LA GUERRA MEMETICA
Un meme è una riconoscibile entità d’informazione relativa alla cultura umana che è replicabile da una mente o un supporto simbolico di memoria – per esempio un libro – ad un altro mente. In termini più specifici, un meme, è un “unità auto-propagantesi” d’evoluzione culturale, analoga a ciò che il gene è per la genetica.
Un meme può essere parte di un’idea, una lingua, una melodia, una forma, un’abilità, un valore morale o estetico; può essere in genere qualsiasi cosa che può essere imparata e trasmessa ad altri come un’unità. Lo studio dei modelli evoluzionistici del trasferimento dell’informazione prende il nome di memetica.
Come l’evoluzione genetica, anche l’evoluzione memetica non può avvenire senza mutazioni. La mutazione produce varianti di cui solo le più adatte si replicano; ossia: diventano più comuni ed aumentano la loro possibilità di replicarsi ulteriormente. È probabile che sia stata la mutazione a far evolvere culturalmente un primitivo gruppo di sillabe nell’ampia gamma di significativi simbolici all’interno di ogni lingua. Ulteriori mutazioni del linguaggio sono la scrittura, l’alfabeto Braille, la lingua dei segni, ecc.
Persino i cosiddetti “tormentoni” generati dai mass-media o estrapolati da film, videogiochi, discorsi pubblici sono memi capaci di diffondersi e mutare.
In fondo, il termine meme è usato per indicare un qualsiasi pezzo d’informazione che è trasmesso da una mente a un’altra.
Un meme può essere:
1) La tecnologia, oggetti come le automobili, le tazze, i fermagli ecc. e le loro modifiche nelle epoche e nelle culture. La tecnologia è una dimostrazione di come la mutazione sia essenziale per l’evoluzione memetica (e genetica).
2) Una canzone che non si riesce a smettere di canticchiare.
3) Una barzelletta, o perlomeno una sufficientemente bella da essere raccontata.
4) Un proverbio o un aforisma.
5) Un poema epico.
6) Una catena di sant’Antonio.
7) Tutte le forme di religione, di credenza e di superstizione.
8) Una filastrocca, una ninnananna o una canzoncina per bambini.
9) Le ideologie politiche. In particolare i grandi movimenti ideologici.
10) I tormentoni diffusi dai media.
11) Qualcosa che si deve (o non si deve) dire agli amici.
Il concetto di meme è anch’esso un meme. Perfino l’idea che il concetto di meme sia un meme è diventato un meme. Anche i film sono veicoli di trasmissione memetica molto forti per via della loro diffusione di massa; molte persone si ritrovano per imitare frasi particolari o modi di dire a volte persino senza aver visto il film da cui sono tratti. Internet è divenuta veicolo di una quantità infinita di meme, molti sono creati o fatti diventare meme dagli utenti stessi di vari forum.
Si potrebbe dire, che se i geni, che sono quell’unità fondamentale della selezione naturale che tende a sopravvivere e a replicarsi anche per migliaia di anni attraverso memi costituiscono il nostro software.
A sua volta il nostro software memetico potrebbe essere in programmazione di basso livello e programmazione ad alto livello di astrazione.
Una nuova teoria che cerca di unificare psicologia biologia e scienze cognitive
Richard Dawkins nel libro The Selfish Gene propone una teoria neodarwiniana incentrata sui geni – la più piccola porzione di DNA – che rappresenterebbero così, la parte immortale di ogni essere vivente I geni utilizzerebbero gli organismi viventi come involucri protettivi e per .
In seguito arriva a trasporre questa teoria in ambito mentale, culturale e sociale ipotizzando la comparsa di un nuovo tipo di replicatore che chiama meme, dalla parola greca mimesis che significa imitazione e che ha una particolare assonanza con il termine gene.
Bisogna intendersi cosa si deve intendere per piscotecnologia. Essa è una tecnologia che emula, estende, o amplifica le funzioni senso-motorie, psicologiche o cognitive della mente. Il telefono, la radio, la televisione, i computer e gli altri media concorrono a creare ambienti che, insieme stabiliscono ambiti intermedi di elaborazione e informazione.
Le psicotecnologie consentono di immaganizzare e replicare i memi e operano su tempi molto più brevi a differenza del DNA.
