapere che in una cella di Venezia c’è uno spacciatore che, faccio per dire, a mezzanotte spaccia. Ciò significa che questi chiamano e gli altri vanno e ammazzano.
Il PM parlava di una terza persona che occasionalmente si è aggiunta, capiva bene che in una situazione del genere due sole persone erano po’ poco. Marco Furlan era più o meno una collaboratore della banda, io l’ho capito quando è scappato a Creta.
Quando Marco è uscito dal carcere davano per scontato che avremmo saputo su tutto su Ludwig. E invece no. Lui ha detto non se la sentiva, era una questione psicologica e i giudici gli hanno dato ragione, e infatti poi ha fatto quella cosa in TV per fare un favore ai giudici. Perché, continuo a domandarmelo e a domandarlo, scarcerare una persona dopo sedici anni senza che questa abbia detto chi fa parte del gruppo Ludwig? Probabilmente non voleva che Marco parlasse altrimenti lo avrebbero fatto parlare, stai tranquilla. E io invece mi sono fatto ventitré anni dentro. Conosco le cose, non ti fanno uscire se non tiri fuori l’ultima goccia di sangue.
- Ma chi è Marco Furlan?
- Nessuno lo sa. Io meno degli altri. Non significa niente che fosse il mio migliore amico, non sono mai riuscito ad entrare in quella persona. In quanto alla fuga a Creta penso sia avvenuta grazie ad alcuni individui che presumo essere veronesi e che lui continua a coprire. Secondo me c’entra la politica, c’entrano le persone facoltose legate alla destra estrema. Tutto quel denaro gli è stato trovato a Creta ritengo gli sia stato dato da qualcuno che deve avergli detto di rifarsi una vita, di sparire e non tirare in mezzo nessuno. Quando è scappato mi sono sentito tradito, mi ha tradito ma non in quella circostanza e basta, mi ha tradito tutta la vita. Li ho capito che aveva un’esistenza parallela, ed è quello che penso adesso. Lui sta con loro, e io qua.
- Chi è Ludwig?
- Ludwig è uguale a ignoranza, per me. Dietro c’è tanta frustrazione sessuale, non c’è mente una intelligente come la mia. Io quelle cose non le avrei mai commesse. Il fatto che però non sono stati scoperti denota una certa furbizia. È gente scaltra, è il tipo contadino furbo, quello he ci sa fare. Io li chiamo i compagni di merende proprio come quelli del mostro di Firenze. Non penso che Ludwig sia interamente composto da criminali, ma da persone che hanno interessi in comune. Sono soggetti che si parlano, trascorrono del tempo insieme, giocano a carte o fanno anche altro, possono essere professionisti, possono esserci anche medici tra loro, e di sicuro in mezzo c’è qualche criminale e anche qualche sempliciotto. Non stanno insieme per ammazzare ma può capitare che ci scappi il morto.
Lo sai cosa penso? Che Ludwig sia un ambiente di gente un po’ deviata e variegata, quindi con un quoziente di intelligenza variabile. Ludwig è un ambiente sfizioso, molto superficiale a livello emozionale. Lo vedo quasi come una loggia segreta dove l’omicidio può essere una conseguenza, che so un’apatia, di una insofferenza, di un odio o cosa del genere.
- Ludwig è dunque l’autore di tutti i delitti, anche di quelli che non gli sono stati attribuiti?
- Si, sono tutti suoi, tutti di Ludwig.
Qui Abel, in mezzo a quello che molto probabilmente è un miscuglio di verità e menzogne, fa delle affermazioni importanti:
- Ludwig non è solo il duetto di pazzi come si è voluto far credere, ma un gruppo che si muove dentro un contesto molto più ampio.
- Interessante l’identificazione dei membri ai compagni di merende, implicati per i delitti del cosiddetto Mostro di Firenze. Parla di persone con una furbizia contadina (sembrerebbe un’analogia a dei personaggi come Pacciani), e che nel gruppo ci possa essere persone che possono fare il medico (come il Narducci). C’è il sospetto che da delle indicazioni per depistare o comunque di persone che abbiano avuto un ruolo marginale.
- L’analogia del gruppo come una loggia segreta. Sembrerebbe un messaggio, aiutatemi o se no comincio a parlare. Una sorta di messaggio cifrato?
IL CASO LUDWIG VISTO DA UNA GIORNALISTA D’INCHIESTA
Monica Zornetta con i suoi libri indaga da anni tra le pieghe oscure del Nord Est, dalla storia di Felice Maniero e della Mala del Brenta alle vicende dei cosiddetti “anni di piombo” nel Veneto (e non solo).[9]
Ha affrontato, tra l’altro, quello che senza dubbio si può benissimo dire enigmatici per quanto riguarda la cronaca nera italiana, il caso Ludwig appunto. Su quest’argomento ha scritto il libro Ludwig – Storie di fuoco, sangue, follia, (Dalai Editore, 303 pp).
Monica sostiene che non sono stati loro. Che la verità raccontata dal duetto Abel e Furlan non convince.
