SUICIDI E SOFFERENZE AL LAVORO:UN CRIMINE DEL CAPITALISMO
Per diversi mesi nel 2009 i media hanno parlato molto dei suicidi di dipendenti della France Telecom (33 in 18 mesi, quasi 2 al mese), già due anni prima, sempre in Francia, ci sono stati vari casi alla Peugeot e alla Renault. Anche in Italia ci sono stati di suicidi legati al lavoro.
Riflettere sul significato di questi suicidi e sulla sofferenza che li determina è molto importante non solo perché tutto ciò che riguarda le condizioni di vita della classe sfruttata ci riguarda direttamente sia come lavoratori, sia come compagni, ma anche perché lo sviluppo di questo fenomeno ci permette di comprendere lo stato nel quale si trova oggi il sistema capitalista e soprattutto la necessità e l’urgenza di distruggere questo sistema per sostituirlo con una società capace di soddisfare le necessità umane.
Mistificazioni
A partire dalla fine degli anni ’70 l’Occidente in apparenza si è progressivamente sottratto a quello che M. Foucalt allora definì “l’universo disciplinare”, che si era andato definendo sulle rovine dell’antico ordine medievale. Nel corso degli anni le profonde trasformazioni tecnologiche hanno contribuito sviluppare l’idea di una potenziale liberazione individuale. I mutamenti culturali e psicologici che hanno contribuito le trasformazioni della società capitalista, hanno prodotto un “iperindividaulismo”, oscillante fra senso d’inanità e narcisismo.
Questo discorso di sviluppo individuale in realtà nasconde nuove forme di manipolazione. Un esempio chiaro sono le politiche manageriali all’interno delle aziende.
Non è un caso che la maggior parte dei guru del management elaborano un discorso manipolatorio che è allo stesso tempo accattivante e menzognero. Un discorso che si fonda sistematicamente su messaggi inconciliabili, in altre parole chiede agli individui una cosa e il suo contrario: realizzazione personale ed eccellenza; impiegabilità e fiducia; autonomia e conformismo. In sostanza l’azienda propone o esige dai suoi dipendenti una sempre maggiore autonomia, ma nello stesso tempo fissa per loro obiettivi e calendari che non possono essere messi in discussione; i dipendenti si possono considerare “autonomi” nella misura in cui organizzano il loro lavoro come meglio credono, però devono raggiungere i risultati previsti da altri. L’autonomia di cui si sta parlando, quindi è pura apparenza.
Negli anni ’70 (sempre in apparenza) la logica piramidale delle aziende, grazie alle lotte operaie che criticavano in maniera radicale l’organizzazione capitalista del lavoro, era messo in crisi. Le imprese, soprattutto le multinazionali, iniziano il loro percorso di sviluppo, ed evolvono, seguendo le direttive dei nuovi manuali di “management partecipativo”. Nel 1986 l’amministratore delegato, Jan Carlzon, della compagnia aerea SAS, non esita ad intitolare il suo libro La piramide rovesciata. Non si tratta evidentemente di rovesciare i ruoli tra dirigenti e subordinati, ma di pensare relazioni di lavoro, in modo nuovo, nell’intento di migliorare efficienza e produttività. Secondo Carlzon, i dirigenti devono comportarsi come “guide” e poter contare sulla cooperazione e sull’impegno di ciascun dipendete. La direzione generale deve limitarsi a mettere a punto una strategia, lasciando ai quadri la possibilità di definire i bisogni dell’azienda e i mezzi per portare a buon fine la strategia. In sostanza lo scopo è quello di cercare di stimolare la creatività e lo spirito di collaborazione dell’insieme del personale.
