IL TEATRO AGITPROP: ARMA DEL PROLETARIATO

 

 

 

Il teatro politico proletario Agitprop (abbreviazione dei termini di agitazione e propaganda), realizzato durante il periodo della Repubblica di Weimar, può essere un esempio storicamente interessante per una possibile autonomia culturale del proletariato all’interno della società capitalista. Ricostruire quindi l’esperienza dell’Agitprop tedesco non è una semplice operazione accademica. È invece contributo, seppure piccolo al dibattito sulla capacità della classe operaia di proporsi come soggetto autonomo che abbia la capacità di organizzarsi dentro il sistema capitalistico per una lotta di liberazione dallo sfruttamento.

Il teatro politico in Germania non ha avuto inizi facili: intorno alla metà dell’ottocento, l’analfabetismo, il duro lavoro e la povertà impedivano ai lavoratori ogni possibilità di istruzione e di acculturazione.

All’interno della classe borghese fiorivano a quell’epoca, e con una lunga tradizione alle spalle, le associazioni culturali la cui attività principale consisteva nell’organizzare serate di intrattenimento per i soci. Il ballo rappresentava il clou della festa, ma era preceduto da brevi conferenze, letture di poesie e novelle ed esibizioni di gruppi artistici di dilettanti che si formavano spontaneamente all’interno dei circoli. Le forme di spettacolo predilette dai dilettanti borghesi erano i canti corali, i quadri viventi e le recite di brani teatrali tratti dai classici del romanticismo.

I primi circoli culturali proletari, patrocinati dalla borghesia, seguirono di conseguenza il modello collaudato delle associazioni borghesi, riproducendone le attività con capacità e mezzi notevolmente inferiori, così che gli operai vennero a contatto con una copia deteriorata della cultura dominante.

Con la fondazione nel 1863, per opera di Ferdinand Lassale, del primo partito socialdemocratico, l’ADAV (Allgemeiner Deutscher Arbeiterverein, Associazione Generale Germanica dei Lavoratori), la tendenza dell’associazionismo operaio ricevette nuovi impulsi e conobbe i primi sforzi di organizzazione su larga scala. Nei primi anni di vita il nuovo partito, impegnato essenzialmente nella propaganda per la propria espansione, non elaborò particolari programmi culturali e tanto meno artistici, ma favorì comunque la festa. Nelle birrerie e nelle sale di periferia i circoli dei lavoratori ormai autonomi dalla borghesia progressista, organizzavano feste per la raccolta di fondi o celebrazioni di Lassale, il cui programma però si differenziava ancora ben poco da quelli delle associazioni borghesi: il ballo come centro di attenzione e per contorno l’esibizione dei sempre più numerosi gruppi di attori dilettanti in quadri viventi cori, farse, operette e talvolta nei cosiddetti “drammi popolari” farciti di patriottismo melenso e folclorico, che era allora assai di moda.

Con il progressivo affermarsi del nuovo Partito socialdemocratico operaio (SDAP Sozialdemokratische Arbeiterpartei), fondato nel 1869 da August Bebel e Wilhelm Liebknecht in opposizione all’ADAV[1]e della su parola d’ordine “Sapere è potere, potere e sapere”, iniziò l’elaborazione della teoria della formazione della futura società socialista. Ogni mezzo culturale doveva in tal senso essere posto al servizio dell’istruzione e della preparazione politica indispensabile al cittadino di domani.

Vediamo allora infiltrarsi tra i consueti numeri dell’usuale programma delle serate culturali operaie qualche elemento nuovo, diverso, dalle prime avvisaglie di un uso del mezzo teatrale più consono alle necessità della classe operaia, di carattere didascalico e agitatorio. Si tratta in genere di dialoghi o scene assai brevi elaborati dagli stessi attori-operai. Che traducono in una rudimentale forma teatrale i precetti politici del partito, dibattendo succintamente i più sentiti problemi sociali del momento. Questa azione politicamente già più consapevole del teatro dei lavoratori si esplicò soprattutto nel periodo di (semi)clandestinità del partito (1878-1890), in cui le restrizioni imposte dalle leggi antisocialiste dell’impero rinvigorirono lo spirito del partito.

Quando nel 1890, finite le leggi antisocialiste, il ricostituito Partito socialdemocratico venne sempre di più definendo la sua “missione formatrice” del proletariato, che si realizzò in una massiccia campagna di acculturamento popolare in cui furono per la prima volta impiegati i moderni mezzi di comunicazione di massa (le pubblicazione quotidiane e periodiche dell’imponente catena editoriale della SPD si contano a decine).

L’interesse del partito, però, era concentrato verso la creazione di un teatro ad alto livello professionistico per il popolo, emarginando dalla sua organizzazione generale i gruppi dilettanti che offrivano insufficienti garanzie di qualificazione artistica.

Nacque così nel 1890 la Freie Volksbuhne che fu inizialmente sotto l’influenza dell’ala dissidente di sinistra del partito, gli Jungen. Bruno Wille, primo direttore della nuova organizzazione teatrale, aderiva alle tendenze naturalistiche che, prendendo a maestri Ibsen, Zola e Dostoevskij, attaccava in quegli anni il teatro classico tedesco e che si espresse principalmente nei drammi sociali di Hauptmann. Ben presto però la Freie Volksbuhne, tacciata di “regressione”, fu ricondotta a una maggiore ortodossia socialdemocratica attraverso il “ritorno a Schiller” effettuato da Franz Mehring, che ne assunse la presidenza, e si sviluppò col tempo nella mastodontica organizzazione che negli anni ’20 del XX secolo contò in Germania fino a sei milioni di tesserati. L’organizzazione politica del proletariato finiva in tal modo per procurare finanziatori e spettatori a una scena che si rivelò sostanzialmente borghese per forme e contenuti e vagamente riformista per proposta culturale.

Ai gruppi non professionisti, che si unirono poco dopo nel movimento delle Freie Buhne, veniva dunque a mancare l’appoggio dell’organizzazione di classe che avrebbe forse potuto l’impulso determinante per la nascita di un teatro operaio che fosse espressione delle esigenze del proletariato. Il Comitato centrale della SPD per la formazione (fondato nel 1906) per meglio perseguire il suo programma di educazione e affinamento del gusto artistico del proletariato, giunse anzi a chiedere lo scioglimento dei circoli dei lavoratori, adducendo motivo le carenze estetiche delle loro rappresentazioni: “Il teatro è un buon mezzo formativo. Ma soltanto a condizione che si tratti di buoni spettacoli rappresentati da attori professionisti e di buoni drammi. Gli spettacoli offerti da dilettanti e associazioni teatrali servono più il cattivo gusto, di quanto giovani all’accrescimento della sensibilità artistica” si legge sul Programma invernale per l’anno 1908-1909 del Comitato per la formazione.

Osteggiati dagli organi ufficiali del partito e tenuti inoltre spesso sotto sorveglianza dalla polizia dell’impero allarmata (anche per istigazione di certo teatro professionale che vedeva ridursi gli introiti) per qualche pezzo antimilitarista e antimonarchico, i gruppi politicamente più impegnati di dilettanti e proletari tentarono la strada dell’associazione come unica via di sopravvivenza e di qualificazione. Nel 1906 prese forma la Lega tedesca del Teatro operaio (DAThB). Scopo della Lega, oltre al raggruppamento dei circoli teatrali proletari al di fuori del controllo del partito, era la ricerca di un indirizzo caratterizzante la propria attività, che la differenziasse cioè nettamente sia dal teatro professionale che da quello dilettantistico borghese. Mancavano però alla Lega[2] le basi ideologiche su cui fondare e con cui sostenere i propri programmi. Sui circoli associati, in fondo di tendenze riformiste (il contrasto con la SPD non verteva sul contenuto, ma sulla forma e sul livello degli spettacoli), gravava l’ombra della politica culturale socialdemocratica con la sua povertà teorica.

