UNABOMBER
Dal 1994 al 2006, un misterioso bombarolo ha seminato il terrore nelle città del Nord Est. Quasi subito è soprannominato Unabomber dalla stampa. Il nome deriva da quello di un bombarolo americano, Theodore Kacynski.
L’Unabomber del Nord Est italiano fabbrica ordigni all’inizio di tipo rudimentale, poi sempre più sofisticati.
Tutti gli ordigni sono progettati e costruiti non per uccidere ma per ferire e mutilare. Unabomber colpisce nella zona a cavallo tra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia.
Le vittime sono state persone comuni, tra cui donne che si recavano a fare la spesa, fedeli che assistevano alla messa e molti bambini. Gli ordigni, infatti, spesso erano inseriti in pennarelli, uova di cioccolato. L’attentatore (ma sarebbe giusto dire come vedremo gli attentatori) prediligeva le situazioni ordinarie, quelle della vita di tutti i giorni: soprattutto ambienti come supermercati, cimiteri, chiese. Inoltre ha colpito prevalentemente nei fine settimana e nei giorni di festa, o in particolari ricorrenze civili e religiose, come il 25 aprile, il 2 novembre, Natale, la notte della vigilia, Carnevale.
Queste azioni terroristiche, avevano l’obiettivo di colpire la vita di tutti i giorni, soprattutto nei momenti di maggiore gioia e serenità per la popolazione: una manifestazione fieristica all’aperto, le festività natalizie, le vacanze estive.
Di particolare rilievo è invece l’attentato al Tribunale di Pordenone che può essere interpretato come una vera e propria minaccia in codice ai magistrati che stavano indagando su di lui.
Le indagini sono frammentate. Quattro procure diverse (Pordenone, Udine, Treviso, Venezia) portano avanti indagini distinte e non collegate tra di loro. Nel corso degli anni oltre 20 magistrati si sono occupati a vario titolo della vicenda. Solo nel 2004 si costituisce una squadra Anti-Unabomber che unifica le quattro procure e accentra le indagin9i a Trieste e Venezia. Nel 2008 questo pool investigativo sarà sciolto. Furono chiamati a collaborare alle indagini anche i RIS di Parma e alcuni esperti americani del FBI. Ma le indagini furono segnate da “errori”[1] da parte degli inquirenti, dalla mancanza di coordinamento tra le procure e da continue fughe di notizie.
Grazie a questi attentati gli apparati dello Stato hanno potuto permettersi di intercettare e schedare legalmente decine di migliaia di cittadini italiani delle province di Pordenone, Udine, Treviso e Venezia.[2]
Nel 2004 viene arrestato Elvo Zornitta, un ingegnere aeronautico residente ad Azzano Decimo, in provincia di Pordenone. Nella sua abitazione viene trovato materiale, che secondo gli inquirenti riconduce a Unabomber. In particolare viene sequestrato un paio di forbici che in seguito sarà considerato una prova schiacciante nei confronti di Zornitta; il quale avrebbe usato quelle forbici per tagliare un lamierino trovato in un ordigno inesploso. Il processo a Zornitta si basa quasi esclusivamente su questa prova.
Ma, la difesa – uno dei difensori di Zornitta è Maurizio Paniz, avvocato bellunese e deputato del PDL – ribalta la “super-perizia”, dimostrando che il lamierino era stato modificato dopo il sequestro, usando le forbici di Zornitta.
Per la manomissione della prova, viene accusato l’ispettore Ezio Zernar[3] capo del Lic (laboratorio indagini criminalistiche) di Venezia.
Nel 2009 il Gip di Trieste archivia il procedimento contro Zornitta.
Ma la faccenda interessante è che per la prima volta la magistratura ammette che Unabomber non è un singolo individuo, ma è probabilmente un gruppo di attentatori.
Questioni strane
C’è una questione veramente strana, degli oltre 30 attentati a lui attribuiti, non è stata trovata una sola impronta digitale utile a individuare Unabomber. Non c’è stato nessun testimonio che abbia visto il bombarolo posizione, i suoi ordigni. Eppure molto spesso si tratta di luoghi affollati come spiagge, supermercati e chiese. Neanche le telecamere hanno rilevato un’immagine utile a indentificare l’attentatore.
Gli ordigni sono stati definiti rudimentali e fatti in casa, facendo in questo modo credere che Unabomber sia un bombarolo seriale solitario, un maniaco isolato. In realtà si tratta di micro-bombe molto sofisticate tecnologicamente. La mano che ha confezionato quegli ordigni è di un professionista.
Per molti anni la magistratura ha continuato a sostenere la tesi del bombarolo seriale isolato. Questa è una tesi che non sta in piedi, è impossibile per un solo uomo mettere in atto decine di attentati e continuare imperterrito per 12 anni, senza commettere un errore o una svista e senza mai lasciare la benché minima traccia. La tecnica usata fa pensare a una squadra di esperti, con competenze specifiche.
È importante analizzare l’uso mediatico che Unabomber è riuscito a fare di se stesso e dei suoi attentati. I media hanno creato una sorta di “mito” negativo, parlando dei suoi attentati nelle pagine dell’opinione pubblica. Inoltre conosce le modalità e gli strumenti d’indagine, tanto che riesce a non lasciare alcuna traccia di sé e rendendo vanne tutte le analisi della polizia scientifica, anche quelle sul DNA. Tutte queste competenze, fanno pensare a un professionista – o meglio, a un gruppo organizzato di professionisti – che sa esattamente cosa fare e lo fa al meglio; sa muoversi con destrezza in questo campo, perché è ciò per cui è stato addestrato, e ha profonde conoscenze sulla guerra psicologica.
Le stragi “mafiose” del 1992/1993
Facciamo un passo indietro al periodo delle stragi “mafiose” del 1992/1993. Bisogna notare che quasi tutte furono rivendicate dalla Falange Armata.