Quello che avviene in realtà è che i lavoratori lungi dall’essere autonomi, sono sempre più sotto controllo. Malgrado la presunta libertà, sono costretti a lavorare in stato d’urgenza e sotto la pressione degli obiettivi fissati dall’azienda. Il tutto è agevolato dalle nuove tecnologie (Internet, cellulari ecc.) che consentono all’azienda di essere in contatto permanente con i suoi dipendenti: il confine tra la sfera privata e la sfera pubblica si fa sempre più sfumato, e i lavoratori si trovano ad essere valutati e giudicati in base alla loro capacità di essere sempre disponibili flessibili, competenti e impiegabili. Se un tempo autonomia e libertà erano invocati per limitare la dipendenza dei lavoratori dai loro superiori, oggi, imposte dall’alto, si ritorcono contro gli stessi lavoratori.
L’estensione della manipolazione
Si tratti dei manuali di management o della letteratura dedicata a realizzazione personale, autostima ecc. l’attitudine maggiormente valorizzata sembra essere la capacità di imporsi sugli altri. Tutto ciò grazie ad una ridicola forma di sicurezza che rasenta l’arroganza. La certezza di avere ragione è il messaggio principale delle varie bibbie manageriali, che moltiplicano le ricette per aiutare gli individui a rafforzare il loro ascendente sugli altri.
Il principio che governa questa “entusiasmante” visione dell’essere umano non è certo nuovo. Basti pensare ai puritani e ai giansenisti del XVII secolo. Per i puritani, ogni individuo cerca di soddisfare i propri desideri attraverso astuzie e lusinghe. Per i puritani non esistono autentici atti virtuosi. Sono convinti, che, per dominare gli altri, non via sia mezzo migliore che assoggettarne l’amor proprio, fingendo di onorarlo.
Nella società contemporanea, come filo diretto a questo pensiero, gli individui si trovano a una doppia ingiunzione; da un lato, sono esortati ad avere fiducia in se stessi, e non lasciarsi influenzare dagli altri; dall’altro si ritrovano di una società che non sopporta la fragilità, che costantemente li valuta sulla base del successo ottenuto, e che promuove il successo come unico valore. Questa sorta di accozzaglia intellettuale propone come modello umano un individuo ideale, sottratto a ogni forma di dipendenza: non ha più bisogno degli altri, non li cerca più. Per questo motivo, è necessario non dare mai la sensazione di essere dipendenti da qualcuno o da qualcosa; la dipendenza è il segno dell’incapacità di essere padroni di sé. Viceversa, mostrandosi padrone di se stesso, l’individuo crede che alla fine tutto sia possibile. I suoi sogni non riguardano più i sentimenti, l’amicizia, l’amore. L’individuo è convinto che tutte le relazioni interpersonali siano relazioni fittizie, artificiali. I suoi sogni sono concentrati sul suo sé. È convinto che se gli altri non hanno una buona opinione di lui, significa che c’è qualcosa che non va nella sua testa; e perciò deve diventare un altro.
Di qui lo strepitoso successo degli “esperti d’immagine”, che esortano a cambiare look per cambiare vita. Così accade che lo stile che crediamo di imporre agli altri sono in realtà le suggestioni imposte dagli esperti di immagine.
Ora per imporre suggestioni, la gestione della comunicazione diventa un elemento essenziale. La regola del successo consiste nel comprendere che una comunicazione controllata è la condizione indispensabile per gestire le tensioni che ci circondano. Donde il crescente successo di quello che viene la “programmazione neurolinguistica” (PNL). Questa tecnica di comunicazione di controllo della comunicazione propone alle persone tutta una serie di consigli che consentono alle persone di cambiare atteggiamento e di creare nuove forme di “spontaneità” adatte alle differenti circostanze della vita. Originaria degli Stati Uniti, la PNL, viene presentata come una tecnica in grado di indurre i cambiamenti che consentirebbe di raggiungere la felicità. I suoi inventori, Richard Bandler 1° e John Grinder 2° sono convinti che tutti coloro che hanno successo nella vita condividano i medesimi atteggiamenti e la medesima gestualità. Da qui l’idea che per aver successo nella vita sia sufficiente riuscire a riprodurre queste attitudini. Per questo motivo la PNL, tende a riprogrammare il cervello, allo scopo di aggiungervi nuove potenzialità.