Se il DAThB si dibatteva nella contraddizione tra forma tradizionale e nuovi contenuti da trasmettere, occorre ricordare tuttavia ricordare, come esempio alternativo, il lavoro di gruppo isolato (Società Avanti) operante nello stesso periodo, e da molti anni ormai con tecniche pionieristiche precorritrici del teatro Agitprop degli anni ’20. Già nel 1890 il leader del gruppo Strzelewicz era venuto elaborando un collage di canti, poesie, scene satiriche, relazioni documentarie in quella forma di rivista che, ripresa dopo la guerra nelle serate proletarie del Soccorso internazionale dei lavoratori (IHA), influenzerà direttamente Erwin Piscator nella creazione delle Riviste rosse del teatro operaio comunista.

Anche all’interno della borghesia, il disagio della più giovane intellighenzia esplodeva in quegli anni in movimenti artistici caratterizzati dalla volontà di rottura con la tradizione. L’espressionismo, sorto in opposizione all’impressionismo naturalista dilagante nei primi anni del XX secolo, proponeva il “uomo nudo” “dissecato e vuotato dalla burocrazia, dall’industrialismo e dal militarismo, ridotto a misero fantoccio meccanico”,[3] introducendo in particolare nel teatro contemporaneo con i suoi drammi di ribellione sociale o di sperimentazione visionaria, la satira della società borghese. Pochi anni dopo il Dada aggrediva apertamente la borghesia benpensante con le sue buffonerie assurde e spregiudicate, proiettandola in un caos gravido di potenzialità molteplici in cui si concretizzava la “morte dell’arte” senza che si configurasse, volutamente, un’alternativa. L’esaltazione attuata da Dada della distruzione degli schemi come combinazione di suoni, rumori, parole, oggetti, immagini, contribuì in misura notevole alla frattura con le tradizioni artistiche.[4]

 

 

 

 

 

 

Le prospettive teatrali dopo la rivoluzione di ottobre

 

 

La Rivoluzione di Ottobre (1917) era la dimostrazione delle possibilità di successo della lotta proletaria, e valse a chiarificare i fini del movimento operaio, provocando una netta spaccatura tra il riformismo socialdemocratico e la volontà rivoluzionaria del Movimento Comunista.

La Rivoluzione di Novembre (1918) in Germania, che provocò la caduta della monarchia e la costituzione della Repubblica di Weimar valse a determinare il massiccio schieramento degli intellettuali a fianco del proletariato nella lotta rivoluzionaria e a creare le condizioni politiche favorevoli al rafforzamento del movimento operaio.

La costituzione del 1918 del Partito Comunista Tedesco (KPD) fornì alla lotta di classe l’appoggio e la guida di una forte organizzazione politica che ne favorì la chiarificazione ideologica e ne attivò le iniziative pratiche.

Il teatro operaio aveva ora acquisito il modello col quale confrontarsi, le forze intellettuali necessarie alla sua e un’organizzazione cui far capo non soltanto operativamente, ma anche ideologicamente.

Ai giovani intellettuali simpatizzanti di sinistra si andavano aprendo nuove prospettive. Nel 1919 apparvero in traduzione tedesca due scritti fondamentali della cultura sovietica contemporanea: L’arte e il proletariato di Bogdanov e I compiti culturali della classe operaia di Lunačarskij (seguiti nel 1922 da Il teatro creativo di Kerzencev) che rinvigorirono il dibattito sempre aperto sulla cultura proletaria, riuscendo a coinvolgervi forze nuove. Si cercava di tradurre in teoria e prassi artistica adeguata alla realtà tedesca la parola d’ordine del Proletkult sovietico.[5] Nacque così la Lega per la cultura proletaria che espresse un proprio teatro proletario simile ad altri teatri e tribune proletarie sorti in quei giorni, e presto tramontati, come il Proletarisches Theater di Erwin Piscator. Il teatro proletario doveva essere un teatro del proletariato stesso, elaborato, agito e fruito da rappresentanti della classe operaia e da artisti in un rapporto organico: dove offrirsi a strumento della lotta di classe. Questi primi tentativi, se non riuscirono a risolvere le contraddizioni nascenti dall’uso dell’eredità borghese, ebbero comunque il merito di indicare un possibile via di superamento della Volksbühne (nel proporre un teatro vera espressione dell’interesse di classe e delle capacità creative del proletariato).

Dei numerosi gruppi teatrali non professionisti sorti all’insegna del Proletkult negli anni tra il 1919 e il 1921, generalmente per iniziativa di attori e registi filocomunisti, il più longevo fu il Proletkult Cassel, che rimase attivo fino al 1927 con un programma costituito da drammi di autori politici contemporanei (Berta Lask, Friedrich Wolf) e di spettacoli in cui le forme tradizionali del teatro dilettantistico operaio (quadri viventi, cori, scene didascaliche e satiriche ecc.) si univano a trattare un argomento prestabilito in una sorte di rivista che sarà tipica del teatro agitprop.

Le organizzazioni operaie socialiste, cui aderivano la maggior parte dei lavoratori, cercavano nello stesso periodo di caratterizzare le proprie manifestazioni collettive, al fine di instaurare un rituale festivo socialista. Si sperimentano allora degli imponenti spettacoli storici di massa che, sviluppando un indubbio pathos epico, fosse mezzo di celebrazione e di propaganda al tempo stesso. L’Istituto per la formazione operaia di Lipsia promosse dal 1920 una serie di rappresentazioni all’aperto che impegnavano decine di attori e centinaia di lavoratori, che rappresentarono per alcuni anni una vera forma di rito culturale socialista. Inaugurò questa nuova era delle grandi feste teatrali operaie Spartakus di Joseph von Fielitz, una ricostruzione della lotta degli schiavi ai tempi dell’impero romano, eseguita con enorme successo da 900 operai di fronte a 50.000 spettatori. Nel 1921, stimolato dalla recente pubblicazione dei documenti della Sickingen-Debatte tra Marx e Lassale, Friedrich Wolf, in futuro una delle più notevoli personalità del teatro agitprop e creatore del dramma proletario, scrisse Der arme Konrad, un monumentale affresco delle guerre contadine tedesche, inscenato con la partecipazione di 1800 attori-operai. Seguirono poi nel 1922 Bilder aus Französische Revolution di Ernst Toller, nel 1923 ancora di Toller Krieg und Friedden, un invito all’unione di tutti i popoli europei nella lotta rivoluzionaria per una pace generale, e infine nel 1924 Erwachen, simbolica rappresentazione delle lotte fra due potenze marittime. Gli ultimi spettacoli erano andati tuttavia degenerando; le parole dei testi andavano perdute nella confusione dei continui spostamenti; l’insieme finiva per essere un rumoroso tramestio accompagnato da un rombo indistinto di voci e di passi.

Il partito socialdemocratico continuava a ignorare gli sforzi di qualificazione politica delle associazioni operaie associate nel DAThB aderendo invece al movimento borghese del Laienspiel

Ben altro atteggiamento assunse il Partito comunista fin dagli inizi nei confronti del teatro operaio, sia facendosi promotore direttamente di iniziative teatrali, sia appoggiando e favorendo indirettamente le iniziative spontanee degli operai e degli intellettuali di sinistra, utilizzò comunque sempre il mezzo teatrale come importante strumento di propaganda con criteri che intendevano opporsi alternativamente ai moderni mezzi di persuasione di massa.