Il telefonista che rivendica la strage dei Geroglifici a Firenze il 27 maggio 1993 utilizza lo stesso codice numerico d’identificazione (763321) usato per la strage di Via D’Amelio (Anch’essa rivendicata dalla Falange Armata). [4]
Il 28 luglio 1993: con una telefonata all’Ansa di Bologna, la Falange Armata rivendica anche gli attentati di Milano e Roma. Il codice di riconoscimento è lo stesso: 763321.
La Falange Armata utilizzò diversi codici per le sue rivendicazioni, ma tutti iniziavano con il prefisso 763. L’utilizzo del numero 321, invece, è iniziato con l’attentato a Borsellino. La Falange Armata, nelle telefonate, si attribuì il nome 17 novembre. È il 321° giorno dell’anno è il 17 novembre. Il 17 è un numero che compare spesso negli attentati di Unabomber. Il 17 novembre è anche il giorno di Santa Vittoria martire a Cordoba.
Vittoria è un elemento che compare negli attentati di Unabomber. Ad esempio: la prima volta che il bombarolo colpì in Chiesa, fu alla vigilia di Natale del 2002; un ordigno esplose nel Duomo di Cordenons, in Piazza Vittoria. Qualche mese dopo, sul greto del Piave, esplose un ordigno sotto un pilone del Ponte della Vittoria, tutto avvenne il 25 aprile, data della vittoria sul nazifascismo.
La scelta della data e del luogo, quindi, non sono casuali. Sono studiati perfettamente attorno alla parola “vittoria”.
Ci sono altri tre fatti importanti:
1) La comparsa di Unabomber del Nord Est corrisponde alla fine delle telefonate della Falange Armata.
2) Uno degli storici indagati nell’inchiesta Unabomber è l’autore delle rivendicazioni delle stragi a nome della Falange.[5]
3) Il 25 aprile del 2003 si svolse un’azione da parte di Unabomber, in località Fagarè in provincia di Treviso, nei pressi della Telcoma System s.r.l., la fabbrica produttrice del telecomando utilizzato per l’esecuzione della strage di Via d’Amelio.
La Falange Armata è stata una serie di operazioni tendenti alla prassi della destabilizzazione politica per stabilizzare maggiormente il quadro politico in senso reazionario.
Gli operatori della Falange Armata avevano competenze specifiche in materia di apparecchiature elettroniche e in azioni di guerra psicologica. I membri della Falange Armata provengono dal servizio segreto (alcuni dei quali provenienti dalla Folgore che ha sempre fornito il proprio personale ai Servizi) e arruolati nella misteriosa sezione K.
Tutto ciò non è frutto di una fervida fantasia complottista. Liberazione del 30 ottobre 1998, pubblica un’interrogazione parlamentare dei senatori del Prc Giovanni Russo Spena e Fusto Cò, al presidente del Consiglio Massimo D’Alema, al ministro dell’Interno Rosa Russo Jervolino, al ministro di Grazia e Giustizia Oliviero Diliberto e al ministro della Difesa Carlo Scognamiglio, con cui si chiedeva la lista completa dei membri della struttura clandestina Gladio.[6] In questa interrogazione si dice: “emergerebbe che tutti i componenti civili e militari della Gladio erano in possesso del Nos (nulla osta di segretezza) e ciò nonostante alcuni di essi fossero risultati provenienti da formazioni di estrema destra o iscritti a logge massoni coperte, come tra l’altro risulta dalle inchieste di Cordova (…). In aperta violazione dell’art. 10 della legge n. 801 del 1977, veniva ricostituita la direzione di sicurezza interna (ex ufficio di sicurezza), fatta sciogliere dal presiedente del Consiglio Giovanni Spadolini (…). Presso la direzione sicurezza di Roma, via del Policlinico, 131, prestano servizio agenti della Gladio della VII divisione ed appartenenti alla sezione “K” tra cui il tenente colonello Cavataio (…). L’ammiraglio Martini nel 1987 poneva a capo dell’organo esecutivo Ucsi (ufficio centrale per la sicurezza) il generale Inzerilli, durante la cui gestione venivano concessi nulla osta di segretezza a ditte indagate per mafia o coinvolte in tangentopoli (…). In questo periodo il Sismi si sarebbe riappropriato di 250 mila fascicoli (dossier) di pertinenza della Presidenza del Consiglio (…). Sarebbero state autorizzate numerose missioni all’estero in paesi in paesi fuori della Nato impiegando il personale della sezione K per addestramento, forniture di armi ed apparecchiature di ogni genere.[7] Parimenti risulterebbe l’impiego di uomini della sezione K o dei nuclei Ossi o Gos in operazioni non attinenti ai compiti istituzionali (sequestro Moro, Dozier, rivolta nel carcere di Trani, sequestro Achille Lauro, aereo sequestrato a Malta, la cosiddetta “operazione Lima” (…). La sezione K risulterebbe rivivere sotto la nuova sigla di Falange Armata di cui farebbero parte alcuni componenti della disciolta VII divisione. Secondo quanto dichiarato ai magistrati dal segretario del Cesis Paolo Fulci, la Falange Armata sarebbe composta da 16 ufficiali della VII divisione, arruolati in modo clandestino dal generale Pietro Musumeci tra gli ex paracadutisti della Folgore; che la creazione della sezione K è ascrivibile al capo della Gladio Inzerilli” e ancora “risulta inoltre parimenti ascrivibile alla VII divisione la creazione di altra struttura clandestina risultante operante anche dopo lo scioglimento della Gladio: il centro Scorpione di Trapani. Tale centro, sorto in una zona ad alata intensità mafiosa, di logge massoniche occulte, di traffici d’armi e di droga, disponeva di un velivolo leggere e di una pista di atterraggio. Da numerosa documentazione sequestrata dai magistrati della Procura di Padova è emersa la falsità contabile tenuta dal centro che elargiva compensi a “fonti” inesistenti. Il capo centro, maresciallo Li Causi, non è stato in grado di fornire plausibili spiegazioni (…);con differenti nomi di copertura, risulterebbe aveva partecipato a numerose operazioni illegali condotte dalla VII divisione. Dati questi precedenti risultano ancora non chiare le ragioni della sua presenza in Somalia dove perse la vita, secondo la versione ufficiale, a causa di una pallottola vagante (…); ulteriori elementi sono emersi circa l’illegalità della esercitazione Delfino effettivamente svoltasi in Friuli. Tutto ciò contrariamente a quanto sostenuto nel 1992 dai magistrati della procura di Roma che definirono l’esercitazione una “ipotesi di lavoro”, una “esercitazione in vitro”, provvedendo ad incriminare e far arrestare le persone che indagavano e che avevano presumibilmente rivelato l’esistenza”.
