REGIONE LOMBARDIA: UN ESEMPIO DI UNA SANITA’ PRIVATIZZATA

 

 

 

Il modello sanitario lombardo assieme a quello toscano è (prima della marea degli scandali che hanno travolto la giunta regionale lombarda) stato considerato un modello da esportare in campo nazionale, nella realtà l’unico dato oggettivo, al di là della retorica, questo modello deve essere considerato come un ulteriore e pesante attacco alla sanità pubblica.

 

 

IL SERVIZIO SANITARIO ITALIANO DAGLI ANNI ’30 FINO AI GIORNI NOSTRI

 

Le prime leggi organiche in materia di assistenza sanitaria sono rappresentate dai regi decreti n. 1263 (1934) e n. 1634 (1938) che riordinava le norme concernenti, l’ordinamento dei servizi sanitari e ospedalieri, delle professioni mediche e sanitarie, delle norme igieniche del territorio, degli alimenti ecc.

Durante il periodo fascista una consistente fascia di lavoratori/trici era esclusa dall’assistenza sanitaria mutualistica, negli anni ‘45-’50 in seguito alle lotte della classe operaia e delle masse popolari, fu imposto alla classe dominante l’adozione di misure per migliorare le condizioni igienico-sanitarie della popolazione e dare all’organizzazione sanitaria un nuovo assetto, fino al riconoscimento del diritto universale all’assistenza e alla prevenzione della malattia. Verso gli anni ’50 l’assistenza sanitaria fu gradualmente estesa ai pensionati dipendenti dello Stato, ai pensionati per invalidità e vecchiaia dell’INPS, ai coltivatori diretti, agli artigiani, ai commercialisti e ai professionisti.

L’estensione non cancellò comunque, la disparità di trattamento degli assistiti (nell’assistenza diretta e indiretta tramite i rimborsi spesa), gli squilibri territoriali (tra la città e la campagna e tra Nord/Sud) e la mancanza di protezione sociale per i disoccupati, gli immigrati e i giovani in cerca di prima occupazione.

A cavallo degli anni ’60 e ’70, in seguito ad un ciclo di lotte memorabili, ci fu la conquista dello Statuto dei lavoratori (1970).

Lo Statuto dei lavoratori riconobbe alcuni diritti fondamentali, come quello alla non licenziabilità senza giusta causa, nelle aziende con oltre 15 dipendenti (art. 18), oltre al riconoscimento della sicurezza e della tutela della salute nei luoghi di lavoro.

Oggi grazie ad una serie di “provvedimenti risparmio”, che vanno dal Pacchetto Treu, passando per la Legge 30 fino all’attuale Jobs Act, i giovani ed i disoccupati non hanno più nessuna forma di protezione.

La Legge 132 rinnovò la struttura degli ospedali, individuando per ciascuno di essi i servizi necessari, trasformandoli in enti con finalità sanitaria più ampia che non la semplice diagnosi e terapia. Il numero dei posti letto passò dai 3.76 per mille abitanti nel 1956, a 5 per mille per abitanti nel 1962, fino a raggiungere il 10 per mille nel 1974.

Nel 1978 arriva alla Legge 833, la riforma sanitaria che istituisce il Sistema Sanitario Nazionale (S.S.N.), emanata dopo anni di rinvio e varie proposte di legge e anticipata da alcune leggi regionali. La riforma sanitaria si basava su 3 cardini: prevenzione, cura e riabilitazione, ispirandosi dal punto di vista del funzionamento delle strutture (USL, istituite allora, ospedali, cliniche universitarie, istituiti di ricerca ecc.) ai principi di universalità, eguaglianza, globalità degli investimenti e partecipazione dei cittadini.

Questa legge, come altre in materia di sanità, Legge 194/78 sull’aborto, Legge 180/78 (Legge Basaglia) sulla psichiatria, furono il frutto di una stagione di lotte dalla classe operaia e del resto delle masse popolari, ed ebbero come riflesso la nascita di un forte movimento culturale sorto all’interno della medicina, come Medicina Democratica.

La Legge Basaglia segnò una rivoluzione nel campo della psichiatria, perché dispose la chiusura dei manicomi, limitando a casi eccezionali e per periodi ben definiti, i ricoveri coatti all’interno di strutture ospedaliere, in modo da ridurre le forme di discriminazione e segregazione, con l’obiettivo di reinserire quello che è definito il “malato” nella vita sociale attraverso lo strumento della prevenzione.

Tutte queste lotte chiedevano un nuovo modo di porsi della medicina di fronte alle modificazioni della società, dell’ambiente, dei comportamenti, delle tecnologie, un’esigenza di equa e migliore tutela sanitaria e sociale, quindi anche migliori case, servizi, infrastrutture, ecc.

Nella fase storica attuale, tutti i diritti conquistati in questo periodo, dalla metà degli anni ’70 con l’avvio della crisi generale del capitalismo, sono stati progressivamente cancellati: la Legge 833, fu gradualmente smantellata, la Legge Basaglia è continuamente minacciata da tentativi di controriforma, la Legge 194 è stata pesantemente attaccata, in modo trasversale, attraverso l’approvazione nel 2004 della Legge 40 sulla procreazione assistita.

La Legge 40 pone come sua premessa, la salvaguardia a tutti i costi dell’embrione, considerato come una persona a tutti gli effetti, quindi, da impiantare sempre anche in presenza di forte rischio di gravissime malattie genetiche. Questa legge, cavalcata dalla Chiesa cattolica, è usata come pesante attacco culturale contro la Legge 194, è un “cavallo di Troia” che consentirà, in mancanza di una sua difesa, la cancellazione o il forte ridimensionamento della 194 stessa.

Dalla fine degli anni ’70 inizia gradualmente lo smantellamento della sanità pubblica, fermo restando che, come nel caso della 833, molti aspetti non furono attuati (si pensi alla prevenzione, alla mancata costituzione al Sud dei distretti sanitari, al mancato varo del Piano Sanitario Nazionale), altri furono attaccati all’indomani della loro attuazione. Facciamo un esempio: tre mesi dopo il varo della riforma, fu introdotta la famigerata “tassa della salute” e i tickets sanitari e sulle prestazioni sanitarie.

Nel 1987 il democristiano Donat Cattin allora Ministro della Sanità, fu l’ispiratore di una nuova filosofia dell’assistenza sanitaria, che determinò un peggioramento a 360° attuato attraverso:

 

  • Una riduzione dei posti letto.
  • Il blocco alle assunzioni dei medici e degli infermieri (a fronte di una notevole mancanza di personale rispetto dalla legge che aveva istituito il SSN).
  • Il pagamento delle prestazioni con l’introduzione di prestazioni gratuite solo per i poveri.
  • La riduzione dei giorni di degenza ospedaliera.
  • La riduzione delle USL.
  • La gestione degli enti pubblici addetti all’assistenza sanitaria come aziende aventi come obiettivo principale il raggiungimento di obiettivi finanziari.

 

Questa filosofia passò principalmente attraverso le leggi annuali sulla pubblica finanza, le varie finanziarie che si sono susseguite negli anni.

La legge finanziaria del 1991 stabiliva che le regioni dovevano provvedere a programmare la ristrutturazione della ristrutturazione della rete ospedaliera in modo da realizzare i seguenti obiettivi:

 

  • Occupazione media annua dei posti-letto a un non inferiore al 75% delle giornate.
  • Dotazione complessiva di 6 posti-letto ogni 1.000 abitanti di cui 0,5 per mille riservato alla riabilitazione e alla lunga degenza.
  • Disattivazione e/o riconversione degli ospedali con meno di 120 posti letto (con la conseguenza messa in mobilità d’ufficio o disponibilità del personale addetto).