Questo tipo di tecnologie sono chiamate psicotecnologie poiché il software (ad esempio la scrittura) è capace di retroagire sull’hardware (il cervello) determinando l’insorgere di nuovi paradigmi cognitivi (quindi nuovi memi) che vanno ad influenzare vari aspetti dell’esistenza umana: la scienza, l’arte, la stessa visione del mondo.
Un primo esempio di psicotecnologie è il linguaggio. Il linguaggio predispone l’essere umano a un ragionamento sequenziale e lineare.
Con la scrittura, l’essere umano fa un passo successivo: prende possesso del linguaggio. I pensieri, la memoria e la conoscenza sono rappresentati esternamente su supporti materiali e per questo possono essere manipolati come oggetti.
Con l’avvento del calcolatore (grazie alle sue capacità d’elaborazione) si realizza l’estroflessione[1] cognitiva [2] non solo della memoria a lungo termine (ciò era avvenuto grazie ai libri) ma anche della memoria operativa o a breve termine. Le conoscenze escono dal corpo per diventare oggetti sui quali operare. Con la realtà virtuale si può persino pensare di condividere fisicamente le proprie conoscenze con altri in una realtà parallela.
Mentre con gli schermi del computer – a differenza delle altre interfacce (come le
pareti di roccia, i rotoli di papiro, le pagine del libro) – l’informazione è indipendente dal singolo schermo. Diventa onnipresente: lo stesso documento può manifestare su qualsiasi schermo o connesso alla rete.
Un altro aspetto interessante rispetto al libro sta nell’interattività. Con l’interattività, il medium risponde in tempo reale all’input dell’utente. L’addestramento all’interattività con un’interfaccia grafica grazie ai videogames inizia anche in età prescolare. Tali giochi non hanno un effetto solo ludico, sono vere e proprie psicotecnologie poiché implicano l’addestramento nervoso.
Infine con il collegamento ipertestuale dei calcolatori in una grande rete mondiale all’avvento di una “creatura planetaria”. Questo grande animale autoreferenziale e autocinetico si è posto fuori controllo dell’individuo e tende al rafforzamento delle proprie strutture. Ha assunto una via autonoma e si sta sviluppando inesorabilmente e inevitabilmente, con esiti (nell’immediato quello che si percepisce) che sono al di fuori della nostra capacità di elaborazione. Egli vive di se stesso, si auto-riproduce (elabora e sforna informazione), si alimenta di se stesso come l’Oroboruos, il serpente mitico che si morde coda.
L’evoluzione biologica ha contribuito a sviluppare un hardware molto particolare, un terreno di coltura di un nuovo replicante: il meme
A differenza dell’evoluzione genetica, l’evoluzione memetica è molto più veloce: i memi possono passare dai genitore ai figli come i geni oppure possono diffondersi tra gli individui come un virus utilizzando le nostre menti e altri supporti per replicarsi, inoltre un meme inadeguato è eliminato senza bisogno di aspettare la morte del suo portatore.
Ma di cosa ha bisogno un meme per potersi replicare efficacemente?
Ci sono delle tesi che sostengono che occorre che il meme sia semplice e comprensibile, che sia plausibile, che sia trasmesso fedelmente e riprodotto da medium duraturi e veloci. E altresì importante che sia ridondante: il meme deve essere come un mantra che si ripete costantemente. Occorre inoltre che sia in grado di integrare attraverso sincretismi altri memi con cui è in competizione oppure sia capace di cooperare con altri al fine di costituire un memeplesso possibilmente intollerante verso i memi differenti o meno adattivi.[3]
Inoltre un meme deve attirare la nostra attenzione (vedere anche la focalizzazione dell’attenzione nell’ipnosi come primo passo per la creazione di una monoidea e quindi dell’ideoplasia).
In un mondo in cui l’offerta d’informazione è enormemente aumentata questo è un fattore cruciale per la sopravvivenza del meme stesso, che nel frattempo “si è fatto furbo”. I “buoni memi” (quelli che sopravvivono e si diffondono) fanno spesso leva su alcuni istinti basici fondamentali come: combattere, fuggire, nutrirsi, accoppiarsi
Dovrebbe essere chiaro che i memi non agiscono a beneficio agli individui, anche se molti memi lo possono essere.