Bisogna dire che alcuni agenti sospettati di far parte della Falange Armata furono allontanati dal servizio.
Oltre al Centro Scorpione (che fu oggetto dell’ultima inchiesta del giudice Falcone a Palermo) la VII divisone aveva altri quattro centri operativi tra cui il Centro Ariete di Udine. I due centri di Trapani e di Udine, dalle testimonianze dei responsabili Fornaro e Li Causi, erano in contatto.
All’inizio degli anni ’90 risulta poi che altri uomini dei servizi sospettati di animare la Falange Armata abbiano frequentato varie località del Friuli-Venezia Giulia tra cui un albergo di San Pietro al Natisone il cui proprietario è morto nel 1992 in un singolare incidente stradale.
Una parentesi sulle bombe di Milano e Roma del 1993
E’ quasi diventata una vulgata comune nella stampa “progressista” del tipo Repubblica e soprattutto dopo le dichiarazioni del pentito Spatuzza, [8] il corollario del teorema attentati dell’1993=mafia, e cioè che quelle bombe “della mafia” sarebbero servite a favorire la scesa in campo politico di Berlusconi nelle elezioni del 1994.
Quasi tutti[9] hanno dimenticato o fatto finta di dimenticare una notizia, resa dall’allora ministro degli Interni Mancino, che gli attentati a Milano e a Roma furono rivendicati anche da un’organizzazione islamica attraverso “un cellulare di proprietà di un cittadino israeliano”.[10]
Se questa non è una notizia bomba!.
Mancino fece questa dichiarazione non in un’intervista giornalistica, che come tale è sempre a rischio di deformazioni, falsificazioni, ma è la risposta alla Camera alle interrogazioni di una lunga serie di deputati di destra e di sinistra: come tale è atto ufficiale.
Se si esamina attentamente la cronaca di quei mesi emerge tutto il contrario del teorema che si diceva prima: l’attentato mortale a Falcone contribuì a impedire l’elezione a capo dello Stato di Andreotti ma favorì quella del democristiano (e vicino a Israele) Scalfaro, le bombe del 1993 servirono in realtà a distruggere gli ultimi baluardi di resistenza della cosiddetta prima repubblica (cosa che non mi metto certamente a piangere): quelle bombe, rovesciate su un parlamento senza coraggio, furono immediatamente usate dal nuovo regime (premier Ciampi, presidente Scalfato) per aggiungere almeno due nuovi tasselli essenziali al suo rafforzamento: il cambio immediato dei vertici dei servizi segreti e l’approvazione del maggioritario.
C’è da chiedersi come mai un silenzio così assordante su questa dichiarazione? Perfino Mancino fece degli accenni alla “lobby ebraica”, ma fu duramente criticato.
Comunque della presenza israeliana in tanti attentati in Italia di esempi c’è ne sono stati tanti: da Argo 16, alla bomba alla questura di Milano del 1973.
Un motivo che non si volle andare a fondo su questa faccenda del cellulare in possesso del cittadino israeliano, molto probabilmente sta nel fatto che non si vuole andare a fondo delle stragi del periodo 1992/93.
Le bombe a schio
Nel gennaio 2007 in un’intervista uno degli ex indagati storici friulani del caso Unabomber, che era stato indagato in quanto era sospettato di essere lo stesso telefonista della “Falange Armata gruppo 17 novembre” che ha rivendicato alcune stragi mafiose del 1993,[11] scivola il discorso sull’uso della nitroglicerina in alcuni degli attentati recenti. Parlando della nitroglicerina l’ex indagato sostiene che questa sarebbe di facile produzione artigianale, sostenendo che non solo di averne prodotta nei laboratori della scuola dove insegna, ma di averla trasportata lui stesso a destinazione, attraversando la città. Utilizzando dei secchi di ghiaccio per stabilizzarla. C’è da chiedersi come mai una millanteria insostenibile.
Sarà una coincidenza, ma, pochi giorni dopo, l’intervista, sono depositati i risultati della superperizia sulle forbici sequestrate all’ingegner Elvo Zornitta.
Qualche tempo dopo, a Schio esplode nel bagno di un ospedale un ordigno. L’ordigno non assomiglia a quelli di Unabomber se non lontanamente. Pochi notano che a Schio ha sede la Valex, il distributore di utensili il cui marchio è impresso sulle lame delle forbici sequestrate a Zornitta, l’oggetto della perizia, ma anche lo strumento della manomissione e fulcro dell’intervista all’ex indagato. Tutto questo potrebbe rientrare nell’ambito delle coincidenze. Per di più l’ordigno esploso a Schio è “filosoficamente” diverso da tutti quelli esplosi sino a quel momento: non prevede, infatti, l’intervento della vittima per far scatenare l’esplosione. Una differenza che non si riscontra però in duce casi: l’attentato nella chiesa di Cordenons e l’esplosione nel bagno del tribunale di Pordenone adiacente all’aula Falcone e Borsellino.
Il nuovo bombarolo, a questo punto, scompare per due anni, fino al 15 gennaio 2009: il giorno prima della diffusione della richiesta di archiviazione per Zornitta, in cui si sdogana l’esistenza di più Unabomber. Un ordigno identico a quello del 12 gennaio 2007 danneggia un’auto, pare scelta a caso, nel parcheggio di Schio, in pieno centro storico.