 

In tutti quegli anni, fino al 1992, vi fu una serie di interventi a raffica, da parte di industriali, baroni della medicina ed esponenti di governo (il Ministro della Sanità era all’epoca De Lorenzo), contro il cosiddetto “stato assistenziale” (di cui la sanità è parte integrante).

Sono gli anni di Tangentopoli, delle maxitangenti (come lo scandalo Montedison), delle ruberie e delle truffe in campo sanitario (come il sangue infettato dal virus dell’epatite C lasciato circolare liberamente per anni), che porteranno all’arresto del Ministro De Lorenzo e del suo sottosegretario Poggiolini, beccati con “le mani nella marmellata”.

In tutti questi interventi e nella parallela guerra mass-mediologica contro la “malasanità”, la sanità è trattata come un settore dell’economia nazionale che deve essere valutata sulla base dell’efficienza produttiva e di conseguenza ridotta ai soliti parametri economici.

Reclamando a gran voce la “liberalizzazione” e la “privatizzazione” si arriva al 1992, al Decreto 502 del governo Amato dal titolo Riordino della disciplina in materia sanitaria, che introduce pesanti tagli all’assistenza sanitaria, basandosi sul concetto che lo Stato non può garantire tutto a tutti, ma solo erogare uno standard minimo di prestazioni, lasciando così di conseguenza, alle Regioni, il compito di ridefinire i fondi attraverso una maggiore autonomia impositiva (dalla riduzione degli esoneri ai ticket, all’aumento dei contributi sanitari versato dai/dalle lavoratori/trici). In questo modo, dal punto di vista normativo ed economico si esautora l’ente che era stato il cardine della 833, cioè il Comune.

Come conseguenza alle USL è attribuita autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, della gestione e tecnica con un’organizzazione tipica del modello aziendale. Avviene di conseguenza il trasferimento di denaro dallo Stato alle USL, secondo parametri non più determinati dai bisogni dei cittadini, ma dalle risorse disponibili e la remunerazione, secondo la logica del mercato, sarà a tariffa, cioè in base alle prestazioni erogate.

Con il decreto 502 s’introduce la legge del mercato del profitto nella sanità pubblica e questo comporterà come vedremo conseguenze molto gravi.

I primi effetti si cominciano a vedere da subito, il 1° gennaio 1993 lo Stato non ripiana più il disavanzo delle regioni, con un’inevitabile diminuzione quantitativa delle prestazioni e uno scadimento qualitativo, oltre ad un maggior costo per chi ne usufruisce.

Gli ospedali specialistici sono costituiti in aziende dotate di autonomia amministrativa, è autorizzato l’accorpamento degli ospedali generali nelle USL dove ne esistono più d’uno, viene disposta la costituzione di appositi fondi integrativi sanitari per fornire prestazioni aggiuntive rispetto a quelle assicurate dal SSN (favorendo quindi le assicurazioni e spremendo i lavoratori), viene disposta la creazione di una forma di assistenza differenziata (a questo fine le regioni hanno ricevuto la facoltà di creare società miste a capitale pubblico e privato), viene demandata alle regioni la diminuzione del numero delle USL, in modo che, a parte alcune eccezioni, ogni USL coincida con una provincia.

Nel 1992 le esenzioni dai tickets per fasce di reddito stabilite sono abolite e nel 1994 sono ridotte si soli minori di 12 anni ed agli ultra sessantenni.

Nel 1995 lo Stato riduce del 18% la spesa sanitaria destinata all’acquisto di beni e servizi.

La Legge Finanziaria del 1993 dispone ancora dei tagli:

 

  • Diminuzione ulteriore dei posti letto, da 6 a 5.5 ogni 1.000 abitanti (tornando così al livello del 1962).
  • Inasprimento dei tickets sui farmaci e sulle prestazioni sanitarie.
  • Istituzioni dei tickets sul pronto soccorso, quando non sia seguito da ricovero.

 

 

Con la privatizzazione sono dati, all’interno dei presidi ospedalieri e delle aziende ospedaliere, spazi ai medici per l’esercizio della libera professione, riservando a camere a pagamento (con meno del 5% e non più del 10% dei posti letto disponibili).

Con la Legge Finanziaria del 1998, infine, si arrivò al blocco delle assunzioni.

Con tutti questi provvedimenti è avviato è avviato e portato avanti il processo di privatizzazione della sanità che verrà completato con la cosiddetta “Riforma sanitaria ter” ovvero il Decreto Legislativo del 19/06/1999 n. 229, del Ministero della Sanità dell’allora governo di Centro-sinistra Rosy Bindi.

Questa legge accelera il processo di aziendalizzazione e privatizzazione della sanità, le aziende sanitarie sono disciplinate con atto aziendale di diritto privato, soggette al vincolo di bilancio e governate da un Direttore Generale, affiancato da un Direttore Sanitario e un Direttore Amministrativo, che ha poteri mai visti prima nella dirigenza pubblica.

Il Direttore Generale è responsabile di tutta la gestione e dei risultati economici dell’azienda, se crea profitto, guadagna di più, altrimenti può essere buttato fuori.

Le conseguenze dell’agire di questa figura sono sotto gli occhi di tutti, si è risparmiato su tutto: personale, strutture, apparecchiature, perfino lenzuola, aghi, siringhe, ecc. per puntare solo all’apertura di reparti ultra specialistici, all’uso di apparecchiature più sofisticate o alla moda che servissero ad attirare clienti soprattutto da ASL che devono così pagare la prestazione. Si sono inventate, per il profitto, modalità di gestione impensabili, per esempio in certi casi, si sono affittati spazi ospedalieri pubblici a medici privati.

Il Direttore Generale è potente solo verso il basso e assolutamente inerme verso l’alto, dove comandano i Governatori delle Regioni (definizione pomposa per definire i Presidenti di Giunta) e gli Assessori della sanità che lo designano in base ai propri criteri partitici e lo tengono permanentemente sotto ricatto, potendolo anche destituire.

Questo meccanismo ha dato il via a una lottizzazione sfrenata, che va dai primari alle caposala e vede coinvolti Direttori Generali di Centro-sinistra (all’epoca al governo di ben 18 regioni italiane) e Direttori di Centro-destra.

Sempre in quest’ottica si sono vincolati anche i primari e perfino le caposala alla gestione di un budget, trasformandoli da medici in manager che devono far guadagnare l’azienda e si è dato sempre più spazio alla libera professione intramoenia, a scapito dei servizi cui potessero accedere anche i non paganti.

Nel luglio 2005 un primario di oncologia a Siena è stato destituito dall’incarico per non aver ridotto del 50% i posti letto, come invece aveva deciso l’Azienda.

Una grave novità introdotta dal Decreto n. 229 è la sperimentazione della gestione, cioè la possibilità di sperimentare nuovi modelli di gestione che prevedono forme di collaborazione fra strutture pubbliche e private, anche con la costituzione di società a capitale misto pubblico-privato. Siamo passati da una sanità privata che lavorava parallelamente a quella pubblica all’introduzione del capitale privato dentro il servizio pubblico.

Sempre di più vale il principio che non sono i bisogni e determinare le risorse, ma viceversa, che si concretizza con l’introduzione dei nuovi criteri di remunerazione per le prestazioni: il finanziamento è calcolato in base al costo standard prestabilito a livello centrale del Ministero e locale delle Regioni per ogni programma di assistenza (intervenuti chirurgici, programmi per patologie croniche o recidivanti ecc.), i famosi DRG.

Si arriva alla “riforma” del Titolo V della Costituzione, Legge costituzionale n. 3 18/10/2001, voluta dal Governo di Centro-sinistra, che riscrive tutto l’articolo 117 e porta avanti il processo di attribuzione di ulteriori competenze alle regioni in ambito sanitario.