La forma teatrale non professionista inizialmente più gradita alla KPD, che nel 1922 ne stimolò l’introduzione nelle sue associazioni giovanili, fu quella dello Sprechchor (coro parlato). Parallelamente ai grandi spettacoli di massa all’interno delle più modeste e numerose celebrazioni politiche di quartiere o di circolo (1° maggio, anniversari della rivoluzione o della morte di K. Liebknecht e R. Luxemburg) accanto alle consuete manifestazioni del teatro dilettantistico operaio stava infatti particolarmente sviluppandosi la consuetudine di formare gruppi ben affiatati per la recita corale di poesie a contenuto sociale, scritte a questo scopo da artisti come Ernst Toller, Max Barthel o Berta Lask. Ben presto i cori divennero istituzioni stabili, specializzandosi in questo nuovo genere. Se inizialmente i testi recitati dai gruppi comunisti erano gli stessi degli analoghi gruppi socialdemocratici, presto però i primi ruppero con la tradizione introducendo nei propri cori chiare argomentazioni politiche, portando degli esempi tratti dalla vita quotidiana delle masse come gli appelli al proletariato per la mobilitazione nella lotta di classe che venivano trasformati in efficaci strumenti di agitazione (e non è un caso che proprio dai gruppi dello Sprechchor sorgeranno le prime compagnie agitprop).

Portabandiera dei gruppi comunisti fu il Zentrale Sprechchor di Berlino diretto dal 1923 da Gustav von Wangenheim, autore e regista del Chor der Arbeit (Coro del lavoro) che, introducendo nel testo una sorta di dialogo-dibattito in sostanza una sorte di dialogo didascalico tra personaggi simbolici, diede l’avvio ad una rapida evoluzione della forma dello Sprechchor verso una maggiore teatralità e una più diretta efficacia politica.

Intorno al 1924, superata la fase organizzativamente più critica dell’immediato dopoguerra, in prestiti ingenti che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna avevano concesso alla Germania per consentirne la ripresa economica – e quindi per garantirsi la riscossione dei risarcimenti di guerra – procurarono alla nazione un benessere fittizio. Sono gli anni della “relativa stabilizzazione economica”. Quello che i leaders di destra della SPD chiamavano eufemisticamente “capitalismo organizzato” era, in effetti, una rinascita del capitale ai danni della classe operaia, che pagava in disoccupazione e bassi salari il prezzo della razionalizzazione dell’industria. La delusione per la caduta delle speranze che avevano guidato la rivoluzione di Novembre e la costituzione della repubblica di Weimar, unita allo scontento per l’evidente labilità della situazione economica attuale, diffondeva nel proletariato inquietudine e sfiducia. Era il momento per il Partito comunista, ormai consolidato su posizioni leniniste, di sferrare il primo attacco in forze in vista delle elezioni politiche del dicembre 1924. Anche il teatro fu mobilitato.

Il DAThB si trovò tra il ’24 e il ’25 a osservare la fioritura di gruppi di nuova formazione che, in linea con la parola d’ordine del Proletkult, qualificavano di preferenza il proprio nome con l’attributo di proletario (Scena sperimentale proletaria, Teatro proletario, Compagnia proletaria ecc.). Erano gruppi giovani, molto combattivi; a spingerli all’azione era una comune e precisa volontà politica di intervento nella lotta di classe attraverso i mezzi teatrali. Il loro genere preferito era la satira. Pareva, infatti, indispensabile nell’attuale momento politico in cui l’opportunismo dilagava nel proletariato, far aprire bene gli occhi ai lavoratori sulle insidie all’interesse di classe che l’apparente benessere e i discorsi demagogici nascondevano, abbattendo senza esitazioni le illusioni sociali e falsi idoli. Questo genere di chiarificazione, assunto spontaneamente come compito dai gruppi teatrali operai dopo l’invito del partito all’impegno personale e diretto di tutti i suoi membri nella lotta di classe, si traduceva con coerenza nella formula satirica, che era ritenuta come si diceva prima il più collaudato strumento di smantellamento dei miti sociali.

Le brevi scene di satira si prestavano inoltre a essere usate teatralmente con la massima semplicità: pochi elementi scenici schematici, recitazione essenziale e veloce, possibilità di stesura dei testi anche da parte degli stessi attori-operai.[6]

Fu un professionista del teatro E. Piscator, a organizzare per la prima volta gli elementi preesistenti nel teatro operaio in quella forma su cui si sarebbe sviluppato l’Arbeitertheater rivoluzionario negli anni seguenti.

Aderendo negli ultimi mesi del 1924 all’invito della KPD ad allestire per la circoscrizione di Berlino una “serata politico-satirica” come se ne andavano organizzando un po’ dovunque in occasione della campagna elettorale.[7] Piscator (con la collaborazione di Felix Gasbarra) elaborò una sequenza di scene satiriche sul modulo della rivista borghese che conosceva un momento di grande popolarità per gli apporti della Francia e dell’America. Tenendo come riferimento ideologico positivo le serate, del Soccorso internazionale dei lavoratori, l’autore intendeva servirsi della varietà ed eterogeneità degli elementi della rivista borghese per proporre una serie di esempi disparati ma tesi tutti a confermare ripetitivamente a dire la condanna della società attuale. Il testo della Revue Roter Rummel (R.R.R. – Rivista della rivoluzione rossa) di Piscator non è stato ritrovato; è stato comunque possibile, attraverso articoli di giornali e testimonianze varie, ricostruire con una certa approssimazione il programma composto di scene rappresentative delle più svariate forme di spettacolo, dai duetti operistici alle lotte clownesche, da musiche e canzoni ai rapporti statistici, dalla proiezione di diapositive alle acrobazie, dalle scene drammatiche alle tiritere degli imbonitori da fiera.[8] Due personaggi fungevano da guida e legame ai vari quadri dello spettacolo commentando l’azione, il “borghese” e il “proletario”, i primi di una serie di “tipi fissi” che caratterizzerà in seguito le “riviste rosse” subito proliferate. La forma di Cabaret politico rimase dominante nei programmi del teatro proletario-rivoluzionario per tutti gli anni ’20, raggiungendo, con l’apporto caratterizzante delle tecniche del teatro russo di agitazione e propaganda diffuse in Germania nel 1927, il massimo perfezionamento negli spettacoli delle Agitprotruppen.

Quando Piscator nel luglio del 1925, in occasione del X Congresso della KPD mise in scena Trotzt alledem! (Nonostante tutto!),[9] una rivista storica sulla lotta della Lega Spartakus negli anni della prima guerra mondiale, giunse a elaborare, con un montaggio di documenti dell’epoca tra i quali figurava per la prima volta sistematicamente la cronaca cinematografica, una nuova forma teatrale che doveva inserirsi con efficacia anche nei programmi del teatro operaio. Come la R.R.R. anche questa seconda rivista politica, riduzione forzata per volere del partito di un mastodontico progetto iniziale per uno spettacolo di massa da rappresentarsi all’aperto con 2000 interpreti, ottenne l’incondizionato consenso del pubblico. A detta dello stesso regista e dei contemporanei contribuì a provocare la partecipazione emotiva degli spettatori, l’uso dei documentari filmati (in particolare scene di guerra e della rivoluzione di Novembre), inseriti a commento e dilatazione dell’azione scenica.

È questa carica emotiva che il nascente movimento agitprop sfrutterà per la sua dirompente azione di controinformazione e di propaganda.

Il Programma d’azione della KPD, formulato proprio in quei giorni dal X Congresso del partito, mobilitava tutte le forze proletarie nella lotta organizzata alla borghesia imperialista e al frutto schiavistico: il piano Dawes, varando una campagna di Agitazione e Propaganda. In esso di leggeva fra l’altro: “Per utilizzare queste organizzazioni di massa (i sindacati) nella lotta rivoluzionaria, per guadagnare le masse alla rivoluzione sociale e sottrarle al riformismo, è necessario: a) che ogni comunista sia un membro dei sindacati (…) b) che ogni comunista si dichiari disposto e impegnato ad assumersi qualunque funzione sindacale (…)”.[10]

Tali direttive politiche trovarono un riscontro immediato nell’organizzazione teatrale dei dilettanti operai. Quando nel 1926 l’Unione della gioventù comunista (KJVD) trasformò sotto la direzione di Maxim Vallentin il Sprechchor nella Prima compagnia agitprop della KJVD, [11] essa si considera parte dell’apparato di agitazione e propaganda del partito. Il teatro operaio si dichiarava esplicitamente teatro rivoluzionario.