Gladio, guerra ai confini e traffici
Il Friuli è stato anche una delle retrovie della Gladio che operava all’estero. Quando nel 1990. Andreotti consegnò alla Commissione Stragi, gli elenchi con i nomi dei 635 gladiatori, è evidente che questi nomi corrispondevano solo a una parte dell’organizzazione. Un aspetto da rilevare, era che gran parte dei gladiatori che gladiatori che c’erano negli elenchi erano residenti in Friuli e nel Veneto, e appartenevano all’ufficio R (ricerche all’estero) del SISMI, erano il collegamento tra l’organizzazione Gladio e le attività di destabilizzazione nell’est europeo e nei paesi arabi.
Alcuni esempi di attività di destabilizzazione nell’est europeo.
Tra il 1950 e il 1982, l’Albania fu oggetto di attacchi da parte dell’Imperialismo U.S.A. e dei suoi alleati. Il primo attacco contro l’Albania, con civili addestrati in basi militari situate in Italia di cui si ha notizia, risale al 1950. Nel 1982, la notte tra il 25 e 26 settembre[12] un gruppo di una quarantina di armati, imbottiti di dollari e di lire italiane, parte dal porto di Brindisi, per tentare uno sbarco sulle coste albanesi, ma è atteso dall’esercito albanese schierato in forze. Re Leka, il sovrano albanese in esilio, rivendica sulla stampa internazionale la paternità dello sbarco.
La presenza di civili albanesi addestrati in Italia fa pensare dell’esistenza di una Gladio albanese, finalizzato alla destabilizzazione di quel paese, gestita in prima persona dalla CIA e dai servizi segreti italiani. Questa struttura sicuramente era operante negli anni ’90, quando nei primi di novembre del 1992 fu scoperto un tunnel ai confini tra la Jugoslavia e l’Albania, che sarebbe servita ai terroristi albanesi di entrare e uscire clandestinamente. Un articolo del quotidiano jugoslavo Politika e ripreso dal Piccolo di Trieste dell’10.11.1992 parla d’istruttori italiani che addestrano ribelli albanesi/kosovari, in Albania.
Esiste una singolare coincidenza tra il momento in cui è svelata la struttura Gladio e l’esplodere della guerra balcanica. E’ tradizione dei servizi segreti l’abitudine di sacrificare in tutto o in parte una rete segreta per disinformare l’opposizione o per scaricare una struttura ormai bruciata o obsoleta. Otre a questo, uno degli scopi della divulgazione della struttura Gladio, sicuramente, era quello di non rendere evidente gli scopi reali di quest’organizzazione e le attività in corso (interferenza nell’ex Jugoslavia). Bisogna ricordarsi, che le inchieste della magistratura in corso in quel periodo, come quella su Peteano o quella sulla Rosa dei Venti, rischiavano di minare la segretezza e l’affidabilità operativa della struttura. Il generale Serravalle, uno dei comandanti di Gladio in un suo libro,[13] parla dell’esistenza di una Gladio jugoslava controllata dalla CIA collegata con i fascisti ustascia croati e i fascisti giuliani e giuliani. Questa, è un’ipotesi plausibile, se no come avrebbe potuto Vinciguerra a procurarsi dal nasco della grotta di Aurisina (uno degli arsenali di Gladio) gli accenditori e parte dell’esplosivo necessario per la strage di Peteano?.
Esiste una connessione tra Gladio italiana, albanese, jugoslava e le altre strutture clandestine, l’esplodere nella guerra nella ex Jugoslavia e la gestione di traffici di armi, droga lungo il confine orientale.
Lo sgretolamento dell’ex blocco “socialista” (metto tra virgolette, giacché non era socialista da tempo) ha portato la mafia italiana alla conquista di un mercato vergine. La corruzione a ogni livello degli apparati, è stato uno dei migliori appigli per l’inserimento della mafia in questi paesi, secondo i noti processi dello scambio di favori e della creazione dei clan. In lacune zone della Romania, della Jugoslavia, della Russia, della Bulgaria e dell’Albania, questo meccanismo si è sposato con la tendenza a organizzarsi in cosche e a dar luogo a interminabili faide. Il sottobosco della criminalità e della gestione del mercato nero costituisce il contatto giusto per tessere anche nelle aree urbane una rete di relazioni. Nel 1993 Aslanbek Aslakhanov presidente della commissione del Soviet Supremo per la sicurezza e la criminalità dice: “(…) in nessun paese del mondo esiste quel che c’è da noi, una specie di contatto matrimoniale tra criminalità con il colletto bianco e quella tradizionale).[14] In sostanza, anche in Russia come in Italia (e in altri paesi imperialisti come gli U.S.A.) esiste una connessione tra mafia, servizi segreti e potere politico.
L’esplodere della guerra civile nella ex Jugoslavia (terreno di scontro dei vari imperialismi prima quello tedesco e successivamente quello U.S.A.) mise in moto tutta una serie di processi che coinvolsero la Serbia, la Croazia, la Slovenia, la Bosnia, il Montenegro, la Macedonia, l’Albania e la Grecia, creando nuove opportunità per trafficanti di armi, di droga, di valuta ecc. (Il traffico di droga è usato come mezzo di finanziamento per le armi). Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Puglia divengono centro di un grandioso traffico gestito dalla malavita organizzata nel quadro dei nuovi scenari internazionali. La mafia siciliana, quella del Brenta, la Sacra Corona Unita scoprono nuove possibilità nel Nord Est. Paesi come la Croazia che aspira ad armarsi fino ai denti, accoglie a braccia aperte fornitori di armi, avventurieri, mafiosi e fascisti. Alla fine si crea una sorta di reciproca tutela tra emissari di Cosa Nostra siciliana e milizie croate fasciste. Questo salto di qualità, era già avvenuto come segno premonitore nell’intervento della mafia del Brenta e quella siciliana in operazioni di riciclaggio su vasta scala nei casinò del nord est e sulla costa dalmata, s’inseriva nella necessità delle autorità croate di armarsi e in quelle russe e degli altri paesi dell’ex Patto di Varsavia di smaltire l’immesso patrimonio di mezzi bellici. In Croazia dall’inizio della guerra, sarebbero giunte enormi quantità di droga, attraverso la rotta balcanica della droga controllata dalla mafia turca, e di armi (e di combattenti) dall’Argentina dove vive dal secondo dopoguerra una florida comunità croata (formata dagli ustascia scappati in Argentina) e dove prosperano uomini d’affari legati alla P2. E in Croazia che si trova l’artificiere del rapido 904 del 1984 Frederich Schaudinn, protetto da servizi segreti italiani che lo aiutarono a scappare, dove assieme a Licata (un affiliato al clan palermitano dei Fidanzati legato corleonesi) gestisce traffici di armi e di droga.[15] Tra i traffici che si sviluppano in questo periodo, ci sono quello del nucleare gestito da ex membri del KGB, rivolto in paesi come il Pakistan, Libia, l’Arabia Saudita ecc. Questi traffici sono collegati con quelli di armi e droga, dentro rapporti d’affari tra mafia russa, siciliana e del Brenta, e fascisti croati e italiani.