Con questa riforma alle regioni sono attribuiti poteri di legislazione su molte materie, quali: sanità, scuola, ambiente e altre che sono così sganciate dalla potestà statale. Con il vecchio articolo 117 lo Stato affidava alle regioni la gestione dell’assistenza sanitaria e ospedaliera, adesso l’asse di riferimento del Sistema Sanitario sono le Regioni alle regioni la gestione dell’assistenza sanitaria ed ospedaliera, adesso l’asse di riferimento del Sistema Sanitario sono le Regioni, che decidono le linee di politica sanitaria nella più completa autonomia. Lo Stato garantisce solo che siano erogati standard minimi di prestazioni, i famigerati LEA.

Con la riforma del Titolo V della Costituzione, si è innescato un pericoloso meccanismo federalista che è stato portato a compimento da un’altra Legge di revisione costituzionale di chiara ispirazione bossiana, approvata nel 2005.

Questa legge rivede tutti il sistema di rappresentanza politica, modifica la struttura della Camera dei Deputati e del Senato, le funzioni del capo dello Stato e del Presidente del Consiglio dei ministri e porta a compimento l’autonomia delle Regioni (e creando nello stesso tempo un neocentralismo regionale e presidenzialismo nel quadro del rafforzamento degli esecutivi).

Le regioni non saranno più vincolare da alcun principio statale nemmeno dalla garanzia degli standard minimi delle prestazioni, ognuno dovrà fare con suoi mezzi: è la famosa devolution.

In questo modo si sono spalancate le porte alla privatizzazione più selvaggia, alla cancellazione della prevenzione, dei servizi di base, dell’assistenza sanitaria, dei piccoli ospedali a favore delle attività ultraspecialistiche dei grandi policlinici, in cui sempre più prestazioni saranno a pagamento, alle assicurazioni.

 

 

IL MODELLO DELLA SANITA’ DELLA LOMBARDIA

 

La Lombardia il centro-destra, ha portato avanti (come il Centro-sinistra nelle regioni cosiddette “rosse”) un’opera di distruzione dello Stato sociale. La sanità (come la scuola), è diventata un laboratorio sperimentale, per capire come si possa smantellare il sistema pubblico, azzerandolo, e facendo che sia il mercato, che (come si trattasse di una fabbrica di scarpe) regola la domanda e l’offerta, che è legata direttamente ai “famosi conti che devono tornare”, in sintesi che ci sia un profitto.

Nel modello lombardo c’è una separazione fra acquirenti di prestazioni ed erogatori (da notare l’uso della terminologia per definire pazienti e operatori), fra domanda e offerta, e pur volendo il piano sanitario governare la domanda e l’offerta, è il livello dell’offerta ad influenzare la domanda stessa.

Da una parte c’è cittadino, considerato il centro del sistema, cui è lasciata apparentemente “libera scelta”, dall’altra, vi sono le varie offerte pubbliche, private, convenzionate o meno (attraverso un sistema di rimborsi), appartenenti a settori profit e no profit. Con questo modello si crea un sistema a rete integrato con un’equiparazione di tutti i soggetti che vi partecipano, sia pubblici e/o privati, che competono tra loro secondo principi di sussidiarietà orizzontale e verticale.

Ogni struttura sanitaria deve avere piena libertà di azione e piena responsabilità, deve dare risposte “efficaci ed efficienti nel rispetto di un budget prestabilito”. In soldoni la libertà di azione si concretizza nella ricerca delle misure concrete atte a rispettare il budget, pena l’eventuale defenestrazione … di manager e dirigenti.

La Lombardia realizza così un sistema autonomo di sanità, sposando il pieno il concetto bossiano di “devoluzione”, per cui allo Stato rimane solo la possibilità (non l’obbligo) di determinare i livelli essenziali di assistenza e alle regioni tutta la vera gestione della sanità: in questo modo si rinuncia al principio che ai cittadini italiani siano garantiti uguali in materia di salute, indipendentemente dal fatto che risiedono in regioni più o meno ricche e con diversa presenza di strutture sanitarie.

Nell’era della devolution ogni regione deve avere più risorse, e la Regione Lombardia rivendica soprattutto la possibilità di sperimentare nuovi modelli gestionali, avendo più autonomia nella contrattazione decentrata con i sindacati e nella politica del farmaco.

Con la piena devoluzione la regione deve attivare norme di programmazione, indirizzo, controllo e dare la più completa autonomia alle Azienda Sanitarie, soprattutto ospedaliere, le quali devono adottare tecniche di managment avanzate, realizzare l’integrazione e la parificazione fra strutture pubbliche e private.

Questa equiparazione delle strutture sanitarie pubbliche e private ha costretto le Aziende Ospedaliere a competere sul mercato con i privati accreditati, in una corsa sempre più sfrenata a produrre prestazioni remunerative a tutto discapito di quelle meno valorizzate che solo il pubblico è obbligato a fornire. Il risultato sarà che il deficit regionale salirà alle stelle, e in compenso, le liste di attesa regionali per alcuni interventi scarsamente remunerativi, si allungheranno senza speranza, mentre prolifereranno case di cura, medical-center (di varia natura e collocazione), assolutamente privi di controlli sia per quanto riguarda il numero di prestazioni erogate, che soprattutto per la qualità delle cure erogate, senza dimenticare la questione della sicurezza. La ricetta che è proposta diventa terreno di prova per conseguire agli effetti speculativi del privato la gestione della salute pubblica, avvicinandosi al modello USA, una “democrazia matura” in cui i cittadini sono privi di assistenza sanitaria se non può pagarsi un’assicurazione privata!

Oltre a questo la Lombardia ha sempre auspicato la trasformazione delle aziende ospedaliere pubbliche in fondazioni con la partecipazione di soggetti pubblici e privati, profit e no profit.

Queste aziende dovranno realizzare un profitto e quindi un consistente taglio dei posti letto per acuti, per riattivare un posto letto per acuti in un settore specialistico è necessario ridurne a due in un altro.

Parallelamente è partita una grossa ristrutturazione dei servizi di emergenza- urgenza e perciò nella “progredita” Lombardia, può accadere, che una signora anziana sia rifiutata da vari ospedali per mancanza di posti sia in reparti di emergenza-urgenza sia nelle medicine, e muoia prima di trovare una collocazione.

Sempre nella logica della riduzione dei posti letto, gli ospedali di piccole dimensioni saranno trasformati in “strutture leggere” per ricoveri diurni e specialistiche ambulatoriali.

Per valutare gli effetti che questi pesanti cambiamenti avranno sui risultati, è stato messo in piedi un imponente sistema valutativo mediante indicatori di accreditamento, di qualità delle prestazioni, del tempo di attesa, indicatori economico-finanziari, come: costo medio per assistito, costo del personale in base ai ricavi ottenuti, indicatori di mantenimento della spesa entro i limiti previsti.

Vengono anche prese in considerazione determinate variabili di sistema: variabili input, che considerano personale e utenti come partecipanti a processi produttivi, variabili di risultato ed efficienza, output, variabili di efficacia, outcome. Inoltre è necessaria una metodologia di valutazione dell’attività a garanzia della qualità dell’assistenza e del corretto utilizzo delle risorse, che tenga in considerazione anche la valutazione della soddisfazione dell’utenza, in termini di qualità percepita.

Il sistema lombardo della libertà di scelta e dell’equiparazione fra tutte le strutture, Formaggino ha offerto al privato un business senza precedenti, accreditando centinaia di privati (attraverso l’autocertificazione) a ricevere dalla regione rimborsi stellari per le cure private, cure accuratamente scelte fra quelle più remunerative, come i famigerati DRG (Gruppi Omogenei di Diagnosi), tariffario delle patologie alle quali corrisponde un intervento sanitario con un diverso rimborso economico.