Sostiene che il loro ostinato silenzio sia spiegabile con una scelta di opportunità da parte loro. Parlare potrebbe portare al coinvolgimento nella vicenda di altre persone e ciò avrebbe potuto a un’accusa di associazione a delinquere, con la conseguenza di un ulteriore pena da scontare, ma soprattutto l’impossibilità di godere di determinati benefici carcerari.
Ritiene che la fuga di Furlan sia uno spartiacque, poiché fuggì solo lui, all’insaputa (così sembrerebbe) di Abel. Gli interrogativi che pone è chi abbia aiutato a fuggire Furlan, e come mai proprio in Grecia. Il paese ellenico in quegli anni si era lasciato alle spalle la dittatura dei Colonnelli, che negli anni precedenti aveva offerto rifugio e protezione a molti esponenti della destra occidentale. Non è da sottovalutare poi il fatto che i due legali di Furlan – Piero Longo e il suo allora allievo Nicola Ghedini – al tempo erano contigui ad ambienti di estrema destra, che in occasione delle periodiche interviste che concedevano ai giornalisti, insistevano nel fa accreditare la tesi della morte del loro assistito.
LUDWIG, ORDINE NUOVO E RETE USA
Il 12 febbraio 2012 il quotidiano di Verona L’Arena[10] riporta la notizia che un ex membro di Ordine Nuovo Giampaolo Stimamiglio, avrebbe riferito ai carabinieri del ROS che c’era un collegamento tra l’estremismo nero e il gruppo LUDWIG.
Stimamiglio fa un nome, Marco Toffaloni, chiamato “Tomaten”, un militante di estrema destra, che afferma che era collegato a Ludwig.
In un’intervista al Corriere di Brescia del 18 febbraio 2012, Stimamiglio ha dichiarato che LUDWIG “è una formazione di qualche anno posteriore a Piazza della Loggia”.[11] L’ex ordinovista ha anche aggiunto che “è evidente che Furlan e Abel, da soli, non possono aver commesso tutte quelle azioni”.
Toffaloni è inquisito per la strage di Brescia (1974). Ed è pure sospettato di aver preso parte e aver curato un collegamento tra i membri di Ordine Nuovo e le Ronde Pirogene Antidemocratiche attive a Bologna.
Nel mese di maggio del 2012 è interrogato del ROS Wolfgang Abel.[12] Gli investigatori, ormai convinti che LUDWING sia stato un’organizzazione, hanno voluto sondare l’ex membro del gruppo.
Il filone d’indagine LUDWIG-ORDINE NUOVO-STRAGE DI BRESCIA non nuovo, già nel 1996 l’allora capitano dei ROS, Massimo Giraudo aveva curato un’informativa per il giudice Guido Salvini impegnato nell’indagine relativa alla cosidetta strategia della tensione (e in particolare alla strage di Piazza Fontana).
Nell’informativa del capitano Giraudo[13] erano riportati elementi di indagine riguardante le Ronde Pirogene Antidemocratiche e il collegamento di questo gruppo con LUDWIG. Risultava da tale informativa che il leader delle Ronde Luca Tubertini conosceva e frequentava Abel e Furlan.
Dall’inchiesta del giudice Salvini sulla strage di Piazza Fontana era emerso il ruolo della rete informativa americana (interna a Ordine Nuovo) in tali avvenimenti. Il figlio di un membro di questa rete Pietro Gunella è citato quale attore di una telefonata circa il terzo uomo del Gruppo LUDWIG. Sempre da questa sentenza emergono i contatti fra le Ronde pirogene antidemocratiche e i Nuclei sconvolti per la sovversione urbana, attivi ancora negli anni Ottanta. Sullo sfondo anche i contatti con Ludwig, il gruppo neonazista di Wolfgang ritenuti materialmente responsabili di almeno dieci dei 28 delitti rivendicati da questa sigla tra il 1977 e il 1984, e con la setta esoterica Ananda Marga (nel suo simbolo anche una svastica), approdata a Verona tra il 1974 e il 1975.[14]
Nonostante le analogie, non vi furono degli elementi da far ritenere che la strategia delle Ronde e dei Nuclei sia stata maturata nella setta.
Nell’inchiesta emerse che molte persone implicate nel procedimento inerente alle Ronde appartenevano ad Ananda Marga, che è struttura estesa in vari paesi con obiettivi che non sono solo filosofici o religiosi, ma anche di cambiamento dell’ordinamento politico della società, che ha una struttura formata da monaci ed adepti, ma anche da un servizio d’ordine e da regole molto rigide, da carattere quasi militare, cui erano costretti a sottoporsi gli adepti.
Sempre in questa sentenza si rileva la singolare coincidenza della presenza del generale Maggi Braschi esperto di guerra psicologica (nonché elemento della rete spionistica USA) in India, luogo di nascita della setta Ananda Marga, quale addetto militare proprio nel momento proprio nel momento in cui veniva importata nel veronese.
Per tutti questi motivi non può essere scarta l’ipotesi che nel Veneto, per le connessioni con Ordine Nuovo, con la rete CIA e l’acceso anticomunismo delle tre formazioni di estrema destra, sia stato un laboratorio di sperimentazione di tecniche di guerra non ortodossa basate sull’uso terroristico di devianze esoterico-religioso a connotazione politica estremista di destra.