Quello lungo viaggio che da Gladio porta Sarajevo, dietro ci sta la penetrazione da parte del capitalismo occidentale nei paesi dell’est. Non è un caso che un gruppo di capitalisti tra i quali figura Gianni Cogolo, uno dei capitalisti occidentali a lanciarsi in imprese economiche quando c’era ancora l’URSS (costruzioni di stabilimenti industriali) a finanziare il partito di B. Eltsin. . E non è un caso che proprio durante la presidenza di Eltsin, cominciò a essere immerso sul mercato il mercurio rosso per finanziare il suo potere. Cominciò così la liquidazione del paese.
L’ombra dei serial killers
Quanto accaduto in Italia nella prima metà degli anni ’90 denota un’inquietante sovrapposizione di fatti:
1) Nascita di partitini federati al centro-sud e affermazione della Lega Nord.
2) Inizio di una nuova strategia della tensione che dall’ammissione ufficiale dell’esistenza di Gladio, passa per la conseguente nascita della Falange Armata e dopo il 1994 entra in gioco Unabomber nei territori del nord-est.
3) Elezioni del 1994 che celebrano la vittoria del Centro-destra capeggiata da una nuova figura politica: Silvio Berlusconi.
Sempre nello stesso periodo operò quella che fu definita la banda della Uno Bianca. Essa era composta da poliziotti e si macchiò di decine di omicidi e ferimenti contro obiettivi apparentamene diversi tra loro: carabinieri, tabaccai, cassieri, impiegati, passanti e testimoni; inoltre zingari e immigrati senza neanche il pretesto di finte rapine per pochi spiccioli.
Questo terrorismo dei serial killer è funzionale alla strategia del capitale che deve necessariamente colpire disgregare le “arretratezze” della società italiana, che costituiscono un ostacolo al pieno sviluppo capitalistico. In sostanza di uno sviluppo che sia decisionista, capace di stare al passo con la competizione globale.
La società italiana non è preparata a questi cambiamenti radicali che devono avvenire in tempi rapidi, perché l’accentuata concorrenza determinata dalla crisi, non aspetta nessuno, né tollera ritardatari. Occorre dunque colpire le “cattive” abitudini comportamentali: il provincialismo, l’assistenzialismo, la socialità e perfino la famiglia e le tradizioni religiose, quando diventano ostacolo a questa “rivoluzione culturale” del capitale.
E in questo contesto che appare la figura del serial killer (solitario o di gruppo come la Uno Bianca), del mostro. Tanti eventi criminali, spesso di una ferocia, come si trattasse di azioni coordinate fra loro. Li accomuna uno spropositato uso della violenza, spesso la mancanza di un movente plausibile e, soprattutto, l’indignazione popolare che riescono a scatenare.
Menzionarli tutti sarebbe impossibile: ricordiamo Manolo lo slavo, accusato di aver ucciso in Italia otto volte, girando le campagne del Nord Italia vestito con pantaloni mimetici e anfibi. A difendere Manolo ci sono legali che hanno difeso personaggi del calibro di Tom Arkan, indicato come uomo chiave dei traffici illegali di armi.[16] C’è del sangue a unire Manolo ad Arkan: l’assassinio di Dragon Radsic, il poliziotto ucciso a Belgrado freddato a Belgrado, nel 1996, a 48 ore dopo la conclusione del processo contro di lui. Il poliziotto stava indagando sui traffici di armi e fu lui ad arrestare Manolo dopo la strage dei Pontevico (dove nell’agosto del 1990 fu sterminata la famiglia Viscardi). Guarda caso nessun poliziotto andò al processo contro Manolo.
Dopo che fu arrestato, si “pente”,[17] dice che non ha ammazzato lui la famiglia Viscardi, che lo hanno incastrato. Ma soprattutto parla suoi dei rapporti con quelli della Uno Bianca, della “ misteriosa” scarcerazione dal carcere di Rimini, di colossali traffici di droga.
Poi c’è il killer delle pensionate in Puglia, quello dei taxisti in Toscana che usa strangolare le sue vittime con un laccio alla commandos; quello delle prostitute a Modena che vede indagato, un ‘ex parà.
Vediamo in maniera sintetica il fenomeno storico dei serial killer in Italia.
– Prima del 1975 6 serial killer 30 vittime.
– Prima del 1995 33 serial killer 143 vittime
– 1995 – 2000 11 serial killer 67 vittime.
Totale 47 serial killer 240 vittime.
A costoro vanno aggiunti almeno 9 serial killer agenti in gruppo che anno totalizzato (ufficialmente) 32 vittime.
Progressione di frequenza
1975-1989 8 serial killer
1981-1985 8 s.k.
1986-1990 4 s.k.
1991-1995 12 s.k.
1996-2000 11 s.k.
Serial killer agenti in gruppo
– 1987/94 Banda della Uno Bianca – Emilia Romagna
– 1988/90 Gruppo di Manolo lo slavo -. Veneto
Ripeto questi sono solo dati parziali, quello che è interessante è vedere il crescere di questo fenomeno, a partire dalla fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90.