Un altro aspetto da sottolineare in questo modello è la veloce trasformazione delle strutture pubbliche in aziende, in seguito alla separazione tra prestazioni e offerta, tra chi produce prestazioni sanitarie (strutture sanitarie di vario tipo) e chi le compra per conto del cittadino (ASL), gestendo una quota per ogni residente sul proprio territorio, con la quale deve anche assicurare gli aspetti di assistenza sociale connessi trattamento sanitario. Come conseguenza, le aziende sanitarie, come conseguenza, le aziende sanitarie tenderanno a scaricare tutti i costi connessi all’assistenza sociosanitario ai comuni.

Tutto questo è stato scritto chiaramente nel Piano Sanitario Regionale 2002-04 della Lombardia, dove, a proposito dell’assistenza domiciliare, si assiste a un vero abbandono dell’ente pubblico che si limita a dare ai cittadini buoni un assegno di 413€ circa per assistere anziani non autosufficienti, disabili, malati psichici e terminali a domicilio.

Tutta l’assistenza territoriale, disabili il suo carico di problemi sociali e sanitari, strettamente interconnessi fra loro, viene affidata ad un sistema di mance date a chi (soprattutto donne) starà a casa ad occuparsi di patologie e disagi di vario tipo.

C’è un altro aspetto da considerare, parlando della sanità lombarda, ed è cessione alle Fondazioni (ossia ai privati) di 35 IRCC (Istituti di Ricovero e Cura a carattere scientifico), di cui 15 a carattere pubblico, fra le quali molte situate a Milano, come l’Istituto dei Tumori, il Neurologico Besta e il Policlinico.

 

 

 

UN BUSINESS CON CIFRE DA CAPOGIRO

 

 

Come si diceva prima l’assistenza sanitaria in Lombardia è diventata una grande opportunità di affari. Il giro di affari è di oltre 16 miliardi di euro. Dal 2001 al 2008 le strutture accreditate sono aumentate di 277 unità pari a un aumento del 70%, mentre il pubblico cala di anno in anno.

Bisogna tenere conto che questo modello lombardo non nasce dal nulla, non è frutto delle idee “geniali” di Formigoni e di CL, ma come si è messo in evidenza prima, nasce dentro un quadro ben preciso della privatizzazione della sanità.

Come dicevo prima (ed è un bene ripeterlo costantemente), la sanità lombarda (come la scuola), diventa un laboratorio sperimentale (sulla pelle dei cittadini che ora sono definiti clienti) su come si possa smantellare il sistema pubblico, azzerando il più possibile le contraddizioni che inevitabilmente emergeranno sia sul fronte dei lavoratori, sia su quello dell’utenza.

In questo quadro, ogni struttura sanitaria deve avere piena libertà di azione e di responsabilità, deve dare risposte “efficaci ed efficaci nel rispetto di un budget prestabilito”. In soldoni la libertà si concretizza nella ricerca delle misure concrete atte a rispettare un budget, pena l’eventuale defenestrazione di manager e dirigenti.

La Lombardia realizza così un sistema autonomo di sanità, sposando in pieno il concetto di devoluzione per cui allo Stato rimane solo la possibilità non l’obbligo di determinare i livelli di assistenza e alle regioni tutta la vera gestione della sanità: questo significa l’abbandono di un’assistenza a tutti, indipendentemente dal fatto che si risieda o no in regioni più o meno ricche e con diverse prestazioni sanitarie.

Nell’era della devolution ogni regione richiede più più risorse, e la Regione Lombardia rivendica soprattutto la possibilità di sperimentare nuovi modelli gestionali, avendo più autonomia nella contrattazione decentrata con i sindacati e nella politica del farmaco.

Con la piena devoluzione, la regione deve attirare norme di programmazione, indirizzo, controllo e dare la più completa autonomia alle Aziende Sanitarie, soprattutto quelle ospedaliere, le quali devono adottare tecniche di management avanzate, realizzare l’integrazione e la parificazione fra strutture pubbliche e private.

Questa equiparazione delle strutture sanitarie private e pubbliche ha costretto le Aziende Ospedaliere a competere sul mercato con i privati, in una corsa sempre più sfrenata a produrre prestazioni remunerative a tutto discapito di quelle meno valorizzate che solo il pubblico è obbligato a fornire. Il risultato sarà che il deficit regionale salirà alle stelle, e in compenso, le liste di attesa regionali per alcuni interventi scarsamente remunerativi, si allungheranno senza speranza, mentre proliferano case di cure medical-center, assolutamente privi di controllo sia per quanto riguarda il numero delle prestazioni erogate, che soprattutto della qualità delle cure erogate, senza dimenticare la questione delle sicurezza.

Oltre a questo la Lombardia auspica la trasformazione delle aziende pubbliche in fondazioni con la partecipazione di soggetti pubblici e privati.

Queste aziende dovranno realizzare un profitto e quindi è previsto un consistente taglio dei posti letto per acuti, per riattivare un posto per acuti in un settore specialistico è necessario ridurne due in un altro. I posti letto per patologie acute saranno ridotti fino a quattro per mille.

Parallelamente è partita una grossa ristrutturazione dei servizi di emergenza urgenza e perciò anche nella “progredita” Lombardia, può accadere che una signora anziana sia rifiutata da vari ospedali per mancanza di posti dia in reparti di emergenza-urgenza, che nelle medicine, e muoia prima di trovare una collocazione.

Sempre nella logica della riduzione dei posti letto, gli ospedali di piccole dimensioni sono trasformati in “strutture leggere” per ricoveri diurni e specialistiche ambulatoriali.

Per valutare gli effetti pesanti che questi cambiamenti avranno sui risultati, e stato messo in piedi un sistema valutativo mediante indicatori di accreditamento, di qualità delle prestazioni, del tempo di attesa, degli indicatori economici finanziari, come: costo del personale, costo medio per assistito, costo del personale in base ai ricavi ottenuti, indicatori di mantenitori della spesa entro i limiti previsti.

Sono presi in considerazione determinate variabili di sistema quali:

 

  • Variabili d’imput, che considerano personale e utenti come partecipanti a processi produttivi.
  • Variabili di risultato ed efficienza.
  • Variabili di output.
  • Variabili di efficacia.
  • Variabili di out come.

 

Inoltre è necessaria una metodologia di valutazione a garanzia della qualità dell’assistenza e del corretto utilizzo delle risorse, che tenga in considerazione anche la valutazione della soddisfazione dell’utenza, in termini di qualità percepita.

Tutto questo sistema sarà garantito da un’agenzia di valutazione regionale, svincolata dal sistema sanitario, che esternalizzerà ad aziende del settore, oltre che tutto il lavoro, anche le verifiche necessarie.

Si accentua così il processo di esternalizzazione dei servizi legati alla sanità che arriva fino all’assistenza ai malati, verso le cooperative (il famigerato terzo settore dell’economia). All’interno delle cooperative (come di tutto il cosiddetto “no profit”) c’è sfruttamento dei lavoratori, dove sono fatti figurare spesso e volentieri come soci-lavoratori.

Ritornando al sistema valutativo, il non superamento dei livelli stabiliti può significare per le strutture esaminate anche la fuoriuscita dal sistema sanitario.

Un altro aspetto da rilevare in questo modello è la veloce trasformazione delle strutture pubbliche in aziende, in seguito alla separazione tra prestazioni e offerta, tra chi produce prestazioni sanitarie (strutture sanitarie di vario tipo) e chi le compra per conto del cittadino (ASL), gestendo una quota capitaria per ogni residente sul territorio, con la quale deve anche assicurare gli aspetti di assistenza sociale connessi al trattamento sanitario. Come conseguenza, le aziende sanitarie sempre di più dal settore socio-sanitario, cercando di scaricare i costi connessi ai comuni.