Nonostante che la PNL non viene considerata parte della corrente accademica prevalente della psicologia, questo dispositivo per il successo sembra perfettamente collaudato ed è applicato in particolare nella formazione aziendale. 3°
La manipolazione esiste da sempre. Osservava Platone, che esistono due generi di discorsi: i discorsi che cercano di procedere lungo il cammino della conoscenza e quelli che mirano a ottenere benefici che esulano dall’ordine del discorso, e che sono competenza della sofistica, una tecnica linguistica intrisa di menzogna e manipolazione. Ma i classici sapevano distinguere tra il discorso del filosofo e quello del sofista.
Il mondo moderno è caratterizzato dal capovolgimento dell’ordine dei valori. Il management celebra i sofismi: il discorso più nobile non è certamente quello che intende procedere lungo il cammino della conoscenza, ma quello che mira a modificare gli atteggiamenti delle persone o suggerire come imporsi agli altri. Il linguaggio viene manipolato, alla verità si preferisce l’efficienza (che genera un profitto ovviamente).
Il contenuto di classe dal mio modesto punto di vista è evidente. Bisogna partire dal fatto che la produzione di merci (sia materiali che immateriali) è retta in una società capitalista dalle leggi del capitalismo, che si traduce in produzione di capitale, è perciò l’evoluzione della scienza è orientata dalla necessità di accrescerla. Anche gli stessi scienziati “disinteressati” sono costretti a rendersene conto, sia pure in modo mistificato: per ottenere i crediti necessari al loro lavoro, essi spiegano al capitale che si tratta di un buon investimento, suscettibile domani di fornire profitti consistenti. In realtà, tutta la discussione fra ricerca applicata e ricerca fondamentale non è che un dibattito fra le esigenze immediate e future del capitale, e tutti i centri di ricercatori e di accademici si collocano pari pari sul piano della redditività capitalista: qualcuno potrà anche credersi “comunista”, “antagonista”, “rivoluzionario”, libero dalla caccia del profitto immediato, in quanto si occupa del profitto futuro.
Il soggetto di quelle che sono definite “scienze dell’uomo”, come la psicologia, psicologia sociale ecc., è l’uomo della società capitalista (homo capitalisticus). La psicologia sociale (che offre brillanti carriere di capo del personale, di agente pubblicitario, di esperto di mercato e di “relazioni (in)umane”) è rivolta al problema della produttività degli operai (come aumentarla senza sganciare quattrini!). Queste scienze in una società comunista spariranno perché sarà scomparso il loro soggetto, l’homo capitalisticus.
Il suicidio nel posto di lavoro e le sue motivazioni
Quando il 20 ottobre 2006, un tecnico informatico si getta dal quinto piano finendo nell’hall del Centro Renault, a Guyancourt (Ile-de-France). La notizia sconvolge l’opinione pubblica: il suicidio avviene in pieno giorno, davanti a decine di testimoni. Questo non è stato l’unico caso di suicidio avvenuto in questa sede: nel 2007 ci sono stati altri 3 casi di suicidio.
Dopo alcune settimane il Comitato d’igiene, sicurezza e condizioni di lavoro richiede i cui risultati definitivi sono stati resi il 21 gennaio 2008. 4° Il rapporto ha ricevuto il 60% di risposte e descrive un quadro drammatico: “Il tasso di popolazione a rischio, al Centro tecnico, supera il 30%, laddove la media nazionale si aggira intorno al 10%” hanno dichiarato il 24 gennaio all’Agence France-Presse Pierre Nicolas, del sindacato e Bernard Masson, del Comitato d’igiene che ha promosso l’indagine.
Il 2007 ha raggiunto un triste primato per quanto riguarda i suicidi, soprattutto nel settore automobilistico. 5° Il 16 luglio un dipendente del gruppo PSA Peugeot Citroen è trovato morto nella fabbrica in cui lavorava, a Mulhose. L’uomo si sarebbe impiccato nelle officine di montaggio del settore logistico, portando così a sei, dall’inizio dell’anno, il numero dei dipendenti del gruppo che hanno scelto di porre fine alla loro vita.