Ci sono delitti che apparentemente sono diversi ma hanno molto in comune. Prendiamo come esempio le vicende di Cogne e quella di Omar ed Erika. Cosa hanno in comune?. Molto: innanzitutto l’apparizione del reparto dei RIS con le loro investigazioni “scientifiche” (prova del DNA ecc.); poi ci sono i genitori che ammazzano i figli e i figli che ammazzano i genitori nella maniera più sanguinaria e feroce. Tutto questo non in una grande metropoli, dove farebbe meno clamore, ma nella provincia italiana, nella piccola comunità montana dove tutto è sempre più tranquillo e non succede mai niente di eclatante. L’immaginario collettivo è colpito e turbato profondamente. Poi i macellai dell’informazione renderanno tutto questo più macabro: il messaggio che viene fuori è che non si può essere sicuri neanche fra le mura domestiche con la propria famiglia. L’effetto è equivalente a quello di una strage in una stazione ferroviaria a ferragosto o durante le vacanze di natale.
Del resto non è forse accertato che quello che definito “mostro di Rostov” in Russia negli ann’80 era coperto da settori del KGB che stavano preparando la transizione a un’aperta e completa restaurazione del capitalismo, e questo dallo scardinamento dei principi socialisti che erano ancora riconosciuti quali quelli che garantivano sicurezza e protezione assoluta ai bambini? Occorreva qualcosa di forte, di traumatico per preparare i russi a quello che sarebbe venuto più tardi, qualcosa che non si era mai visto prima: un “mostro” con la tessera del PCUS che divorava bambine.
In sostanza lo scopo è sempre lo stesso: condizionare e manipolare costantemente la cosiddetta “opinione pubblica” attraverso crimini particolarmente efferati.
Se guardiamo quello che è successo in Italia dagli anni ’90 ci si renderà conto dei cambiamenti radicali avvenuti in un periodo relativamente breve (rispetto ai 45 precedenti).
Il terrorismo di Stato, nelle sue varie forme ed espressioni, accompagna e guida questi cambiamenti.
Vorrà dire qualcosa quello che disse Antonio Mantella, il maresciallo dei carabinieri “suicidatosi” nella strage della caserma di Bagnara di Romagna il 16 novembre 1988, che lasciò detto prima di morire: “I terroristi sono fra noi”. Come mai prima dell’arrivo dei magistrati la caserma fu visitata da uomini in borghese che frugò da cima a fondo la stanza della strage, portando via molti documenti. Sicuramente uomini dei servizi. Si sono fatti tante ipotesi, quale ad esempio la scoperta di un Nasco, un nascondiglio di armi di Gladio. Non è che qualcuno dopo aver ucciso i carabinieri inscenò il suicidio di Antonio Mantella. Pochi mesi prima della strage di Bagnara, il 20 aprile 1988, altri due carabinieri furono uccisi da quelli della Uno Bianca.
Che messaggio intendeva fare e a chi, Roberto Savi il poliziotto killer della Uno Bianca, dopo l’arresto nel dicembre 1994, quando dice “Siamo in tanti”.
Britannia e le privatizzazioni in Italia
Facciamo un passo indietro, il 2 giugno 1992, a pochi giorni dell’assassinio del giudice Falcone, il Britannia, l’yacht della corona inglese, gettava l’ancora presso le coste italiane con a bordo alcuni nomi del mondo finanziario anglosassone:[18] c’erano rappresentanti della BZW la ditta di brokeraggio della Barclay’s, a quelli della Barino & C: e della S. G. Warburg. A fare gli onori di casa era la stessa regina Elisabetta II d’Inghilterra. Erano venuti per ricevere alcuni esponenti di maggior conto del mondo economico italiano: rappresentanti dell’ENI, dell’AGIP, Mario Draghi all’epoca rappresentava il Ministero del Tesoro, Riccardo Gallo dell’IRI, Giovanni Batoli dell’Ambroveneto, Antonio Pedone della Crediop, alti funzionari della Banca Commerciale e delle Generali, e altri della società Autostrade. La discussione verteva sulla liquidazione dei patrimoni industriali e bancari italiani. Gli inglesi assicurarono che la City di Londra era pronta a svolgere un ruolo, ma le dimensioni del mercato borsistico italiano sono troppo minuscole perché possano assorbire le grandi somme provenienti da queste privatizzazioni. Perciò s’invitò gli italiani a venire a Londra dove c’era il capitale necessario.
Ai mass media e al governo Amato, spettava il compito di trovare gli argomenti, parlando di necessità urgente di privatizzare per ridurre l’enorme deficit del bilancio. In questa campagna in favore delle privatizzazioni, furono usati argomenti del tipo: la corruzione, le inefficienze del settore pubblico ecc.
Un aiuto a questa politica di saccheggio venne da parte della Lega Nord. Infatti, proponeva la privatizzazione di ogni attività economica in mano allo Stato, dall’energia ai trasporti, fino alla RAI. Se si realizzasse la politica della Lega, non occorrerebbe sancire la separazione del Nord (e, infatti, Bossi definì il progetto di Repubblica del Nord una “provocazione”, potenza delle parole!). Allo Stato centrale secondo i leghisti, resterebbero solamente i poteri di battere moneta, di difesa e di politica estera. Ma poiché la prima è sostanzialmente in mano alla BCE, la seconda a organismi soprannazionali (come la NATO), lo stato nazionale italiano sarebbe una vuota carcassa. Inoltre, c’è una straordinaria coincidenza tra l’ideologia leghista e i programmi sviluppati da certi centri studi. Un esempio: la trasformazione dell’Italia in macroregioni è una politica ufficialmente promossa dalla Fondazione Agnelli, poi presentata in un convegno tenutosi a Torino l’11 e il 12 giugno 1992, con la partecipazione di quello che era all’epoca l’ideologo della Lega, Gianfranco Miglio. Scopo del convegno fu di discutere “soluzioni specifiche, procedurali e/o istituzionali” per l’autonomia della macroregione Padania, allo scopo di valorizzare le risorse con opportune competenze di governo. La Fondazione Agnelli, oltre alla FIAT era all’epoca legata a Enrico Cuccia garante degli equilibri economico finanziari tra la borghesia italiana e i centri potere internazionali, alla quale è collegato tramite la banca Lazard.