A questa trasformazione contribuirono le notizie in arrivo dalla Russia sul “giornale vivente”, la nuova forma di teatro operaio sovietico. Si trattava di piccoli gruppi versatili ed estremamente mobili che assolveranno in varie forme un compito arduo ma indispensabile dell’organizzazione agitprop sovietica: la diffusione tempestiva ed efficace nei piccoli centri e nelle campane del paese di notizie sugli avvenimenti nazionali, le campagne igienico-sanitarie, le direttive del partito ecc., ben difficilmente trasmissibili per altra via. Particolarmente popolarità riscuoteva, anche in Germania, il gruppo Bluse blu di Mosca[12] a cui si riconosceva unanimemente un altissimo livello tecnico ed artistico nell’elaborazione e nell’esecuzione degli spettacoli.

   Invitate in Germania dalla Piscator-Buhne nell’autunno del 1927, le Bluse Blu si esibirono trionfalmente per cinque settimane nelle maggiori città tedesche, suscitando al loro passaggio un eccitato fenomeno innovativo nelle associazioni teatrali operaie. La struttura globale dei loro spettacoli era composita, simile a quelle delle “riviste rosse” tedesche, ma assai più agile e incisiva. Le scene brevi ed efficaci, legate tra loro dall’intervento di un commentatore, erano ricche di canti, danze ed esercizi acrobatici in cui il gruppo eccelleva, il ritmo era incalzante e trascinante; l’attrezzatura scenica essenziale e i costumi simbolici. Questi tratti caratterizzanti furono fatti propri dal teatro agitprop tedesco.

Nel corso del 1927 e del 1928 decine Agitproptruppen si costituiscono in ogni città grande e piccola della Germania. Si chiamarono Bluse blu, Bluse rosse, Razzi rossi, Fucina rosse, Bacilli rossi, ecc. pur essendo programmaticamente legati alla sezione agitprop del partito, si unirono però organizzativamente nella DAThB.

La Lega dei teatri operai era ormai formata da gruppi assai eterogenei sia teatralmente che ideologicamente. Attraversati gli anni del dopoguerra nell’incapacità di risolvere la propria contraddizione politica, pur proclamandosi associazione proletaria e marxista, la Lega si trovava intorno al 1926 internamente divisa da contrasti notevoli. All’interno della Lega c’erano 4 correnti principali:

 

  • un raggruppamento riformista, comprendente la maggioranza degli aderenti, che determina la direzione perseguendo un programma di lotta alle tendenze reazionarie borghesi attraverso una politica di “formazione del proletariato”;
  • un raggruppamento rivoluzionario, che si esprimeva nell’organo Die Volksbuhne che si opponeva senza successo alla direzione;
  • un raggruppamento piccolo borghese indirizzato a un programma leggero e disimpegnato che accomunasse gli interessi teatrali del proletariato a quelli della piccola borghesia;
  • un raggruppamento borghese che intendeva imporre una propria scuola estetica.

 

Fra le tante sollecitazioni la direzione della Lega, benché si dichiarava indipendente da ogni partito politico, non riusciva a liberarsi dai criteri populisti della socialdemocrazia, che nel 1926 ribadiva ancora una volta il proprio consueto atteggiamento nella lotta per un cultura socialista sostenendo che essa nascesse: “(…) in primo luogo dal diffuso spirito di solidarietà di tutti gli uomini – noi non vogliamo un cultura di classe – e in secondo luogo dalla coscienza della genuinità ed essenzialità dell’intera vita espressiva umana – noi non vogliamo una cultura fittizia e illusoria”.[13]

L’adesione alla Lega nel ’26 dei gruppi comunisti della circoscrizione di Berlino, da poco associati tra loro sotto l’influenza diretta del Comitato centrale agitprop della KPD, fu perciò accolta con fondata preoccupazione dal direttivo. Già al congresso DAThB di quello stesso anno i nuovi arrivati rappresentano una temibile opposizione, riuscendo ad ottenere l’associazione della Lega al Soccorso internazionale dei lavoratori (IAH) e la designazione di Berlino a sede del prossimo convegno.

Nell’aprile del 1929 il Congresso fu dunque organizzato dagli agitprop berlinesi, sotto la guida del loro leader Arthur Pieck.[14] e con l’assistenza diretta del partito che aveva sollecitato anche gli altri gruppi teatrali ad unirsi ai compagni berlinesi, in modo da favorire un attacco decisivo alle posizioni riformiste. Si pubblicò un fascicolo teorico programmatico del nuovo corso auspicato per la Lega e si allestì un’esposizione dei materiali del teatro operaio rivoluzionario; alla stesura del libretto collaborarono notevoli personalità del mondo dello spettacolo e della cultura legate alle posizioni politiche e ideologiche del Movimento Comunista, alla mostra partecipò E. Piscator con i modellini scenici di Bandiere e Raspuntin e con il plastico, presentato qui per la prima volta al pubblico, del “teatro totale” progettato per lui dal Walter Gropius. Il teatro operaio prendeva ufficialmente e direttamente contatto con gli intellettuali di sinistra, che avrebbero d’ora in poi condotta la dichiarazione, la discussione teorica intorno alla prassi teatrale rivoluzionaria.

Dal X Congresso la DAThB uscì trasformata anche nel nome, divenuto ATBD (Lega del teatro operaio di Germania). Finiti in minoranza i socialdemocratici, la Lega passò nelle mani dei comunisti che la riorganizzarono all’insegna della diretta partecipazione dei gruppi alla lotta di classe. Al motto L’arte è un’arma, l’ATBD intraprese una linea d’azione delineata in queste righe di A. Pieck: “In un’epoca di acuiti contrasti di classe, la classe operaia deve servirsi di ogni mezzo per portare chiarificazione e combattività nelle fila delle masse. La propaganda teatrale è ritenuta uno dei mezzi più efficaci e ogni gruppo teatrale proletario deve agire in questo senso. Soltanto allora la Lega del teatro operaio si sarà guadagnata la posizione che faccia di lei un fattore politico-culturale e che la ponga all’interno del movimento proletario al poto che le spetta e da cui ha inizio il suo compito”.[15]

   Le compagnie agitprop della KJVD aderirono in massa alla Lega, costituendo ben presto, grazie alla loro combattività e al loro estro, un modello per tutti gli altri gruppi associati. La SPD incitò i suoi simpatizzanti ad abbandonare la Lega sperando di causarne la dispersione; parecchi di essi uscirono effettivamente dall’ATBD, due anni dopo fondando un nuovo raggruppamento socialdemocratico, l’ALV (Unione del Laienspiel operaio); la maggioranza dei gruppi aderì al nuovo indirizzo d’azione dando vita a un movimento agitprop socialdemocratico che partecipò più tardi attivamente alla lotta antifascista.

La conquista della funzione-guida all’interno del movimento teatrale operaio da parte dei gruppi agitprop, ad appena due anni dalla loro nascita, non va attribuita soltanto all’organizzazione politica del partito che li aveva sostenuti, ma stava anche nell’organizzazione collettiva interna, nella forma nella forma teatrale spontanea e aggressiva, nel rapporto organico con gli spettatori.