Un meme ben radicato nella sinapsi dell’individuo ospite guiderà il suo ospite guiderà il suo comportamento inducendo una fiducia cieca nella sua validità. Ciò comporta quindi un ordine implicito di diffusione. Si riscontra inoltre come a volte un meme possa essere di tipo simbiotico (capace di promuovere un comportamento adattativo per sé e per l’individuo che lo ospita) mentre altre volte funziona come un parassita e sopravvive a spese dell’organismo come i memi settari.
A volte questi memi sono particolarmente aggressivi come alcune fedi politiche o religiose. Le persone che ne sono preda ne sembrano interamente controllate e perdono lo scopo dell’esistenza in loro mancanza.[4]
Memetica
Ci sono particolari tecniche che si sono evolute nel tempo e che consentono ai memi di riprodursi efficacemente e sono per esempio l’arte retorica, l’ipnosi, la teoria della persuasione oppure la coercizione e l’inganno.
Bisogna tenere conto, che oltre alla tecnica del condizionamento classico ci sono anche la dissonanza cognitiva e i cavalli di Troia.
La dissonanza cognitiva, fa leva sulla pressione mentale, il pathos, il disagio per installare un nuovo meme: “Imponendo alle persone il superamento di prove rituali, analogamente a quanto avviene ai fini dell’accesso a una casta chiusa, accade una di queste due cose: o l’iniziato si ritira per non sopportare la sofferenza, o un meme che rappresenta il valore dell’appartenenza all’organizzazione si crea o si rafforza nella mente dell’iniziato”.[5] Per rafforzare quest’effetto si può far leva sugli istinti biologici fondamentali come la paura o la fame di potere e creare quello stato particolare d’impasse definibile come “manette dorate”, descrivibile anche con la seguente frase “ti do la libertà totale e il potere in cambio della schiavitù perenne, ma ricorda se e ne vai perderai tutto e cadrai in disgrazia”.
L’altra tecnica si chiama Cavallo di Troia: “Il metodo di programmazione detto Cavallo di Troia opera inducendovi poi, di nascosto attenzione a fare attenzione ad un solo meme, introducendo poi, di nascosto insieme al primo, un intero pacchetto di altri memi (…) un Cavallo di Troia può servirsi dei vostri pulsanti istintuali, cliccandoli per ottenere la vostra attenzione la vostra attenzione e insinuandosi poi in un’altra zona. (…) Perché il sesso vende? Perché pigia i vostri pulsanti, attira la vostra attenzione e, agendo come un cavallo di Troia, vi condiziona con gli ulteriori memi impacchettati all’interno dello spot pubblicitario (…). La tecnica più semplice per confezionare pacchetti, quella usata più frequentemente da politici e avvocati, consiste semplicemente nel dichiarare i memi uno dopo l’altro, in un ordine decrescente di credibilità. La credibilità delle prime affermazioni sembra essere d’aiuto per quelle successive sprovviste di fondamento. (…) I memi discutibili posti alla fine del pacchetto si introducono nella vostra mente servendosi del cavallo di Troia costituito dai memi incontrovertibili posti dell’argomentazione”.[6]
Guerra memetica
E’ più importante uccidere un uomo oppure le sue idee?
Questa domanda che si potrebbe trovare paradossale, ma serve a introdurre l’argomento dell’uso della memetica per fini che non sono volti al benessere dell’umanità e la memetica potrebbe essere una delle più potenti armi del terzo millennio.
Ogni giorno siamo costantemente sotto il fuoco dei media. Le tecniche di disinformazione, persuasione e suggestione sono molteplici. Per esempio i media grazie alla loro risonanza precisano ciò di cui si dovrebbe parlare, dirigono l’attenzione del cittadino e in tal modo istituiscono dei trend. Questa tecnica si chiama agenda-setting.
Il modo in cui sono presentate le notizie funziona come un effetto placebo: noi acquistiamo il giornale e cominciamo col vedere i titoli di prima pagina, la priorità loro accordata e in virtù di questo inganno deduciamo la loro importanza rispetto alle notizie che meritano minore attenzione per non palare delle notizie mai pubblicate che ha volte potrebbero essere le più importanti.
L’effetto placebo consiste nel ritenere le notizie di prima pagina le notizie del giorno.
I passaggi sono esattamente gli stessi del placebo classico: inganno – convinzione – effetto.
Se alla stessa persona avessimo fatto leggere le notizie in ordine sparso su dei fogli con carattere uniforme costui avrebbe sicuramente cambiato la priorità degli avvenimenti e si sarebbe accorto di alcuni avvenimenti che erano passati inosservati.