Giuliano Amato, appena insediò il governo nel giugno 1992, per iniziare le privatizzazioni, consultò le grandi società di Wall Street: Merril Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers. In seguito trasformò gli Enti statali in S.p.A., valendosi del decreto legge 386/1991. L’inizio delle privatizzazioni fu concertato con il Fondo Monetario Internazionale, che come aveva fatto negli altri paesi voleva privatizzare selvaggiamente e svalutare la lira.
Nel frattempo Amato aveva firmato i famigerati accordi del 31 luglio 1992 in cui le Confederazioni C.G.I.L. – C.I.S.L. – U.I.L. accettò l’abrogazione di tutta una serie di conquiste (scala mobile, contrattazione articolata ecc.) non solo in nome dei vincoli di Maastricht, ma anche esplicitamente, del mantenimento di un governo improntato al decisionismo craxiano antioperaio.
Vediamo alcuni esempi di privatizzazioni.
La privatizzazione della Telecom avvenne nel 1997. La privatizzazione, che comportò la quasi uscita totale del Tesoro, fu realizzata con le modalità del cosiddetto “nocciolo duro”: si vende cercando di creare un gruppo di azionisti che siano in grado di farsi carico della gestione della società. A causa della scarsa risposta degli investitori italiani, il “nocciolo duro” divenne un nocciolino: il gruppo con capofila, gli Agnelli riunivano solamente il 6,62% degli azionisti e si rilevò molto fragile. Il piano per il controllo di Telecom aveva la regia nascosta della Merril Lynch, del Gruppo bancario americano Donaldson Lufkin & Jenrett e della Chase Manhattan Bank. Alla fine del 1998, il titolo del 1998, il titolo aveva perso il 20%. Le banche Chase Manhattan Bank e la Lehman Brothers si fecero avanti per attuare un’Opa. Attraverso Colanino che ricevette finanziamenti dalla Chase Manhattan Bank, l’Olivetti divenne proprietaria di Telecom. L’Olivetti era controllata dalla Bell una società con sede in Lussemburgo, a sua volta controllata dall’OPA di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno.
Nel 2001 la Telecom si trovava in gravi difficoltà, le azioni continuavano a scendere. La Bell di Gnutti e l’Unipol di Consorte decisero di vendere a Tronchetti Provera buona parte delle azioni dell’Olivetti. Il presidente della Pirelli, finanziato dalla J. P. Morgan, ottenne il controllo su Telecom, attraverso la finanziaria Olimpia, creata con la famiglia Benetton (sostenuta da Banca Intesa e Unicredit).
Sono passati diversi anni dalla privatizzazione della Telecom, il bilancio è: oltre 20.000 persone licenziate, i titoli azionari hanno fatto perdere denaro ai risparmiatori (alla faccia dei propagandisti del “capitalismo popolare” e della “ricchezza per tutti” nel capitalismo) e i costi per gli utenti sono aumentati.
La Telecom, come le altre società, ha posto la sua sede in paesi esteri (per motivi fiscali), la Bell che controllava Telecom Italia, aveva sede in Lussemburgo e aveva all’interno società con sede alle isole Cayman, paradiso fiscale ben noto. Se aggiungiamo la violazione della privacy dei cittadini italiani, per contro d’interessi privati (un autentico mercato delle informazioni) ci si rende conto dei risultati di questa privatizzazione.
Anche per le altre privatizzazioni: Autostrade, Poste Italiane, Trenitalia ecc. si sono verificate le medesime devastazioni: licenziamenti, truffe a danno dei piccoli risparmiatori, degrado del servizio ecc.
La società Trenitalia è stata portata sull’orlo del fallimento. In pochi anni il servizio è diventato sempre più scadente, i treni sono sempre più sporchi, il costo dei biglietti continua a salire e disservizi sono numerosi. A dei tagli (non c’è più il secondo conducente), si sono verificati diversi incidenti (anche mortali).
Alla fine, queste privatizzazioni sono state una forma che ha consentito a grossi capitalisti nazionali e internazionali di appropriarsi della ricchezza sociale prodotta.
Una guerra civile strisciante tra diverse bande borghesi
Quello che è avvenuto in Italia in questo periodo, è stato in sostanza una guerra civile strisciante tra le diverse bande borghesi (nazionali e internazionali).
Nell’attuale fase di crisi generale del capitalismo, in tutti i paesi imperialisti, la borghesia sta eliminando una dopo l’altro le conquiste che la classe operaia aveva conquistato. Ogni frazione di capitale trova che quelle norme, regolamenti, prassi e istituzioni che nel periodo d’espansione mitigano o neutralizzato gli effetti estremi del ciclo economico, ora queste istituzioni, norme e regolamenti sono un impedimento alla libertà dei suoi movimenti per conquistare spazio vitale. La liberalizzazione, la privatizzazione appunto sono all’ordine del giorno in ogni paese capitalista.
Ciò rende instabile in ogni paese il regime politico, rende ogni paese meno governabile con gli ordinamenti che fino a ieri funzionavano. I tentativi di sostituire pacificamente questi ordinamenti, che in Italia significa modificare la Costituzione, vanno regolarmente in fumo. In realtà non si tratta di cambiare regole, ma di decidere quali capitali vanno sacrificati perché altri possono valorizzarsi e nessun capitalista è disposto a sacrificarsi. Tra i capitalisti solo la guerra può decidere.
Non è un caso che a livello nazionale e internazionale, sono in crisi gli organismi come l’ONU che cercano di ridurre l’espressione dei contrasti perché questi crescono, con l’espansione del ricorso da parte delle classi dirigenti a procedure criminali e a milizie extralegali e private, la creazione di barriere elettorali, l’accrescimento delle competenze dei governi e degli apparati amministrativi a spese delle assemblee elettive ecc.