Le compagnie agitprop erano generalmente formate nel loro primo periodo da 7-10 membri, in maggioranza operai, volontariamente uniti nell’impegno della propaganda comunista; al teatro essi dedicavano tutte le ore che il lavoro in fabbrica lasciava libere. Il gruppo si autofinanziava imponendosi una tassazione e usufruiva inoltre dei modesti introiti che qualche esibizione su invito poteva procurare. All’interno del collettivo non esisteva all’inizio una specializzazione; insieme si elaboravano i testi, insieme si trovavano le soluzioni sceniche più convenienti, insieme si allestivano i materiali di scena; la divisione dei compiti avveniva volta per volta in relazione alle esigenze immediate. In seguito ci si organizzò per settori di competenza in modo da snellire il lavoro di preparazione pur mantenendo una strettissima e continua collaborazione. Gli attori-operai erano generalmente giovani e agili, sapevano suonare qualche strumento, cantare e fare acrobazie. A volte nel gruppo esisteva una figura guida; attore, intellettuale, politico; ciò non valeva tuttavia a snaturare il senso del collettivo, la cui potenza d’impatto politico (e teatrale) risiedeva fondamentalmente nella serietà (etica) di una scelta comune; scelta un impegno personale rigorosamente adempiuto, di una connotazione ideologica che si faceva metro del vissuto attraverso l’esporsi di persona nell’azione teatrale.

La rivista, era spesso una commistione dei generi satirico e documentario, che dominava il campo. La tecnica più diffusa nella creazione degli spettacoli era il montaggio di singole scene e intermezzi in una struttura aperta che permettesse agevoli spostamenti dei pezzi secondo le esigenze del momento. Spesso anche le singole scene erano costruite in modo polivalente, adattabili quindi agli ambienti e alle occasioni diverse in cui erano presentate. I brani da montare variavano in lunghezza, ma generalmente (soprattutto nei primi tempi) erano brevi e concisi. Alle scene recitate, si alternavano canti, musiche, proiezioni cinematografiche e diapositive, numeri acrobatici e clowneschi, pantomime, azioni con sagome e pupazzi; finale di prammatica era il canto collettivo dell’Internazionale. Le azioni sceniche erano di preferenza strutturate a tipi fissi, schematizzazioni delle classi o categorie sociali (caricaturali le figure negative: il borghese, il generale, il prete, il poliziotto ecc.; epiche quelle positive: l’operaio, la guardia rossa, il combattente del Fronte rosso, il pioniere ecc.) o simbolizzazioni analoghe di Stati e ideologie politiche (la Prussia, la Baviera, la SPD, l’Internazionale Comunista, l’Unione Sovietica ecc.). i testi, spesso scritti collettivamente dal gruppo, miravano alla chiarezza e all’efficacia, più che alla forma letteraria.

Le battute erano brevi e della massima semplicità sintattica e lessicale e si succedevano con scansione ritmica accentuata, per facilitarne la comprensione da parte del pubblico in ogni possibile situazione ambientale. Ben pochi sono i testi ritrovati di data antecedente al 1928, numerosi invece quelli degli anni successivi, dopo la fondazione del giornale Da rote Sprachrohr (Il megafono rosso) consentì la raccolta e la pubblicazione dei materiali delle compagnie agitprop.

Gli argomenti affrontati erano di stretta attualità commento e satira della situazione politica e sociale, denuncia dei soprusi e della corruzione della società capitalista, incitamento alla mobilitazione nella lotta di classe rivoluzionaria. Gli attacchi più frequenti e violenti s’indirizzavano al riformismo e all’opportunismo della SPD, allo sfruttamento capitalistico della classe operaia favorito da Inghilterra e Stati Uniti, alla chiesa e più tardi al fascismo. In occasioni particolari, come le campagne elettorali si allestiva con la massima rapidità spettacoli ad hoc, modificando i canovacci preesistenti o creandone di nuovi anche all’improvviso durante l’azione.

Poiché lo scopo principale del teatro agitprop era aprire gli occhi della classe operaia e convincerla delle tesi comuniste (l’azione di propaganda dei gruppi si trasformava in una vera campagna di proselitismo attraverso il tesseramento immediato del pubblico alle organizzazioni operaie di partito e l’abbonamento alla stampa di partito), i testi erano elaborati in modo di favorire una presa emotiva immediata, pur nella loro brevità: quasi immancabile era ad esempio un martellante e persuasivo finale in cui più voci dovevano intrecciarsi e sovrapporsi nella declamazione degli slogan del partito.

I gruppi agitprop, spostandosi velocemente con ogni genere di mezzo di trasporto (generalmente motociclette o vecchi camion), agivano dovunque: molto raramente nei teatri (il luogo delegato), più spesso nello spazio del vissuto, in sale di ritrovo di ogni tipo e dimensioni e all’aperto, nelle strade e nelle piazze, nei cortili, davanti alle fabbriche e alle scuole, sui carri e camion su tavoli e casse rovesciate, a cui d’altronde si adattavano con disinvolta elasticità, un elemento rimaneva tuttavia invariato, il pubblico, che era a cui gli agitprop volevano e sapevano rivolgersi: la classe operaia, i comunisti. Al contrario del teatro politico di Piscator o quello di Brecht, qui non si presentava a un pubblico eterogeneo, accomunato soltanto dal biglietto acquistato alla cassa; qui, con una chiara scelta politica controculturale agivano operai di fronte a operai, con il risultato di un’adesione tanto più immediata e completa degli spettatori in quanto ciò che vedevano era stato elaborato sulle loro particolari esigenze, da chi queste esigenze era compartecipe. Si raggiungeva in tal modo quel rapporto organico spettacolo-pubblico da tempo realizzato, basi, nelle utopie che fondano il Teatro della regia e mai realizzato dai professionisti dello spettacolo.

Dopo il congresso dell’ATBD del 1928, iniziò per il teatro agitprop una fase di progressiva e organizzata espansione, favorita soprattutto dalle organizzazioni giovanili del partito. Non soltanto nuovi gruppi si formarono un po’ dovunque, ma alcuni dei maggiori, cresciuti oltre il necessario, si scissero intorno al ’30 in varie compagnie che estendevano sempre più il raggio d’azione del movimento. Non vi era ormai manifestazione sotto l’egida delle organizzazioni operaie di sinistra che vedesse l’esibizione di un gruppo agitprop, fosse una festa di carattere celebrativo uno sciopero di lotta.

L’influenza del movimento teatrale agitprop si estese anche alle organizzazioni infantili. L’associazione comunista dei Pionieri rossi fondò, sul modello degli adulti, analoghi gruppi di ragazzi che servendosi delle medesime tecniche portavano i loro spettacoli a genitori e coetanei negli ambiti a loro più familiari come il circolo, il cortile o la piazzetta del gioco. Il primo circolo di ragazzi si formò nel 1927 a Berlino col nome di Die roten Trommler (i tamburi rossi) assunto poi da tutto il movimento teatrale infantile (nel 1932 c’erano 60 gruppi) che si espresse nell’organo dei Pionieri rossi Die Trommler.

Il fascicolo programmatico del X Congresso dell’ATBD comprendeva un articolo di Frida Rubiner in cui si legge: “Nell’allestire i <pezzi> i bambini si sono dimostrati più ricchi d’iniziativa e di idee. Mentre i lavoratori adulti temono ancora in un dialogo con principale o in una scena all’ufficio di collocamento di parlare <come mangiano> e di trasferire nella recita la loro esperienza di ogni giorno, i bambini <mimano>con grande iniziativa. Che cosa ha detto il maestro? A che cosa serve la religione? Si devono picchiare i bambini? A queste domande i bambini sanno rispondere. Con una guida avveduta i bambini riescono da soli ad allestire intere sequenze di scene”.[16]

La problematica della creatività infantile non era nuova alla teoria educativa comunista; i pedagogisti russi avevano sperimentato comuni infantili in cui largo spazio era dato alla realizzazione autocreattiva dei ragazzi e Asja Lacis aveva compiuto a Orel, con gli orfani di la più completa e metodica realizzazione di una prassi educativa basata sull’esperienza teatrale collettiva. Nella realtà i gruppi teatrali dei pionieri recitavano spesso dei testi scritti dagli adulti. È tuttavia importante rilevare come sulla base dell’esistenza di organizzazioni infantili di questo tipo e per l’apporto delle esperienze russe della Lacis (e del suo specifico intervento e con la sua corresponsabilità ideologica) vedesse la luce in quegli quello rimane tutt’oggi uno dei più avanzati progetti di educazione proletaria: il Programma per un teatro proletario dei bambini di Walter Benjamin, i cui commissionari furono uno dei maggiori esponenti del gruppi agitprop Il megafono rosso – il portabandiera del movimento – che aveva anche una compagnia di ragazzi, Hanss Eisler, e il fondatore e presidente della Lega degli scrittori proletari-rivoluzionari BPRS, e uomo di punta dell’apparato del partito, Johannes R. Becher.[17]

Il programma di Benjamin, che per inciso costituisce anche il suo specifico atto di adesione al marxismo, non fu mai realizzato, per via dell’avanzata del nazismo.