Ciò vuol dire che “per modificare la nostra visione del mondo, basta modificare la forma logica con cui il mondo viene descritto attraverso i media”.[7]
Prendiamo i sondaggi. Sappiamo tutti ormai che i sondaggi sono creati a tavolino per ottenere un certo feedback, basta orientare il parere degli intervistati con domande formulate ad arte.
Le domande servono per contagiare la persona con memi che passano inosservati sotto forma di presupposizioni.
Una volta che il sondaggio ha dato il risultato desiderato può essere pubblicizzato e diffuso ampiamente come il risultato autorevole di una seria ricerca di mercato. Il sondaggio non è più un parere ma una rappresentazione oggettiva di cosa la gente pensa. Non si tratta qui di convincere la gente dicendo che osa dovresti pensare ma si da la vittoria già per scontata. In tal modo il sondaggio funziona come una profezia che si autodefinisce, serve a creare opinione piuttosto che misurarla.
Un esempio di profezia che si autodetermina grazie all’intervento dei media è stato quando nel marzo 1979 i giornali californiani cominciarono a pubblicare servizi sensazionali su un’imminente e drastica riduzione nell’erogazione benzina, gli automobilisti diedero l’assalto alle pompe per riempire i loro serbatoi, e tenerli possibilmente sempre pieni. Fare il pieno di 12 milioni di serbatoi (che fino a quel momento erano mediamente solo a un quarto del livello) esaurì le enormi riserve disponibili, provocando praticamente da un giorno all’altro la scarsità predetta.[8]
Che dire di Internet e in particolare dell’interattività? L’interattività venduta come potere e scelta maggiore ad un esame più attento si rivela un’iperpassività.
Ciò che viene venduto come interattività è la possibilità concessa all’utente di schiacciare un infinito numero di tasti che permetteranno l’accesso ad altri documenti secondo un percorso solo in apparenza libero, insomma, qualcosa di molto simile a un topo che viene fatto correre in un labirinto.
Nell’opera Scienza del comportamento umano (1957), Burrhus F. Skinner fa una distinzione fra comportamento operante, ovvero il comportamento che opera sull’ambiente producendo delle conseguenze e quello rispondente, che risponde passivamente allo stimolo il cui esempio tipico è il cane di Pavlov, il rinforzo, cioè l’evento che concorre all’apprendimento non è dato esternamente da una persona ma è dato dall’azione del soggetto. Il topo ha il cibo solo se preme l’apposita levetta, pertanto lo stimolo non è incondizionato come per il comportamento rispondente, ma è condizionato dalla risposta del topo.
Nel 1948 Skinner aveva pubblicato Walden Two, dove viene descritta una società “ideale” governata in base alle teorie comportamentistiche di stimolo/risposta. La manipolazione del comportamento creerebbe una vita “ideale”, un’utopia non solo “buona” ma realizzabile.
In effetti tutta a scienza del condizionamento consiste nell’installazione di memi attraverso la ripetizione.
Il condizionamento operante grazie al rinforzo autoindotto installa non solo memi associazione ma anche strategie di comportamento del tipo Se… allora.
I fenomeno detto “apprendimento hebbiano” (dallo psicologo canadese Donald Hebb) spiega questi fenomeni. In pratica succede che, quando dei neuroni vengono attivati più volte contemporaneamente si associano e “le cellule e le loro sinapsi cambiano chimicamente in modo tale che, quando una ora s’attiva, sarà molto più efficace nell’attivare l’altra. In altre parole, i neuroni entrano in società in modo tale da eccitarsi in copia con maggior rapidità rispetto a prima”.[9]
Molte campagne di marketing funzionano proprio secondo questi principi: “il manifesto pubblicitario che vedete mentre vi recate al lavoro raffigura una splendida modella alla guida di una macchina che sfreccia attraverso una foresta in fiamme in un’esotica località tropicale: queste immagini attirano i neuroni nei centri emotivi del vostro cervello. Nello stesso istante i neuroni i neuroni dei centri del linguaggio e di quelli visivi registrano il marchio e il nome della casa costruttrice. Tombola! Due gruppi di neuroni in zone distinte del cervello sono attivati contemporaneamente. Passate davanti a quel manifesto ogni mattino per alcune settimane, magari vi capita di vedere immagini simile la sera in televisione, e vi troverete con un complesso di neuroni interconnessi, legati tra loro, per il semplice fatto che sono stati attivati all’unisono. Il risultato? Che quando vedrete la stessa macchina nella prima vetrina di un concessionario, questo farà riemergere un qualche frammento dell’emozione provata inizialmente o almeno, questa è la speranza del gruppo responsabile del marketing”.[10]
.