In Italia si sono scontrati da una parte un settore reazionario di borghesia nera (particolarmente legata alle speculazioni immobiliari) con una base di massa nella piccola e media borghesia, nei lavoratori autonomi[19], con la componente piduista della Massoneria). Questo settore è politicamente legato al Partito del popolo delle libertà, Italia), appoggiato da parte dei servizi segreti, dai carabinieri, dalla mafia e dalla polizia. E’ appoggiato dai sionisti (che hanno l’interesse di evitare una politica filoaraba in Italia), dagli imperialisti U.S.A, che vogliono evitare che l’Italia si rafforzi la tendenza a un’integrazione imperialistica europea in concorrenza con l’imperialismo U.S.A. e necessitano di una retrovia sicura per il fronte sud contro i processi rivoluzionari e le varie lotte che sviluppano nei paesi dipendenti.
L’altro blocco ha come base sociale parte della borghesia imperialista italiana, una base sociale che pur risicata (e lo si è visto con le elezioni politiche del 1998) di mondo del lavoro dipendente, attraverso C.G.I.L. – C.I.S.L. – U.I.L. (e di un settore consistente del sindacalismo di base) per via del collaborazionismo di classe delle confederazioni sindacali, strumento ideale per attuare politiche antioperaie e antipopolari. Politicamente questo blocco è legato alle compenti “pulite” dell’ex democrazia cristiana, e dagli ex PCI, diventato adesso PD un blocco, berlingueriano-moroteo appoggiato da parte della massoneria “illuminata”, di una parte della magistratura, dei servizi segreti e della polizia. Il settore della borghesia che si appoggia a questo blocco, è alternativamente a favore di un’integrazione europea e degli accordi con gli U.S.A.
Per completare l’analisi, questa guerra civile strisciante in Italia, a livello politico è dentro il quadro del processo di svuotamento do decadimento della democrazia borghese.
Il decadimento alla democrazia borghese è evidente in ogni sfera politica. La corruzione ha pervaso ogni settore, i partiti e i leader si contendono i contributi finanziari dei capitalisti; le posizioni all’interno del potere legislativo ed esecutivo hanno tutti un prezzo; ogni parte della legislazione è influenzata da potenti lobbies che spendono milioni (di dollari o di euro ha secondo del paese e del valore della moneta in corso) per la scrittura di leggi a loro profitto e per individuare le manovre più opportune alla loro approvazione.
Il voto dei cittadini non conta nulla: le promesse elettorali dei politici non hanno relazione alcuna con il comportamento quando sono in carica. Bugie e inganni sono considerati normali nell’attività politica.
La democrazia borghese in decomposizione si trasforma in una democrazia oligarchica come un governo autoimposto da funzionari dell’esecutivo; sono scavalcate tutte le norme vigenti e s’ignora gli interessi della maggioranza della popolazione. Una giunta esecutiva di funzionari eletti e non eletti risolve questioni come quelle della guerra e della pace, alloca miliardi di dollari o di euro presso un’oligarchia finanziaria e riduce il tenore di vita di milioni di cittadini tramite pacchetti di austerità.
Si crea un mastodontico apparato statale di polizia, con poteri illimitati che impone vincoli all’opposizione politica e sociale. Quello che rimane delle libertà democratiche, sono costantemente ridotte attraverso limitazioni burocratiche imposte. Lo scopo è di limitare l’azione della minoranza critica, che potrebbe diventare un centro di mobilitazione popolare del malcontento.
Questo governo del capitale finanziario è mascherato da un’ideologia che descrive questo come un governo condotto da tecnocrati esperti, apolitici e scevri da interessi privati. Dietro la retorica tecnocratica, si nasconde la realtà che molti dei cosiddetti tecnici che compongono il governo di Grecia e Italia hanno una carriera di operatori per e con i grandi interessi finanziari privati italiani e internazionali.
[1] Metto errori tra virgolette, perché come spesso e volentieri questo tipo indagini è contrassegnato da depistaggi.
[3] Una successiva sentenza della Cassazione stabilisce che la manomissione è stata “casuale” e non intenzionale, http://www.ansa.it/web/notizie/regioni/friuliveneziagiulia/2012/05/29/Unabomber-Cassazione-forse-fu-casuale-manomissione-prove_6951449.html
[5] C.s.
[7] Un esempio evidente di operazioni illegittime fu l’operazione Lima quando il SISMI su una sicura sollecitazione di B. Craxi per aiutare A. Garcia (l’APRA è membro dell’Internazionale Socialista) con l’invio di apparecchiature tecnologiche e istruttori in Perù. Da tenere conto che in Perù furono inviati mezzi, che all’epoca erano considerati sofisticatissimi: ponti radio, sensori a raggi infrarossi.
[8] Spatuzza con alle spalle 40 omicidi ha accusato Berlusconi di essere dietro gli attentati del 1993.
[9] Dico quasi tutti, perché ci sono persone come Claudio Moffa certi fatti non li ha dimenticati.
[12] Fonti: Gazzettino 29.09.1982, Il Piccolo 29.09.1982, L’Unità 30.09.1982, Patria indipendente 23.01.1983 – Ricerca di Luigi Grimaldi.
[14] L. Grimaldi, Da Gladio a Cosa Nostra, Edizioni Kappavu.
[15] L’esplosivo al plastico usato contro Falcone e Borsellino è dello stesso tipo di quello inviato dalla Croazia alle cosche palermitane.
[19] La crescita di questa piccola e media borghesia è stata determinata in parte dal decentramento delle unità produttive. La borghesia tende a organizzare unità produttive più piccole, a combinare nello stesso luogo lavoratori dipendenti da aziende diverse sottoposti a diversi contratti e condizioni di lavoro, a delocalizzare aziende e a scombinare frequentemente l’organizzazione del lavoro, a generalizzare rapporti di lavoro precario, atipico, in nero, esternalizzare ecc. In Italia come in tutti i paesi imperialisti, la piccola e media impresa non ha nessuna reale autonomia economica. Sono le grandi società a fare ricerca e sviluppo.
La gran massa dei lavoratori autonomi (artigiani, negozianti ecc.) è composta d’individui sempre meno autonomi, poiché molti di loro (artigiani, negozianti ecc.) dipendono strettamente dai servizi dei monopoli industriali e dalle banche per le forniture, per le vendite, per le tecnologie, per il credito e dallo Stato per i regolamenti che inquadrano le loro attività, per il regime fiscale e per i contributi pubblici al loro bilancio.