Mentre Brecht e Piscator elaboravano le teorie di due diversi teatri “epici”. Reinhardt era all’apice della carriera, il teatro espressionista di Leopord Jessner, Karlheinz Martin e altri davano il meglio di sé contrastato dal nascente dramma della Neue Sachlichkeit (Nuova oggettività), le compagnie agitprop stendevano la loro rete nelle sale dei quartieri periferici, dove il loro pubblico accorreva in massa. Il lavoro teatrale di agitazione e propaganda era ormai un punto di forza del KPD che al suo Congresso (1929) dichiarava: “Le associazioni teatrali operaie non bastavano più alla crescente richiesta di compagnie agitprop. Esse si sono moltiplicate nel 1925, 1926, 1927 e ora hanno raggiunto un numero veramente sorprendete (…). A differenza delle associazioni teatrale operaie sono gruppi esclusivamente politici e formati per un minimo dell’80% dei compagni del partito. Dipendono anche direttamente dal partito, ossia dalle singole circoscrizioni. Attualmente l’agitprop centrale fa il tentativo di riunirle su scala nazionale, cosa che la crescente importanza del loro lavoro è assolutamente necessaria”.[18]

In queste righe si chiarisce il rapporto che col Partito comunista dei gruppi agitprop, che, pur appartenendo alla Lega del teatro operaio, organizzazione che si mantenne sempre autonoma dalla KPD (prova ne sia l’appartenenza alla lega di tanti gruppi politicamente indipendenti) e occupando al suo interno una posizione d’avanguardia. Rimanendo direttamente legati al Comitato centrale agitprop. L’Unione giovanile comunista (KJVD) organizzò, infatti, ogni anno dal 1928 un congresso dei propri Agitproptruppen i cui risultati influivano in grande misura sull’atteggiamento direttivo dell’ATBD finché nel 1931 si ravvisò la necessità di unificare i congressi KJVD e ATBD raggiungendo la piena unità d’intenti.

Nel 1929 cominciarono a manifestarsi i primi segni evidenti dell’incombente crisi economica, che si abbatté rovinosamente sulla Germania negli anni seguenti infierendo con maggior ferocia sulla classe operaia e su quella contadina, tanto da far giungere nel 1932 il livello generale di disoccupazione (totale o parziale al 67%). La politica socialdemocratica del male minore favoriva il movimento nazista. Il partito nazionalsocialista si serviva ampiamente nella sua campagna di tutti i mezzi propagandistici a disposizione, avvantaggiando, per la creazione del mito nazionalista, i canali di massa, ma non trascurando di combattere il comunismo sul suo stesso terreno e con i suoi stessi mezzi. Si ha notizia, infatti, di un movimento di tipo agitprop che si servivano degli stessi metodi utilizzando persino gli stessi testi (ovviamente rimaneggiati) ai propri fini.[19]

Fu il gruppo Il megafono rosso, leader delle compagnie della KJVD, a lanciare al ritorno di una tournée nell’Unione Sovietica su invito dell’Unione internazionale della gioventù comunista, la prima campagna di conquista delle fabbriche, sfidando gli agitprop della circoscrizione di Berlino a una “gara rossa”.[20] Al motto “Conquistare le fabbriche” si aprì nel dicembre 1929 una competizione della durata di tre mesi durante la quale i gruppi berlinesi si impegnarono a fondo e a cui si aggiunse, una campagna di propaganda casa e cortile volta a raggiungere quegli appartenenti alla casse proletaria e alla piccola borghesia anch’essa gravemente colpita dalla crisi, come donne di casa, e piccoli commercianti.

Nell’aprile del 1930 i due congressi, apertisi contemporaneamente, dell’ATBD e dell’Agitproptruppen della KJVD appoggiarono queste iniziative e posero le basi teoriche e organizzative per un nuovo orientamento politico dei gruppi.

Il convegno della KIVD, durato un solo giorno, ratificò l’idea delle “gare rosse” inserendole come elemento di punta del “patto rivoluzionario” stilato in chiusura e consigliando, per la chiusura e consigliando, per la compagnia delle fabbriche, che ogni compagnia si scegliesse un’impresa nei cui confronti esercitare un’azione guida alla mobilitazione nella lotta di classe. Nel complesso fu decisa una svolta verso “svolta verso il lavoro di massa” che doveva avere diretto riscontro nelle tecniche teatrali dei gruppi. La satira, infatti, fu giudicata ormai insufficiente agli attuali fini politici, poiché alle masse sempre crescenti dei disoccupati non giovava offrire lo scherno dei governanti e delle istituzioni, ma occorreva fornire risposte chiare ai loro problemi, mostrare una soluzione alternativa e convincerli della sua realizzabilità. Diveniva quindi indispensabile accentuare la funzione didascalica dei brani proposti e per farlo appariva necessaria una più completa preparazione politica e teatrale.

Caratteristica nuova dell’XI Congresso dell’ATBD fu la sua internazionalità. La Lega aveva, infatti, aderito l’anno precedente alla Lega internazionale del teatro operaio (IATB),[21] di cui facevano parte in quel momento 15 paesi, ed era ora in grado di presentare nell’esposizione dimostrativa di nuovo allestita materiali provenienti dall’Unione Sovietica, dal Giappone e dalla Cecoslovacchia (nazioni queste ultime dove più vivo era il movimento teatrale operaio), che inviarono anche osservatori ai lavori del congresso. I tre giorni di durata del convegno permisero ai rappresentanti della KJVD di portarvi le proprie conclusioni, che ricevettero un appoggio immediato. Nonostante l’accesa polemica col raggruppamento socialdemocratico che sferrò il suo attacco decisivo (ma in minoranza si scisse dalla Lega), la parola d’ordine uscita dai lavori fu “Dentro nelle fabbriche! Fuori in campagna!”. La prassi delle gare rivoluzionarie, giudicata valida, fu incoraggiata su tutto il territorio nazionale (e divenne, in effetti, una costante negli anni seguenti). La linea direttiva di Arthur Pieck che per due anni aveva portato avanti un’azione di qualificazione tecnica e politica dei gruppi operai, senza troppo curarsi dell’espansione quantitativa, fu approvata a grandissima maggioranza e si convenne di proseguire in questo atteggiamento, vantaggioso anche per la soluzione dei nuovi attualissimi problemi. La necessità, ribadita dalla Lega, di rivolgersi ormai anche a un pubblico piccolo borghese (con la crisi migliaia di impiegati e persino dei liberi professionisti erano ridotti sul lastrico, perciò divennero un fertile terreno di propaganda) e di sostenere efficacemente la concorrenza del teatro propagandistico degli avversari acuiva l’esigenza di un miglior livello artistico e ideologico delle rappresentazioni. L’ATBD organizzò a questo scopo corsi di qualificazione per i propri membri, in cui uguale spazio era concesso alle esercitazioni artistiche e all’approfondimento della cultura politica.

Altrettanto necessario diveniva elaborare nuove forme per i “pezzi teatrali”, che avrebbero dovuto assumere le caratteristiche essenzialmente didascalico-dimostrative che si pensavano idonee al nuovo pubblico allargato (e mal conosciuto).