Durante il periodo che Formigoni è stato Presidente della Giunta lombarda tutti i più importanti ospedali della Lombardia erano (e in parte lo sono tuttora) alla Compagni delle Opere(CdO), i più grandi come il Niguarda e il gruppo San Donato, del patron Giuseppe Rottelli, azionista del Rcs (Corriere della Sera) e quelle dell’hinterland come Desio e Vimercate, e poi Busto Arsizio, Lodi, l’ASL e l’Ospedale Civile di Brescia, le ASL della provincia di Como, Pavia, Mantova e Lodi. L’Ospedale Mellini di Chiari, gli Istituti di Cremona, l’Ospedale Maggiore di Crema e l’A.O. della Valtellina e della Valchiavenna.

In Lombardia il monopolio clericale è avanzato grazie alla colonizzazione mirata operata direttamente da Formigoni delle direzioni sanitarie. Furono collocati, ciellini, nelle posizioni strategiche: al Niguarda, al San Matteo di Pavia, all’Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli, nell’A.O. di Mantova. A dirigere l’Ospedale di Castiglione delle Stiviere (trasformato in Fondazione), c’è l’imprenditore Guarrino Nicchio, vicino alla Compagnia delle Opere, che si occupa di due ospedali e tre residenze assistenziali. Complessivamente dei 48 direttori sanitari, ben 12 erano legati a CL.

Non bisogna dimenticare che nella Puglia del sinistro Vendola fu firmato da parte della Regione un accordo, con cui il San Raffaele, per la costruzione di un ospedale sarà finanziato dal pubblico e sarà gestito dalla fondazione privata San Raffaele (ora penso di capire perché una forza politica come il SEL di Vendola inneggia alla libertà, evidentemente alla libera iniziativa privata foraggiata con soldi pubblici).

Questa colonizzazione clericale della sanità lombarda, non solo di quella pubblica ma anche di quella privata, resta per CL una priorità, non solo economica ma anche ideologica (assieme, ovviamente, alla scuola e all’Università, alla formazione professionale, al cosiddetto “terzo settore”, all’Ente Fiera ecc.) ma anche per altre agguerrite lobby clericali-confindustraili-fasciste come l’Opus Dei. E in atto uno scontro tra le varie fazioni delle alte gerarchie ecclesiastiche e della massoneria piduista per ottenere il monopolio della sanità lombarda, uno scontro che vede coinvolgere CL, e l’Opus Dei, Tettamanzi, Scola e Bertone e quindi dell’allora PDL, della Lega, dell’UDC e del PD.

 

E I SOLDI NON CI SONO MAI…

 

 

In una fase di crisi e di tagli alla spesa pubblica, qualcuno (ingenuamente) potrebbe pensare che anche i finanziamenti alle strutture private convenzionate e in particolare a una struttura come al San Raffaele per via del buco pauroso del bilancio, sarebbero diminuiti.

Giammai. Il San Raffaele mantiene tuttora il record di soldi pubblici ricevuti dalla Regione Lombardia, lo dimostra la delibera dell’agosto del 2011. Al San Raffaele sono stati assegnati 41 milioni extra, pari 37.906 a posti letto.

Ed è la somma più contenuta nel provvedimento del 4 agosto che distribuisce complessivamente 995 milioni di euro agli oltre 220 ospedali pubblici e privati lombardi. Sono i fondi concessi come riconoscimento di “attività d’eccellenza”.

Il terreno della discrezionalità è quello pascolano e prosperano anche intermediari e faccendieri, che spesso si spacciano come emissari ufficiosi dei dirigenti pubblici. Questo sistema di consulenti che fungono da intermediari senza alcun titolo tra chi paga (Regione) e chi eroga il servizio (strutture sanitarie) stando alle voci che circolano nel mondo della sanità, sarebbe assai diffuso. In questa terra di nessuno si muovono rivoli di denaro che alcuni chiamano tangenti, altre consulenze.

Sta di fatto che questo bonus regionale muove decine di milioni e spesso è decisivo per fare quadrare il bilancio.

Questi soldi d’agosto ad aggiungersi ai rimborsi (DRG) per le singole prestazioni: il San Raffaele con i DRG porta a casa dalla Regione Lombardia 450 milioni di euro l’anno.

Il San Raffaele ha beneficiato di un flusso si soldi pubblici senza pari. Basta spulciare i bonus ricevuti in Lombardia da altri istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), che pone il San Raffaele, si è Ministero della salute per “l’eccellenza” nell’attività clinica, nella ricerca e nella didattica.

Il Policlinico di Milano, a parità di posti di letto (1088), riceve 38,2 milioni, tre in meno. Il San Matteo di Pavia, con mille lotte, riceve 25,4 milioni. L’Istituto dei Tumori, punto di riferimento a livello italiano per le cure contro il cancro, ottiene 12,1 milioni cioè 28.300€ a posto letto contro i 37.906 del San Raffaele. Il Policlinico San Donato di Giuseppe Rotelli è rimborsato la metà (18.600 a letto per 8,1 milioni totali), discorso simile per l’Humanitas della famiglia Rocca (14.800€ a posti letto per 9,6 milioni). Solo la IEO di Veronesi e solo nel 2011, è appena sopra il livello del San Raffaele: 8,7 milioni di finanziamenti pari a quasi 45.000€ posti letto.

 

 

MA COME E’ STATO POSSIBILE IL BUCO?

 

 

 

Questo che potrebbe essere il titolo di un programma televisivo, è una domanda più che legittima visto i fiumi di denaro pubblico che sono affluiti verso il San Raffaele.

Il mistero (mistero per noi profani e miscredenti che sono fuori da queste vicende “divine”ovviamente) comincia un giorno del luglio del 2011, quando Mario Cal suicida (così che viene data la notizia) nel suo studio. Cal sarebbe dovuto essere ascoltato dalla Procura della Repubblica, come testimone, per definire i contorni e le dimensioni del maxi buco del San Raffaele.

Questo suicidio pone interrogativi, prima quello della pistola già conservata in un sacchetto di plastica nel mare di sangue in cui cadavere Cal è stato trovato. Come mai? Chi ha provveduto?

Torniamo alla possibile origine dei debiti. Si sapeva che il San Raffaele faceva le cose in grande, spendeva e spandeva. Un esempio è la cupola di 60 metri d’altezza sovrastata da una statua di 8 metri dell’angelo San Raffaele. Oppure gli hotel in Sardegna[1] e le piantagioni di mango in Brasile.

Cal lasciò un ultimo segnale ai magistrati, lasciando in una villetta di sua proprietà, l’archivio delle operazioni occulte del San Raffaele.[2]

Questa parte occulta parla di consulenze, e di fatture in apparenza inspiegabili, di aerei e Joint ventur. In questi fascicoli Cal ha reso evidente alcune operazioni.

Una è l’operazione inerente, l’aeroplano Challenger CL 604, passata attraverso l’Assion Aircraft & Yachting, che è una scatola con sede ad Auckland (Nuova Zelanda). I fatti risalgono al 2007, quando don Verzè sostituisce il vecchio aereo con uno più lussuoso e in grado di fare voli transoceanici. I soldi, circa 13 milioni di euro li garantiva la Fondazione, ma arrivano attraverso una società finanziaria, la Sg Equipment Finance Scweiz, da una società del gruppo francese Société Generale e in particolare dalla filiale svizzera di Zurigo con la quale Airviaggi, la partecipante del San Raffaele che controlla la Assion, apre un leasing. Chi si occupa di tutto è Piero Daccò.