Sarà un caso ma la cura LUDOVICO, o se sì il trattamento LUDWIG ricorda il lavaggio mentale che Alex nel film Arancia meccanica subisce “volontariamente”, nel film è ovviamente ribaltato nello scopo che persegue, essendo “riabilitativo” ma nel metodo deprecabile, mentre nella realtà è molto peggio e talvolta serve a forgiare schiavi sessuali, candidati manciuriani e “guerrieri apocalittici” utili per fini terroristici e politici.
LUDWIG, nome in codice germanico non a caso, nome che richiama per assonanza le sue origini naziste, ma forse ancora più antiche se volessimo ulteriormente approfondire la questione, nome che Kubrick ha rimarcato con ambivalenza per tutto il film, nome che richiama appunto il progetto MK-ULTRA…
Nome del gruppo criminale. Sigla e firma che forse (è un’ipotesi che val la pena di approfondire) voleva potesse richiamare pur con un codice criptato la CURA LUDOVICO, in altre parole cosa rappresentasse nella realtà celata all’opinione pubblica, codice imitare….
La fine degli anni 70 fu costellata di attentati di stato, stragi e omicidi politici, mentre su un livello quotidiano più da cronaca nera, vide il sorgere dei primi omicidi rituali mediatici, all’epoca quasi sempre eseguiti da fanatici estremisti di destra, come nel caso dei MOSTRI DEL CIRCEO ed in seguito verso la fine degli anni 70 il duo LUDWIG…
Entrambi i livelli alimentavano la strategia della tensione, ma il secondo andava a minare la sicurezza del cittadino ignaro, forse ancora più del primo, nella sua intimità casalinga, perchè il fattore politico era meno marcato a livello mediatico rispetto al terrorismo nero o rosso e quindi era percepito come più liquido ed evanescente, poteva riguardare veramente tutti…
Un po’ come accadde per i fratelli SAVI, che colpivano senza una ragione e un bersaglio preciso, ma in fondo era quello il loro compito, spaventare, destabilizzare, creare paura…
Il laboratorio della paura ai tempi di LUDWIG, fu incarnato da Wolfang Abel e Marco Furlan, e secondo testimonianze di pentiti della mafia del Brenta (ma ci si arriverebbe seguendo il filo logico delle appartenenze culturali dei due soggetti), il gruppo rappresentò una delle tante cellule dell’estremismo nero di ORDINE NUOVO, creazione sionista ed atlantista in funzione terroristica per la stabilizzazione del potere costituito, cane da guardia del capitale contro ogni rigurgito filocomunista o democratico.
Non furono i soli a essere strumentalizzati e plagiati e non saranno certo gli ultimi, infatti oltre ad i SAVI , possiamo fare esempi odierni similari accaduti, sia in Norvegia con l’attentatore di Oslo, cooptato dalla Massoneria di rito svedese, infarcito di deliri nazistoidi di pulizia etnica e sociale, simili a quelli dei LUDWIG, che in Italia a Firenze, con lo stragista dei senegalesi, anche lui in odor di occultismo e mondo magico, mondo caro al Pantheon culturale ed all’immaginario della destra esoterica.
[1] http://www.storiavicentina.it/inchieste/96-documenti-e-analisi-dello-scontro-politico-
[2] C.s.
[3] Monica Zornetta, Ludwig, storie di fuoco, sangue, follia, Baldini Castoldi Dalai editore, Milano, 2011.
[4] http://www.storiavicentina.it/inchieste/96-documenti-e-analisi-dello-scontro-politico-
[5] Nella casa di Abel, nel corso di una perquisizione del 29 marzo 1994, la polizia sequestra un blocco di 117 e altri fogli sparsi, bianchi. Gli esperti della polizia tedesca sostengono che si possono trovare tracce dei volantini con delle tecniche particolari. E, infatti, una perizia effettuata su uno dei fogli sequestrati fa venire alla luce l’intero della rivendicazione dell’incendio di Milano al cinema Eros.
[6] Sembrerebbe quasi dire che le loro azioni criminali furono indotte da fattori esterni.
[7] Claudia Innocenti, Le copie assassine, tesi di laurea in Scienze Criminologiche, Università Europea, Bruxelles, ottobre 2013.
[8] http://www.video.mediaset.it/video/iene/puntata/157722/lucci-ho-ucciso-10-persone.html
[9] http://www.storiavicentina.it/inchieste/1115-intervista-a-monica-zornetta-su-ludwig.html
[10] http://www.storiavicentina.it/inchieste/96-documenti-e-analisi-dello-scontro-politico
[11] C.s.
[12] http://www.larena.it/home/caso-ludwig-abel-interrogato-dai-ros-1.2928315
[13] http://www.piazzafontana.it/CONTRIBUTI/press/Piazza%20Fontana%204a%20edizione%20Intervista%20a%20Salvini.pdf
[14] http://www.labottegadelbarbieri.org/linfamia-di-quel-28-maggio-a-brescia