[1] L’estroflessione sarebbe in sostanza un mettere fuori ciò che si può pensare come dentro, come quando un bambino dice “la luna mi segue” o quando un Papa afferma che c’è il diavolo. La nostra storia ci ha dato momenti in cui l’estroflessione era caratterizzante. Per esempio Roma, durante la caduta dell’Impero romano privo di sua missione imperiale, e senza la speranza che intanto albeggiava nei cristiani, il Seicento, in Francia in particolare, quando quello che sarebbe stato denominato più tardi isteria o senso di colpa era rappresentato da demoni che invadevano il corpo, istigati da streghe e stregoni; e naturalmente l’epoca attuale, dove una persona è la somma del danaro che può esibire. Attualmente quest’onda d’estroflessione sembra essere una reazione prevedibile al dominio, durato più di un secolo, della psicologia e della psicologizzazione, che riduce tutto quello che accade al “dentro”. Le due principali risposte tecniche alla psicologizzazione prima dominante, sono il comportamentismo e le neuroscienze da una parte, e il conversazionalismo dall’altra. Correnti entrambe che ubbidiscono all’ingiunzione, e non alla proibizione agostiniana, dell’andare fuori, foras ire. Infatti, le neuroscienze hanno messo fuori dall’anima qualsiasi evento, alienandolo in una sorte di apparato, non si sa bene se più biologico o più robotico, che localizza la rabbia, l’empatia, l’amore, la creazione artistica in atolli autonomi di un arcipelago fuori di noi. Analogamente il conversazionalismo nel corso degli ultimi vent’anni, ha progressivamente cercato di autonomizzare la parola dal suo servaggio alla descrizione del mondo e all’espressione della mente, per renderla autonoma in sé stessa. Per esempio, in “Interni familiari”, il linguaggio dell’interlocutrice, che potrebbe essere ridotto a delirio in chiave psicologica o ad attivazione di una zona cerebrale in chiave di neuroscienza, viene preso nel suo valore negoziale sulla Piazza del Mercato insieme al terapeutica. Come il broker è ciò che i suoi titoli dicono agli altri che ha, così nel nostro lavoro una persona è ciò che dice.
[2] Il primo e più importante esempio di estroflessione cognitiva è stata la parola, seguita a grande distanza di tempo dalla scrittura. Staccandosi dalla loro matrice mentale, la parola e la scrittura divengono oggetti in parte autonomi e si prestano a elaborazione, studio e manipolazione. A loro volta le estroflessioni sono in grado di retroagire sulle elaborazioni mentali (ad esempio la lingua contribuisce potentemente alla formazione della nostra visione, anche scientifica del mondo). L’informatica rappresenta un passo ulteriore in questa direzione. Grazie ad un anello di retroazione che va dall’informatica alle facoltà immaginative e da queste di nuovo all’informatica, la percezione che ha del mondo è continuamente alterata dalle sue manifestazioni hardware e software. La tecnologia dunque non modifica la nostra visione del mondo e la nostra azione su di lui solo nel senso scontato di potenziare i nostri sensi: essa agisce a livello più profondo, poiché incide sui riferimenti primari, modifica la nostra epistemologia e, attraverso di lei, la nostra ontologia.
[3] Francesco Ianneo, Meme, Genetica e virologia di idee, credenze e mode, Castelvecchi, 1999, Roma, pp. 83-84.
[4] I suicidi collettivi ai quali partecipa anche il santone sono il chiaro esempio di come il meme detenga il potere e non chi lo “ha creato”.
[5] Richard Brodie, Virus della mente, Ecomind, 2000, p. 225.
[6] C.s. P.P. 157-158
[7] Bruno Ballardini, Manuale di disinformazione, Castelvecchi, 1995, Milano. p. 16.
[8] Paul Watzlawick, La realtà inventata, Feltrinelli, Milano, 1994, p. 87.
[9] Lan H. Robertson, Il cervello plastico, Rizzoli, p. 17.
[10] C.s. p.p. 21-22.