Daccò sarebbe l’uomo che avrebbe il ruolo ufficiale di collegamento tra il San Raffaele e un gruppo di manager e politici della Regione Lombardia. L’uomo, italiano con residenza a Londra, ufficio in Svizzera, casa a Sant’Angelo Lodigiano (Lodi) e interessi in Cile, è un ex fornitore per l’ospedale Fatebenefratelli di Milano[3] in sostanza è la longa manus degli uomini della Regione Lombardia.

A Lugano, ha l’ufficio, la Juvans International, che sarebbe riconducibile secondo molti fonti a Daccò. Essa non è altro che una succursale della Juvans Bv olandese.

La Juvans è indicata come controparte in numerose transazioni finanziarie che aveva come controparte il San Raffaele.

In un altro fascicolo Cal indica una consulenza affidata a Daccò attraverso una società austriaca, l’Harman Holding, che fu incaricata di gestire i contenziosi legali esteri. Un lavoro remunerato per mezzo milione di euro. Un’altra operazione riguarda l’EdiRaf, la società di costruzione del San Raffaele che l’ospedale ha condotto tra il 2001 e il 2008 in Joint venture con la Diodoro Costruzioni Srl, una società di Pierino Zammarchi, oggi liquidata. La Diodoro ha costruito la residenza alberghiera del San Raffaele, e attraverso la Method ha partecipato ai lavori della costruzione di Olbia, a quelli dell’ospedale in Brasile e negli otto anni ha incassato fatture (non solo dal San Raffaele) fatture per 271 milioni. Fino al 2006 ha avuto tra i suoi soci anche un politico locale, Emilio Santomauro, dell’UDC, due volte consigliere comunale a Milano ed ex presidente della Commissione Urbanistica del Comune di Milano e già vicepresidente della SOGEMI, la società del Comune gestisce l’Ortomercato. Dire Ortomercato significa mafia e non è un caso che la Procura di Milano arriva a sospettare che Santomauro e Zammarchi possano essere dei prestanome della Camorra. Zammarchi arriva a raccontare di essere stato vittima di una serie di pressioni di alcuni malavitosi. Il magistrato che lo assolve scrive che è “solo un imprenditore che ha la pessima idea di farsi prestare soldi da un mafioso e da quel momento ne diviene vittima”. Il processo a suo carico si conclude, nel marzo 2011, con un assoluzione per formula piena: la motivazione è che non vi alcuna prova dei legami di questa società con la camorra.[4] Dopo l’assoluzione Zammarchi ritorna a frequentare Cal negli ultimi mesi della sua vita, con pranzi e frequentazioni molto frequenti.

Nelle carte di CAL c’è l’altra grande diversificazione di don Verzè e Giuseppe Grossi, il re delle bonifiche milanesi, vicino manco a dirlo a CL, ex consigliere della Fondazione San Raffaele. Il duetto ha costituito la Blu Energy (destinata in seguito alla vendita): in tre anni di vita la società ha accumulato 116 milioni di debiti, soldi per lo più ricevuti dalle banche (79,8 milioni) e utilizzati per costruire l’impianto di produzione si energia di Vimodrone (MI). La missione di Blu Energy erano forniture elettricità al San Raffaele. Ma all’ospedale ha fatto solo lievitare i costi di approvvigionamento da 11 a 41 milioni.

Tutte queste operazioni farebbero pensare a fondi segreti. Secondo fonti giornalistiche[5] il deputato PDL il deputato del PDL Enrico Pianeta,[6] quello che aveva contribuito a fa riversare sul San Raffaele massicci finanziamenti pubblici con la finalità ufficiale di realizzare opere nel Terzo Mondo, avrebbe favorito il flusso di fondi dall’Italia verso l’estero (soprattutto in Brasile, dove il San Raffaele ha molte attività). Ma prima di arrivare a destinazione quel patrimonio avrebbe fatto “sosta”, guarda caso, in Svizzera, per poi ripartire più leggero.

Quest’affermazione da un punto di vista economico e politico di CL nella sanità, come in altri settori, è mal vista dall’OPUS DEI.

Il giorno che si suicidò Cal, Rutelli fece un comunicato che scatenò, via agenzie, un furioso litigio tra lui e Formigoni. Colpisce che Rutelli intervenga su una vicenda – seppur grave a livello nazionale per via del buco di oltre un miliardo e mezzo di un importante struttura come il San Raffaele – in cui altri leader politici si sono ben guardati dal dire una parola soprattutto nel giorno del suicidio si Cal.

Da dove viene questo fervore di Rutelli per una struttura privata?

E bene ricordare il rapporto che esiste tra il cardinale Tarcisio Bertone e Francesco Rutelli. È un rapporto che si basa sulla stima reciproca che dura da anni. Basti ricordare che nella sua prima uscita pubblica da segretario di Stato vaticano, in occasione di un concerto all’Auditorium di Via Conciliazione – nel settembre 2006 – l’allora vicepresidente del consiglio era presente con altri uomini del centrosinistra tra i quali Alfonso Pecoraro Scanio, Claudio Petruccioli e Vincenzo Vita.

Non solo. Giusto un anno dopo, in occasione della presentazione del libro del segretario di Stato L’ultima veggente di Fatima. I miei colloqui con suor Lucia opera redatta con il vaticanista del Tg1 Giuseppe De Carli, tra gli altri, sedeva anche Francesco Rutelli, che ricordò in quella sede filiale devozione mariana di Giovanna Paolo II. Ora Rutelli dai trascorsi radicali negli anni ’70 che non erano certo vicini a santa romana chiesa, si è convertito tanto da sposarsi in chiesa ed entrare in contatto con l’Opus. Non a caso nel 2002 partecipa a un convegno dedicato al beato Escrivrà (il fondatore dell’Opus Dei) prossimo a essere proclamato santo.

Dunque dietro il battibecco tra Rutelli e Formigoni si cela il tentativo dell’Opus Dei di prendere la guida del sistema sanitario lombardo (e dei relativi affari) messo a dura prova da alcune mosse quali ad esempio:

 

  • Il salvataggio da parte dello IOR del San Raffaele.
  • Il salvataggio di manager romani.
  • Il tentativo di far dimenticare di far dimettere il cardinale Tettamanzi dall’istituto Toniolo – che controlla l’Università Cattolica e del Policlinico Gemelli di Roma – prima dell’arrivo del neo Arcivescovo di Milano Angelo Scola.

 

In sostanza si tratta di una lotta per contendersi una torta miliardaria legata alla sanità.

 

RIORDINO DELLA SANITA’ LOMBARDA O “RIORDINO DEI POTERI” ALL’INTERNO DEL CENTRO DESTRA?

 

 

Come si è visto nei 15 anni di presidenza della Regione Formigoni era riuscito ad assicurarsi non solo il controllo della sanità ma anche del territorio attraverso un collaudatissima rete clientelare; in un audizione del dicembre 2015; alla Commissione Speciale Antimafia Regionale, Nando dalla Chiesa sottolineava che la Sanità rappresenta un tassello importante di questa rete clientelare; infatti le difficoltà a superare le liste di attesa per esami, visite specialistiche, interventi chirurgici possono essere superate attraverso medici o amministratori compiacenti; si rafforza così la “stima” della gente nei confronti del politico di riferimento, mentre gli operatori della Sanità sanno che la vicinanza dell’associazionismo cattolico spiana la possibilità di carriera.

Maroni quindi ha sempre cercato di cambiare i direttori generali di ASL e Ospedali; solo negli ultimi tempi gli è riuscita grazie alla Magistratura che ha incriminato vari dirigenti regionali e soprattutto l’Assessore alla Salute Mantovani, che occupava quel posto in palese conflitto d’interessi poiché proprietario di una rete di Residence Sanitarie-Assistenziali (RSA).