Il suicidio sul posto di lavoro rimane uno dei tabù della società occidentale. È più facile affrontare temi quali a corruzione della classe dirigente o le derive mafiose di settori della politica, che parlare di suicidio di un lavoratore.
I rari casi nei quali, in passato, fu possibile affrontare una questione così drammatica riguardavano alcune professioni particolari “esposte” o a “rischio”, come le guardie carcerarie, i poliziotti, gli addetti al pronto soccorso o i vigili del fuoco, anche se, ogni volta, lo si faceva con un certo disagio. Ma quando si tratta di suicidi in settori come quello automobilistico e quello delle telecomunicazioni, il disagio si trasforma in mutismo.
A differenza di ogni altro argomento, anche il più insolito, che incita l’amministrazione pubblica a circondarsi di numeri e percentuali, per i suicidi sui posti di lavoro non esistono statistiche ufficiali. Un’indagine parziale in Francia, l’unica condotta nel 2003 dall’ispettorato medico della Bassa-Normandia, 6° rileva che il fenomeno non è trascurabile: in Francia, i lavoratori che si uccidono sul posto dei lavoratori sarebbero fra i trecento e quattrocento l’anno. Ma perché qualcuno decide oggi di togliersi la vita in ambienti di lavoro che da osservatori esterni potrebbero sembrare tutt’altro che duri?.
Per mettere fine ai propri giorni, la scelta del luogo è assai significativo, è come se l’ultimo messaggio di chi decide di farla finita fosse rivolto direttamente ai suoi datori di lavoro e ai compagni di lavoro. Spiega Christophe Dejours “Questi suicidi sono legati al venire meno nel mondo del lavoro della solidarietà e dell’aiuto reciproco“. 7°
Non è da escludere che i suicidi siano dovuti alla ristrutturazioni in atto e ai relativi licenziamenti, basta pensare agli oltre 100 suicidi (quelli ufficialmente registrati) tra i cassintegrati della Fiat. Tra l’ottobre 1980 e l’aprile 1984 furono censiti tra gli operai della Fiat e dell’indotto che erano in cassa integrazione.
Tutte queste migliaia di operai in cassa erano il frutto della sconfitta della lotta dei 35 giorni alla Fiat, dovuta alla collaborazione di classe del sindacato (e del PCI) che firmò un accordo con l’azienda che prevedeva la cassa integrazione senza nessuna garanzia di rientro in fabbrica, aveva messo in cassa integrazione migliaia di operai, tra i quali c’erano le avanguardie che erano espressione delle lotte iniziate alla fine degli anni ’60.
A tutto questo bisogna aggiungere la repressione interna alla fabbrica, con la costituzione di strutture spionistiche (la pratica delle schedature non è finita con Valletta). Il dirigente della Fiat Luigi Pagella dichiarò davanti ai magistrati nel 1995 che lo interrogavano: “Nel 1978 il terrorismo era una delle preoccupazioni primarie dell’azienda. Via era quasi un ferimento al giorno. Era necessario disporre di informazioni che il normale dispositivo di sicurezza non riusciva ad assicurare. Si è creata una struttura informativa tra i dipendenti e all’inizio si è fatto fare ingresso in azienda a persone legate ai Servizi. Io preparavo i tesserini con nomi di fantasia a persone legate a persone legate ai servizi segreti o comunque già confidenti dei Carabinieri o della polizia perché potessero entrare in azienda, avere notizie e, al contempo, rafforzare la rete informativa interna. Da questo primo embrione la struttura poi si allargò. Da 20-30 persone dei primi mesi si arrivò a 70-80 persone“. 8° Per il funzionamento di questa struttura agivano di concerto Fiat, Prefettura, antiterrorismo e servizi segreti. Per ammissione di Pagella questa struttura non è mai stata smantellata.
Non bisogna dimenticare che sin dal 2003 L’Espresso aveva denunciato una struttura interna alla Telecom che aveva in appalto le intercettazioni da parte delle Procure delle Repubblica.