L’organo dell’ATBD divenuto dal 1929 Arbeiterbühne und Film, dopo la formazione di alcuni gruppi impegnati in un’attività di contro cinematografia proletaria, si adoperò per fornire ai gruppi il sostegno teorico indispensabile alla svolta in corso, affiancato con grande efficacia dal Megafono rosso che raccoglieva i più interessanti esperimenti pratici commentandoli e criticandoli per favorire l’esatto orientamento, soprattutto quello politico, dei gruppi.[22]

La campagna nelle fabbriche non ebbe ovunque lo stesso esito, ma parecchi gruppi agitprop, lavorando in stretto collegamento con l’Opposizione sindacale rivoluzionaria (RGO), riuscirono ad allacciare rapporti stabili con i lavoratori di diverse industrie che finirono a volte per formare essi stessi delle proprie compagnie agitprop. In questo sforzo di adeguamento del proprio lavoro alle esigenze dei nuovi fruitori fu di grande aiuto l’intervento critico dello stesso pubblico operaio, che veniva sollecitato ad esprimere chiaramente le proprie riserve e i propri suggerimenti.

Numerosi furono anche i gruppi che si dedicarono alla propaganda nelle campagne, ma non hanno dati precisi sull’influsso esercitato. La prassi normale voleva che qualche rappresentante del gruppo, se possibile, si recasse giorni prima nel paese in cui avrebbe avuto luogo la rappresentazione, per fare un’inchiesta sui problemi locali e inserirli poi nei canovacci già preparati; si tentava così di ricostruire in qualche modo un più stretto rapporto tra spettacolo e pubblico.

Già nel 1928 si era sollecitata la collaborazione della lega degli scrittori proletari-rivoluzionari (BPRS)[23] allo scopo di sopperire alla mancanza di testi utilizzabili del teatro rivoluzionario operaio, ma gli scrittori non si interessarono a fondo del problema, tranne alcune notevoli eccezioni, questo atteggiamento era favorito anche dal rapido adeguamento della loro Lega alle posizioni dell’analoga associazione sovietica (RAPP) contraria o quanto meno indifferente agli sforzi del teatro non professionale operaio.

In seguito, grazie all’impegno drammaturgico assunto dall’agitprop, si riuscì a realizzare una collaborazione fra attori-operai e gli scrittori rivoluzionari.

Esemplare di quest’unione intellettuali-agitprop fu la Südwest Presse (Gruppo teatrale Sudovest) costituitasi a Stoccarda nel 1932 sotto la direzione di Friedrich Wolf, che ne era anche il drammaturgo. Nell’ultimo dei tre soli lavori che il gruppo presentò, Wolf raggiunse, a detta dei contemporanei e della posteriore critica letteraria dei paesi socialisti[24] la forma più pregnante del teatro politico rivoluzionario che era quello di mostrare, attraverso la parabola di un singolo individuo, il problema più generale di una collettività utilizzando tecnicamente molti dei moduli comunicativi messi a punto nel teatro agitprop.

  1. Wolf riteneva nel 1933 che il prossimo passo in avanti dei gruppi agitprop fosse quello del passaggio al professionismo, passaggio che sia i gruppi sovietici del TRAM di Mosca e Leningrado sia il tedesco Colonna di sinistra avevano compiuto.

Si verifica d’altra parte in quegli anni il fenomeno inverso di attori professionisti, cui la crisi aveva tolto ogni speranza di lavoro, che si riunivano formando collettivi teatrali rivoluzionari di tipo agitprop. L’esempio più ragguardevole è fornito dalla Truppe 1931 (Compagnia 1931) guidata dal drammaturgo Gustav von Wangenheim che fu con Wolf l’iniziatore del “dramma proletario”.

Se tuttavia alcune delle compagnie agitprop, avendo professionisti o di elementi di rilievo artistico e di maggiore spirito artistico e di maggiore spirito d’iniziativa e migliori capacità organizzative, riuscirono adeguarsi al nuovo corso ufficiale del movimento, per molte il cambiamento di rotta, accettato nella sua sostanza di apertura verso le masse, non trovò rispondenza in un cambiamento formale, e il genere della rivista, se pur resa problematica e dimostrativa, sopravvisse accanto ai nuovi generi del teatro operaio.

Ad accrescere le difficoltà della svolta teatrale agitprop contribuirono le condizioni ambientali quasi proibitive. Già nel 1929 i gruppi avevano spesso dovuto subire della polizia manovrata dai socialdemocratici e dai nazisti che, messi in allarme dalla crescente diffusione dell’agitprop comunista, scatenarono una campagna repressiva nei suoi confronti. I divieti di vario genere volti a ostacolare le rappresentazioni comuniste si fecero più frequenti, mentre aumentavano le incriminazioni per vilipendio, finché nel marzo 1931 il presidente von Hindenburg emise un’Ordinanza d’urgenza per la lotta ai tumulti politici, con cui venivano espressamente vietate tutte le manifestazioni “in cui si incitasse all’insubordinazione, si facesse oltraggio o vilipendio ai funzionari, agli organi e alle autorità di Stato e agli ordini religiosi o comunque in qualche modo si mettesse in pericolo la sicurezza e l’ordine pubblico[25] e a cui presto fu aggiunta una postilla che vietava esplicitamente le rappresentazioni agitprop. In simili circostanze i gruppi operai si videro costretti, per proseguire la propria attività, a escogitare ogni scappatoia legale e ogni mezzo pratico utile per sottrarsi alle maglie della polizia.

Ad alcune compagnie procurò sufficiente respiro l’esperienza di sciogliersi e ricostituirsi ufficialmente sotto diversa denominazione (fu questa una delle ragioni che indusse la Colonna di sinistra al professionismo); la migliore alleata degli attori-operai sul piano pratico fu però in quei giorni l’improvvisazione, sviluppata già da tempo all’epoca delle tante serrate di Kabarett rosso e ormai tecnica consueta di lavoro. Con essa era possibile cogliere ogni occasione propizia a un intervento di agitazione o di propaganda politica adeguandosi all’ambiente e all’uditorio del momento. I luoghi più affollati e movimentati, propizi quindi ai rapidi dileguarsi in caso d’intervento della polizia, divennero teatro di azioni repentine e imprevedibili degli agitprop.

Significativo questo esempio riferito da Béla Balàzs: due giovani all’aspetto di disoccupati giungono di fronte a una vetrina di Delikatessen; uno dei due sviene e l’altro lo soccorre. Subito si raduna un campanello di gente tra cui altri disoccupati e tra i presenti nasce una vivace discussione sul tema del giorno: la fame. Due, tre minuti e si sente il fischio della polizia che trascina al commissariato gli ignari cittadini accusandoli di far parte di gruppo di un gruppo agitprop; i due giovani disoccupati frattanto sono spariti. La stessa scena si ripete varie volte nello stesso giorno davanti ai più forniti negozi di alimentari di Berlino.[26]

Nell’ultimo periodo di vita del teatro operaio rivoluzionario si evidenziano due diverse tendenze al suo interno, che rispecchiano due opposte scelte di carattere comunicativo. Da un lato un ravvicinamento a moduli più istituzionalmente teatrali, sempre meno distinguibili ad dal teatro politico d’avanguardia di Piscator e di Brecht, che si esprime nella collaborazione diretta o mediata dei professionisti dello spettacolo; nella priorità assunta dal momento drammaturgico, nelle accresciute esigenze artistiche; dall’altro un’estremizzazione del momento comunicativo in moduli “a sensazione” di tipo pubblicitario, totalmente estranei nell’ambito della tradizione teatrale, che si realizza negli interventi improvvisati tra la folla, nelle “trovate” di richiamo; nelle discussioni “viso a viso” con la gente. Origine comune delle due tendenze è la ricerca di una fruizione più ampia e meno differenziata del teatro agitprop.