La sanità dell’era maroniana prevede diverse cose. Innanzitutto una variazione della denominazione degli strumenti con cui la Regione vuole gestire i servizi Sanitari, Sociosanitari e Sociali; questi sono numerosi perché non c’è stato alcun sforzo (ma forse sarebbe meglio dire che Forza Italia non ne ha dato la possibilità alla Lega) di sburocratizzare le istituzioni sanitarie.

Senza dubbio l’atto più importante di questo riordino è l’accorpamento degli assessorati alla Salute e della Famiglia, che in linea teorica farebbe intravedere una volontà di procedere verso una integrazione tra servizi sanitari, sociosanitari e sociali; peccato che la legge non prevedeva più i distretti che nonostante i limiti e le incongruenze erano un luogo di integrazione tra servizi sanitari e servizi sociali, di cui i Comuni sono titolari. Solo l’approvazione di un emendamento dell’opposizione permetteva la sopravvivenza dei distretti, ma senza concedere all’assemblea dei Sindaci (organo di rappresentanza dei Sindaci di un distretto) quei poteri decisionali e non solo consultivi che renderebbero più efficace l’integrazione sociale e sanitaria ad esempio i NIL (nuclei per l’inserimento lavorativo) avrebbero bisogno di una stretta collaborazione coi servizi di diagnosi di disabilità ed invalidità; l’ADI (Assistenza domiciliare integrata) dovrebbe incentivare la cooperazione tra operatori sanitari e sociali. Gli esempi sono moltissimi, tutti causa di malessere tra gli assistiti che non capiscono cosa tocchi fare ai servizi delle ex ASL e cosa ai servizi comunali.

Forse nello spirito della nuova legge, queste incongruenze dovrebbe superate dalle ATS (Azienda di Tutela della Salute) con funzioni sovrapponibili alle ex ASL, cioè PAC (Programmazione, Acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti pubblici e privati, Controllo), compiti questi in parte sovrapponibili a quelli della Direzione Generale dell’Assessorato; vedremo se questa duplicazione avrà effetti pratici positivi.

Le ATS sono 8 mentre le ASL erano 15 e sono:

 

  • ATS Città Metropolitana (ASL MI, MI1, MI 2, Lodi).
  • ATS Insumbria (vecchie ASL Varese e Como).
  • ATS Brianza (vecchie ASL Lecco e Monza).
  • ATS Bergamo (vecchia ASL Bergamo).
  • ATS Brescia (vecchia ASL Brescia).
  • ATS Pavia (vecchia ASL Pavia).
  • ATS della Val Padana (vecchie ASL di Mantova e Cremona).
  • ATS della Montagna (vecchie ASL di Sondrio e Val Camonica).

 

 

È abolita la Conferenza dei Sindaci (organo di rappresentanza consultiva dei Sindaci di una ASL); d’altra parte l’aumento del numero dei Comuni di una ATS e la loro disomogeneità è tale da impedire una voce omogenea dei Sindaci nei confronti della direzione delle ATS; dal punto di vista dell’utenza ci sarebbe da auspicare un decentramento reale di queste funzioni essenziali per i cittadini che avranno a che fare con ATS di dimensioni ancora maggiori rispetto alle ASL.

Le ASST (Aziende Socio-Sanitarie Territoriali) sostituiscono le ex AO (Aziende costituite non solo dagli stabilimenti ospedalieri ma anche da ambulatoriali specialistici, consultori, dipartimenti di salute mentale, ecc.). Sono 27; cito solo quelle delle metropolitana; gli interessati potranno vedere le altre (alcune con nomi fantasiosi come la ASST Sette Laghi del Varesotto) sul sito della Regione; la citazione però è sufficiente per far vedere come la collaborazione di operatori ospedalieri e territoriali sia da tutta da costruire e che la nuova legge certamente non facilita quella auspicata continuità assistenziale tra cure ospedaliere-specialistiche e medici di base.

Le ASST della città metropolitana sono:

 

  • ASST Niguarda (vecchia AO Niguarda).
  • ASST S.Paolo e S.Carlo (vecchie AO omonime).
  • ASST Polo Pediatrico (vecchie AO Sacco e Fatebenefratelli).
  • ASST G.Pini/CTO (vecchia AO omonima).
  • ASST Ovest Milanese (vecchia AO Legnanese).
  • ASST Rhodense (vecchia AO di Garbagnate).
  • ASST Nord Milano (vecchia AO ICP).
  • ASST Melegnano e Martesana (vecchia AO Melegnano).

 

 

Come si vede non sono compresi in questo elenco gli Istituti Scientifici (Policlinico, Tumori, ecc.) in gestione con Ministero della Sanità; gli Ospedali Sacco e Fatebenefratelli siano accomunati in un polo pediatrico che devono realizzare in sostituzione dell’Ospedale Buzzi e M. Melloni.

Il riordino dell’assistenza sanitaria territoriale è affidato alle Articolazioni Socio-Sanitarie Locali (ASSL) con compiti di governo delle cure primarie e della prevenzione, di programmazione dell’offerta locale, di accreditamento dei servizi territoriali (es. consultori privati), di controllo sulle prestazioni e sull’uso dei farmaci e dei presidi medico-chirurgici. Le ASSL dovrebbero funzionale in stretto contatto con le AISA (Aziende integrate per la salute e l’assistenza) e con le UCCP (Unità di cure complesse primarie). I compiti sono differenti ma tuttora non bene differiti.

L’AISA gestisce le strutture ambulatoriali e ospedaliere secondo una classificazione degli Ospedali “coerente con il regolamento degli standard della rete ospedaliera adottata d’intesa fra Stato e Regioni, definiti con successivo provvedimento di Giunta”. In aggiunta sono istituiti i POT (Presidi Ospedalieri Territoriali) e i PreSST (Presidi Socio-Sanitari Territoriali), non presenti negli standard nazionali in cui dovrebbero entrare medici di base e specialistici-ospedalieri, secondo un modello organizzativo non stabilito, ma che verosimilmente dovrebbe essere flessibile in rapporto alle situazioni locali; nei PreSST oltre ai medici di base dovrebbero essere presenti operatori sociali; ma quali? Di provenienza comunale o dalle attuali strutture sociosanitarie (SerT, Psichiatria, Consultori ecc.). È sottolineato con un provvedimento apposito che i POT potranno (dovranno) essere costituiti attraverso la collaborazione pubblico-privato (si intende che i medici di base lavorino anche negli Ospedali territoriali o che si costituiscono cooperative di medici che lavorano in questi ospedali o altro?).

La Regione Lombardia, inoltre, dovrà chiedere che gli accordi convenzionali nazionali dei medici di base e che il contratto collettivo nazionale dei medici ospedalieri prevedano queste nuove funzioni.

Altro servizio territoriale previsto dalla legge è l’UCCP (Unità di Cure Complesse Primarie), istituzione in cui dovrebbe avvenire “la presa in carico del paziente nella prospettiva della continuità assistenziale e nella gestione di percorsi di cura e di presa in carico della cronicità”; si tratta, in altre parole, di gestire malati complessi (diabetici, ipertesi, cardiopatici, oncologici), che necessitano multipli accertamenti diagnostici e controlli ripetuti, oggetto degli attuali Crea (modalità di compenso dei medici di base che si assumono l’incarico di seguire questi malati secondo protocolli stabiliti).

Con questa legge Maroni ha raggiunto i suoi obiettivi comunicativi, vantando fatti che nella realtà non sono mai stati raggiunti, come l’abbreviazione delle liste di attesa o il risparmio di 300 milioni di Euro da reinvestire in servizi.

 

 

DA DOVE PARTIRE?