Questi episodi stanno a dimostrare l’integrazione tra aziende capitaliste, servizi (privati) e servizi segreti, con relativi scambi di favore, che sta a dimostrare la tendenza in atto alla fusione tra apparati dello Stato e capitalismo multinazionale.
C’è da porsi la domanda se in questi suicidi non ci sia lo zampino di queste strutture. Che alla fine tutto questo nasca dall’esigenza di un maggior controllo sui lavoratori.
Non dimentichiamo che già in un’azienda del gruppo Berlusconi, la Videotime, lo SLAI COBAS denunciò l’intenzione da parte dell’azienda di utilizzare dei chips per il controllo dei lavoratori. 9°
Quali prospettive?
Partendo da un punto di vista di chi lotta per abbattere il sistema capitalista si possono fare alcune brevi considerazioni in merito a quest’argomento:
- il lavoro (in altre parole la trasformazione della natura) ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita della specie umana;
- i rapporti di produzione, in altre parole l’insieme dei legami che si stabiliscono tra loro nella produzione sociale della loro esistenza costituiscono l’infrastruttura della società; le altre sfere di questa le relazioni giuridiche, il modo di pensare ecc. dipendono in ultima istanza da queste relazioni di produzione;
- Marx considera che nella società comunista, quando il lavoro si sarà emancipato dalle costrizioni della società capitalista che lo trasforma molto spesso in una vera calamità, diventerà il primo bisogno.
Da questo punto di vista sono significativi i messaggi lasciati da chi si è tolto la vita, le testimonianze dei loro parenti. Come quella dell’elettricista napoletano che si impicca dopo che aveva finalmente ottenuto un posto fisso, ma senza il riconoscimento dei 25 anni passati da precario. Nella lettera a sua moglie affermava che si sentiva umiliato, mentre lei andava a lavorare.
Ciò che spinto molti dei proletari che si sono tolti vita non è stato solo la preoccupazione di non poter sfamare la propria famiglia, ma anche il sentimento di perdere la propria dignità, la propria rispettabilità di uomo nel momento in cui, non essendoti data la possibilità di lavorare, sei ritenuto inutile, un peso morto della società. Questi sentimenti ti annienta, soprattutto se si disoccupato o in cassa integrazione e quindi isolato materialmente dai tuoi compagni di lavoro.
Il riconoscimento da parte degli altri è una delle condizioni essenziali solidarietà e del lavoro associato
. La solidarietà è una base essenziale del vivere sociale tra le persone umane. L’internazionalismo è l’aspetto della solidarietà che assume la forma più completa: la solidarietà non si manifesta più solo verso i membri della famiglia, della tribù o della nazione, ma verso tutto il proletariato, tutti gli oppressi.
Il lavoro associato presuppone che si possa contare gli uni sugli altri nel processo produttivo, che ci si riconosca reciprocamente. È precisamente questa socializzazione del lavoro che rende il comunismo possibile.
È bene sempre ricordare che nel sistema capitalista il progresso tecnologico in sé non porta per niente una diminuzione del carico del lavoro. La tendenza di questo sistema è quella di depredare più plusvalore dal lavoro dei salariati. Ed anche quando c’è la riduzione della durata del tempo di lavoro (come fu il caso in alcuni paesi con l’introduzione delle 35 ore) c’è un’intensificazione dei ritmi, la soppressione dei tempi di pausa ecc. Con il peggioramento della crisi economica e la concorrenza tra gli Stati che ne deriva, quest’intensificazione dello sfruttamento non può che aumentare.
La perdita di solidarietà tra i lavoratori è stata determinata da diversi fattori:
- il crollo dei regimi cosiddetti “socialisti” nel periodo 1989/91 e le campagne sulla pretesa “vittoria definitiva” del capitalismo, sulla “fine della lotta di classe”;
- gli effetti deleteri della decomposizione del capitalismo che generano in particolare il “ciascuno per sé”, l’atomizzazione, l’arrangiarsi da soli, la distruzione delle relazioni sociali che sono alla base di ogni vita nella società.