Il XII e ultimo Congresso dell’ATBD, ormai organo unificato del teatro rivoluzionario operaio, nel marzo del 1932 procedette nella normalità anche se fra notevoli difficoltà economiche. Per il grande sviluppo dato dalla KPD alla sezione agitprop negli ultimi due anni, la Lega riuniva ora 500 gruppi operai che richiedevano un impegno organizzativo, anche a scopo di assicurarsi una solida organizzazione collettiva una più valida difesa dagli attacchi del nazismo ormai alle porte. Potendo una direzione centrale unica, come quella finora adottata, costituire un facile bersaglio per le rappresaglie naziste, fu deliberata una suddivisione della Lega per province, configurando precise gerarchie di dipendenza di tipo piramidale.

Il notevolissimo aumento degli aderenti alla Lega aveva indebolito la qualificazione generale politica e tecnica, poiché il XII Congresso espresse di nuovo e con carattere d’urgenza la necessità di uno sforzo collettivo condotto con il massimo impegno per l’approfondimento teorico delle problematiche politiche e teatrali, tanto più essenziale, perché ci si trovava nelle condizioni di dover elaborare forme nuove, idonee all’attuale contesto di clandestinità.

Come forma di lotta più fruttuosa per i drammatici giorni che si stavano vivendo, fu indicata (riprendendo la posizione della KPD) la propaganda per gli scioperi di massa.

Un appello ufficiale fu inoltre lanciato dall’ATBD a tutti i gruppi teatrali antifascisti, operai e non, di qualunque tendenza politica e culturale essi fossero, perché si unissero alla Lega nella lotta contro il nemico comune. Tra i primi a rispondere furono i gruppi professionisti degli attori rivoluzionari. L’ATBD venne così definendosi negli ultimi giorni come associazione nazionale di tutto il teatro rivoluzionario.

Con la presa del potere da parte di Hitler fu stroncata ogni possibilità di sopravvivenza dell’ATBD. Dirigenti e membri del teatro agitprop furono ricercati e perseguitati; molti di essi emigrarono, salvando nella fuga i materiali più tardi recuperati dagli studiosi della DDR, molti preferirono rimanere dedicandosi alla lotta politica clandestina, tanti furono imprigionati ed alcuni uccisi.

Che cosa resta di quest’esperienza?

Resta l’esperienza di uomini e donne che riaffermarono il diritto di parlare perché avevano delle ragioni e qualcosa da dire, anche se non conoscevano la “giusta” grammatica, anche se non frequentavano i salotti “bene” borghesi.

   Un teatro, come disse, Brecht, che non si misurava con il passato, ma con le necessità del nuovo, un teatro che aveva l’ambizione di dare un contributo al cambiamento della società.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Nel 1875 ADAV e SDAP si fusero.

 

[2] Nel 1908 aveva 15 gruppi aderenti; 66 nel 1913 su una totalità di circa 3000.

 

[3] Ladislao Mittner, Storia della letteratura tedesca, vol. II, Dal fine secolo alla sperimentazione (1890.1970), Torino, Einaudi, 1971.

 

[4] Bisogna ricordarsi che al movimento Dada appartenne anche il giovane Piscator.

 

[5] Proletkult è la contrazione di Cultura proletaria. Il movimento, sorto in Russia alla fine del XIX secolo. Maggiori esponenti furono Bogdanov e Lunacarskij.

 

[6] I testi degli autori professionisti che si prestavano allo scopo erano insufficienti allo scopo delle compagnie che erano in continuo aumento.

 

[7] Le elezioni politiche si svolsero il 7 dicembre 1924.

 

[8] La ricostruzione di cui si parla è opera L. Hoffmann e D. Hoffmann-Ostwald (Deutsches Arbeitertheater, pp. 154-161) che pubblicano anche alcune testimonianze della stampa dell’epoca della R.R.R. importanti gli apporti di C.D. Innes, Erwin Piscator’s Political Theatre, pp. 41-49; Massimo Castri, Per un teatro politico, Torino, Einaudi, 1973, pp. 74-77.

 

[9] Nonostante tutto! È il titolo di un celebre discorso programmatico di Karl Liebknecht.

 

[10] E. Piscator, Il teatro politico, p. 65.

 

[11] Erste Agitproptruppen der KJVD. La denominazione Truppe (propriamente truppa, reparto militare) fu scelta per la precisa intenzione di configurarsi come membri militanti della lotta di classe, raccolti in un gruppo severamente disciplinato. La Prima compagni agitprop della KJVD agì per la prima volta sotto questo nome nella primavera del 1927, presentando una grande rivista politica dal titolo Giù le mani dalla Cina!.

[12] Il primo gruppo di Bluse blu nacque nel 1923 a Mosca per iniziativa dell’Istituto di giornalismo, derivando il proprio nome dai camiciotti da lavoro degli operai, che furono assunti come divisa. Presto proliferarono nell’Unione Sovietica gruppi con lo stesso nome, che si unirono nell’associazione Teatro centrale delle bluse blu e pubblicarono il mensile Bluse blu. Nel 1926 l’associazione riuniva 5000 gruppi con circa 100.000 membri.

 

[13] Arbeiter-Bildung. Zeitschrift der Reichausshusses fur sozialstiche Bildungsarbeit, Berlin, 1926, n. 10, p. 168, citato in Deutsches Arbeitertheater, Introduzione, p. 31.

 

[14] Figlio di Wilhelm Pieck, che fu uno dei fondatori del Partito comunista tedesco, fu presidente della DDR dal 1949 al 1960, anno della sua morte.

 

[15] Das Arbeiter-Theater, p. 2.

 

[16] Frida Rubiner, Arbeitertheater in Klassenkampf, in Das Arbeiter-Theater, riportato in Deutsches Arbeitrtheater p. 307.

 

[17] Becher, fu in seguito, dal 1954 fino alla morte (1958) ministro della Cultura della DDR.

 

[18] Bericht des der KPD vor dem XII Parteigat vom 9/16-6-1929, Parte VI: Die kulturpolische Arbeiter der KPD, p. 272, citato in Deutsche Arbeitertheater, Introduzione, p.42.

[19] G. Buofino, Agitprop e “controcultura” operaia, in questo testo si riporta la versione in originale e quello alterato da parte nazista di una canzone agitprop.

[20] A questo tipo di iniziativa non fu veramente estranea la recente, diretta esperienza, del teatro rivoluzionario sovietico, e in particolare del TRAM, Movimento teatrale della gioventù operaia, che tuttavia agiva, non va dimenticato, in ben altra prospettiva politico-sociale: la costruzione di una società socialista.

 

[21] L’ATBD aveva avuto un ruolo importante nella fondazione dell’IATB avvenuta a Mosca, dove la Lega ebbe poi sede, nel 1929. L’IATB divenne più tardi IRTB (lega internazionale del teatro rivoluzionario) raccogliendo anche i teatri professionisti, per sottolineare il comune ideale di lotta.

 

[22] Non va dimenticato che Scena e film operaio era portavoce della cerchia di intellettuali che dirigevano l’ATBD, mentre Il megafono rosso diffondeva la prassi delle Agitproptruppen della KJVD.

 

[23] Il BPRS fu fondato nel 1928 come organizzazione letteraria e politica che si proponeva una letteratura e un’estetica marxista.

 

[24] I drammi di F. Wolf furono conosciuti e rappresentati ad esempio nella Repubblica Democratica Tedesca, dove la stima di Wolf fu superiore persino a quella verso Brecht per il suo inflessibile impegno ideologico.

 

[25] Rote Fahne 29 aprile 1931.

 

[26] Cfr. B. Balàzs, Theater auf dei Strasse, in Theater der Welt. Ein Almanach, a cura di Hebert Jhering, Berlin, Henschelverlag, 1949.

~ di marcos61 su novembre 26, 2015.

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