 

 

È importate che ci sia una grande mobilitazione popolare per una sanità pubblica e gratuita, che non sia legata alle esigenze del profitto capitalistico sulla pelle dei malati.

In questa mobilitazione è importante il coinvolgimento dei lavoratori degli ospedali e servizi sociosanitari territoriali, che insieme alle altre forze organizzate al cambiamento, partendo dai problemi materiali degli addetti, si allarghi ai pazienti e alle loro famiglie, ai lavoratori delle altre realtà lavorative, ai ricercatori, agli specializzanti medici e laureati non medici, agli studenti (soprattutto quelli delle facoltà di medicina e quelli delle professioni infermieristiche), ai movimenti antagonisti e al volontariato solidale (quello vero non quello affaristico).

Bisogna essere coscienti che i medici rappresentano la parte del sistema più restia al cambiamento, con forti contraddizioni interne.

Le organizzazioni sindacali che si muovono sul terreno di classe possono dare un grande contributo alla costruzione di questo fronte di lotta.

È stato dimostrato che la Sanità pubblica come Servizio sanitario nazionale è efficace e meno dispendiosa di quella privata.

Occorre battersi per ottenere una vera medicina preventiva, che deve porsi l’obiettivo del rischio zero per tutti i cancerogeni.

Si calcola che in Italia siano presenti circa 3 milioni di tonnellate di amianto che sono una reale emergenza nazionale, sociale, ambientale e sanitaria.

In Lombardia, si calcola, che ci sono 3 milioni di tonnellate di amianto.

Questo lavoro è difficile visto i ritmi di bonifica attualmente impiegati.

La prevenzione non deve intervenire con i ritmi di bonifica attualmente impegnati, ma anche per pericoli e malattie nuove come lo stressa quotidiano e l’urano impoverito. Impiegato nelle guerre imperialiste dove sono state coinvolte l’Italia, malattie che provocano tumori, o patologie legate ai flussi migratorie o per altre malattie che ritornano, come la TBC e la poliomielite.

Altro aspetto non trascurabile è quello riguardante i disabili, i colpiti dalla psichiatria, i malati cronici e gli anziani.

La sostenibilità dei servizi offerti nel pubblico è del tutto insufficiente alla massiccia domanda che perviene della popolazione.

Il privato, spesso nella sua formazione assistenziale, è subentrato al pubblico offrendo servizi quasi esclusivamente con rette esorbitanti che spesso ricadono in maniera considerevole nell’economia dell’utente e della sua famiglia.

Le politiche complessive, in altre parole i campi prioritari di azione non si conciliano nella maniera più assoluta con l’organizzazione del lavoro delle aziende ospedaliere (strutturalmente inadeguate).

Nel privato per es. si richiede agli operatori (siano essi infermieri, Operatori Socio-Sanitari – gli O.S.S. – medici, tecnici) una superflessibilità mansionaria, oraria, di turni ecc.

L’utilizzo dei denari pubblici, anche questi inadeguati, sono privi di una pur ragionevole e rigoroso controllo da parte di quelli che dovrebbero essere gli organi competenti.

Se a tutto questo aggiungiamo le condizioni vetuste delle strutture destinate a ogni tipo di assistenza, si comprende la causa della non conformità dei servizi.

La cura con farmaci chimici o omeopatici rappresenta un’opzione terapeutica, collegata al più ridotto sconto praticato dalle farmacie al SSN e quindi ai minori risparmi che quest’ultimo può realizzare in conseguenza della spending réview.

La spending réview è il contrario di ciò che rende più appropriate le prestazioni del welfare socio sanitario.

Essa diminuisce la copertura e universale e quindi i “livelli essenziali” riguardanti i diritti sociali previsti dalla Costituzione.

Per universalismo s’intende che tutti i cittadini, con il pagamento delle imposte e per diritto costituzionale, sono salvaguardati nella loro condizione di salute.

Per questo motivo ritengo che ci si debba porre l’obiettivo che non sia solo quello delle cure in caso di malattia, ma la creazione di un sistema che prevenga le malattie e preveda una condizione di benessere per tutta la popolazione.

Partiamo dal fatto che l’organizzazione sanitaria è una parte (la più importante) del sistema salute.

Bisogna battersi per un sistema che sia basato sulla prevenzione, la partecipazione e la programmazione, coscienti che la prevenzione è la malata più grave. I tagli che sono stati effettuati dai governi che si sono succeduti nel paese, non consentono non solo di svilupparla, ma neppure di difenderla mettendo in forse quanto di buono gli operatori hanno fatto.

I liberisti (che siano di destra o di “sinistra”) dicono che lo Stato deve risparmiare e potrebbe in forse e potrebbe risparmiare e potrebbe essere volta a dismettere l’imponente attività sanitaria, devolvendo tutto al privato e dedicando il frutto e dedicando il frutto delle tasse al pagamento del debito sovrano.

In realtà il sistema socio-sanitario italiano è funzionale alla logica del profitto e non alla tutela della salute.

Nell’attuale fase di crisi economia il capitale finanziario lavora per creare fonti di profitto, speculazione e sfruttamento.

Per questa battaglia è importante e decisivo che tra le masse popolari ci sia la consapevolezza (e questo non avviene certamente spontaneamente) che se non ci fosse il Sistema nazionale per la stragrande maggioranza dei cittadini sarebbe difficile a far fronte alle spese per la prevenzione, le cura e l’assistenza sanitaria.

Un altro terreno di lotta è contro il mobbing, che in altre parole una tortura soft presente nei luoghi di lavoro, questo è un fenomeno ha ormai assunto, a seguito delle denunce di esperti del settore (medici, sociologi ecc.) e delle stesse vittime, proporzioni senza dubbio rilevanti, così da coinvolgere secondo la stima di un autorevole settimanale francese,[7] percentuali non indifferenti di lavoratori. In conformità a tale stima, oltre il 4% dell’intera forza lavoro occupata in Italia è attualmente colpita da pratiche di mobbing.

Tutte questi obiettivi di lotta devono essere inquadrati per essere sviluppati in maniera efficace nella costruzione di un Fronte Democratico Rivoluzionario delle masse diretto dalle organizzazioni del proletariato, ossia del sindacato di classe in costruzione, dagli organismi permanenti del proletariato che generano e sviluppano lotte antagoniste e non concertative, che denunciano lo schiavismo e lo sfruttamento in ogni forma apertamente e con forza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] http://www.corriere.it/cronache/11_luglio19/gerevini-cal-conti_4789aa4

 

[2] http://tuttigliscandalidelvaticano.blogspot.com/2011/10/don-verze-e-i-segreti-occulti-

 

[3] http://blitzquotidiano.it.cronaca-italia/san-raffaele-i-sospetti-

 

[4] All’inizio di luglio, prima di suicidio di CAL, nel cantiere del San Raffaele, scoppia un incendio nel cantiere. La versione ufficiale che è accreditata è quella dell’autocombustione, perché si ritiene difficile entrare in un cantiere molto sorvegliato, con tanto di telecamere. Ora il belo è che quasi nessuno si era reso conto che c’era un incendio nel cantiere http://lanuovasardegna.gelocal-it/cronaca/2011/07/10/newa/scoppia-un-incendio-paura-al-san-raffaele-4596010

 

[5] http://www.corriere.it/11_luglio_21/san-raffaele-i-sospetti-

 

[6] La sua assistente, Perla Genovesi, a causa di un’indagine a Palermo su di lei per traffico di droga, aveva cominciato a fare delle rivelazioni.

 

[7] Ricerca a cura di Romano Nobile con prefazione di Giovanni Russo Spena e di Vittorio Trupiano, la tortura nel Bel Paese, malatempora.

~ di marcos61 su giugno 27, 2016.

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