Questi fattori spiegano in gran parte il fatto che il capitalismo abbia potuto introdurre da una ventina di anni dei nuovi metodi di servitù senza causare risposte da parte della classe operaia, lotte di resistenza di fronte a questo aggravarsi considerevole delle sue condizioni di lavoro.
Potrà sembrare paradossale, magari scandaloso, ma chi si uccide a causa del lavoro deve essere considerato uno che tenta di resistere a quest’aumento della barbarie legata al lavoro, uno che non si rassegna a subire un sovraccarico di lavoro, al disprezzo verso la sua dignità di essere umano. Ma poiché non esiste ancora una resistenza collettiva, una sufficiente solidarietà tra i lavoratori, la sua resistenza e la sua rivolta contro l’ingiustizia che subisce o che vede attorno a lui, restano individuali e isolate. E pertanto sono condannate al fallimento. La conseguenza ultima del fallimento è il suicidio che non è soltanto un atto di disperazione ma anche un ultimo grido di rivolta contro questo sistema che l’ha schiacciato.
Quando il proletariato riprenderà il cammino delle lotte di massa, quando la solidarietà di classe ritornerà nei suoi ranghi, allora, non ci saranno più suicidi per il lavoro.
1° Richard Bandler (24 febbraio 1950). Psicoterapeuta statunistense, tra i fondatori della PNL. Molto del lavoro di Bandler, riguarda le applicazioni delle submodalità, cioè delle sottili distinzioni che esistono nelle esperienze sensoriali e le loro rappresentazioni interne. Il suo passato sa musicista e l‘interesse per l‘impatto neurologicono del suono lo hanno portato a sviluppare l‘area della neurosonica, che utilizza la musica e il suono per creare specifici stati interiori.
2° John Grinder (10 gennaio 1950). Linguista statunitense, tra i fondatori della PNL. Laureato in filosofia all‘università di San Francisco agli inizi degli anni sessanta, si arruolò nel corpo dei berreti verdi e venne mandato in Europa. Ebbe così la possibilità di imparare nuove lingue e alla fine degli anni sessanta studiò linguistica, cosa che gli valse il dottorato ottenuto nell‘università della California a San Diego. In qualità di linguista sviluppò le teorie della grammatica trasformazionale di Noam Chomsky e dopo aver analizzato la scienza conoscitiva a stretto contatto con i fondatore dell‘università Rockefeller (un nome, un programma..) divenne professore di linguistica presso la Nuova Università della California, a Santa Cruz. Negli anni ’80 divenne consulente presso grandi aziende e organizzazioni governative U.S.A. e alla fine degli anni ’90 tenne dei corsi a livello internazionale.
3° Cè chi considera la PNL, come un derivato della New Age, per il mero utilizzo di un sistema empatico-amicale per cercare di risolvere le problematiche emergenti nelle sedute. Introvigne sostiene che alcuni esponenti della PNL abbiano avuto contatti con ambienti esoterici.
4° La stampa francese adottò un atteggiamento molto discretto, sotto certi versi silenzioso sui risultati di questo rapporto. Questo pudore nasceva dal fatto che la stampa non voleva inimicarsi un‘azienda cone la Reanault.
5° Sempre nel 2007, tre addetti della Centrale nucleare di Chinon si sono tolti la vita. Il 15 gennaio 2008 si suicida il responsabile per la sicurezza delle di La Poste di Charente-Marittime, lasciando una lettera in cui scrive: “Il mio suicidio è interamente dovuto a La Poste“.
6° M. Gournay, F. Lanièce e L. Kryvenac, E‘tude de suicides liés au travail en Basse-Normanidie, Societè de Médecine et Santè au Travail de Normandie – SMSTN, giugno 2003. Articolo consultabile sul sito www.federarationsantetravail.org/publications/m28SuicideTravail.html.
7°Christophe Dejours, Le suicide est l’aboutissement d’un processus de dèlitement du tissu sociale, in Le Monde, 21 luglio 2007.
8° F. Pinotti, Fratelli d‘italia, BUR.
9° http://www.associazionevittimearmielettroniche-mentali.org/SLAIcobasVideotimeMediasetRFID.htm